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Il “nuovo” art. 81 bis disp. att. c.p.c.: un tentativo di quadratura. - Judicium

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MASSIMO VACCARI

Il “nuovo” art. 81 bis disp. att. c.p.c.: un tentativo di quadratura.

Sommario 1. Nuova formulazione e vecchi dubbi:obbligatorietà o discrezionalità della fissazione del calendario del processo ? - 2. La rilevanza del trascurato criterio consensualistico. - 3. Le conseguenze della tesi dell’obbligatorietà della fissazione del calendario del processo. - 4. Calendario del processo e potere di direzione del giudice.. - 5. L’incerto risvolto disciplinare della norma. - 6. La sostanziale inapplicabilità della norma

1. Nuova formulazione e vecchi dubbi:obbligatorietà o discrezionalità della fissazione del calendario del processo ?

L’art. 1 ter del d.l. 13 agosto 2011 n.138, convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011 n. 148 (cosiddetta manovra bis), ha riformulato e integrato1, con decorrenza 17 settembre 2011, la pur recente disciplina sul calendario del processo contenuta nell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.

L’introduzione di questa norma ad opera dell’art. 52, comma 2, della legge 18 giugno 2009 n.292 era stata vista con favore dalla maggioranza della dottrina in virtù della considerazione che avrebbe consentito, quanto meno in via tendenziale, di rendere

1 Il testo dell’art. 1-ter è il seguente (in neretto il nuovo testo dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.): Ai fini della riduzione della spesa pubblica e per ragioni di migliore organizzazione del servizio di giustizia, all'articolo 81-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, fissa, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna di esse espletati, compresi quelli di cui all'articolo 189, primo comma. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d'ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini»;

b) dopo il primo comma è inserito il seguente: «Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario di cui al comma precedente da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d'ufficio può costituire violazione disciplinare, e può essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o

conferma agli uffici direttivi e semidirettivi».

Il secondo comma stabilisce che: “2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

2 Fonte di ispirazione della norma era stato, indubbiamente, il c.d. disegno di legge Mastella approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2007, che aveva previsto l’inserimento nel testo dell’art. 183 c.p.c. di un nuovo sesto comma a mente del quale: “salva l’applicazione dell’art. 187, il giudice, sentite le parti presenti, provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo, con l’indicazione degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario del processo possono essere prorogati, anche d’ufficio, solo in caso di gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere chiesta dalle parti prima della scadenza dei termini”.

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prevedibile l’unica fase del processo che fino a quel momento, non era stata tale, così da indurre le parti a valutare anche forme di soluzione della controversia alternative alla decisione 3.

Qualche autore aveva attribuito alla disposizione anche la funzione di stimolo per il giudice ad organizzare meglio il proprio lavoro, così da indurlo ad imporsi sul ruolo anziché “lasciarsi trasportare da esso”4. Al contempo non era mancato chi aveva previsto che almeno la prima delle predette finalità avrebbe potuto essere frustrata dalla frequente necessità di modificare il calendario, in conseguenza degli imprevisti che possono verificarsi nel corso dell’istruttoria5.

La novità legislativa era stata invece accolta con una certa apprensione dai magistrati che svolgono funzioni di giudice istruttore civile, i quali avevano stimato che se l’adempimento fosse stato inteso come obbligatorio avrebbe potuto rendere impossibile la gestione dei loro ruoli.

Va detto subito che l’ultimo intervento è servito a fugare ben pochi dei dubbi interpretativi6 che aveva sollevato la precedente versione, e ha lasciato invece irrisolto quello che, sotto il profilo applicativo, è sicuramente il più rilevante, oltre a suscitarne di ulteriori.

Di fronte al nuovo testo si ripropone innanzitutto l’interrogativo, che era stato dibattuto prima della sua modifica, se la fissazione del calendario del processo da parte del giudice sia obbligatoria o discrezionale. La norma infatti è rimasta invariata nella parte in cui stabilisce che:“Il giudice quando provvede sulle istanze istruttorie…fissa il calendario del processo”.

Proprio l’utilizzo, da parte del legislatore, del tempo indicativo presente per indicare la programmazione dell’attività del giudice era stato l’unico argomento che aveva indotto

3 E. Picozza, Il calendario del processo, Riv. dir. processuale, 2009, p.1651.

4 M. Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, Corriere giuridico, 2009, p.1164.

5 G. Balena, La nuova psuedo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge 18 giugno 2009, n.69, www.judicium.it.

6 L’espressa indicazione, tra le udienze da ricomprendere nel calendario, di quella di cui all’art. 189 c.p.c.

consente di affermare che la norma si applica solo nel giudizio di cognizione ordinario davanti al Tribunale e di escludere quindi la possibilità di estenderla anche al procedimento sommario di cognizione e al procedimento cautelare. La collocazione della norma tra quelle specificamente dettate per il procedimento davanti al tribunale (sezione II, Dell’istruzione della causa, del capo II, Procedimento davanti al Tribunale) era invece già sufficiente a far escludere che potesse trovare applicazione nel giudizio di appello e nel processo del lavoro.

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buona parte dei commentatori ad affermare, già con riguardo al testo presente nella L.69/2009, che quell’adempimento fosse stato un atto dovuto del giudice7.

Per completezza va ricordato che a questa tesi se ne era contrapposta un’altra, di origine giurisprudenziale, che aveva ritenuto che l’attività in esame fosse obbligatoria o facoltativa a seconda del contesto concreto in cui si fosse trovato ad operare il singolo giudice8, nel senso che quanto più elevato fosse stato il numero delle cause che egli avesse avuto in carico tanto maggiore sarebbe stata l’esigenza di flessibilità di gestione del suo ruolo9.

2. La rilevanza del trascurato criterio consensualistico.

Alla riproposizione dell’opinione della valenza cogente della norma in esame, fondata ancora una volta sull’argomento letterale di cui si è detto, è possibile muovere una serie di obiezioni di ordine sia interpretativo che pratico-applicativo.

Un primo rilievo discende dalla considerazione che, tra i parametri di cui l’organo giudicante deve tener conto al momento di fissare il calendario del processo, vi è il parere delle parti. Viene pertanto da chiedersi come dovrebbe comportarsi il giudice nel caso in cui una, o addirittura tutte le parti del giudizio, si oppongano a qualsiasi preventiva programmazione delle attività istruttorie. E’ lecito dubitare che egli possa prescindere dalla loro opinione al riguardo dal momento che proprio il coinvolgimento delle parti nella definizione dei tempi della istruttoria era stato giudicato uno degli aspetti più positivi della norma in esame10. D’altro canto le parti potrebbero avere un interesse a contrastare una simile eventualità per evitare gli inconvenienti a cui essa può dar luogo e di cui si dirà nel successivo paragrafo.

La rilevanza del profilo consensualistico nell’operatività dell’istituto in esame risulta ancor più evidente se si ha riguardo alla sua origine.

Più di un autore ha osservato che la matrice dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c. è costituita dal contrat de procedure introdotto in Francia dal nuovo art. 764 n.c.p.c. (in vigore dal 1

7 In tali termini, E. Picozza, op. cit. p. 1658.

8 Trib. Catanzaro, ord. 3 giugno 2010, in www.altalex.com. e Trib. Varese, ord. 15 aprile 2010, in www.tribunaledivarese.it.

9 Questa soluzione di compromesso risultava poco convincente poiché faceva dipendere l’obbligatorietà dell’adempimento da una circostanza assai mutevole, e non preventivamente definibile, come le caratteristiche quantitative e qualitative del ruolo singolo giudice istruttore.

10 F. Vigorito, Il calendario del processo, Relazione per la formazione decentrata del distretto della Corte di appello di Napoli pf. 1, http//togati.formazionemagistratinapoli.it/ e, con riferimento al d.d.l Mastella, M.F.

Ghirga, La riforma della giustizia civile nei disegni di legge Mastella, in Riv. dir. proc. 2008, p.452 .

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marzo 2006)11 ma non è stato, però, al contempo evidenziato un particolare fondamentale di quella disciplina ossia che essa prevede che il giudice “possa” fissare il calendario del processo dopo aver acquisito il consenso degli avvocati12. Tale formalità, in quel sistema, è quindi rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante e ciò è perfettamente comprensibile dal momento che il contrat de procedure si fonda sulla comune volontà delle parti e del giudice. E’ pertanto del tutto coerente a tale impostazione che il giudice che non rispetti le scadenze, provocando una durata del processo superiore a quella ragionevole, possa essere sottoposto a procedimenti disciplinari, mentre le parti che non rispettano il programma incorrano in decadenze processuali e, in caso di inerzia o di inottemperanza, in sanzioni pecuniarie13.

3. Le conseguenze della tesi dell’obbligatorietà della fissazione del calendario del processo

Un ulteriore ostacolo all’adesione alla tesi di quanti ritengono che la norma in esame abbia portata cogente è costituito dalle inaccettabili conseguenze pratiche che derivano da essa.

Secondo l’impostazione qui criticata il giudice istruttore, in tutti i processi nei quali ritenga di dar corso all’istruttoria, dovrebbe prenotare la serie, più o meno lunga, di udienze da destinare ad essa e precisare le attività che vi si svolgeranno. Così nei casi in cui si prevede una pluralità di incombenti istruttori (assunzione di testimonianze, interrogatori delle parti, conferimento di incarico al c.t.u, acquisizione di documenti ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c.) dovrebbe essere fissata tutta la sequenza degli stessi.

Una simile prospettiva omette però di considerare che la fase istruttoria, anche perché in essa sono coinvolti più soggetti processuali (oltre alle parti, i testi, il c.t.u.), è soggetta, più delle altre fasi in cui si articola il processo di cognizione ordinario, ad una serie di vicende imprevedibili, anche se per nulla improbabili, che, da un lato, possono

11 Proprio questa disposizione era stata richiamata dalla relazione illustrativa al disegno di legge Mastella come modello ispiratore della modifica dell’art. 183 c.p.c. che intendeva introdurre.

12 La parte dell’art. 764 del c.p.c francese che qui interessa è la seguente (il grassetto è dell’autore del presente contributo): « Le juge de la mise en etat fixe, au fur et a mesure, les delais necessaires a l’instruction de l’affaire, eu egard a la nature, a l’ugence et a la complexitè de celle ci, et après avoir provoquè l’avis de avocats. Il peut accorder del prorogations de delai. Il peut, apres avoir recueilli l’accord de avocats, fixer un calendier de la mise en etat ».

Va peraltro sottolineato che, nel sistema francese, nel calendario predisposto ai sensi dell’art. 764 c.p.c. sono indicati anche i termini per lo svolgimento di tutte le attività difensive, per la chiusura dell’istruzione e per la decisione.

13 F.Vigorito, cit.

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determinarne la conclusione anticipata e, dall’altro, rendere necessaria la rifissazione delle udienze in cui essa si snoda.

Con riguardo alla prima tipologia di vicende si può pensare ad un evento interruttivo, o ad una conciliazione, che sopravvengano nel corso dell’istruttoria ma anche all’eventualità che una parte dell’attività istruttoria originariamente programmata fornisca già al giudice gli elementi necessari per decidere la controversia o offra lo spunto per esperire, con successo, un tentativo di conciliazione. In questi casi è chiaro che le udienze che avrebbero dovuto tenersi dopo quella in cui si verifichi uno dei predetti eventi si liberano ma, data la ristrettezza dei tempi a disposizione, potrebbero essere riutilizzate solo per le urgenze, risultando di fatto impossibile anticipare quelle di altri giudizi.

E’ evidente allora che, con l’adozione generalizzata del calendario del processo, verrebbero riservate a degli adempimenti istruttori delle udienze che potrebbero non tenersi, sottraendole alla trattazione di altre cause che, quindi, subirebbero dei ritardi.

Vi è poi tutta una serie di altri imprevisti che non determinano la fine dell’istruttoria ma ne impongono una riprogrammazione quali: l’assenza del testimone o quella, giustificata, della parte chiamata a rendere interrogatorio formale, la richiesta di proroga del termine per lo svolgimento dell’incarico da parte del c.t.u.14, l’impedimento del giudice, l’astensione dalle udienze degli avvocati, la omessa comunicazione della data di rinvio dell’udienza, lo sciopero del personale di cancelleria. Si possono ricondurre alla medesima categoria di eventi i casi in cui l’attività istruttoria, originariamente prevista e poi espletata, non risulti esaustiva, con la conseguente necessità per il giudice di disporre approfondimenti istruttori (supplemento o rinnovazione della c.t.u., confronti tra testi o tra parti, necessità di chiarimenti dai testi già escussi, attività istruttoria disposta d’ufficio dal giudice).

A fronte di simili evenienze15, che, si badi, si possono verificare in più giudizi contemporaneamente, le udienze di rinvio andrebbero fissate in data antecedente a quelle,

14 Questa evenienza comporta che il giudice rifissi i termini assegnati alle parti per le osservazioni sulla relazione e al c.t.u. per la conseguente risposta, ai sensi dell’art. 195, ultimo comma c.p.c., introdotto anch’esso dalla L.69/2009. E’ evidente che, qualora l’unica attività istruttoria di cui il giudice istruttore ravvisasse la necessità fosse la c.t.u., la fissazione del calendario del processo si esaurirebbe nell’assegnazione di questi termini.

16 Il legislatore sembra aver inteso far riferimento alle ipotesi indicate nel testo con la nozione, alquanto inappropriata, di “gravi motivi sopravvenuti” che possono giustificare la proroga dei termini fissati nel calendario.

Anche quest’ultima espressione risulta impropria, perché allude, necessariamente, al rinvio delle udienze. P. Lupi, La predisposizione del calendario del processo, Incontro di studio della formazione decentrata della Corte di Appello di Napoli del 23 febbraio 2012, p.17, in http//togati.formazionemagistratinapoli.it/, reputa invece che

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relative al medesimo processo, che, secondo l’ordine cronologico prefissato, sono state previste dopo di esse. Difficilmente però il giudice disporrà, a tal fine, di spazi liberi nel proprio calendario perché, quasi sicuramente, nel frattempo, saranno stati destinati agli incombenti istruttori di altri processi16.

Il giudice si troverebbe allora di fronte a questa imbarazzante alternativa: differire, nei giudizi in cui si siano verificati i succitati imprevisti, le udienze necessarie al completamento dell’istruttoria in coda all’ultima di quelle fissate nel calendario, con chiara inosservanza del principio di unità e concentrazione della prova, oppure rinviare una parte delle udienze relative ad uno o più degli altri processi che ha in carico, stravolgendo il programma di questi e gravando le cancellerie, già in situazione di grave sofferenza, delle comunicazione dei rinvii.

Con specifico riguardo a quest’ultimo aspetto verrebbe anche vanificato l’obiettivo di riduzione della spesa pubblica che il legislatore, nell’art. 1 ter del d.l. 138/2011, ha dichiarato di voler realizzare con la modifica dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.17

E’ indubbio poi che i succitati eventi, e le modifiche al calendario da essi imposte, renderebbero ancora più ingestibili i ruoli più gravati ma è altrettanto incontestabile che determinerebbero ritardi e complicazioni anche nei ruoli maggiormente governabili.

L’adozione obbligatoria del calendario del processo sarebbe fonte di inconvenienti anche per i difensori perché li costringerebbe a riprogrammare gli adempimenti processuali dei quali sono onerati (soprattutto intimazione dei testi ma anche annotazione dei termini per le osservazioni alla ctu), nonchè le loro attività professionali extraprocessuali.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte è evidente come l’applicazione generalizzata dell’istituto finirebbe per provocare conseguenze opposte a quelle che esso mira a realizzare e l’interpretazione da cui essa discende si espone ad un agevole rilievo di incostituzionalità, avuto riguardo al criterio della ragionevolezza.

4. Calendario del processo e potere di direzione del giudice

questa parte della norma si riferisca propriamente ai termini cosicchè il giudice potrebbe differire le udienze, in caso di imprevisti, senza seguire la procedura in essa citata

16 Si noti che la possibilità di applicare l’art 82, comma 3, disp. att. c.p.c. non risolve il problema evidenziato nel testo poiché comporta solo una sovrapposizione dell’udienza rinviata a quelle relative alle altre causa già fissate.

17 Si veda l’esordio di tale norma riportato alla nota 1.

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L’inserimento, con l’ultimo intervento legislativo, tra i criteri al quale il giudice si deve attenere nel fissare il calendario del processo, dell’osservanza del principio della ragionevole durata del processo, unitamente alla previsione disciplinare di cui al secondo comma dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c., della quale si dirà nel successivo paragrafo, possono dare l’idea di un rafforzamento della valenza cogente della norma.

Questa interpretazione non può essere condivisa potendosi, invece, trarre, dalle modifiche appena citate, argomenti a sostegno della tesi della discrezionalità dell’adempimento18.

E’ opportuno innanzitutto evidenziare come la nuova formulazione muova da una premessa alquanto discutibile, ossia che il calendario del processo possa essere uno strumento di accelerazione del processo19 quando, già in relazione alla precedente versione, era stato, opportunamente, osservato come esso non servisse a conseguire quel risultato ma costituisse piuttosto un mezzo di organizzazione e di previsione20.

La norma richiede ora di fissare tutte le udienze istruttorie e quella ai sensi dell’art. 189 c.p.c. entro il termine di ragionevole durata del processo21 ma il rispetto di questa prescrizione risulterebbe di fatto impossibile se l’adozione del calendario fosse considerata obbligatoria giacchè, anche qualora il giudice avesse un ruolo con un numero contenuto di cause, molto probabilmente si troverebbe a fissare gli incombenti istruttori di alcune di esse oltre la scadenza del predetto termine (evenienza che invece sarebbe esclusa se egli non fosse tenuto a programmare tutto il corso dell’istruttoria).

La tesi qui contestata comporterebbe poi uno snaturamento del potere di gestione e direzione del processo che l’art. 175 c.p.c riconosce al giudice istruttore.

18 Desta non poche perplessità la scelta del legislatore di enunciare uno dei criteri ai quali si deve ispirare il giudice nell’esercizio del potere di direzione del processo nelle disposizioni di attuazione e, per di più, solo incidentalmente. Sarebbe stato molto più coerente l’inserimento di quel principio, di rilevanza costituzionale in quanto corollario del principio del giusto processo sancito dalla nuova formulazione dell’art. 111 Cost., nel testo dell’art. 175, comma 2, c.p.c. che già richiama quello del più sollecito svolgimento del processo. In tal senso si era orientato il d.d.l. Mastella che, nell’art. 19, conteneva la seguente modifica della norma sopra citata: “Il giudice assicura la ragionevole durata del processo ed esercita tutti i poteri intesi a consentirne il più sollecito e leale svolgimento”

19 Il d.d.l. Mastella, nel già menzionato art. 49, aveva stabilito una relazione diretta tra durata del giudizio e osservanza del calendario del processo poichè aveva previsto che il giudice dovesse segnalare al capo del proprio ufficio “ragioni per le quali la causa non e` stata definita nei termini previsti dal calendario del processo».

20 E. Picozza, cit. p. 1652.

21 Per la determinazione concreta di tale durata lo specifico rinvio, contenuto nell’art. 2 l.24 marzo 2001 n.89 (legge Pinto), all’art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha indotto la giurisprudenza nazionale ad uniformarsi a quella della Cedu e, conseguentemente, a determinare in tre anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado, in due anni quella del giudizio di appello e in un anno quella del giudizio di legittimità (cfr. sul punto tra le più recenti pronunce: Cass., sez. I, 5 dicembre 2011, n.

25955, in Red. Giust. Civ. Mass. 2011, 12).

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E’ stato giustamente osservato che la versione originaria dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.

non attribuiva al giudice nulla di più di quanto già non gli fosse consentito in base all’art.

175 c.p.c, cosicché egli avrebbe potuto, anche prima dell’intervento della L.69/2009, calendarizzare ogni sua singola causa22. A ben vedere però l’interpretazione secondo cui questa attività ha carattere obbligatorio finisce, inevitabilmente, per limitare il potere di direzione del processo che compete al giudice istruttore perché gli impone di esercitarlo secondo una scansione predefinita, per nulla adattabile agli imprevisti che si possono verificare nel corso dell’istruttoria. In altri termini si viene ad ammettere che la realizzazione di principii, per loro natura flessibili, come quello del più sollecito svolgimento del processo e quello di ragionevole durata del processo possa avvenire attraverso l’impiego di uno strumento rigido.

Dal punto di vista strettamente pratico poi, proprio perché la sequenza temporale dell’istruttoria è correlata alle numerose e diverse variabili di cui si è detto nel paragrafo precedente, la sua programmazione, per essere utile, non può essere rigida. Tiene esattamente conto di queste peculiarità invece il disposto dell’art. 81, comma 1, disp. att.

c.p.c. secondo il quale: “Le udienze di istruzione per ogni causa sono fissate di volta in volta dal giudice istruttore”.

Il significato della permanenza di questa norma probabilmente non è stato adeguatamente valutato da quanti reputano che il giudice istruttore sia tenuto, dopo l’introduzione dell’art. 81 bis disp. att. c.pc. a fissare preventivamente tutte le udienze istruttorie. Essi devono riconoscere che la norma che lo precede sia stata tacitamente abrogata ma se si segue questa lettura si deve al contempo ammettere che il legislatore sia stato particolarmente disattento poiché non si sarebbe avveduto del palese contrasto tra le due disposizioni in nessuna delle due recenti occasioni in cui è intervenuto su questa parte del codice di rito.

In realtà alla conservazione dell’art. 81, comma 1, delle disp. att. c.p.c. si può attribuire un altro significato, ossia quello di un ulteriore indice del carattere discrezionale della calendarizzazione delle udienze istruttorie.

Dopo quanto sin qui detto può escludersi anche la norma possa assolvere una funzione residua di sollecitazione per il giudice a gestire in modo più efficiente il proprio ruolo.

22 E. Picozza, cit. p.1653 e in giurisprudenza, proprio con riguardo ad un giudizio soggetto alla disciplina antecedente alla novella 69/2009: Trib. Mondovì, 1 dicembre 2009, in www.ilcaso.it.

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Utili a tale scopo sono invece altri strumenti. Basti pensare alle circolari del Csm che richiamano, quale parametro di valutazione della professionalità del magistrato, la capacità di organizzare il proprio lavoro anche in funzione dell’efficienza23. Parimenti rilevante sul punto è il primo comma dell’art. 37 del d.l. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge 111/2011, che ha introdotto “Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie”. Tale norma dispone che:”I capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell’ordine degli avvocati entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell’ufficio giudiziario determina: a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell’anno in corso e b) gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa”.

L’individuazione delle priorità e degli obiettivi di rendimento è quindi ora demandata ai capi degli uffici (si tratta di un esempio di court management), in base a criteri del tutto simili a quelli previsti dall’art. 81 bis disp. att. c.p.c. (natura e durata o urgenza della causa), e i giudici dovranno seguire le loro indicazioni e per farlo potranno servirsi delle proprie agende.

5. L’incerto risvolto disciplinare della norma.

Nella vigenza della prima formulazione della norma un commentatore24 aveva osservato come la doverosità della fissazione del calendario del processo fosse solo apparente, in mancanza della previsione in favore delle parti di uno strumento di reazione di fronte alla mancata predisposizione o all’inosservanza di esso da parte del giudice25.

23 M. Sciacca, Gli strumenti di efficienza del sistema giudiziario e l’incidenza della capacità lavorativa del giudice, Riv, dir. proc., 2007, p. 651 nota 37.

24 E. Picozza. cit., p.1658.

25 Il d.d.l. Mastella all’art. 49, per rendere più cogente l’adempimento, aveva previsto il giudice dovesse tempestivamente comunicare «al capo dell’ufficio le ragioni per le quali la causa non e` stata definita nei termini previsti dal calendario del processo».

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Può sembrare, in prima battuta, che con l’ultima modifica il legislatore abbia inteso colmare tale lacuna avendo stabilito che l’inosservanza dei termini fissati nel calendario

“da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d'ufficio può costituire violazione disciplinare e può essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi.” 26

Ora se può ammettersi che questa parte del recente intervento normativo avesse la predetta la finalità deve escludersi che essa sia stata realizzata, a causa dell’estrema imprecisione della formula lessicale che è stata prescelta.

Innanzitutto non si può fare a meno di sottolineare l’anomalia di una norma disciplinare priva del requisito della imperatività in quanto espressa in termini possibilistici (“può costituire violazione disciplinare”).

In secondo luogo la disposizione risulta estremamente vaga perché non distingue in quali casi i soggetti da essa menzionati dovrebbero rispondere disciplinarmente. Si può quindi solo ipotizzare che ciò accada quando a ciascuno di essi sia addebitabile il mancato rispetto dei termini previsti dal calendario. Resta però dubbio se e come si possa configurare un concorso tra uno o più di quei soggetti nella singola violazione.

La norma è indeterminata anche sotto un ulteriore profilo, ossia laddove non chiarisce se integri o meno illecito disciplinare anche un ritardo di minima entità, o il caso in cui l’udienza sia destinata ad un incombente diverso da quello programmato o, ancora, il caso in cui la proroga venga concessa in assenza di gravi motivi sopravvenuti.

Il comma in esame poi tace del tutto sull’ipotesi della omessa adozione del calendario da parte del giudice che non è certamente sovrapponibile a quella espressamente menzionata.

A causa di tutte queste omissioni la formulazione in esame non può dirsi conforme alla tendenziale tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati, introdotta dal d. lgs.

109/2006. A seguito di questa riforma, infatti, i comportamenti dei magistrati integranti illecito disciplinare devono essere predeterminati legalmente, in modo più o meno preciso, non solo quanto al fatto o all’evento dannoso ma anche alle modalità caratterizzanti la condotta.

26 La prima parte della disposizione pare riferirsi in maniera distinta al giudice, al difensore e al consulente tecnico d’ufficio mentre la seconda parte solo al giudice. Così anche P. Lupi, cit. p.10.

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Non si condivide nemmeno l’opinione di chi27, pur escludendo che, con il secondo comma del nuovo art. 81 bis disp. att. c.p.c,. si sia tipizzato un nuovo illecito disciplinare del magistrato, reputa che tale previsione possa rientrare, qualora ne ricorrano tutte le condizioni, in una delle ipotesi previste dalla lett. g (grave violazione di legge, determinata da ignoranza o negligenza inescusabile) o dalla lett. n (reiterata o grave inosservanza delle disposizioni sul servizio giudiziario o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti) dell’art. 2 del d. lgs. 109/2006, sulla base del duplice rilievo che la norma in esame avrebbe natura organizzatoria e che l’art. 1 ter L.148/2011 dichiara di volere realizzare la migliore organizzazione del servizio giustizia.

Tale conclusione si espone ad una serie di rilievi.

Innanzitutto la soluzione alternativa in cui si risolve è comunque inconciliabile con la tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati perché non chiarisce in quale delle due ipotesi dell’art. 2 del d. lgs. 109/206 sia sussumibile quella contemplata dall’art. 81 bis disp. att. c.p.c. Inoltre se fosse vero quanto con essa si afferma non sarebbe stato necessario un intervento del legislatore su questo specifico aspetto. Poichè peraltro detto intervento si è estrinsecato nella espressa previsione della mancata osservanza dei termini del calendario non è possibile ricomprendere in essa anche quella, diversa, della omessa adozione di tale programma.

Quanto poi alla riconducibilità dell’ipotesi menzionata nell’art. 81 bis disp. att. c.p.c. a quella di cui all’art. 2 lett. g d. lgs. 109/2006 pare a chi scrive che quest’ultima si riferisca a fonti secondarie in particolare regolamenti, circolari e disposizioni interne, tra le quali rientra a pieno titolo ad esempio quelle che il capo dell’ufficio può dare ai sensi dell’art.

37 del già citato d.l. 98/201128.

6. La sostanziale inapplicabilità della norma.

Le considerazioni svolte fin qui consentono di affermare che l’applicazione generalizzata del calendario del processo è possibile solo in quegli ordinamenti in cui i giudici trattino contemporaneamente un numero molto limitato di cause29.

27 P. Lupi, cit., p. 11.

28 Sul punto si veda quando detto alla fine del paragrafo 4.

29 Ci si riferisce agli ordinamenti, come quello tedesco, in cui i magistrati lavorano su pochi casi contemporaneamente, e nei quali viene pertanto seguito il metodo c.d. di trattazione sequenziale. Un interessante studio dell’università di Bologna (D.Coviello-A.Ichino-N. Persico, Giudici in affanno, http//www2.dse.unibo.i/mito13.pdf) ha concluso che nei casi in cui venga adottato tale criterio di organizzazione del lavoro la durata totale media dei processi è inferiore rispetto ai casi in cui si segua il metodo tradizionale.

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Nel nostro sistema invece, anche a fronte del nuovo art. 81 bis disp. att. c.p.c., tale adempimento, oltre a non essere imposto, potrebbe risultare utile solo in casi limitati, ad esempio quando, per una specifica richiesta delle parti o per ragioni di urgenza o in considerazione della rilevanza della controversia, sia opportuno predefinire i tempi dell’istruttoria (la finalità principale potrebbe essere quella di favorire soluzioni transattive ma non si possono escludere anche esigenze contingenti, quale, ad esempio, quella di assumere un teste in un preciso momento). Solo a fronte di un ricorso molto limitato a questo strumento sarebbe infatti possibile apportare ai calendari eventualmente adottati le modifiche derivanti degli imprevisti che si verificassero nel corso dell’istruttoria, senza correre il rischio di dover modificare la programmazione di un numero, anche elevato, di altri processi.

Si è utilizzato volutamente il tempo condizionale per indicare l’ambito di applicazione dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c. perché una delle aggiunte apportate alla norma con il d.l.

138/2011, ad avviso di chi scrive, ne compromette in toto l’applicabilità.

Ci si riferisce alla menzione, tra le udienze da inserire nel calendario, di quella ai sensi dell’art.189 primo comma c.p.c.30 Non è ragionevole ritenere che il legislatore abbia pensato solo al modello del giudizio collegiale e quindi deve ammettersi che abbia inteso alludere anche alla corrispondente udienza del giudizio monocratico, tanto più se si considera che a quest’ultimo sono applicabili, in virtù del rinvio presente nell’art.281 bis c.p.c., le norme sul giudizio collegiale.

E’ assai più arduo invece ritenere incluso nel richiamo all’udienza di cui all’art. 189 c.p.c anche quella prevista dall’art. 281 sexies primo comma c.p.c. giacchè quest’ultima costituisce una modalità di definizione esclusiva del giudizio davanti al giudice unico.

Escludendo l’ipotesi che si sia trattato di una scelta inconsapevole del legislatore, a giustificarla potrebbe essere stata la considerazione che l’esatta individuazione dell’udienza da destinare alla discussione orale nel giudizio monocratico non è programmabile, perchè può dipendere dalla richiesta delle parti (ai sensi dell’art. 281 sexies primo comma c.p.c. la discussione può avvenire nella stessa udienza in cui sono state precisate le conclusioni o, su richiesta delle parti, in un’udienza successiva).

30 Sia A. Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.judicium.it, che M. Fabiani, cit., avevano ritenuto implicito, rispetto al testo previgente, che la calendarizzazione includesse anche l’udienza di precisazione delle conclusioni, salvo proroghe dovute al prolungarsi dell’assunzione probatoria.

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Da queste premesse consegue che, al momento della pronuncia sulle istanze istruttorie, il giudice non sarebbe comunque in grado di stabilire in quale momento pronuncerà la sentenza e, a ben vedere, nemmeno il modello decisorio che utilizzerà, poiché questa scelta dipende dal concreto andamento dell’istruttoria. La norma risulta allora di fatto inapplicabile dovendosi escludere l’utilità di una fissazione di tutti gli incombenti dell’istruttoria, ad eccezione di quello che può interessare maggiormente alle parti proprio, in quella prospettiva conciliativa in cui sicuramente si pone l’art. 81 bis disp. att.

c.p.c. e che deve ritenersi ancor più attuale dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 28/2010.

Al fine di soddisfare questa specifica esigenza informativa delle parti, sarebbe stato sufficiente prevedere che il giudice, al momento di decidere sulle istanze istruttorie, indicasse la data in cui stima che, presumibilmente, vi sarà la pronuncia della decisione31, senza concentrare l’attenzione su aspetti, di fatto fuorvianti, quali i tempi delle attività intermedie che occorreranno per giungere a quel risultato e le modalità di decisione.

Questa indicazione potrebbe costituire anche un valido stimolo per il singolo giudice al perseguimento dell’obiettivo della ragionevole durata del processo.

Non va dimenticato peraltro che la realizzazione concreta di tale risultato dipende soprattutto dalle risorse economiche, logistiche ed organizzative del giudice e, ancor di più, dal carico del ruolo che egli si trova a gestire32.

31 La “date de la pronunce de la decision” è uno dei momenti processuali che il citato art. 764 c.p.c. francese prevede vadano inseriti nel calendario del processo.

32 Sul punto Sciacca, cit. p. 652. Proprio perché non è possibile prescindere dal concreto contesto in cui opera il giudice l’art. 37 della legge 111 del 2011 parla, a proposito del programma per la gestione dei procedimenti civili, di obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente (il grassetto è dell’autore dello scritto) raggiungibili nell’anno in corso.

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