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OrizzonteCina, settembre 2011

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Academic year: 2022

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Orizzonte Cina SETTEMBRE 2011

Dalla regione al mondo:

la proiezione strategica della Cina

Mensile di informazione e analisi su politica, relazioni internazionali e dinamiche socio-economiche della Cina contemporanea

Registrato con il n.177 del 26/5/2011 presso la Sezione Stampa e Informazione del Tribunale di Roma grafica e impaginazione: www.glamlab.it

Il mondo visto dalla Cina: ragioni geografiche e stringenti logiche di sicurezza fanno dell’Oceano Indiano e del Pacifico occidentale i due teatri in cui sono più probabili tensioni tra l’attuale equilibrio strategico e gli interessi di una Cina in ascesa

La prima portaerei cinese: tra strategia e pressioni nazionalistiche Forze armate cinesi sotto osservazione a Washington e Tokyo La presenza economico-commerciale della Cina in America Latina

Trust companies alla cinese

Yìdàlì| - Crisi del debito e crisi libica: la Cina ci osserva

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Orizzonte Cina

In questo numero

•  La prima portaerei cinese: tra strategia e pressioni  nazionalistiche

•  Forze armate cinesi sotto osservazione a Washington  e Tokyo 

•  La presenza economico-commerciale della Cina   in America Latina

• Trust companies alla cinese

•  Yìdàlì |   – Crisi del debito e crisi libica: 

la Cina ci osserva

La prima portaerei cinese: tra strategia e pressioni

nazionalistiche

di Simone Dossi

Q

uest’estate ci sono stati importanti sviluppi nel processo di modernizzazione navale della Cina. Per la prima volta sono stati resi noti ufficialmente i lavori di completamento della portaerei ex-“Varyag” (appellativo risalente all’epoca sovietica).

Lo scafo, che la Cina ha acquisito nel 1998 dall’Ucraina, è sta- to trasferito nel cantiere navale di Dalian nel 2002. Il 27 luglio scorso il portavoce del Ministero della Difesa ha fornito alcuni dettagli, asserendo tra l’altro che la Varyag verrà destinata a fini di ricerca scientifica, sperimentazione e addestramento. Dal 10 al 14 agosto scorsi la Varyag ha effettuato i primi test in mare.

Per la sua piena operatività saranno però necessari diversi anni, come sottolineato di recente anche dal Dipartimento della Dife- sa statunitense nel suo Rapporto annuale al Congresso (cfr. an- che articolo seguente).

Il programma per la realizzazione della portaerei è coerente con l’evoluzione di lungo periodo della dottrina navale cinese che, a partire dai primi anni Ottanta, ha progressivamente am- pliato i compiti della Marina cinese (People’s Liberation Army Navy, Plan) e, parallelamente, il suo perimetro di attività.

Una prima rilevante revisione della dottrina navale risale all’inizio degli anni Ottanta, quando fu introdotto il concetto di

“diritti e interessi marittimi” (haiyang quanyi, ). Nelle fonti cinesi il concetto viene prevalentemente utilizzato per indicare i diritti e gli interessi economici dello Stato costiero sui mari su cui ci affaccia. L’accento viene posto soprattutto sull’accesso a risor- se marittime cruciali per lo sviluppo economico, come riserve di idrocarburi e risorse ittiche. Dalla metà degli anni Ottanta, la protezione di “diritti e interessi marittimi” rientra tra i compiti della Plan. Questo viene anzi considerato il contributo speciale della Plan allo sviluppo economico della Cina, come affermato in un articolo pubblicato nel novembre 1984 dal Renmin Ribao (Quotidiano del Popolo) a firma di Liu Huaqing ( ), allora comandante della Plan e in seguito vicepresidente della Com- missione Militare Centrale.

Una seconda importante revisione risale all’inizio dello scorso decennio, con l’introduzione del concetto di “sicurezza maritti- ma” (hai shang anquan, ). Il concetto fa riferimento in particolare alla sicurezza delle vie di comunicazione marittima (SLOCs, secondo l’acronimo in inglese), lungo le quali transi- ta buona parte del commercio estero cinese. Data l’importanza del commercio estero per lo sviluppo economico del paese, la sicurezza delle SLOCs viene oggi considerata a Pechino come un interesse di primaria importanza. Il punto è ben illustrato da un articolo sugli interessi nazionali della Cina pubblicato nel 2005 su Zhongguo Junshi Kexue (“China Military Science”), auto-

SETTEMBRE 2011

Contattateci a: orizzontecina@iai.it

GLi istituti

OrizzonteCina nasce dalla cooperazione tra IAI e T.wai.

Ente senza scopo di lucro, l’Istituto Affari Internazionali (iAi), fu fon- dato nel 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli. Svolge studi nel campo della politica estera, dell’economia e della sicurezza internazionale. L’Istituto è parte di alcune delle più importanti reti di ricerca internazionali e pub- blica due riviste: The International Spectator e Affarinternazionali.

T.wai (torino World Affairs institute) è un istituto di studi indipen- dente fondato nel 2009 da docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Conduce attività di ricerca nei campi della politica internazionale - con particolare riguardo agli attori globali emergenti - e della sicurezza non tradizionale.

I due istituti pubblicano congiuntamente anche una collana di brevi saggi monografici sull’India contemporanea - India/Indie.

Direttore responsAbiLe

Gianni Bonvicini, IAI

Direttore

Giovanni Andornino, T.wai

reDAttori CApo

Giuseppe Gabusi, T.wai

Enrico Fardella, Peking University e S&T Fellowship Program China (UE)

Autori

Edoardo Agamennone, Ph.D. Candidate in Financial Studies, School of Oriental and African Studies della University of London

Giovanni Andornino, Ricercatore e docente di Relazioni Internazionali dell’Asia orientale, Università di Torino; Vice Presidente di T.wai Simone Dossi, dottorando di ricerca presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane

Giuseppe  Gabusi, Docente di International Political Economy e Political Economy dell’Asia orientale, Università di Torino e Università Cattolica di Brescia

Antonio Talia, corrispondente da Pechino, AGI e AGIChina24

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ORizzOnTEcina - SETTEMBRE 2011 3

lo, la sicurezza delle SLOCs viene classificata tra gli “interessi maggiori” (zhongda liyi, ), secondi solo agli “interessi fondamentali” (hexin liyi, ), che includono tra l’altro la riunificazione di Taiwan alla Cina continentale. Dall’inizio dello scorso decennio la dottrina navale prevede, tra i compiti della Plan, operazioni connesse alla sicurezza delle SLOCs, special- mente attraverso la cooperazione con altri sStati, come avviene correntemente al largo delle coste della Somalia.

La razionalità strategica della portaerei risiede quindi nell’in- crocio tra questi due livelli: da un lato l’accesso alle risorse nei mari su cui la Cina dichiara autorità; dall’altro la navigazione in sicurezza lungo le SLOCs.

Non ci sono però solo le ragioni strategiche. La portaerei ha, infatti, acquisito anche un forte valore simbolico, specialmente negli ultimi anni: per molti cinesi, inclusi numerosi intellettuali, è diventata un simbolo della rinascita della Cina e del suo ri- trovato status internazionale. Ne è testimonianza un commento pubblicato a fine luglio su Huanqiu Shibao (“Global Times”) a fir- ma di Zhang Wenmu ( ), professore all’Università di Ae- ronautica e Astronautica di Pechino e noto ideologo del potere marittimo cinese. Ribadendo uno dei suoi argomenti più noti, Zhang scrive che “senza portaerei uno Stato non ha un reale diritto di parola nei grandi fatti della politica internazionale”.

Opinioni di questo genere, oggi piuttosto diffuse, riflettono il

“nuovo nazionalismo” cinese, come lo si è chiamato: un nazio- nalismo che tende a sfuggire al controllo delle autorità ed è anzi

in grado di influire sugli orientamenti del governo. Per spiegare i recenti progressi nel programma di modernizzazione nava- le cinese si deve considerare questo contesto più ampio, come sostenuto anche da Robert Ross, professore al Boston College.

Anche a Pechino la politica interna conta, e la portaerei rappre- senta lo strumento ideale per assecondare le crescenti pressioni nazionalistiche.

D

i recente il Dipartimento della Difesa USA ha pubblicato il Rapporto annuale al Congresso sugli sviluppi militari e di sicurezza riguardanti la Repubblica Popolare Cinese (Rpc). Si tratta di un atto dovuto, che ha sollevato poco più che una rea- zione di routine da parte del Ministero degli Esteri di Pechino, che si è limitato a ribadire la funzione meramente difensiva delle forze armate cinesi. Il portavoce ministeriale, Ma Zhaoxu, ha invece reagito con evidente stizza alla pubblicazione del Libro bianco annuale sulla difesa giapponese, diffuso dal governo di Tokyo nei primi giorni di agosto. Tacciate di irresponsabilità, le autorità nipponiche sono state richiamate alle responsabilità storiche del Giappone e invitate a non ostacolare lo sviluppo pacifico della Cina, impegnata a mantenere relazioni armoniose con i propri vicini.

Le preoccupazioni espresse da Tokyo sono riconducibili prin- cipalmente a tre aspetti della politica di difesa e sicurezza della Cina: la contraddizione tra il perseguimento di uno status di grande potenza anche in campo militare e le gravi carenze in fatto di trasparenza (tanto in campo dottrinale, quando in meri- to al bilancio per il comparto difesa); la scarsa plausibilità della retorica cinese sullo “sviluppo pacifico” alla luce della “Rivolu- zione negli affari militari con caratteristiche cinesi” che ha por- tato ad un aumento degli armamenti offensivi dell’Armata po- polare di liberazione (Apl) e delle attività in acque internazionali non legate alla questione taiwanese; e una politica assertiva nelle relazioni con altri paesi dell’Asia orientale, sottolineata da atteg- giamenti al limite dell’intimidazione nella gestione delle contro-

versie territoriali nel Mar della Cina meridionale e orientale.

Il rapporto di Washington fa i conti con una graduale erosio- ne del primato statunitense in Asia orientale, per effetto anche dell’ammodernamento delle forze armate cinesi. Stando agli analisti statunitensi, se l’Armata Popolare di Liberazione riusci- rà a integrare efficacemente le nuove dotazioni, la sua trasfor- mazione in una forza militare moderna potrà dirsi completata entro il 2020, nel pieno rispetto dei tempi previsti. Questa evo- luzione non sarà peraltro sufficiente a fare delle forze armate di Pechino un protagonista globale: il rapporto chiarisce che non risultano essere in corso particolari sforzi in questa direzione, giacché la dirigenza della Rpc continua a concentrarsi sulla pro- pria regione (donde la differenza di toni tra il documento statu- nitense e quello giapponese, che pure si fonda in larga misura su fonti Usa).

Taiwan rimane un obiettivo prioritario nel concetto strategi- co cinese e, nonostante la distensione che si registra tra i due pa- esi dall’epoca dell’elezione di Ma Ying-jeou a presidente di Tai- wan nel 2008, si ritiene che entro il 2020 le forze armate cinesi potranno contare su opzioni militari molto più diversificate (ed efficaci) rispetto al passato, inclusi nuovi strumenti di deterrenza nei confronti di altre potenze. Al contempo, Washington – pur consapevole dell’inesorabile mutamento dell’equilibrio di forze tra Rpc e Taiwan – non ha ancora sciolto la riserva sulla vendita di 66 nuovi velivoli F-16 alle forze armate taiwanesi: alla pru- denza calcolata del presidente Obama si contrappone l’atteg- giamento più deciso di vari membri del Congresso. Nel 2012 sia

Forze armate cinesi sotto osservazione a Washington e tokyo

di Giovanni Andornino

La portaerei ex-“Varyag” nel porto di Dalian. Fonti governative non hanno ancora reso noto il nuovo appellativo della portaerei. Tra i vari nomi circolati sui media, anche Shi Lang ( ), in memoria dell’ammiraglio imperiale che nel 1683 contribuì alla conquista di Taiwan per la dinastia Qing

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i cittadini statunitensi che quelli taiwanesi saranno chiamati alle urne per eleggere presidente e parlamento (in parte o in toto), mentre a Pechino l’attuale leadership inizierà a cedere il passo a una nuova generazione. Questo “ingorgo” elettorale e politico si proietta già sul delicato triangolo strategico Usa-Cina-Taiwan (sul punto si veda, ad esempio, il commento di Bonnie Glaser, del Center for Strategic and International Studies).

Per quanto l’orizzonte operativo delle forze armate cinesi ri- manga essenzialmente regionale, vi sono due settori in cui lo sviluppo tecnologico dell’Apl ha un impatto globale, suscitando preoccupazioni negli Usa: lo spazio e la rete informatica inter- nazionale. Il rapporto del Pentagono sottolinea come la Rpc concepisca lo spazio come sfera di competizione anche militare, notando come nel 2010 la Cina abbia effettuato un record di 15 missioni spaziali, ampliando al contempo la costellazione di

satelliti dedicati a intelligence, sorveglianza, ricognizione, navi- gazione e meteorologia. L’obiettivo di Pechino non è soltanto lo sviluppo di un’infrastruttura difensiva, ma anche l’acquisizione di strumenti capaci di neutralizzare i flussi di informazione di altri paesi in caso di conflitto.

Una dinamica analoga – che poggia sulla dottrina della guer- ra “in condizioni di elevata informatizzazione” – riguarda il secondo ambito, quello cibernetico, di recente al centro dell’at- tenzione internazionale a causa di una serie di presunti attacchi di hacker attribuiti alle forze armate cinesi ai danni di imprese ed enti governativi occidentali. Gli attacchi cibernetici avvengo- no sovente con intenti di spionaggio industriale, volti a libera- re quanto più possibile la Cina dalla dipendenza da tecnologie straniere. Se, come sostiene Adam Segal nel suo Advantage. How American Innovation Can Overcome the Asian Challenge, l’innovazione e la creatività sono fondamentali per il mantenimento del prima- to dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare, la tutela dei frutti dell’ingegno statunitense sarà sempre più cruciale.

D’altra parte, Pechino lamenta – a ragione – che anche i pro- pri sistemi informatici sono sotto costante attacco da parte di soggetti che verosimilmente operano dagli Stati Uniti. In questo senso, Usa e Rpc hanno valide ragioni per lavorare insieme a una maggiore attività di controllo sulla rete informatica interna- zionale. Ma qui subentra una questione di principio riguardante la tutela delle libertà individuali: mentre Pechino persegue – in- sieme con Mosca (ma anche Delhi e altre democrazie non occi- dentali) – uno stretto monitoraggio e controllo ad ampio raggio, Washington si sforza di conciliare le esigenze della sicurezza na- zionale con la tutela di quella libertà individuale che è uno dei suoi fondamenti costituzionali.

B

enché vi sia traccia di rapporti della Cina dei Ming con il Messico e il Perù, e la dinastia Qing, alla fine del XIX se- colo, avesse allacciato rapporti diplomatici con questi due sta- ti e con Brasile, Cuba e Panama, l’America latina, per ragioni geografiche, storiche e culturali non ha mai rappresentato una priorità per la politica estera cinese. È solo dagli anni ’90 del ventesimo secolo che Pechino ha dedicato più attenzione alla regione. Il decennio appena trascorso ha registrato l’esplosione degli investimenti esteri cinesi anche in questo continente. Il pri- mo policy paper sull’America latina e i Caraibi del governo della Repubblica popolare cinese (Rpc), che risale solo al 2008, ha inaugurato una strategia diplomatica ricca di scambi bilate- rali in campo politico, militare, economico e culturale.

È innegabile che l’interesse cinese verso l’America latina sia soprattutto di natura economico-commerciale. Il volume degli scambi con i partner con la regione, che era di soli 2,8 miliardi di dollari Usa nel 1988, nel 2005 era già di 50 miliardi, e nel 2010 ammontava a 180 miliardi. Pechino ha accordi di libero scambio con Cile, Perù e Costa Rica. Nel corso di una visita del vice-presidente Xi Jinping in Cile, a Cuba e in Uruguay,

La presenza economico-commerciale della Cina in America latina

di Giuseppe Gabusi

Peacekeepers cinesi partecipanti alla United Nations Organization Mission in the Democratic Republic of the Congo (MONUC). Con 1.997 uomini e donne sotto comando Onu a luglio 2011, la Cina è il 15° paese al mondo per personale dedicato al peacekeeping e il primo tra i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Foto ONU)

Il Vice Presidente della Rpc (e candidato in pectore alla presidenza nel 2012) Xi Jinping incontra il presidente cileno Sebastián Piñera a Santiago, 9 giugno 2011

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ORizzOnTEcina - SETTEMBRE 2011 5

nel giugno scorso, il leader cinese ha sottolineato la volontà del proprio governo di incrementare i flussi commerciali e di investimento in tutta l’area. Dapprima alla ricerca di materie prime quali la soia, il cotone, il petrolio, il materiale ferroso e il rame (ad esempio, il colosso di stato cileno Codelco e China Minmetals hanno siglato a Santiago un accordo strategico alla presenza di Xi Jinping), il mondo imprenditoriale cinese è parti- to ora anche alla conquista di questi nuovi mercati. Anche se gli Stati Uniti rimangono in testa alla classifica dei paesi che più commerciano con l’America latina, si stima che nel 2015 la Cina supererà l’Unione Europea, ora al secondo posto. La Cina è peraltro già il primo partner commerciale di Brasile e Cile. Se i Paesi dell’area continueranno a crescere ai ritmi attuali (grazie anche al boom dei prezzi delle materie prime innescato dalla domanda cinese), i loro mercati costituiranno un tassello sempre più importante della strategia di diversificazione delle esportazioni cinesi. Una nuova recessione in Europa potrebbe ulteriormente accentuare questa tendenza.

La Cina è anche il terzo investitore nel continente dopo Stati Uniti e Olanda: nel 2010, gli investimenti delle multinazionali cinesi hanno raggiunto la cifra-record di 15 miliardi di dollari, il 90% dei quali nell’industria estrattiva. Come si vede dalla tabel- la sottostante, i principali paesi destinatari sono il Brasile, il Perù e l’Argentina. Il Messico e l’America centrale sono, invece, pres- soché assenti dalla classifica, in quanto sono più direttamente in concorrenza con la produzione cinese a basso costo. Proponen- dosi come alternativa alle istituzioni multilaterali di sviluppo, il governo cinese investe anche in infrastrutture quali ferrovie (10 miliardi di dollari nella sola Argentina e un collegamento in Colombia tra i due oceani, alternativo al canale di Panama), strade (Perù), comunicazioni satellitari (Venezuela), reti elettri-

che (Brasile). I porti beneficeranno dell’accresciuto interscam- bio: ad esempio, è appena stata inaugurata una rotta navale di- retta con la Cina da Salvador da Bahia, uno dei più importanti scali marittimi del Brasile.

Come già successo in Africa, la presenza cinese offre op- portunità per le industrie pesanti e l’agribusiness locali e costi- tuisce una minaccia per i lavoratori poco qualificati: secondo Kevin Gallagher, docente alla Boston University, il 94% delle esportazioni manifatturiere latinoamericane è minacciato par- zialmente o totalmente dai prodotti cinesi. Si spiegano così le recenti manovre “neo-protezionistiche” dei governi brasiliano e argentino, chiaramente dirette contro i prodotti e gli investi- menti cinesi, a spese della retorica “sviluppista” che dovrebbe accomunare i Brics.

L’unico dossier politico delicato tra la Cina e la regione ri- guarda la questione di Taiwan. Alcuni paesi dell’America latina riconoscono ancora la Repubblica di Cina (Taiwan) anziché la Rpc: Belize, Repubblica Dominicana, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Nicaragua, Panama, Paraguay, Saint Kitts and Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia. In passato, tra la Rpc e Taiwan era in atto una guerra diplomatica, anche nota come dollar diplomacy, in cui i due stati “compravano” di fatto il riconoscimento esclusivo offrendo aiuti ed investimenti. Ne- gli ultimi anni Taiwan si è trovata ovviamente in una posizione di crescente svantaggio, tanto che secondo il presidente Ma la

“tregua” siglata nel 2008 (in base alla quale la Rpc si impegna a non fare alcuna pressione sui 23 stati che hanno relazioni diplo- matiche con Taiwan, a patto che il governo di Taipei non cerchi di attrarre a sé nuovi stati) avrebbe impedito la perdita quasi certa di 3-4 alleati, a cominciare da Panama. D’altronde, grazie alle migliorate relazioni tra Rpc e Taiwan, il cui governo è alie- no da tentazioni indipendentiste, non si profilano all’orizzonte tensioni di rilievo nei rapporti politici tra la Cina e l’America centrale e meridionale.

Sullo sfondo, però, il posizionamento della Cina come attore economico rilevante nell’emisfero occidentale rappresenta una novità storica per un continente da sempre considerato “il corti- le di casa” degli Stati Uniti: non è un caso che la scorsa primave- ra, nonostante il contemporaneo inizio delle manovre militari in Libia, Barack Obama abbia effettuato, come previsto, il viaggio in Brasile, ribadendo i forti legami storici nonché gli interessi comuni tra Washington e Brasilia.

Da giovedì 22 a sabato 24 settembre 2011 si terrà a Milano il XIII Convegno dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (AISC).

Sede principale dei lavori sarà il Polo di Mediazione Intercultu- rale e Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano. Le aree tematiche in cui saranno suddivisi gli interventi sono Arte, archeologia, filosofia e religione; Lingua e linguistica; Letteratura e traduzione; Storia, politica, diritto ed economia.

seGnALAzioni

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I

l teorema del socialismo con caratteristiche cinesi appli- cato al settore finanziario presenta una serie pressoché infinita di corollari. Se ad un livello formale la Cina sembra aver ripreso gli istituti giuridici e le strutture economico- finanziarie proprie dell’Occidente, in realtà li ha fortemente riadattati al proprio contesto politico, legale, economico e socio-culturale.

L’esempio principale è rappresentato dal sistema banca- rio: mentre nei paesi occidentali le banche sono imprese private che raccolgono risparmi ed erogano credito per ri- cavarne profitti, in Cina l’elemento del profitto non è stato – e continua in molti casi a non essere – rilevante: le banche sono concepite soprattutto come strumento a servizio delle politiche economiche delle autorità centrali e locali.

Simile ratio hanno avuto, soprattutto in passato, le bor- se valori, la cui funzione principale è stata (e continua per molti versi ad essere, come ha dimostrato il caso della quo- tazione di Agricultural Bank of China lo scorso anno) la dismissione di quote minoritarie in società pubbliche, al fine di raccogliere capitali, migliorare il management e forni- re qualche ulteriore opportunità di investimento agli asfit- tici mercati di capitale cinesi. Vi è però un esempio ancora più paradigmatico della complessità e unicità del sistema economico e finanziario cinese, anch’esso celato dietro ad un’apparente somiglianza con i modelli occidentali, dovuta a termini comuni che descrivono, però, realtà molto diver- se: si tratta delle cosiddette trust companies.

L’origine di questa categoria di operatori finanziari va ricondotta al sistema giuridico anglosassone, dove le trust companies vengono definite come società fiduciarie che operano per conto di un’altra persona o impresa al fine di amministrare, gestire ed eventualmente trasferire beni a un beneficiario. Si tratta quindi di una categoria di operatori che, per quanto fortemente variegata, è chiaramente deli- mitata e distinguibile dal resto delle imprese e degli inter- mediari finanziari.

È quanto accade nella stragrande maggioranza dei pa- esi, ma non in Cina. Qui, dietro al termine trust compagnie (TC) si nasconde una galassia di operatori la cui estensione e composizione è indecifrabile, nonostante alcuni accura- ti studi in materia. Andando ben al di là della semplice attività fiduciaria, le TC cinesi arrivano a svolgere attività tipicamente di competenza di banche, fondi di private equity, hedge funds, società di gestione del risparmio e diversi altri operatori finanziari.

La nascita e proliferazione delle TC in Cina non è che uno degli effetti dell’assenza di un’infrastruttura finanziaria.

La ricchezza creata dallo sviluppo economico, sommata ad altri fattori quali l’alto tasso di propensione al risparmio, tassi d’interesse artificialmente bassi e mercati di capitali poco sviluppati, ha spinto i cittadini e le imprese cinesi a cercare opportunità di investimento in grado di garanti- re ritorni adeguati. Proprio per soddisfare questa domanda

hanno cominciato a sorgere le TC, le quali hanno approfit- tato di ampie lacune legislative per operare in attività molto remunerative quali investimenti diretti in operazioni immo- biliari, finanziamento di opere pubbliche o erogazione di prestiti ad imprese e privati.

In breve tempo il numero di TC è aumentato esponen- zialmente e le autorità cinesi hanno perduto il controllo su questi importanti operatori. Una serie di scandali (il più clamoroso dei quali è il fallimento del Guangdong In- ternational Trust and Investment Corporation) hanno portato il governo centrale ad intervenire per regolare le TC, dapprima (nel 2001) con una legge organica per disci- plinare il settore e poi con una serie di interventi mirati ad ottenere un controllo ancora più stringente. A quel punto, tuttavia, i “buoi” erano già scappati dal recinto e molte TC hanno cambiato forma o trasferito la base delle proprie at- tività all’estero (Hong Kong, Singapore o in paradisi fiscali), sparendo dagli schermi radar dei regolatori cinesi.

Ciò non significa che le TC abbiano smesso di opera- re. Al contrario, sono state estremamente attive, soprattut- to nel finanziamento di progetti di investimento promossi dagli indebitatissimi governi locali. Inoltre, le TC hanno seguito il processo di internazionalizzazione delle imprese cinesi, espandendo le proprie attività all’estero, tanto come investitori diretti quanto come finanziatori o co-finanziatori di imprese cinesi. Tra i settori maggiormente interessati fi- gurano quello immobiliare, l’esplorazione, l’estrazione e il commercio di materie prime e la speculazione finanziaria.

La storia delle TC cinesi sembra dar ragione all’antico detto cinese secondo il quale, ogni volta che una misura viene impo- sta dall’alto, in basso vengono elaborate delle contromisure

(“ ”) – spesso più efficaci.

Trust companies alla cinese

di Edoardo Agamennone

La sede della People’s Bank of China (PBoC), la Banca Centrale della Repubblica Popolare Cinese. I funzionari della PBoC sono considerati tra i fautori di un sistema finanziario più aperto e vicino al modello occidentale, mentre la leadership politica segue una linea più conservatrice

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ORizzOnTEcina - SETTEMBRE 2011 7

C

risi del debito pubblico italiano e questione libica: a sentire le domande che i giornalisti cinesi rivolgevano al ministro degli Esteri Franco Frattini durante la sua visita del luglio scor- so, sembrava che del Belpaese, ai media di Pechino e Shanghai, interessasse poco altro. A due mesi di distanza – e con la drastica accelerazione che gli eventi hanno subito su entrambi i fronti – giornali e tv di Pechino tornano a dedicare spazio all’Italia, soprattutto in relazione a questi due argomenti.

Se qualcuno pensava che le testate della Rpc avrebbero man- tenuto un atteggiamento accondiscendente nei confronti di un ministro straniero in visita – magari per un malinteso senso dell’etichetta – si è presto dovuto ricredere: i media cinesi hanno incalzato il titolare della Farnesina con toni cortesi ma fermi.

Nell’intervista concessa il 18 luglio scorso all’agenzia di stato Xinhua, ad esempio, la giornalista Wei Wei ha più volte chiesto conto al ministro degli Esteri della manovra che il Parlamento italiano doveva approvare in quei giorni e degli effetti che avreb- be avuto sulla crisi del debito pubblico europeo. “Il problema economico è passato? O le preoccupazioni su una mancata ap- provazione del pacchetto di misure economiche entro il 2014 a causa della sua impopolarità sono fondate?” chiedeva anche Xiaonan Zhang della CCTV. “La situazione in Italia è differen- te da quella dei paesi che hanno ottenuto il salvagente europeo – aveva replicato Frattini, in una dichiarazione alla quale molti giornali cinesi hanno dato grande risalto – e gli attacchi rivolti al sistema bancario italiano sono privi di ogni fondamento”.

Il quotidiano Global Times - che spesso si contraddistingue per le ruvide posizioni assunte sulle questioni internazionali – ri- feriva come Frattini avesse escluso la possibilità di inviare truppe di terra in Libia, “invocando una pronta soluzione politica alla crisi”, ma non mancava di ricordare l’appoggio italiano ai raid di Francia e Gran Bretagna rivolti contro un ex alleato.

Che cosa scrivono oggi i giornali di Pechino e dintorni, men- tre il regime di Gheddafi sembra ormai definitivamente crollato e dopo che ad agosto gli investitori hanno ripetutamente boc- ciato il debito pubblico italiano, facendo sprofondare la Borsa di Milano e costringendo Roma ad adottare nuove misure di austerità?

“Il piano italiano difficilmente placherà i timori dei mercati”

titolava l’agenzia Xinhua. “Il programma di austerity da 45,5 miliardi di euro, che va ad aggiungersi a un precedente piano da 70 miliardi, può aiutare la crescita, ma non aumenterà la fiducia degli investitori”, si legge nell’articolo. “Si stima che quest’anno l’economia italiana crescerà solo dell’1%, mentre la Banca cen- trale ha reso noto che a giugno il debito pubblico ha raggiunto quota 1.900 miliardi di euro. Da anni la società e l’economia italiana sono in fase di stagnazione, milioni di giovani sono di-

soccupati e molti pensionati si sono impoveriti”.

In un altro recente articolo, stavolta dedicato alla crisi libi- ca, la stessa Xinhua ricorda che l’Italia è stata “un partner rilut- tante nella missione militare della Nato ma ora che il conflitto sembra volgere al termine è in prima fila per ristabilire le forni- ture di gas e petrolio”. “In qualità di ex dominatore ai tempi del colonialismo l’Italia poteva vantare forti legami economici con la Libia – continua l’agenzia di Stato – ed era il più importan- te partner commerciale della nazione nordafricana prima dello scoppio delle rivolte del febbraio scorso. Nell’incontro con il le- ader del Consiglio Nazionale di Transizione Mahmoud Jibril, il premier Silvio Berlusconi ha promesso di fornire 350 milioni di euro di aiuti al nuovo governo libico”.

La Cina si aspettava un maggiore impegno italiano per una soluzione politica della crisi libica, sostiene off the record una fonte vicina al ministero degli Esteri di Pechino. E Pechino guarda all’Italia anche per l’adozione di misure che evitino un allarga- mento della crisi del debito pubblico europeo.

In questo periodo, insomma, i media cinesi scrutano il nostro paese e i nostri leader con particolare attenzione. Peccato non godere della reciprocità, e poter rivolgere domande altrettanto franche ai funzionari di Pechino quando si trovano a visitare l’Italia.

Crisi del debito e crisi libica:

la Cina ci osserva

di Antonio Talia

Yìdàlì |

Il Ministro degli Esteri Franco Frattini durante l’intervista con l’agenzia di stampa cinese Xinhua lo scorso 18 luglio (foto di Antonio Scattolon)

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OrizzonteCina è sostenuto da:

novità eDitoriALi

Peter Hessler

Country Driving. A Chinese Road Trip, 

Harper Collins, New York 2010.

Pubblicato nel Regno Unito da Canongate, Edinburgo.

In questa rubrica di OrizzonteCina abbiamo sempre presentato libri in lingua italiana, ma è giunto il momento di fare un’eccezione. Abbiamo aspettato più di un anno prima di segnalare Country Driving, sperando di vederne pubblicata la traduzione, ma ora non possiamo esimerci dal recensirne la versione originale in inglese, consigliandola come lettura ideale per questi giorni di fine estate e sperando (se qualcuno non si fosse nel frattempo già attivato) che qualche editore nostrano consideri l’eventualità di offrirlo al grande pubblico dei lettori italiani.

Nel 2001, fresco di nomina come corrispondente da Pechino del New Yorker, Peter Hessler, già collaboratore del National Geographic, decide di prendere la patente cinese, di noleggiare un’auto e di guidare attraverso alcune strade di un Paese in via di rapidissima motorizzazione. Country Driving è la sintesi dei viaggi compiuti con l’auto tra il 2001 e il 2009, ed è diviso in tre parti. La prima, dedicata alla Grande Muraglia, narra percorsi che, dal Liaoning allo Xinjiang, seguono approssimativamente il tracciato di epoca Ming della fortificazione più famosa al mondo. La se- conda, intitolata The Village, si svolge prevalentemente nel villaggio di Sancha, a nord di Pechino, non lontano dalla sezione di Mutianyu della Grande Muraglia. Infine, la terza parte (The Factory) ruota attorno alla città di Lishui, nello Zhejiang meridionale, e al suo parco industriale.

Non è comune per un corrispondente occidentale lasciare Pechino, Shanghai o le altre me- tropoli cinesi per intrufolarsi alla guida di un’auto nelle aree più remote del paese, affrontando strade sterrate, dormendo spesso in tenda per non suscitare sospetti registrandosi in hotel in cui non si è mai visto uno straniero. Un travelogue è degno di menzione quando l’autore nel racconto riesce a spogliarsi di se stesso senza rinunciare a lasciare la propria impronta originale, ed è pro- prio questo il pregio del libro.

Con uno sguardo attento e a tratti meravigliosamente ironico, l’autore, attraverso la geogra- fia, l’economia, la Storia e le storie, ci spalanca le porte di una Cina che intuiamo ma che non conosciamo, se ci limitiamo a osservare i grattacieli di Pudong, le vetrine di Wangfujing Dajie o quel che succede nei palazzi di Zhongnanhai. Incontriamo così istruttori di guida, maestri di feng shui, bambini ammalati, contadini costretti a scavare buche per un progetto della banca mondia- le, direttori di fabbrica, lavoratori migranti… uomini e donne di un paese in perenne movimento ma dotato di un profondo senso del tempo.

Nei ringraziamenti scopriamo che Peter Hessler è il marito di Leslie T. Chang, l’autrice del capolavoro Operaie (già recensito su OrizzonteCina n. 6/2010 e vincitore del Premio Terzani 2011), e quando ci viene svelato che i due libri sono stati scritti contemporaneamente in due stan- ze attigue in una casa in Colorado, non possiamo trattenere un leggero moto di tenerezza: chi a questo punto potrebbe ancora legittimamente sostenere che non esistono anime gemelle? (GG).

Letture DeL mese

• Clive Schofield et al., From Disputed Waters to Seas of Opportunity: Overcoming Barriers to Maritime Cooperation in East and Southeast Asia, The National Bureau of Asian Research, luglio 2011 (NBR special report, 30).

• Andrew S. Erickson e Gabriel B. Collins, Tango for Trade, Samba for Sales: Strategic Implications of China’s Growing Investment and Commercial Ties in Latin America, agosto 2011 (China SignPost, 45)

• Economic Commission for the Latin America and Caribbean (ECLAC), Foreign Direct Investment in Latin America and the Caribbean 2010, United Nations, maggio 2011 (Briefing paper).

• Eswar S. Prasad, Role Reversal in Global Finance, The Brookings Institution, agosto 2011.

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