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(1)1 IL PROTOCOLLO N.16 ALLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI: LUCI E OMBRE

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IL PROTOCOLLO N.16 ALLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELLUOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI:

LUCI E OMBRE∗∗∗∗

AVV.ANTON GIULIO LANA

Segretario generale Unione Forense per la tutela dei diritti umani (UFTDU)

1. Introduzione

Il 10 luglio 2013, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato il Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito CEDU). Tale protocollo, conferisce alla Corte europea dei diritti dell’uomo una nuova competenza consultiva relativamente all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla CEDU sulla “falsariga” del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFEU).1

L’adozione di questo testo nasce dall’esigenza di rinforzare la natura meramente sussidiaria della Corte europea e, a tal fine, si prefigge di ampliare il dialogo fra quest’ultima e le Corti nazionali nel corso del giudizio interno, in modo da ridurre il numero di ricorsi introdotti dinanzi ai giudici di Strasburgo. Infatti, negli ultimi anni, la Corte EDU è stata oberata da una mole di lavoro superiore alle proprie capacità strutturali e questa circostanza ha drasticamente allungato la durata dei procedimenti dinanzi ad essa pendenti. Ciononostante, paradossalmente, il Protocollo n. 16 potrebbe presentare alcune criticità che rischiano, non solo di non ridurre il numero di ricorsi introdotti dinanzi alla

Intervento nell’ambito del Convegno: “Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le Corti Supreme nazionali e le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo”, tenutosi presso la Suprema Corte di Cassazione il 23.10.2014.

1 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Strasburgo 2.10.2013), art. 1, c. 1.

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Corte europea, ma, addirittura, di rallentare ulteriormente l’operato di questo giudice sovranazionale.

Data tale premessa, nel corso del mio intervento ricostruirò brevemente l’iter decisionale che ha portato all’adozione del Protocollo n. 16 alla CEDU e, dopo averne esposto altrettanto brevemente i contenuti, esaminerò due problematiche specifiche. La prima, relativa all’esigenza, da parte dei giudici di Strasburgo, di tenere conto dell’avvenuta formulazione di un parere della Corte europea ai fini della ricevibilità di un ricorso sulle medesime doglianze; la seconda, relativa alla posizione che la Corte Costituzionale assumerà vis-à-vis questa nuova facoltà dei giudici delle alte giurisdizioni nazionali di richiedere, prima di pronunciarsi, un parere consultivo non vincolante alla Corte di Strasburgo.

2. Brevi cenni “storici” sul Protocollo n. 16

La proposta di conferire alla Corte europea una competenza consultiva in merito all’interpretazione e all’applicazione della CEDU è emersa per la prima volta nel corso della riunione dei capi di Stato e di Governo tenutasi a Varsavia il 16 e 17 maggio 2005, a seguito della quale venne affidato ad un gruppo di saggi il compito di presentare al Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa un rapporto sulla questione “dell’efficacia a lungo termine del meccanismo di controllo della Convenzione”.2

In tale rapporto, presentato in data 15 novembre 2006, i saggi mettevano in luce l’esigenza concreta di introdurre una serie di riforme del sistema di ricorso alla Corte europea volte espressamente alla riduzione del numero di ricorsi pendenti.

2 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: Rapporto esplicativo” (Strasburgo 2.10.2013), p. 1.

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Successivamente, alla Conferenza di Smirne del 2011 sul futuro della Corte, il Consiglio dei Ministri proponeva formalmente l’introduzione di una procedura consultiva che consentisse ai giudizi nazionali di ultima istanza di chiedere alla Corte europea un parere nell’ambito del giudizio dinanzi a loro pendente e, pertanto, prevenisse, o quantomeno riducesse, l’introduzione di futuri ricorsi.

Il tema del sovraccarico della Corte veniva poi diffusamente trattato anche nel corso della Conferenza di Interlaken del 2011 mentre in quella di Brighton del 2012, detto Comitato veniva formalmente incaricato di redigere un testo che è stato infine approvato, durante la riunione del Consiglio dei Ministri del 10 luglio2013.

Il Protocollo n. 16 è stato aperto alle firme il 2 ottobre 2013 ed entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo ad un periodo di tre mesi decorrenti dalla data in cui almeno dieci Stati membri lo avranno sottoscritto. Ad oggi, ad aver firmato (ma non anche ratificato) detto protocollo addizionale sono 15, fra i quali l’Italia.3 Pertanto, nella sola attesa delle rispettive ratifiche, si ritiene che l’entrata in vigore del Protocollo n. 16 avverrà in tempi relativamente brevi.

3. Il Protocollo n. 16 e la nuova procedura consultiva dinanzi alla Corte europea

Ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 16, le più alte giurisdizioni di uno Stato contraente, possono presentare alla Corte europea una richiesta di parere consultivo nell’ambito di un giudizio dinanzi ad esse pendente. Come per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE ex art. 267 TFUE, tale richiesta deve essere motivata e devono

3 Gli altri Stati firmatari sono: Armenia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Lituania, Olanda, Norvegia, Romania, San Marino, Slovacchia, Slovenia, Ucraina e Turchia.

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essere presentati tutti gli elementi necessari a rappresentare la fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di Strasburgo, tanto dal punto di vista giuridico, quanto dal punto di vista fattuale.4

Riservandomi di approfondire nella seconda parte dell’intervento il discorso relativo a quali siano le summenzionate “più alte giurisdizioni”,5 vale invece la pena di sottolineare che, ovviamente, questa nuova facoltà dei giudici nazionali si traduce, di fatto, in una nuova facoltà per gli avvocati. Infatti, se già al momento attuale questi ultimi hanno la possibilità di argomentare la propria posizione difensiva dinanzi a qualsiasi giudice nazionale lamentando, oltre alle violazioni dell’ordinamento interno, anche quelle della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con il Protocollo n. 16 ad essi verrà riconosciuta la possibilità di richiedere al giudice di ultima istanza di inoltrare alla Corte europea una domanda di parere consultivo. Ciò presuppone, dunque, che vi sia, da parte degli avvocati italiani, una profonda conoscenza del testo della CEDU e dei suoi protocolli addizionali, nonché della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. E detta circostanza, se, da un lato, non può che ripercuotersi positivamente sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dell’assistito, dall’altro comporterà la necessità, per gli avvocati, di tenersi costantemente aggiornati sulle evoluzioni interpretative delle norme della CEDU onde poterne richiamare al giudice interno l’applicazione diretta, in prima battuta, e, nel caso in cui vi siano dubbi interpretativi, richiedere, appunto, al giudice di rivolgersi alla Corte EDU per il parere de quo.

4 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Strasburgo 2.10.2013), art. 1.

5 ibid art. 10.

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La necessità di questo ulteriore sforzo di aggiornamento da parte degli avvocati, a mio sommesso avviso, si configura come doverosa, comportando una responsabilità professionale se non, addirittura, un dovere deontologico.

In ogni caso, vi sono certamente due ostacoli che potrebbero, in qualche modo, pregiudicare la conoscenza del panorama complessivo della CEDU e, dunque, l’invito del giudice interno per la richiesta di un parere consultivo alla Corte di Strasburgo da parte degli avvocati nazionali. In primo luogo, è necessaria una buona conoscenza delle lingue ufficiali della Corte – francese e inglese – poiché le sentenze e le decisioni della Corte sono pubblicate in una o in entrambe dette lingue. In secondo luogo, le sentenze e le decisioni sono disponibili online sul sito ufficiale della Corte e, pertanto, l’avvocato deve avere una buona conoscenza dei mezzi informatici e deve essere debitamente attrezzato per l’utilizzo degli stessi strumenti.

Ciò detto, non si può non ribadire che la procedura consultiva ex Protocollo n. 16 rischia di allungare ulteriormente il giudizio interno che, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, già al momento attuale dura, in media, ben più a lungo di quanto

“auspicato” dalla Corte europea, alla luce del principio della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 6 CEDU. A questo proposito, viene da chiedersi perché non sia stata conferita anche al giudice di merito la facoltà di “rinviare” alla Corte europea. Infatti, verosimilmente, una questione relativa all’interpretazione delle norme della CEDU può sorgere anche dinanzi al giudice di primo o secondo grado. Ad esempio, secondo le statistiche annualmente pubblicate dalla Corte di Giustizia dell’UE, nell’assimilabile caso del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE in merito all’interpretazione e all’applicazione delle norme comunitarie, più del 70% delle questioni pregiudiziali sollevate dai giudici

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nazionali provengono dai giudici dei gradi inferiori, i quali, come noto, a differenza di quelli di ultima istanza, non sono gravati da un obbligo in tal senso.6

Secondo il Rapporto esplicativo del Protocollo in parola, i motivi per i quali è stata conferita solo alle più alte giurisdizioni la facoltà di richiedere un parere consultivo alla Corte europea sono: da un lato, la necessità del previo esaurimento delle vie di ricorso interno, in coerenza con il principio di sussidiarietà e, dall’altro, quella di limitare il numero di pareri richiesti ai giudici di Strasburgo.7 Tuttavia, a mio sommesso avviso, questa scelta, lungi dall’essere coerente con il principio di sussidiarietà, finisce addirittura per contrastarlo, svilendone irrimediabilmente la portata. Infatti, il principio di sussidiarietà troverebbe piena attuazione proprio laddove il dubbio sorto dinanzi al giudice di primo grado relativamente all’interpretazione delle norme della CEDU potesse essere direttamente sottoposto all’esame della Corte di Strasburgo. Al contrario, secondo le modalità previste dal Protocollo n. 16, questo dubbio può essere risolto solo dinanzi al giudice di legittimità o, comunque, nel corso di giudizi pendenti dinanzi alle più alte giurisdizioni dello Stato. Sorge quindi il dubbio che tale prudente scelta sia stata piuttosto giustificata dal secondo motivo, ovvero dalla necessità di limitare il ricorso al nuovo strumento consultivo introdotto dal Protocollo n. 16. A questo riguardo sorge spontanea la domanda: per quale motivo si è istituito un meccanismo come la richiesta di parere consultivo se poi lo si regolamenta in modo tale da limitarne tanto la portata quanto gli effetti?

Infine, desta più di una perplessità il fatto che questa scelta non sembra tener conto dell’ingiustificato allungamento dell’iter giudiziario interno che, di fatto, ne deriva,

6 Paolo Passaglia, “Corti costituzionali e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia”, p. 7.

7 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: Rapporto esplicativo” (Strasburgo 2.10.2013), p. 3.

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nonché delle pesanti ripercussioni, anche di natura economica, che ciò comporta per il soggetto interessato all’inoltro della richiesta di parere consultivo alla Corte europea. Mi riservo di approfondire più in là nel mio intervento il ruolo che la Corte Costituzionale potrebbe assumere nell’ambito di questa dinamica.

Per quanto attiene, ancora, ai contenuti del Protocollo n. 16, anche per i pareri consultivi, così come per i ricorsi, è previsto un meccanismo di filtro. Infatti, come stabilito dall’art. 2 del Protocollo, a decidere sull’accoglibilità della richiesta sarà un collegio di cinque giudici della Grande Camera, fra i quali il giudice eletto per il Paese cui appartiene l’autorità giudiziaria richiedente.8 Una volta accolta la richiesta di parere, la Grande Camera si pronuncia.9 Non sembra secondario sottolineare che le più alte giurisdizioni designate potranno formulare la richiesta di parere consultivo nella lingua ufficiale usata nel procedimento nazionale. In ogni caso, tanto il rigetto della richiesta di parere quanto il parere stesso devono essere motivati.10

Una volta formulati, i pareri consultivi saranno trasmessi all’autorità giudiziaria richiedente e pubblicati.11 Pertanto, se da un lato, ovviamente, i pareri consultivi avranno ad oggetto solo la fattispecie sottoposta all’esame della Corte, dall’altro, essi saranno utili a dissipare eventuali dubbi nel corso di giudizi su circostanze analoghe. Ciò a maggior ragione se, come si ritiene probabile, la Corte europea decidesse di “prendere in prestito”

dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, inter alia, la teoria dell’acte éclairé,

8 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Strasburgo 2.10.2013), art. 2.

9 Ai sensi degli artt. 3 – 4: Il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e lo Stato cui appartiene la Corte richiedente hanno diritto a presentare osservazioni per iscritto e a prendere parte alle udienze, mentre l’eventuale partecipazione di Stati terzi può essere disposta a discrezione del Presidente della Corte.

10 ibid artt. 2 e 4.

11 ibid art. 4.

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formulata per la prima volta nella pronuncia in merito al caso Da Costa12 ma successivamente consolidata dalla sentenza Cilfit e, quindi, incoraggiasse i giudici nazionali a non inoltrare richieste di parere consultivi laddove la soluzione risulti “da una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere”.13

Infine, l’ultimo aspetto da mettere in rilievo è che, ai sensi dell’art. 4, c. 1 del Protocollo n. 16, i pareri consultivi della Corte EDU non avranno natura vincolante.14 Pertanto, sarà lasciata al giudice a quo la facoltà di seguire o meno l’autorevole interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo.15 È forse proprio questa la norma che sembra andare nella direzione contraria rispetto allo scopo del protocollo addizionale.

Infatti, qualora, per qualsiasi motivo, il giudice nazionale decidesse di disattendere il parere della Corte in merito all’interpretazione delle norme convenzionali,

è verosimile ritenere che, una volta concluso il giudizio interno, la parte soccombente sarà certamente incoraggiata a ricorrere in via diretta alla Corte europea, avendo una ragionevole prospettiva di successo.16 In un simile scenario, dunque, ben lungi dal diminuire il carico di lavoro della Corte di Strasburgo, la procedura consultiva ai sensi del Protocollo n. 16 finirebbe, paradossalmente, per raddoppiarlo (oltre, come abbiamo visto, ad aumentare costi e tempi del singolo processo).

12 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza Da Costa en Schaake NV e aòtri c. Nederlandse Belastingadministratie causa del 27 marzo 1963 C-28/62, C-29/62 e C-30/62.

13 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza S.r.l. Cilfit e Lanificio di Gavardo S.p.A. c. Ministero della Sanità causa del 6 ottobre 1982 C-283/81.

14 Consiglio d’Europa, “Protocollo n. 16 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Strasburgo 2.10.2013), art. 5.

15 ibid art. 4, c. 1.

16 Ministero della Giustizia, “Novità legislative: Protocollo aggiuntivo n. 16 alla CEDU” (Roma 10.10.2013) Rel. n.

III/02/2013, p. 3.

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4. Il parere consultivo della Corte europea come filtro di ricevibilità per futuri ricorsi

La Corte europea dei diritti dell’uomo, come la gran parte delle Corti sovranazionali, svolge una funzione sussidiaria rispetto agli organi giudiziari nazionali.

Infatti, salvo eccezioni, è possibile presentare un ricorso solo previo esaurimento dei rimedi interni. La sussidiarietà è dunque il principio che caratterizza il dialogo fra la Corte di Strasburgo e le Corti nazionali ed è proprio in questo contesto che si inserisce la nuova procedura consultiva introdotta dal Protocollo n. 16.

Tuttavia, come accennavo prima, vi sono alcuni aspetti del testo del Protocollo che rischiano, di fatto, di trasformare la Corte europea in una sorta di giudizio di quarta istanza. Infatti, nell’ipotesi summenzionata, la Corte di Strasburgo potrebbe essere chiamata, non solo a pronunciarsi ex novo su doglianze già esaminate in sede di parere ma anche, presumibilmente, su eventuali nuove doglianze sollevate ai sensi dell’art. 6 CEDU per lamentare la condotta del giudice. Forse è proprio per questo motivo che, contrariamente a quanto previsto per la procedura di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE ex art. 267 TFUE, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 16 i giudici delle alte giurisdizioni nazionali non hanno l’obbligo bensì la facoltà di richiedere un parere consultivo e, allo stesso modo, non ne sono vincolati. Questa differenza potrebbe, di fatto, evitare che si profilino dinanzi alla Corte europea una serie di ricorsi ex art. 6 che muovano, in qualche modo, dalle motivazioni esposte di recente nella sentenza Dhahbi17.

17 Corte europea dei diritti dell’uomo, Dhahbi c. Italia sentenza dell’8.04.2014.

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In questo caso, i giudici della Corte di Strasburgo hanno infatti riscontrato una violazione dei principi dell’equo processo sanciti dalla CEDU poiché, nella propria pronuncia, il giudice nazionale di ultima istanza, non solo non aveva accennato alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE formulata dal ricorrente, o ai motivi per i quali questa non era stata accolta, ma non aveva neanche fatto alcun riferimento alla giurisprudenza di detta Corte sovranazionale.

Alla luce di questi possibili meccanismi di “doppio esame” della Corte di Strasburgo, affinché la nuova procedura ex Protocollo n. 16 ne rafforzi davvero la natura sussidiaria, è auspicabile che l’eventuale parere consultivo fornito sull’interpretazione o l’applicazione della CEDU sia considerato con grande attenzione ai fini della ricevibilità di un eventuale successivo ricorso proposto dal medesimo soggetto sui medesimi fatti e sulle medesime doglianze. In altre parole, la Corte europea dovrebbe adottare – a mio avviso – una prassi secondo la quale siano dichiarati irricevibili i ricorsi proposti sulla base di circostanze già oggetto di pareri consultivi emessi nel corso della procedura interna ed osservati dal giudice richiedente. E ciò richiede un attento esame da parte della Corte posto che, ad ogni modo, i giudici di Strasburgo dovranno dichiarare irricevibile soltanto le doglianze che presentano le medesime caratteristiche già lamentate in sede nazionale ed oggetto di parere consultivo e non, già, eventuali altre.

Insomma, se, da un lato, la nuova competenza consultiva della Corte europea ai sensi del Protocollo n. 16 è stata adottata proprio nell’ottica di diminuire il numero di futuri ricorsi al giudice europeo, dall’altro, occorre sottolineare che i pareri formulati non avranno un impatto tale da escludere totalmente la possibilità della presentazione di successivi ricorsi “in via diretta” sulle medesime circostanze ma su doglianze aggiuntive e,

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in definitiva, difficilmente avranno l’effetto di deflazionare il contenzioso pendente dinanzi alla Corte europea.

5. La Corte Costituzionale e la competenza consultiva della Corte di Strasburgo ai sensi del Protocollo n. 16

Ai sensi dell’art. 10 del Protocollo n. 16, è lasciato alle Alte Parti contraenti il compito di individuare, al momento della firma o della ratifica, quali saranno le “più alte giurisdizioni” nazionali che avranno facoltà di inoltrare alla Corte europea una richiesta di parere consultivo. Come accennato, l’Italia ha firmato detto protocollo addizionale ma non lo ha ancora ratificato; nulla di certo si sa, quindi, in merito al conferimento anche alla Corte Costituzionale della nuova facoltà di rinvio.

Tuttavia, il fatto che l’art. 10 imponga agli Stati di fornire al Segretario Generale del Consiglio d’Europa un elenco delle giurisdizioni legittimate alla richiesta di parere consultivo alla Corte europea, sembrerebbe escludere l’eventualità che, come si è verificato in relazione al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, la Corte Costituzionale possa autonomamente valutare se ritenersi o meno parte dei giudici ai quali il Protocollo n. 16 conferisce questa nuova facoltà.

Infatti, per lungo tempo la Corte Costituzionale italiana ha reputato di non essere soggetta all’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto giudice deputato all’esercizio della funzione di controllo della compatibilità della legge con la Costituzione18 e, pertanto, non ascrivibile alla categoria delle “giurisdizioni

18 Corte Costituzionale, ordinanza n. 536/1995 del 15.12.1995.

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nazionali” richiamate dall’art. 267 TFUE.19 È soltanto nel luglio 2013 che la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 207, ha sollevato per la prima volta una questione pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia dell’UE nel corso di un giudizio di legittimità costituzionale promosso in via incidentale.

L’inclusione della Corte Costituzionale fra i giudici legittimati alla richiesta di parere consultivo – peraltro quasi scontata – potrebbe, come anticipato, costituire una soluzione o, per coì dire, una sorta di “scappatoia”, all’avvocato avveduto che, nel corso del giudizio di prima istanza, intenda sollecitare al giudice la richiesta di un parere consultivo alla Corte europea. Infatti, posto che, come ribadito, al giudice di primo grado non è stata riconosciuta la facoltà di presentare direttamente alla Corte di Strasburgo questa richiesta, in tale sede l’avvocato della parte interessata potrebbe comunque sollevare un’eccezione di incostituzionalità per contrasto della norma interna con con l’art.

117 della Costituzione quale parametro interposto rispetto alle norme convenzionali, secondo la ricostruzione delineata nelle sentenze gemelle n. 348 e 349 del 2007. A quel punto, la Corte Costituzionale potrebbe esercitare la nuova facoltà ex Protocollo n. 16 e, dopo aver eventualmente recepito il parere della Corte di Strasburgo, rimettere la questione al giudice a quo consentendo, quindi, a quest’ultimo di risolvere il dubbio in merito alla compatibilità della norma interna con la CEDU nel corso del giudizio di primo grado. Come si vede, anche questo percorso sarebbe oltremodo articolato e complesso (oltre che lungo e dispendioso per la parte privata), ma non richiederebbe il previo esaurimento dei ricorsi interni richiamato – a mio avviso erroneamente – nel Rapporto Esplicativo e consentirebbe, di fatto, al giudice di merito di avvalersi, seppur in modo, appunto, alquanto indiretto, dell’ausilio interpretativo della Corte europea.

19 Marta Cartabia, “La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea”, p. 101.

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Da quanto esposto, emerge, quindi, la necessità, da parte dei competenti organi statali, di chiarire, in sede di ratifica, la posizione della Corte Costituzionale relativamente alla procedura consultiva ex Protocollo n. 16.

6. Conclusioni

In conclusione, nonostante il Protocollo n. 16 sia stato adottato proprio al fine di ridurre il carico di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo, esso presenta delle criticità che vanno risolte, pena il non raggiungimento dello scopo prefissato.

A tal fine, è necessario, da un lato, che la Corte di Strasburgo stessa fissi dei criteri che impediscano il verificarsi delle paradossali situazioni di doppio esame sopra profilate e, dall’altro, che lo Stato italiano e gli altri Stati firmatari chiariscano la posizione delle loro Corti Costituzionali nell’ambito della nuova procedura consultiva. Il tutto al fine, non solo di diminuire effettivamente il carico della Corte europea rinforzando in maniera concreta il rapporto sussidiario fra quest’ultima e le Corti nazionali ma anche, e soprattutto, al fine di diminuire i tempi di definizione di un giudizio a tutela del fondamentale diritto di ogni individuo alla ragionevole durata del processo.

Infine, quanto al ruolo dei magistrati, è necessario che la facoltà di richiedere pareri consultivi alla Corte europea sia sfruttata quale valida occasione per stimolare un dialogo ancora più proficuo tra Corti nazionali e sovranazionali, che punti ad accelerare il processo di armonizzazione dell’ordinamento interno con quello della CEDU. Per quanto riguarda, invece, gli avvocati se, da un lato, questa nuova procedura li metterà in condizione di garantire ai propri assistiti un maggiore livello di tutela, dall’altro, richiederà

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un grande sforzo di aggiornamento sull’interpretazione ed applicazione della CEDU e dei suoi protocolli operata dalla Corte EDU.

Insomma, sia ai magistrati che agli avvocati italiani, con il protocollo in parola si pone una nuova sfida che tanto meglio potrà essere affrontata, quanto più saremo in grado di recepire le suggestioni che ci pervengono dall’Europa e di approfondire queste tematiche tanto sul piano teorico che su quello pratico.

Incontri come quello odierno vanno senz’altro nella giusta direzione!

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