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CHILD ABUSE AND MALTREATMENT: THE JUDICIARY RESPONSE IL FENOMENO DEGLI ABUSI E MALTRATTAMENTI SU MINORI. LA RISPOSTA GIUDIZIARIA

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CHILD ABUSE AND MALTREATMENT: THE JUDICIARY RESPONSE

IL FENOMENO DEGLI ABUSI E MALTRATTAMENTI SU MINORI.

LA RISPOSTA GIUDIZIARIA

Dr. Valeria Montaruli*

ABSTRACT

Child abuse perpetrated within the family context is extremely harmful for the child, since the family represents the most conditioning starting structure for his or her personality and socializing process. An abusing family is not only a family that is despotic and severe.

Also families that grant too much freedom or that are particularly demanding may harm the developing minor. In order to pursue adequately their role, parents need to have personal maturity and strong self control and respect of the sensibility and needs of the child. Often parents avoid reporting abuse crimes to the Judiciary Authority, both because the damage on the child would not be remediable and because they believe the child would be labelled in a wrong way, and finally because the judiciary proceedings may revoke the trauma. In penal cases, dispositions regarding abused children are fragmented. The judge usually acquires expert consultations pertaining to the reliability of a child. On the other hand, the Juvenile Court has a different scope, as the protection of the child is the focus. For this reason, the child may be moved away from his/her original family context. Both Penal and Juvenile Courts may coordinate dispositions on the abused child also in order to avoid duplication of expert consultations and pressure on the child himself. For example, a psychological assessment is in this case most important also to establish whether parents and child should return together or not. This could require a specific specialist intervention with a psychologist and social workers. The most extreme action that could be decided by a Juvenile Court is the loss of parental authority, even temporarily. In this case, one of the parents may be obliged to leave the minor at home, retaining his/her economical and support duties.

In Juvenile Courts, the presumed abuse case is discussed and evaluated among judges in order to define proper arrangements:

proceed with moving away the abused child or the abusing parent. This decision may be arranged with the Penal Court, as the abusing parent may be subject to freedom restrictions (jail or house detention).

It is evident that the notion of child abuse within Juvenile Courts does not coincide with that of Penal Courts, as a juvenile judge has a wider scope of action, for example regarding the psychological component of the crime.

In Italy there is unfortunately no coordination among the different professionals involved in a child abuse case. It would be appropriate to create a nation-wide operational model. In addition, a better communication with Juvenile Protection Authorities would be advisable in order to facilitate prevention and intervention of suspected abuse cases. It would also be advisable to establish a unique protocol for the collection of abused children testimonies. This also to verify the truth of the story.

In a modern society, it is recognized to rights not only to protect legal acts restraining illegal acts, but also to give answers to human problems. Dealing with a complicated and sensitive matter such as children maltreatments requires not only the application of sanctions but an educational goal as well. This does not imply that penal sanctions should not be inflicted. Because children maltreatments belong to the general violence phenomenon of our society, the main aim is to protect children by understanding social, psychological and cultural aspects of today’s human aggressiveness.

* Magistrato, Tribunale dei Minori di Bari

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114 6.3 La realtà dell'abuso: elementi descrittivi

Un'importante ricerca sull'argomento è stata quella compiuta da Sgroi, Blick e Porter, i quali nel 1982 hanno individuato varie fasi dell'abuso sessuale, che si ripetono ancora oggi:

1. fase dell'adescamento: l'abusante mette in atto una serie di comportamenti per attirare su di sé il minore, separandolo dagli altri componenti della famiglia, in particolare dalla madre e creando delle situazioni che lo facilitino nei suoi piani;

2. fase dell'interazione sessuale: durante la quale l'abusante passa a forme di violenza via via sempre più intrusive e devastanti (ad esempio da discorsi pornografici a esibizionismo, voyeurismo, a contatti fisici fino alla penetrazione, a volte con il coinvolgimento anche di altri minori, o inducendo il/la bambino/a a compiere a sua volta atti sessuali su fratelli e sorelle più piccoli;

3. fase del segreto (il quale è presente anche nella fase precedente): in cui l'abusante costringe con vari mezzi il minore al silenzio;

4. fase dello svelamento dell'abuso;

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115 5. fase della rimozione: caratterizzata dal tentativo di negare la realtà dell'abuso o di minimizzarlo, o di negare o minimizzare il danno derivato al/alla bambino/a dall'abuso stesso .

Più recentemente, la Commissione Scientifica "Monitoraggio del maltrattamento" del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia (CISMAI) ha realizzato nel 1999 una rilevazione del maltrattamento e dell'abuso sessuale sui minori sulla base dei dati raccolti da alcuni centri e servizi del CISMAI in relazione ai casi di maltrattamento e/o abuso sessuale segnalati o in carico a tali enti negli anni 1998 e 1999. Alla rilevazione hanno partecipato 7 centri o servizi aderenti al Coordinamento e, di questi, 2 sono servizi/centri pubblici, mentre 5 sono servizi/centri privati (che spesso hanno però convenzioni con gli enti pubblici per gestire l'intervento nei casi di abuso sessuale su minori).Il materiale raccolto è riferibile a 928 minori segnalati o in carico negli anni indicati.

Riguardo alle varie tipologie di violenza, dal diagramma relativo (realizzato dalla ricerca del CENSIS) risulta che dopo le situazioni a rischio di violenza (oltre il 26%) e la trascuratezza (quasi il 22%) - situazioni queste in cui dovrebbe maggiormente operare l'attività di prevenzione - la tipologia di violenza percentualmente più commessa è l'abuso sessuale (circa il 20%).

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116 Emerge, dunque, l'immagine di un bambino abbandonato a se stesso, non stimolato, non curato, isolato affettivamente e spettatore della conflittualità in famiglia che spesso arriva a coinvolgerlo.

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117 Tali violenze, secondo questa ricerca, sono commesse, nella quasi totalità dei casi, in ambiente domestico (91%).

Anche da un'altra ricerca svolta nel 2002, dalla Scuola Romana Rorschach (Centro studi e intervento infanzia violata), sui dati raccolti da 35 audizioni protette di minori sessualmente abusati, è stato confermato quest'ultimo risultato. L'abuso sessuale è stato distinto in:

abuso sessuale intrafamiliare ed intradomestico: quando l'abuso sessuale è commesso dal genitore o comunque da un parente convivente con il minore;

abuso sessuale intrafamiliare ed extradomestico: quando l'abuso è perpetuato da un parente non convivente o da un amico di famiglia;

abuso sessuale extrafamiliare: quando l'abuso è compiuto da un soggetto estraneo al minore e/o alla famiglia.

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118 Le tipologie dell'abuso sessuale

È emerso che si ha un numero più elevato di casi di abuso sessuale intrafamiliare extradomestico. Considerando poi, oltre a questa, la percentuale dei casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico, il numero dei casi di abuso intrafamiliare risulta fortemente maggiore rispetto a quello dei casi di abuso extrafamiliare. Dalla ricerca del CENSIS. risulta infatti che chi ha compiuto violenza è in prevalenza il padre (autore principale o unico), seguito dalla madre (secondo autore).

Tipo violenza Autore principale

Secondo autore

Terzo autore

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119 Abuso

sessuale Padre Estraneo Sconosciuto

Maltratt.

Fisico

Padre Madre Sconosciuto

Trascuratezza Padre Madre Altri parenti

Maltratt.

Psicologico Padre Madre Altri parenti

Situaz. a

rischio Padre Madre Altri parenti

Ipercura Padre/Madre Madre/Padre -

Relazione tra autore e vittima della violenza

Definire il contesto dell'abuso significa, in primo luogo, comprendere il tipo di relazione esistente tra l'abusante e la vittima. Infatti, la violenza compiuta dall'estraneo è sicuramente diversa da quella massa in atto dal padre incestuoso, così come è diversa quella compiuta dal vicino di casa o dal conoscente.

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120 Una particolare categoria di abusanti è quella delle cosiddette "persone autorizzate", cioè di coloro che, in virtù dell'attività che svolgono (infermiere, medico, ecc.), hanno l'opportunità di entrare in relazione con la vittima in maniera naturale.

Le violenze che il bambino subisce nell'ambito familiare sono, comunque, quelle più rilevanti perché la carenza di un sostegno o dell'affetto della famiglia è quella che più gravemente condiziona la regolare strutturazione della personalità e l'adeguato sviluppo del processo di socializzazione del bambino. La famiglia abusante non è soltanto la famiglia autoritaria e dispotica, né solo quella sfruttatrice in senso economico del bambino (considerato come "merce"). Può danneggiare il minore anche la famiglia che, per rispettare "troppo" la sua libertà, lo lascia solo ad esplorare la vita; quella che - per assicurargli un luminoso avvenire - è particolarmente esigente e perfezionista; quella che per iperprotezionismo gli impedisce di fare esperienze significative e strutturanti perché tutto costituisce pericolo; quella ripiegata narcisisticamente su se stessa e quindi portata ad inculcare nel figlio l'idea che tutto il mondo è ostile e negativo e che solo il modello familiare è valido; quella che attraverso il ricatto della riconoscenza, per l'amore dato e per i sacrifici compiuti, soffoca il bambino con un amore possessivo e distruggente.

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121 Per svolgere adeguatamente il proprio ruolo genitoriale, e così captare le esigenze del bambino, e per saper rispettare la sua sensibilità sono necessari nei genitori un'adeguata maturità personale ed un forte controllo di sè e delle proprie reazioni. Il che non è facile, specialmente in una società che tende ad infantilizzare anche gli adulti, che isola ed emargina la famiglia, che moltiplica le situazioni di fragilità familiare, che propone continuamente modelli diversi e spesso contrastanti di educazione .

Per quanto riguarda la composizione familiare, da un'ulteriore rilevazione sulla violenza all'infanzia, compiuta nel 2002 dalla Dott.ssa Celeste Pernisco, pedagogista, è emerso che la maggioranza dei bambini vittime di violenze vive in nuclei costituiti da entrambi i genitori biologici conviventi (il 56%) e la famiglia

"normale" continua ad essere l'ambito in cui si verificano la maggior parte degli abusi.

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122 Negli abusi sessuali consumati in famiglia, possono essere riconosciute modalità complesse di realizzazione, tanto da poterli distinguere in tre sottogruppi:

a. abusi sessuali manifesti:

lo sono, di solito, gli abusi di tipo incestuoso, consumati nella maggior parte dei casi da figure maschili con figlie femmine, ma dovrebbero essere considerati tali anche altri rapporti simili, di cui si parla poco: tra padri e figli maschi; tra madri e figli maschi; tra fratelli e sorelle.

Questi tipi di violenze sono, per i traumi e le conseguenze che lasciano sul minore, i più evidenti e sono quelli sui quali è possibile intervenire con fermezza; ma la

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123 difficoltà nel riconoscerli è proprio nel fatto che avvengono all'interno del nucleo di vita più vicino al bambino: la sua famiglia.

b. abusi sessuali mascherati:

lo sono pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi del bambino, ispezioni ripetute e applicazioni di creme e preparati medicinali.

c. pseudo-abusi:

a questo gruppo appartengono gli abusi dichiarati quando in realtà non sono stati concretamente consumati per:

o convinzione errata, a volte delirante, che il/la figlio/a (più frequentemente la figlia) sia stato/a abusato/a; dietro a tali convinzioni c'è talvolta la proiezione sul/la figlio/a di esperienze di abuso subite nella propria infanzia dal genitore;

o consapevole accusa all'ipotetico autore di abuso sessuale finalizzato ad aggredirlo, screditarlo, perseguirlo giudizialmente. Queste accuse avvengono frequentemente da parte di madri o nonne contro i padri nel corso delle separazioni;

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o dichiarazione inventata dal/dalla giovane, di solito adolescente, per sovvertire una situazione familiare insostenibile. Anche se l'abuso non si è realizzato, sono situazioni che vanno sempre prese in considerazione perché indicano che il minore ha sicuramente un disagio e, pertanto, deve essere aiutato;

o l'abuso sessuale "assistito", quando cioè il/la bambino/a assiste all'abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori.

d. abusi sessuali extrafamiliari:

sono forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, ormai adulti, poiché, quando l'abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sull'opportunità non solo di denunciare il fatto all'autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l'abuso.

Il problema delle conseguenze psicologiche di questi soggetti non ha un'evoluzione univoca, ma è in funzione della situazione psicologica individuale e soprattutto di come l'ambiente familiare e sociale in cui vivono reagisce.

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125 Nella maggior parte dei casi vi è una situazione di trascuratezza fisica e/o affettiva, in cui vive il minore, che non gli permette di sviluppare la capacità di discriminare i pericoli e lo rende predisposto ad accettare qualunque attenzione affettiva gli venga proposta dall'esterno, credendola compensatoria di una vuoto affettivo intrafamiliare.

Quando la negazione e l'omertà non reggono e il problema diventa palese, il bambino subisce dalla propria famiglia altre violenze, che consistono nel costringerlo a ripetute e minuziose descrizioni dei fatti alle diverse autorità (in numero anche superiore al necessario). Tutto questo perchè il pensiero dominante per il genitore offeso diventa la vendetta, quasi perdendo di vista i bisogni e le angosce del/la proprio/a figlio o figlia .

Riguardo al sesso delle vittime di abuso sessuale, dalla ricerca svolta da Terragni risulta che si tratta soprattutto di soggetti di sesso femminile e di età media raramente al di sotto dei sei anni. Egli sostiene che "parlare di violenza nei confronti di bambini significa, nella grande maggioranza dei casi, parlare di violenze nei confronti di bambine e adolescenti". Per i maschi è stato comunque registrato un notevole rischio di abuso sessuale extrafamiliare, a differenza delle femmine dove l'abuso avviene più frequentemente nell'ambito familiare.

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126 Lo stesso risultato è stato confermato sia dalla rilevazione compiuta nel 1999 dal CISMAI), sia da quella compiuta nel 2002 dalla Scuola Romana Rorschach):

Rilevazioni statistiche sul sesso ed età delle vittime di abuso sessuale compiute dal CISMAI nel 1999

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127 Si può notare che l'unica differenza emergente dalle tre ricerche (compiute da Terragni, dal CISMAI e dalla Scuola Romana Rorchach) riguarda l'età in cui i minori subiscono con più frequenza abusi sessuali: nel 1998 era tra i 12 e i 14 anni, nel 1999 tra i 6 e i 10 anni, nel 2002 nella cosiddetta preadolescenza/adolescenza.

Il cambiamento registrato dal 1999 al 2002 potrebbe essere il risultato di un maggior numero di denunce da parte dei minori-preadolescenti, dovute al fatto probabilmente che in questi ultimi anni sono state realizzate più iniziative di sensibilizzazione all'interno delle scuole (anche in luoghi dove prima l'argomento era considerato una specie di "tabù"), c'è stata una maggior diffusione sul territorio e conoscenza dei consultori ed infine, sicuramente, perché la violenza e l'abuso sessuale sono diventati un argomento più discusso che in passato.

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128 Rilevazione statistica compiuta dalla Scuola Romana Rorschach nel 2002 sull'incidenza degli abusi sessuali a seconda del sesso del minore e dell'età

Dalla rilevazione compiuta dalla Dott.ssa Pernisco, maschi e femmine non risultano subire una quantità diversa di azioni abusanti per quanto riguarda la violenza

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129 sessuale "tradizionale" (come gli atti di libidine e i rapporti sessuali penetrativi o nell'avvio alla prostituzione), mentre nelle violenze connesse alle attività organizzate di pedofilia i maschi sono coinvolti in misura quasi doppia rispetto alle femmine.

È stato inoltre rilevato che i bambini stranieri subiscono maggiormente le varie forme di violenza sessuale rispetto ai minori italiani.

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130 Le statistiche evidenziano, infatti, che i bambini extracomunitari sono, più spesso di quelli italiani, vittime di rapporti sessuali, indotti alla visione di pornografia ed avviati alla prostituzione. La causa, probabilmente, si può ricondurre alla loro stessa situazione di vita, caratterizzata da un quasi totale abbandono sia da parte delle istituzioni, sia da parte della famiglia (costretta a lottare per la sopravvivenza con un elevato numero di figli).

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131 6.4 Gli indicatori dell'abuso sessuale

Nel caso di violenze sessuali su minori al di fuori del contesto familiare, molto spesso i genitori preferiscono non denunciare subito all'autorità giudiziaria il crimine, sia perché il danno in ogni caso non è totalmente risanabile, sia perché esiste il rischio che l'apertura del procedimento esponga il bambino a morbose curiosità e a facili etichettature (soprattutto se il contesto familiare è un piccolo paese), sia infine perché la necessaria rievocazione del fatto in sede giudiziaria può aprire nuove ferite nel minore impedendogli di superare il trauma di cui è stato vittima. Il rischio di violenze di questo tipo è particolarmente elevato in bambini che non sono seguiti a sufficienza dai genitori per incuria o disinteresse: la consapevolezza di ciò fa sentire i genitori oscuramente colpevoli e poco disposti alla denuncia.

Per accertare l'effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori, i quali però non possono costituire un elenco completo e certo sul quale poter desumere con esattezza se l'abuso si è realizzato oppure no. Sono molti, infatti, i casi in cui la sintomatologia clinica non è troppo esaustiva e dove rimangono molti dubbi (ad esempio quando non c'è stata penetrazione).

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132 Gli indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e si distinguono in:

1. indicatori cognitivi 2. indicatori fisici;

3. indicatori comportamentali/emotivi.

Tra gli indicatori cognitivi rientrano le conoscenze sessuali inadeguate per l'età, le modalità di rivelazione da parte del bambino dell'abuso sessuale, i dettagli dell'abuso e, a volte, si verifica una certa confusione nel ricordo dei fatti e nella sovrapposizione dei tempi. Per scoprire questi indicatori, le aree da indagare sono:

il livello di coerenza delle dichiarazioni, l'elaborazione fantastica, la distinzione tra il vero e il falso, il giudizio morale e la chiarezza semantica.

Gli indicatori fisici di abuso sessuale sono: la deflorazione, la rottura del frenulo, le ecchimosi e i lividi in zona perineale, i sintomi di malattie veneree ed altri che devono considerarsi più equivoci per le molteplici cause che possono averli generati, come le incisure imenali, le neovascolarizzazioni a livello del derma nelle grandi labbra (nelle bambine) o le irritazioni del glande o del prepuzio (nei bambini) oltrechè arrossamenti e infiammazioni aspecifiche localizzate .

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133 Gli indicatori comportamentali ed emotivi comprendono sentimenti di paura, depressione, disturbi del sonno e dell'alimentazione, un comportamento ipervigilante che indica la paura della ripetizione del trauma, la mancanza di interesse verso le attività ludiche con i compagni, l'alterazione significativa della personalità con possibili sintomi psiconevrotici (isteria, fobie, ipocondria). La timidezza e la paura si manifestano soprattutto in presenza del genitore abusante o nei confronti di adulti di tal sesso. A causa dei sensi di colpa e delle minacce che ricevono, i bambini abusati possono mettere in atto comportamenti autodistruttivi fino al suicidio.

De Young ritiene che un ulteriore indicatore comportamentale di abuso sessuale sia una spiccata erotizzazione della propria vita: infatti i bambini abusati tendono a diventare sessualmente aggressivi nei comportamenti e nei giochi. Vero è che occorre tener conto che tali indicatori di abuso non possono essere utilizzati indiscriminatamente, poiché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause; bisogna fare attenzione al rischio di vedere una correlazione illusoria tra causa supposta (abuso sessuale) e conseguenze (indicatori), dove questa non c'è. Nel caso degli indicatori fisici, ad esempio nelle bambine, una diagnosi di neovascolarizzazione è giudicata compatibile con atti traumatici ripetuti (quali atti di abuso sessuale), ma anche con esiti di infiammazioni vaginali. La stessa integrità

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134 dell'imene si presta a conclusioni equivoche, in quanto apparenti lacerazioni di essa possono in realtà corrispondere a particolarità morfologiche congenite.

L'equivocità può riguardare anche gli indicatori comportamentali. La presenza di incubi, l'eccesso di masturbazione e la depressione non costituiscono di per sé sintomi di abuso sessuale e possono essere ricollegati a varie cause che incidono sulla vita e crescita del bambino. Anche gli indicatori cognitivi possono trarre in inganno: spesso si è portati a pensare che, se un bambino ha conoscenza in materia di sesso inadeguate alla sua età, non può che averle acquisite attraverso contatti sessuali diretti. In realtà, frequentemente capita che il bambino abbia visto determinate scene nei film oppure abbia ascoltato gli adulti che ne parlavano .

Gli indicatori da soli non possono, dunque, essere considerati gli indici certi di un avvenuto abuso sessuale: sono necessarie ulteriori indagini sulla situazione.

6.5 Le conseguenze dell'abuso sessuale

Si può affermare con certezza che un bambino che non comprende il significato delle azioni dell'adulto, non per questo non riporterà un danno: non è cioè la comprensione intellettuale di ciò che accade a dare la misura dell'effetto traumatico dell'abuso sessuale.

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135 A proposito della violenza sessuale intrafamiliare, Lanza ha scritto:

L'incesto, in tutte le sue manifestazioni, anche quelle più raffinate e sottili (che sono poi quelle che creano forme di dipendenza psicologica), quando ha come referente un minore, è in modo assoluto una forma di violenza con effetti permanenti e irreversibili. La violenza è qualcosa che ha a che fare con la "forza" e il "potere", è un

"male" che aggredisce la persona nella sua totalità, la tocca nella libertà, crea

"sofferenza" reale e lascia "paura".

La violenza all'interno della famiglia può causare una serie di conseguenze nocive per le vittime, quali gravi danni fisici, disturbi psicologici a breve e a lungo termine e il bisogno di andare via di casa. Emery e Laumann-Billings ritengono che le conseguenze della vittimizzazione siano comunque una funzione di almeno cinque classi variabili:

1. la natura dell'atto abusivo (percosse, abuso sessuale) come pure la sua frequenza, intensità e durata;

2. le caratteristiche individuali della vittima (ad esempio l'età);

3. la natura della relazione tra vittima e abusante (coniuge, patrigno, ecc.);

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136 4. la risposta degli altri all'abuso (sostegno sociale, intervento legale o psicologico

e soprattutto reazione della famiglia);

5. i fattori legati all'abuso che possono esasperare i suoi effetti o sostenere alcune delle conseguenze dell'abuso stesso (caos familiare precedente all'atto abusivo).

La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell'impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio "gentile") ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l'immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di strumenti, potere e autorità rispetto all'adulto, sono nell'impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L'abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall'adulto, anche quando non c'è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall'abuso stesso.

Per parlare di "mancato consenso" non è inoltre necessario che il minore sia completamente all'oscuro del significato sessuale degli atti compiuti dall'adulto:

infatti è la posizione di vantaggio di questo rispetto al minore e il clima di soggezione, confusione, ambiguità, colpevolizzazione creato dall'adulto ad impedire

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137 alla vittima una reazione efficace. Per i bambini piccoli inoltre il "bene" è obbedire all'adulto; per loro un'azione che non solo risponde al requisito dell'obbedienza, ma che viene anche premiata dall'adulto è "buona" .

I mezzi usati dagli abusanti sono un insieme di lusinghe e minacce, di promesse e intimidazioni, di uso di forza fisica e di atteggiamenti gentili, in un'alternanza di facce e ruoli via via assunti da chi abusa al fine di togliere alla vittima qualsiasi possibilità di difendersi.

In molti casi le ragazze e le donne che sono state da bambine vittime d'abuso non ricordano i tentativi che hanno inizialmente fatto per difendersi dalla violenza e sono convinte che l'abusante non abbia mai fatto uso di forza fisica. In realtà, ricostruendo con loro la storia, si scopre che spesso durante le prime aggressioni è stato fatto uso di vera e propria coercizione fisica. Successivamente il senso di impotenza, la vergogna, la disperazione, i ricatti a cui venivano sottoposte dall'abusante («Se non ci stavo lui picchiava la mamma e i miei fratelli»; «Mi diceva che dovevo essere gentile con lui; se poi non lo ero diventava cattivo»), l'isolamento in cui venivano costrette, la paura che provavano ed i messaggi ambigui e distorti che ricevevano toglievano loro totalmente la possibilità di reazione .

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138 La confusione, il fallimento dei tentativi di difesa, la sessualizzazione traumatica, la ripetizione dei messaggi dell'abusante che addossa alla minore la responsabilità dell'abuso, fanno sì che essa dimentichi la reale successione dei fatti e non riesca a darne la giusta interpretazione neanche da adulta. In molti casi l'abusante arriva a pretendere dimostrazioni "d'amore": «Mi diceva le frasi d'amore che dovevo dirgli e non voleva che lo chiamassi papà; però se cercavo di ribellarmi cambiava faccia e diceva: "Devi fare come ti dico io, perché sono tuo padre"» .

Per quanto riguarda la durata dell'abuso, si può intuitivamente concordare con l'affermazione secondo cui un episodio isolato risulta meno dannoso di un'esperienza protratta nel tempo. Tuttavia i dati disponibili sono contraddittori in quanto la durata e la frequenza dei rapporti sono comunque elementi collegati ad altre variabili quali l'età del bambino all'esordio, il contesto familiare o extrafamiliare, la natura della relazione con l'abusante ed il tipo di attività sessuale commessa. A questo proposito, un sintomo particolare è costituito dal disturbo post- traumatico da stress (PTSD), il cui rischio tende ad aumentare quando l'abuso fisico è più grave e di lunga durata e quando l'abuso sessuale avviene in una relazione segreta o comporta un senso di pericolo o colpa da parte del bambino vittima. È stato inoltre dimostrato che lo stupro, in particolare, comporta un più elevato rischio

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139 di PTDS rispetto ad altri traumi comuni, a causa della forte coercizione fisica utilizzata .

Si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo e formazione del bambino, agendo sulla regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. Anche nell'età adulta persistono disturbi di relazione rappresentati da sentimenti di paura e diffidenza nell'incontro con gli altri e di ostilità nei confronti delle figure parentali; varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcolismo.

Anche la "Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia" afferma che «l'intensità e la qualità degli esiti dannosi dell'abuso sessuale derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell'evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all'abuso». Inoltre «il danno è tanto maggiore quanto più:

a. il fenomeno resta nascosto, o non viene riconosciuto;

b. non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale;

c. l'esperienza resta non verbalizzata e non elaborata;

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140 d. è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dall'abusante».

L'abuso sessuale che si verifica in un clima di calore affettivo, di lusinghe, di gratificazione mediante le concessioni di speciali privilegi e di estrema segretezza, può essere per il bambino traumatico e sconcertante al pari di un'aggressione violenta.

Molti bambini subiscono per anni un abuso sessuale ma, mentre crescono, aumenta in loro la consapevolezza che qualcosa è sbagliato e possono rendersi conto improvvisamente di ciò che sta loro succedendo (per esempio nel corso di un tentativo disperato di proteggere un membro più giovane della famiglia da un abuso dello stesso tipo, o quando la possessività e la gelosia del padre diventano intollerabili).

Non c'è da stupirsi che i bambini vittime di abuso sessuale si dimostrino molto ansiosi. Un'adolescente può apparire orgogliosa del potere che ha sul padre o su altri uomini, ma dietro questo atteggiamento si cela un grande bisogno di affetto.

Essa continuerà ad incontrare difficoltà nel dare e nel ricevere amore, anche quando magari sarà stata inserita in una famiglia diversa (ad esempio adottiva).

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141 Il fatto che tali effetti non si protraggano a lungo termine dipende, probabilmente in larga misura, dalla possibilità di una diagnosi e di una terapia precoci.

Uno dei caratteri più tipici dell'abuso sessuale, soprattutto intrafamiliare, è l'instaurazione e il mantenimento del segreto riguardo all'atto compiuto, che crea forti barriere nel minore sia a livello interiore, che nelle relazioni con gli altri.

L'abusante costringe la vittima al silenzio con l'imbroglio; con i bambini piccoli viene usato il "discorso del gioco": «Questo è un gioco che si fa sempre tra padri e figlie, però non lo devi dire a nessuno». Il bambino viene anche ricattato e minacciato: «Se parli mi uccido» oppure «La mamma e i tuoi fratelli finiscono sul lastrico», «Viene un mostro e ti uccide». Sono tutte frasi riferite dai bambini quando parlano delle violenze subite durante l'infanzia. E ancora (in casi di abuso extrafamiliare): «Se lo dici a qualcuno, lo dico ai tuoi genitori», con un'incongruenza di messaggi spaventosa e colpevolizzante, oltre che altamente confusiva per il/la minore.

La vittima della violenza, inoltre, per poter sopravvivere ad eventi così distruttivi mette in atto potenti meccanismi di difesa che rendono possibile quello che viene chiamato "adattamento all'abuso". Attraverso di esso il bambino tenta di ripararsi in qualche modo dal senso di catastrofe e di distruzione e può permettersi l'illusione

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142 che niente sia cambiato, che il suo papà sia comunque un papà buono che gli vuole bene e che la rovina che gli è caduta addosso possa essere in qualche modo tenuta sotto controllo.

Tali meccanismi patologici di adattamento partecipano al mantenimento del segreto. Il far finta di essere altrove durante gli atti abusivi (sentirsi per esempio parte del muro o un piccolo animale che guarda da un angolo della stanza quanto succede), sforzi auto-ipnotici di induzione anestetica riguardo al dolore fisico e alla sofferenza psicologica, e sforzi di non sentire rientrano nei primissimi meccanismi messi in atto dal bambino per difendersi dall'assoluta confusione, angoscia e paura che prova al termine dell'atto abusivo.

Tali reazioni sono determinate, oltre che dagli atti abusivi in sé, anche dalle circostanze in cui avviene l'abuso. Ad esempio le aggressioni notturne avvengono nell'assoluto silenzio e al buio mentre il/la bambino/a dorme, di modo che ciò che avviene è contemporaneamente negato dalle stesse circostanze, che rendono più facile la negazione della realtà dei fatti da parte dell'abusante («Hai fatto un sogno»).

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143 Il bambino e la bambina vengono premiati o perlomeno non puniti quanto più e quanto meglio riescono a mettere in atto i meccanismi di difesa, cioè quanto più e meglio riescono a tenere il segreto richiesto dall'autore della violenza, segreto che non è solo verbale ma anche emotivo e comportamentale).

Infatti non sempre e non subito il bambino abusato ha comportamenti sintomatici manifesti. Ad esempio, se il brusco calo di rendimento scolastico è uno degli indicatori di violenza sessuale, tuttavia ci sono bambini e bambine che riescono a mantenere una buona riuscita scolastica, per poi riferire più tardi: «L'unica cosa a cui mi aggrappavo era la scuola».

Ciò non significa che il bambino e la bambina non siano danneggiati, ma che essi riescono a mantenere per un periodo più o meno lungo i meccanismi di adattamento messi in atto ai fini della sopravvivenza. Il segreto, anche quello emotivo, evita la punizione e tiene sotto controllo la paura di perdere i familiari o di sentirsi la causa della loro rovina. Invece, il pianto, la paura manifesta e i tentativi di ribellione portano alla punizione, scatenano la rabbia dell'abusante e ne aumentano i comportamenti sadici, che possono essere a lungo mascherati da atteggiamenti comprensivi e solidali. Infatti, spesso, il consolare il bambino triste, che è proprio

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144 tale perché vive una situazione di violenza, è da parte dell'abusante il preludio di nuovi atti abusivi .

Fattore basilare di mantenimento dell'abuso è la negazione da parte di chi abusa della realtà dei fatti, negazione che spesso persiste tenacemente anche dopo la rilevazione e l'accertamento dell'abuso, e persino di fronte a referti medici inequivocabili. Il negare degli abusanti comprende il negare di avere abusato e di avere progettato l'abuso. Infatti è affermazione ormai consolidata che l'abuso non è un "raptus": prima della messa in atto dei comportamenti abusivi ci sono dei pensieri, delle fantasie sul bambino ed una progettazione per così mettere in atto l'abuso con la ricerca delle circostanze ad esso favorevoli. I meccanismi di negazione agiscono molto spesso anche negli altri adulti non abusanti (ad esempio nella madre connivente, che pur sospettando o essendo a conoscenza dell'abuso non ha la forza di cambiare la situazione) e persino negli stessi operatori, che si possono far condizionare nelle loro attività dalla condizione economica della famiglia o dalla buona educazione impartita al bambino dalla famiglia stessa .

Le reazioni negative dell'ambiente circostante, a seguito dello svelamento dell'abuso, riportano il minore al silenzio e al segreto, lo spingono alla ritrattazione, aggravano la stigmatizzazione (la visione negativa che il bambino e la bambina hanno di se

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145 stessi come cattivi, colpevoli, irrimediabilmente sporchi e contaminati dagli atti abusivi), aumentano il profondissimo senso di vergogna e colpa che egli prova;

inoltre aumentano le difficoltà di relazione, determinate dalla situazione abusiva, e portano il minore all'isolamento totale, confermando in esso la convinzione di non poter condividere con nessuno la propria sofferenza, né di poter trovare in nessun luogo le risposte alla propria confusione.

Tutte queste reazioni sono dette "forme di abuso secondario" .

L’ASCOLTO DEL MINORE NEL PROCESSO PENALE.

Gli ambiti in cui sono stati elaborati i protocolli sono quello penale relativo agli abusi sui minori e, particolarmente all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 54/06, in materia di separazione tra coniugi.

Con riferimento all’ambito degli abusi in danno dei minori, nel procedimento penale frammentarie sono le disposizioni che prevedono l'audizione del minore, al di là della generica previsione contenuta nell’art. 609 decies cp relativa all’assistenza del minore parte offesa da parte dei servizi competenti e l’apodittica previsione relativa all’ascolto protetto del minore di cui all’ar. 498 co. 4 ter cpp.

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146 Non può prescindersi, in ordine alle corrette modalità dell’ascolto del minore,dalla Carta di Noto redatta nel 1996 ed aggiornata nel 02 in ordine alle corrette modalità di ascolto del minore abusato, cui viene attribuito rilievo, ai fini della valutazione di attendibilità della parte lesa, anche dalla Cassazione (Cass. 18.9.07, caso Rignano Flaminio), pur nella precisazione che “la valutazione psicologica non può avere ad oggetto l’accertamento dei fatti per cui si procede, che spetta esclusivamente all’AG”.

In essa si stabiliscono i seguenti principi:

• Necessità di avvalersi di professionisti specificamente formati, che devono utilizzare metodologie e criteri ritenuti affidabili dalla Comunità scientifica;

• Utilizzare un settino adeguato, tale da garantire la serenità del minore e di procedere a videoregistrazione o quantomeno audio-registrazione; si specifica comunque che l’incidente probatorio è la sede privilegiata delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento;

• Informare il minore dei suoi diritti e consentirgli di esprimere sue opinioni, esigenze e preoccupazioni;

• Evitare domande o comportamenti che possano compromettere la spontaneità, la sincerità e la genuinità delle risposte.

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147 La Carta di Noto è stata integrata dal Protocollo di Venezia del 23.9.07, che estende tali principi ai casi di abuso sessuale collettivo sui minori. Perplessità desta la previsione per cui, fatta eccezione la situazione di rilevante gravità psico – patologica dei minori, è consigliato l’avvio terapeutico solo dopo l’acquisizione della testimonianza in incidente probatorio.

INTERVENTO CIVILE A PROTEZIONE DEL MINORE ABUSATO.

• Procedimenti civili in materia di abusi e dei maltrattamenti intra – familiari, in cui ci sono notevoli profili di connessione con il procedimento penale a carico del genitore maltrattante ed abusante. In tali fattispecie, il giudice minorile di solito acquisisce le consulenze e perizie espletate in sede penale sull’attendibilità del minore. Non è infatti suo compito entrare nelle specifiche valutazioni di merito circa la fondatezza dell’impianto accusatorio, che sono di competenza di altra autorità giudiziaria. L’ambito operativo del giudice civile minorile è invece spostato sul versante della protezione del minore, che spesso viene allontanato dal contesto familiare malato ovvero rimane con l’altro genitore. Può comunque ipotizzarsi un’attività di coordinamento tra Ag ordinaria in sede penale e giudice minorile in

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148 senso civile, affinché la consulenza espletata in sede penale possa rispondere a quesiti di pertinenza del giudice minorile, salvo il diritto al contraddittorio in questa sede, con notevoli vantaggi in termini di economia processuale ed al fine di evitare la duplicazione di defatiganti ascolti del minore. Anche in tali fattispecie, può comunque essere utile disporre un’autonoma ctu psicologica davanti al Tribunale per i Minorenni, per analizzare le dinamiche relazionali all’interno del nucleo familiare. In alcuni casi, qualora – come spesso accade – non si raggiunga la prova delle condotte di abuso in sede penale, con conseguente archiviazione del procedimento penale o pronuncia assolutoria, si pone il delicato problema dell’opportunità di ripristinare il rapporto tra il minore ed il genitore presunto abusante e di valutare il percorso terapeutico cui sottoporre il minore ed entrambe le figure genitoriali. Spesso, infatti, si registrano delle anomalie anche nel rapporto tra il minore e l’altro genitore, su cui occorre un intervento di tipo specialistico.

Allontanamento e misure a protezione del minore.

Nella vasta gamma, non tipizzabile, di provvedimenti che il TM può adottare a tutela del minore e contro il genitore, se il più radicale è la decadenza dalla

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149 potestà genitoriale, uno dei provvedimenti più incisivi – avente carattere cautelare e non decisorio - è costituito dall’allontanamento, anche qualora venga adottato in via provvisoria e temporanea.

Il termine allontanamento compare nell’art. 330 cpv. c.c. laddove si dice che a seguito della declaratoria della decadenza dalla potestà, “per gravi motivi il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivete che maltratta i figlio”. Anche nell’art. 333 c.c., come modificato dall’art. 37 l.n. 149/01, si dice che “il giudice può disporre l’allontanamento (del minore) dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”.

Sebbene la possibilità di disporre l’allontanamento non sia limitata ai casi di decadenza dalla potestà, nella prassi tale misura viene adottata solo in caso di gravi violazioni dei doveri genitoriali, e preferibilmente in via gradata, dopo avere sperimentato misure meno afflittive come l’affidamento ai servizi sociali o consultoriali, o l’imposizione di prescrizioni ai genitori (divieto di ricevere in casa pregiudicati, di fare uso di alcolici o stupefacenti, obbligo di avvalersi di un sostegno psicologico…).

Il provvedimento giudiziario di allontanamento si concreta nel divieto per il genitore di coabitare con il figlio, che viene collocato presso parenti, famiglie, comunità o

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150 istituti, in relazione alle caratteristiche ed esigenze del caso. L’allontanamento dalla residenza familiare non incide tuttavia di per sé sui diritti – doveri genitoriali, quale quello di rappresentanza nei diritti patrimoniali o dovere di mantenimento.

Quanto ai motivi che nella prassi giustificano un provvedimento di allontanamento, in generale non è sufficiente l’indigenza in sé, quanto la violazione, la trascuratezza o l’abuso nell’esercizio del dovere di educare, mantenere ed istruire la prole. In genere le motivazioni per l’allontanamento sono plurime e complesse, normalmente riconducibili a gravi condotte di violenza ed abuso, nonché in tutte le situazioni in cui il minore sia fatto oggetto di violenza indiretta, in quanto spettatore di comportamenti posti in essere da un genitore nei confronti di altri membri della famiglia.

Particolarmente complesse sono le ipotesi di coesistenza dei procedimenti civili a tutela del minore, con procedimenti penali per presunti abusi intra – familiari in danno di minore.

La trattazione della vicenda di presunti abusi inizia con una valutazione in camera di consiglio circa la necessità di procedere o meno a una diversa sistemazione del minore, eventualmente attraverso il suo allontanamento dal nucleo familiare (qualora sussistano condizioni di urgenza con provvedimento immediatamente esecutivo, se del caso senza la preventiva audizione degli esercenti la potestà, ex

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151 artt. 336 ult. co. c.c., 741 c.p.c.). In presenza di una segnalazione di abuso la questione se allontanare o meno il minore costituisce un passaggio obbligato della valutazione del Tribunale.

Nel decidere la necessità dell’allontanamento si deve tener conto della possibilità, da verificare attraverso un confronto e un coordinamento con il pubblico ministero penale, che, anziché il minore, venga allontanato il genitore abusante, attraverso la sottoposizione a una misura cautelare di cui si ravvisi la sussistenza dei presupposti di legge (custodia in carcere, arresti domiciliari in altro luogo, divieto o obbligo di dimora).

E’ comune evidente che la nozione di abusi e maltrattamenti in ambito minorile non coincide con quella penale, avendo il giudice minorile in raggio di azione assai più ampio, per esempio in tema i verifica dell’elemento psicologico del reato.

Il tema delle decisioni cautelari a protezione del minore si è notevolmente ampliato, offrendo importanti opportunità innovative (da tempo auspicate), ma anche presentando ulteriori aspetti di complessità, a seguito dell’entrata in vigore di due recenti leggi.

Con la legge 28 marzo 2001 n. 149, finalizzata a una complessiva revisione della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, il legislatore è intervenuto anche su un diverso ambito normativo, quello della disciplina del diritto di famiglia

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152 contenuta nel codice civile ed, in particolare, nel titolo relativo alla potestà dei genitori.

In tal senso sono stati modificati l’art. 330 c.c., relativo alla decadenza dalla potestà, e l’art.333 c.c. – vera e propria norma chiave sugli interventi di limitazione della potestà genitoriale da parte del Tribunale per i minorenni, in presenza di situazioni di pregiudizio – nel senso che appare ora possibile, tra le varie misure a contenuto non rigorosamente predeterminato e/o alla pronuncia di decadenza dalla potestà, disporre altresì “l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”.

Inoltre, a seguito della legge 4 aprile 2001 n. 154 (“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”), sono stati introdotti nuovi istituti, con la stessa finalità di non penalizzare ulteriormente la vittima di violenze fisiche o sessuali, optando, preferibilmente, per limitazioni della libertà personale dell’autore del fatto.

La nuova legge prevede novità rilevanti sul piano penale e civile.

In primo luogo viene introdotta una nuova misura cautelare: l’allontanamento dalla casa familiare, prevista dall’art. 282 bis c.p.p. , con il quale il giudice prescrive all’imputato l’allontanamento immediato dalla casa familiare, ed eventualmente anche il versamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, che per effetto della misura, rimarrebbero prive di mezzi.

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Inoltre la riforma stabilisce che il Tribunale Civile Ordinario possa adottare ordini di protezione contro gli abusi familiari, in base agli artt. 342 bis e ter ss. c.p.c.1

Il sistema che emerge da questo complesso di nuovi istituti, pur apparendo di non difficile interpretazione, pone numerosi interrogativi.

In particolare risulterà, d’ora in avanti, tutt’altro che semplice stabilire “come muoversi” nella concreta vicenda, ossia individuare quale sia il percorso di tutela preferibile nella prospettiva della protezione della vittima e delle esigenze del procedimento penale, anche perché i nuovi istituti in parte si sovrappongono tra loro, pur facendo capo a competenze di organi diversi.

1 L’art. 342 ter c.c. recita: “Con il decreto di cui all'articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta

pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.

[II]. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonchè delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e

l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

[III]. Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata

dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

[IV]. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario”.

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154 E’ quindi utile un’opera interpretativa chiarificatrice, che può partire dalla descrizione delle nuove disposizioni avendo riguardo ai vari aspetti del potere di iniziativa, della competenza, dei presupposti applicativi di ciascuna delle misure, dei loro contenuti ed effetti, nonché dell’ efficacia temporale.

Quanto all’ordine di allontanamento, per la misura cautelare prevista dall’art. 282 bis c.p.p. valgono i principi generali: la richiesta parte dal pubblico ministero e sulla stessa provvede il Giudice per le indagini preliminari.

Rispetto agli ordini di protezione ai quali fanno riferimento i nuovi artt. 342 c.c. 736 c.p.c. è prevista l’iniziativa della parte privata; si sottolinea, peraltro, che il ricorso può essere presentato anche personalmente dall’istante, senza la necessaria assistenza del difensore (art. 3 legge 154/2001).

Diversa è la situazione per quanto riguarda i novellati artt. 330 e 333 c.c. In questi casi il Tribunale per i minorenni, competente secondo la norma generale dell’art.

38 disp. att. c.c., può essere investito indifferentemente da una parte privata legata al soggetto di cui trattasi da rapporto di parentela o dallo stesso pubblico ministero (art. 336 c.c.).

Fin qui la situazione è abbastanza chiara, ma le cose si complicano quando si passa all’esame delle varie misure che comportano l’allontanamento della persona violenta o abusante dal nucleo familiare.

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155 Per la nuova misura penale non possono che valere i principi generali previsti per le misure cautelari (artt. 272 seg. c.p.p.) e, in particolare, per quelle di natura coercitiva (art. 280 c.p.p.). Si segnalano, a questo proposito, la ravvisabilità di un reato per il quale è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari (ad esempio il pericolo di reiterazione della condotta). Questa misura appare sussidiaria rispetto alle tradizionali più afflittive misure cautelari.

Quanto agli ordini di protezione, essi possono essere richiesti al Tribunale Civile Ordinario qualora la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale dell’altro coniuge o di un convivente (l’aggiunta solo se il fatto “non costituisca reato procedibile di ufficio´ è stata soppressa, per cui può intervenire anche il giudice civile, oltre al giudice penale ed al TM). La particolarità è che non è espressamente previsto l’intervento del giudice civile tutela dei minori. Tuttavia, nel caso in cui siano coinvolti sia maggiorenni che minorenni, può ritenersi che vi sarà una competenza concorrente tra TO e TM, il quale ultimo potrà anche procedere ai sensi dell’art. 336 c.c.; si ritiene anche che il legislatore ha inteso per i minori privilegiare la tutela mediante lo strumento penale.

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156 In giurisprudenza si incomincia a ritenere applicabile l’ordine di protezione alla tutela del minore, in via concorrente rispetto all’intervento del TM, cfr. Trib. Reggio Emilia, decr. 10 maggio 2007, che recita:

Va accolto il ricorso per ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. quando la condotta di uno dei conviventi, autore di un episodio di violenza fisica in danno dell'altro e alla presenza del figlio minore (il fatto, maturato in un contesto di conflittualità dipendente dalla crisi del rapporto affettivo, era stato preceduto da un episodio di minacce), è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica e morale e alla libertà dell'altro convivente e pregiudica altresì lo sviluppo morale ed educativo del figlio (nella specie, un bambino di neppure tre anni, che aveva assistito in casa all'aggressione della madre ad opera del padre).

Mentre l'affidamento del figlio naturale è materia di competenza del Tribunale per i minorenni, il giudice che adotta l'ordine di protezione può disporre l'intervento del servizio sociale territorialmente competente con l'incarico di vigilare e regolare in via provvisoria - in condizioni di sicurezza e con modalità idonee ad evitare contatti tra gli ex conviventi - la frequentazione del minore da parte del padre allontanato dalla casa familiare, ferma restando l'efficacia dell'ordine di allontanamento e degli altri

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157 provvedimenti inibitori emessi nei confronti del padre, fra i quali il divieto di avvicinarsi alla casa familiare e al nido frequentato dal minore.

Quanto all’effettività della tutela, certamente le misure di carattere penale hanno efficacia maggiormente cogente, in quanto, in caso di inosservanza, possono scattare misure più gravi.

Un’efficacia immediata, al fine di tamponare situazioni di rischio, assume anche l’ordine di protezione in sede civile. Esso può avere un contenuto particolare, facendo divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima, cosa che potrebbe fare anche il TM attraverso il sistema delle prescrizioni.

Solo il giudice penale può tuttavia, ai sensi dell’art. 282 bis cpp, dare disposizioni di tipo economico a carico della persona allontanata dall’abitazione, con attribuzione di un potere di condanna al pagamento di un assegno periodico.

Anche per gli ordini di protezione è previsto un termine di scadenza: la durata è, infatti, di sei mesi. Vi è invece una certa qual incertezza interpretativa per quanto riguarda il tempo dell’eventuale proroga, pure prevista dall’art. 342 bis c.p.c. , il quale, tuttavia, si limita a parlare di “tempo strettamente necessario” (non è chiaro, nel silenzio della legge, se siano consentite o meno ulteriori proroghe).

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158 Rispetto alla misura cautelare penale potrebbero esservi maggiori problemi per l’esecuzione. Peraltro, in questo caso, dovrebbero escludersi le note problematiche relative alla complessità dell’esecuzione degli obblighi di fare, sulla base della previsione di legge in base alla quale il giudice può dare concrete disposizioni con decreto, ivi compreso “l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale giudiziario” (ult.

Co.).

Le misure emesse dal TM sono dotate di minor forza cogente (salva la possibilità di giungere ad analoga conclusione per via interpretativa, essendo coinvolti minori), non essendo collegate alla sanzione penale, per violazione dell’art. 388 c.p. , al quale fa esplicitamente rinvio l’art. 6 della legge 154/2001 con riferimento agli ordini di protezione.

Le misure emanate dal TM sono invero caratterizzate, per certi versi, da maggior ampiezza, per altri di portata più limitata. Infatti la legge 149/2001 non ha previsto né le misure accessorie del divieto di frequentazione e dell’intervento dei servizi o dei centri specializzati (ammissibili comunque sotto forma di prescrizioni), né le condanne al pagamento di somme periodiche; inoltre non ha dettato particolari cautele per l’esecuzione coattiva del decreto. Gli strumenti di cui agli artt. 330 – 333 c.c. realizzano meno efficacemente esigenze di tutela urgente, non essendo dotate di efficacia cogente.

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159 Peraltro non è stato previsto alcun termine massimo di durata, tenuto conto, condivisibilmente, che il principio cardine in questa materia è quello del pregiudizio e della verifica, continua nel tempo, del benessere del minore.

Sembra dunque che se la tutela penale e civili sono più efficaci nell’immediato a determinare la cessazione di situazioni di rischio, l’intervento minorile, pur meno cogente, con la sua maggiore ampiezza e i peculiari strumenti di cui dispone (ausilio dei servizi sociali e consultoriali) si presta maggiormente ad un lavoro più profondo e radicale di ristrutturazione di situazioni familiari pregiudizievoli.

Conclusioni

A conclusione del mio studio sull'accertamento e l'intervento delle istituzioni italiane di fronte ai casi di minori presunte vittime di abusi sessuali emerge chiaramente come, nonostante vi sia stata una maggiore attenzione al "problema sommerso" dei maltrattamenti, delle violenze e negligenze nei confronti dell'infanzia, ancora vi siano varie problematiche da risolvere.

Il documento Proposte di intervento per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del maltrattamento, elaborato nel 1998 dalla Commissione nazionale per il

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160 coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale di minori, segnala in particolare alcuni problemi nella realtà italiana.

1) Manca, nelle varie realtà territoriali italiane, un coordinamento tra i vari professionisti che operano di fronte ad un caso emerso, al fine di evitare inutili sovrapposizioni di attività e per prevenire disarticolazioni dell'intero processo d'intervento: è importante, dunque, progettare un modello operativo comune, su base nazionale (oggi presente solo in alcune realtà territoriali come protocollo regionale), che unifichi il lavoro degli operatori e far sì che tale progetto venga poi utilizzato effettivamente nella prassi; è necessario anche favorire una specializzazione comune tra i vari operatori affinchè essi possano avere una conoscenza condivisa dell'oggetto di cui si devono occupare. Devono essere inoltre realizzati "canali di comunicazione" che facilitino la segnalazione dei casi di sospettata violenza su un minore e, nello stesso tempo, la richiesta di aiuto non solo da parte della vittima ma anche delle persone a lui vicine. Dobbiamo prendere atto, infatti, che ci sono molte remore a rivolgersi ai servizi pubblici ed i motivi sono molteplici: perché il servizio non è facilmente individuabile; perché il servizio pubblico, una volta contattato, è obbligato a fare rapporto all'autorità giudiziaria e si ritiene dai più che un intervento penale non sia sempre vantaggioso per il minore;

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161 perché si teme una burocratizzazione dell'intervento; perché i servizi pubblici sono ritenuti più strumenti di controllo che di aiuto.

Tutto questo deve portarci a concludere che sono necessarie strutture specializzate, ben collocate sul territorio, che sappiano fornire l'aiuto adeguato al caso proposto e che riescano a collegarsi con gli altri operatori in modo da formare una vera

"integrazione tra servizi".

2) Manca, inoltre, una procedura univoca per raccogliere e valutare la testimonianza del minore presunta vittima di abuso: non sono utilizzati ovunque neanche i criteri per valutare la veridicità del resoconto testimoniale del minore (CBCA e SVA). Questo però comporta che un fatto simile è valutato diversamente a seconda del luogo in cui vengono compiuti l'accertamento e l'intervento conseguente.

È auspicabile, dunque, la predisposizione di protocolli d'intervento per la raccolta e la valutazione della testimonianza del minore, su base nazionale e specifici per i vari settori, che siano validati dalle ricerche e dal lavoro dei vari esperti sul campo e che riescano a tutelare gli interessi del minore coordinandoli con quelli dell'imputato.

Oggi infatti esistono in Italia solo linee-guida generali sull'argomento, come quelle

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162 elaborate in Gran Bretagna, che nella prassi vengono seguite in varie realtà territoriali ma non perché ciò sia imposto da una regola di procedura a base nazionale.

È necessario superare l'emotività.

Oggigiorno la collettività sta prendendo coscienza dei molti abusi fisici e psicologici che vengono compiuti a danno dell'infanzia, ma tutto ciò, insieme anche all'attività di stampa e televisione, crea un "clima emotivo" che rischia di rendere del tutto sterile questa presa di coscienza del problema. Vi è il forte rischio che l'emozione e l'indignazione restino "epidermiche" se si fermano ad osservare il fenomeno dal punto di vista esteriore. Questo potrebbe portare, alla fine, a considerare la violenza sui minori come una delle tante notizie che appaiono sui nostri giornali e, quando anche la nostra indignazione morale sarà satura, allora nessuno più si scandalizzerà di sentire che un minore è stato abusato da un genitore.

È dunque necessario un'approfondimento culturale ed un impegno di indagine riguardo a tale problema: dovrebbero essere attivati, nelle varie parti d'Italia, degli osservatori sull'infanzia in collegamento tra loro, i quali dovrebbero cercare di realizzare un'attività di prevenzione (soprattutto nei confronti dei bambini a rischio),

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163 creando anche adeguate strutture territoriali che si occupino del problema dal punto di vista pratico.

4) Bisogna riuscire ad abbattere la "cortina del silenzio" che ancora esiste sui casi di abuso sessuale ai minori, facendo emergere dal sommerso i tanti casi di abuso non denunciati esplicitamente. Questo significa innanzitutto mostrare una sensibilità più profonda nei confronti di questo problema. È infatti facile esprimere indignazione di fronte ad un episodio eclatante di violenza presentato dai mezzi di comunicazione, ma poi quando il fenomeno si presenta in forme più nascoste oppure quando è proprio vicino alle nostre case allora il cosiddetto "rispetto della privacy" si traduce in sostanziale omertà.

Far crescere la sensibilità delle persone su questi problemi - perché siano più capaci di rendersi conto delle violenze di cui sono vittime molti minori - significa, in primo luogo, diffondere una corretta informazione sui temi della identificazione e della prevenzione delle violenze all'infanzia. Tale informazione deve essere rivolta, da una parte, a tutti (e perciò i mezzi di comunicazione sono chiamati a svolgere un ruolo educativo essenziale, abbandonando sensazionalismi controproducenti) ma, dall'altra, specificamente a coloro che hanno quotidiani contatti con i bambini

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164 (pediatri, insegnanti, operatori sociali) e che possono accorgersi per primi di un loro cambiamento d'umore o di segni fisici sospetti.

Far crescere la sensibilità implica anche un'adeguata diffusione della conoscenza reale del bambino e dei suoi bisogni e questo dovrebbe essere l'obiettivo dell'attività svolta dai media, dalla scuola e dalle varie strutture di assistenza sociale (in particolare dei consultori familiari).

Non va enfatizzato l'intervento penale.

Di fronte alle ricorrenti notizie di violenza all'infanzia l'immediata conseguenza è la richiesta, da parte dell'opinione pubblica, di un inasprimento della sanzione penale, ritenuta la più idonea a contrastare tale fenomeno.

La previsione di una sanzione penale per certi comportamenti evidenzia - da una parte - come, per la collettività, alcuni beni della vita abbiano una tale rilevanza da esigere una pesante sanzione come quella connessa alla responsabilità penale e - dall'altra - pone dei precisi limiti, che devono ritenersi invalicabili alla libertà dell'individuo. Si realizza così una rilevante funzione pedagogica nei confronti del costume collettivo.

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TAGETE 3-2009 Year XV

165 Ma non possiamo per questo enfatizzare ed incrementare l'intervento penale. In primo luogo perché, nella società attuale, si riconosce sempre più che il diritto non ha, come si riteneva in passato, soltanto la funzione di proteggere gli atti leciti tramite la repressione degli atti illeciti, ma tende sempre più a stimolare ed incentivare l'esercizio degli atti conformi, cioè di quegli atti che possono dare risposte appaganti ai problemi della persona.

In secondo luogo perché, in un ambito così complesso e delicato come quello dello sviluppo delle persone e della funzione educativa, sanzionare un comportamento illecito non significa affatto che il comportamento auspicato sia realizzato. E questo sia perché ci sono dei comportamenti illeciti che non possono rientrare in specifiche norme incriminatrici (ad esempio molte attività educative di genitori, caratterizzate da forti condizionamenti e deprivazioni del minore), sia perché la mera possibilità di una sanzione penale non scoraggia la commissione di reati posti in essere nei confronti di persone che non sono in grado di esprimere adeguatamente la propria sofferenza. Questi comportamenti, inoltre, vengono compiuti in un ambiente come quello familiare che resta impermeabile al controllo sociale e quindi alla possibilità di portare alla luce l'illecito.

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