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COMPLICANZE ED ERRORI IN CHIRURGIA ORALE

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TAGETE 1-2008 Year XIV

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THE PREVENTION AND THE MANAGEMENT O F THE LITIGATION IN MEDICAL MALPRACTICE WITH PARTICULAR ATTENTION TO THE

CASES OF ERRORS AND COMPLICATIONS IN ORAL SURGERY GESTIONE E PREVENZIONE DELLA LITE

COMPLICANZE ED ERRORI IN CHIRURGIA ORALE

Prof. Claudio Marchetti * Dott.ssa Giorgi Elena**

Giuridicamente l’opera del medico viene vista come prestazione d’opera intellettuale ed essendo un accordo contrattuale privatistico a tutti gli effetti quello che si stabilisce col paziente, è regolamentato dal Codice Civile art. 2229 – 2238.

Ogni contratto in ambito medico comporta per sua natura delle obbligazioni di mezzi e anche di risultati nel caso di trattamenti con finalità estetiche. E ad ogni obbligazione è

*Professore Associato presso Università degli studi di Bologna, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale del Policlinico S.Orsola-Malpighi, Responsabile del Rep. Chirurgia Orale del Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche

**laureata in Odontoiatria e Protesi dentaria, Corso di Alta formazione in Chirurgia Orale e Implantologia

ABSTRACT

From a medico-legal point of view is very important to distinguish the occurrence of an unpredictable complication and a technical error. In the first case the doctor is not guilty but as the complication occurs he should be aware of “what’s going on” and make the correct diagnosis and the adequate therapy. The authors analyze cases in which a lesion of the inferior alveolar nerve occurs and when it can be considered malpractice of the surgeon and when it can be considered only an unpredictable complication. Moreover they analyze the importance of the preoperative pharmacological anamnesis since are not rare abnormal bleeding in patients treated with oral anticoagulants and osteonecrosis in patients under biphosphonate therapy.

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2 vincolata quindi una responsabilità che il medico si assume nei confronti del paziente1. Ma non bisogna mai dimenticare che il medico è prima di tutto un uomo.

Nella condizione umana è intrinseca la possibilità dell’errore, proprio perché l’uomo non può essere per natura infallibile sempre. San Paolo affermava che “faccio il male che non voglio, non faccio il bene che voglio” per spiegare come se anche le intenzioni siano le migliori, purtroppo l’uomo non riesce sempre in ciò che vuole, errando e quindi nocendo.

L’evoluzione cognitiva rispecchia quella umana, nel momento in cui entrambe procedono per tentativi, facendo sempre nuovi errori, ma evitando quelli di cui si è provato l’effetto negativo.

La grande eco negativa di cui è recentemente vittima il nostro sistema sanitario è legata al fatto che in medicina l’errore implica conseguenze potenzialmente devastanti per l’assistito; il mestiere di medico sottende responsabilità importanti per un semplice uomo, quale è il medico stesso.

Ma qual è il confine tra complicanza ed errore?

Se la complicanza è prevedibile-prevenibile, l’operatore cade in errore solo nel momento in cui:

9 non accerta l’entità del rapporto costo-beneficio della terapia, 9 non esegue una corretta valutazione preoperatoria,

9 non acquisisce il consenso informato,

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3 9 tiene un comportamento negligente, imprudente, imperito

9 e soprattutto non esegue un’adeguata terapia delle complicanze verificatesi4,5. Per esempio, la comunicazione oro-antrale è una complicanza prevedibile che diventa errore nel momento in cui non ne viene fatta diagnosi e-o non si esegue lembo di scorrimento se necessario6.

Se invece la complicanza è imprevedibile-imprevenibile costituisce evento fortuito, che avviene indipendentemente da ogni precauzione presa. Di conseguenza la condotta dell’operatore viene valutata solo come condotta successiva all’evento (idonea diagnosi e terapia della complicanza ed eventuale invio a struttura specializzata)4,5.

Per esempio una reazione allergica ad anestetico locale in prima o seconda seduta del paziente dall’odontoiatra, con anamnesi allergica negativa rilasciata dal paziente stesso.

Pertanto, il verificarsi di una complicanza di per sé non comporta una colpa da parte dell’operatore, quindi non si considera errore a prescindere, ma lo diventa se la complicanza non è stata prevista se prevedibile e non trattata opportunamente se poi realizzatasi.

Possiamo quindi affermare che: non sempre se c’è complicanza c’è errore, e non sempre se c’è errore si verifica una complicanza.

L’errore sottende una colpa inescusabile dell’operatore, una volta dimostrato il nesso di causalità con il nesso eziologico accertato. In questo caso il danno è risarcibile.

La colpa può basarsi su4:

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4 imperizia: insufficiente preparazione o inettitudine nell’esercizio della professione, di chi non ha consapevolezza della propria scarsa preparazione tecnica;

imprudenza: avventatezza, di colui che non si adopera per evitare un possibile pericolo verificabile alla luce di una ragionevole probabilità;

negligenza: superficialità, trascuratezza, deficienza di attenzione.

Il medico può cadere in errore in ognuna delle fasi dell’iter terapeutico.

L’errore nella fase diagnostica per esempio, può semplicemente essere rappresentato da una scorretta valutazione di gravità di una lesione preneoplastica e tanto basta a sconvolgere l’entità del successivo atto terapeutico, con più importanti menomazioni estetiche e funzionali, fino al caso drammatico in cui si inficia la sopravvivenza del paziente.

Nell’esecuzione dell’atto terapeutico, l’errore può essere di tipo tecnico; come per le lesioni del fascio vascolo-nervoso alveolare inferiore in seguito a estrazione dei terzi molari inferiori. I fattori di rischio per lesione permanente, visibili dall’indagine radiografica di ortopantomografia sono7,8:

sovrapposizione tra il terzo molare e il decorso del canale mandibolare: nel 2% dei casi si verificava lesione post-op;

banda radiotrasparente a livello delle radici dell’elemento dentale: nel 17% dei casi si verificava lesione post-op;

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5 perdita della corticale del canale mandibolare: nel 14% dei casi si verificava lesione post-op;

angolazione del canale: nel 33% dei casi si verificava lesione post-op;

canale mandibolare apicale alle radici: nello 0,4% si verifica lesione post-op.

Per le lesioni permanenti del nervo linguale, gli errori si possono attribuire a scollamento di lembo linguale, rimozione d’osso distalmente al terzo molare, profondità d’inclusione, durata dell’intervento chirurgico 9,10.

Può invece presentarsi come complicanza senza presenza di errore una comunicazione oro-antrale in seguito ad avulsione di un elemento dell’arcata superiore posteriore; in questo caso la diagnosi è posta in seguito a manovra di Valsalva. Se positiva con una comunicazione <5mm, la risoluzione è spontanea; se supera 5 mm è necessario l’allestimento di un lembo di scorrimento 6.

Ma già la fase anamnestica, troppo spesso trascurata dai medici, può essere sede di errore per superficialità di indagine; e così ci si può imbattere in un’emorragia intraoperatoria (risolvibile con compressione o coagulazione mono-bipolare) o post- operatoria solo per non aver controllato le capacità coagulative del paziente.

Recentemente trova sempre più spazio la problematica legata all’assunzione di farmaci bisfosfonati, farmaci inibenti il metabolismo osseo, agendo a livello osteoclastico.

L’estrazione di elementi dentari e qualsiasi manovra traumatica ossea può essere fattore scatenante di un processo infettivo a livello osseo, chiamato osteonecrosi da

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6 bisfosfonati. Anche in questo caso, l’insufficiente stimolazione da parte del medico nei confronti del paziente a indagare sulla propria storia medica pregressa, può causare osteonecrosi scatenata anche dal più lieve trauma operato.

Per limitare la possibilità dell’errore si dovrebbe:

1. cambiare la concezione di se stessi 2. prevenire l’errore

3. lasciarsi educare dall’errore.

Cambiare la concezione di se stessi: la consapevolezza dei propri limiti aumenta la dedizione e l’accuratezza dell’atto terapeutico; prendere atto della fallibilità del nostro lavoro ci permette di aggiungere un senso di “carità”, inteso come amore, al nostro agire, trasformando il nostro mestiere in una specie di missione.

Del resto, lo stesso Codice Civile art. 1176, comma I, sottolinea come il medico debba agire con la “diligenza del buon padre di famiglia”, secondo scienza e coscienza; inoltre un senso di onnipotenza rischierebbe di spingere il medico verso un atteggiamento di imprudenza o negligenza, definita da Cesare Q. Fiore “una caratteristica che viene a determinarsi allorquando l’applicazione di sollecitudine operativa media avrebbe impedito il verificarsi dell’evento dannoso ovvero avrebbe attenuato le conseguenze dello stesso”1.

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7 Prevenire l’errore:

9 Conoscenze scientifiche: l’ignoranza trasforma qualsiasi tipo di errore in non scusabile. Allo stesso tempo, però, non basta la conoscenza per affrontare la realtà; il successo si basa su conoscenze scientifiche filtrate attraverso l’esperienza del clinico e le aspettative del pz, perché come affermava Sackett l’“Evidence Based Medicine non è un libro di ricette da cucina”. La colpa per imperizia in caso di danno, viene poi distinta a seconda del tipo di prestazione eseguita:

colpa grave per prestazioni di speciale difficoltà (c.c. art. 2236), colpa lieve per prestazioni di natura ordinaria (c.c. art. 1176).

9 Impegno critico: valutare tutti i fattori della realtà alla luce della ragione.”Ponderare tutto, discutere tutte le opinioni… solo una critica sana e severa delle cose vi deve persuadere che siete nel vero “ (Augusto Murri, Quattro lezioni e una perizia. Il problema del metodo in medicina e biologia (1905), Zanichelli, Bologna 1972), perché solo se siamo realisti possiamo conoscere la realtà.

9 Collegialità nelle decisioni e confronto tra pari: avvalersi di consulti clinici di esperti, per sopperire parzialmente le nostre lacune. Proprio il Codice di Deontologia Medica e il codice ANDI di raccolta di regole comportamentali affermano che “il medico curante deve proporre il consulto con un altro collega o la consulenza presso idonee strutture di specifica qualificazione, ponendo gli

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8 adeguati quesiti e fornendo la documentazione in suo possesso, qualora la complessità del caso clinico o l’interesse del malato esigano il ricorso a specifiche competenze specialistiche diagnostiche e/o terapeutiche”. La consulenza in questi casi è un dovere deontologico per il bene del paziente, fine ultimo del nostro trattamento2.

9 Consenso informato: oltre a essere strumento di eventuale difesa, esprime innanzitutto la partecipazione consapevole del paziente a una scelta terapeutica

elaborata insieme al medico.

Il consenso informato è semplicemente un corollario del nostro “saper comunicare” col paziente, condividendo il significato di “comunicare” con quello espresso da Cascarano e Magnanensi: “trasmettere messaggi sia su un piano razionale che su un piano emozionale”, cioè è importante non solo il “cosa”, ma anche il “come”, ascoltando e rispondendo alle esigenze del paziente3. Lasciarsi educare dall’errore: sbagliando si impara. Con l’errore si deve attuare un duplice processo mentale. Il primo è domandarsi perché si è verificato l’errore, rivalutare in “flash back” tutte le fasi del processo diagnostico-terapeutico:

l’anamnesi, l’esame obiettivo, la diagnosi, l’informazione al paziente, l’atto terapeutico. Il secondo, attivare quegli stessi elementi di attenzione alla realtà per affrontare la complicanza verificatasi.

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9 Conclusioni

“Nemo solus sapit salus” è la raccomandazione che Plauto ci offre nel Miles Gloriousus;

dobbiamo mostrare l’umiltà di chiedere quando ci dobbiamo confrontare con una realtà troppo grande per noi; dobbiamo affidarci a una guida (Maestro), un mentore che ci possa sorreggere nelle difficoltà, come Dante e Virgilio nella selva oscura della vita.

Dobbiamo sfruttare i vantaggi che la tecnologia ci offre, fornendoci continui aggiornamenti scientifici in rete, immediatamente e comodamente consultabili. Al bisogno, dobbiamo appoggiarci a strutture di riferimento, dove il nostro paziente potrà ricevere i trattamenti più adeguati.

E infine non dobbiamo mai dimenticare che serve tempo per parlare col paziente, è un rapporto che si basa sul dialogo, dal quale deve scaturire una piena fiducia reciproca nei nostri confronti. Il paziente deve essere convinto che:

1) “farò tutto ciò che mi è possibile secondo le mie capacità, secondo scienza e coscienza”;

2) anche in caso di insuccesso, saremo sempre a sua disposizione.

Perché il più grave errore e la vera complicanza è abbandonare il paziente quando insorge una complicanza o si commette un errore.

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10 Bibliografia

1. Fiore C.Q., La gestione dei rapporti fra le diverse figure professionali nell’ambito dello studio odontoiatrico. In: M.L. Scarpelli. Il comportamento dell’odontoiatra:

aspetti pratici. Ed Erre e Erre ADV, 2005: 117-133

2. Fineschi V., Turillazzi E., Deontologia ed etica in odontoiatria. In: M.L. Scarpelli. Il comportamento dell’odontoiatra: aspetti pratici. Ed Erre e Erre ADV, 2005: 17-28 3. Cascarano P., Magnanensi A., L’approccio comportamentale del dentista. In:

M.L. Scarpelli. Il comportamento dell’odontoiatra: aspetti pratici. Ed Erre e Erre ADV, 2005: 77-101

4. Montagna F., De Leo D., Carli P.O., La responsabilità nella professione odontoiatrica; cap.4 Considerazioni. Ed Promoass, Roma, 1998: 478-480

5. Minarini A., Emiliani V., Atti del convegno “La responsabilità professionale dell’odontoiatra”. Bologna 30 Ottobre 2004

6. Chiapasco M., Prevenzione e trattamento delle più comuni complicanze in chirurgia orale. In: Chiapasco M.,Manuale illustrato di chirurgia orale. Ed Masson, Milano, 2003: 339-359

7. Rood J.P., Shehab B.A.,The radiological prediction of inferior alveolar nerve injury during third molar surgery. Br J Oral Maxillofac Surg 1990: Feb; 28(1):20-5 8. Andreasen J.O., Etiology and pathogenesis of traumatic dental injuries.A clinical

study of 1298 cases. Scand J Dent Res 1970; 78(4): 329-42

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11 9. Blackburn C., Bramley P., Lingual nerve damage associated with the removale of

lower third molars. Br Dent J 1989: Aug 5; 167(3): 103-7

10. Mason D.A., Lingual nerve damage following lower third molar surgery. Int J Oral Maxillofac Surg 1988: Oct; 17(5):29

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