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Stratigrafia del Neogene e Quaternario del Salento Sud-orientale (con rilevamento geologico alla scala 1:25.000)

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Academic year: 2022

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STRATIGRAFIA DEL NEOGENE E QUATERNARIO DEL SALENTO SUD-ORIENTALE (CON RILEVAMENTO GEOLOGICO ALLA SCALA 1:25.000)

Alessandro Bossio*, Roberto Mazzei°, Baldo Monteforti*, Gianfranco Salvatorini°

* Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi - Pisa e-mail: bossio@dst.unipi.it

° Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli studi - Siena e-mail: mazzeir@unisi.it

RIASSUNTO - In questa nota viene presentata la carta geologica alla scala 1:25.000 del Neogene-Pleistocene Inferiore di un’ampia fascia del Salento meridionale prospiciente la costa adriatica, estesa da Otranto-Cànnole a Nord fino a poco oltre Marina Porto-Tricase a Sud. Tale rilevamento modifica sostanzialmente quello della carto- grafia geologica ufficiale (2a edizione della Carta Geologica d’Italia 1:100.000), sia nei limiti che nei concetti for- mazionali. La relativa documentazione micropaleontologica (condotta su foraminiferi, nannofossili calcarei ed ostracodi) corregge e precisa bio- e cronostratigrafia delle unità cartografate secondo i canoni della più recente stratigrafia; essa inoltre chiarisce il significato paleoambientale delle stesse unità, focalizzando talora problemati- che particolari (fosfatizzazione, glauconitizzazione, ecc.). Il risultato è un quadro complessivo dell’evoluzione sedimentaria e paleogeografica dell’area, nel corso del tardo Terziario-inizio Quaternario, il quale raccoglie ed integra le precedenti ricerche degli scriventi su settori della stessa area.

Sono state riconosciute sei unità litostratigrafiche (di cui una di neoistituzione), costituenti quattro cicli sedi- mentari che si susseguono dal Burdigaliano superiore al Calabriano superiore (Siciliano).

Il 1° ciclo è materializzato dalla Pietra leccese e dalle ovunque soprastanti Calcareniti di Andrano. La Pietra lec- cese è costituita tipicamente da biomicriti a prevalente plancton calcareo, in genere di colore paglierino, verde solo nel tratto superiore riccamente glauconitico. Tale formazione, mal stratificata in grossi banchi, trasgredisce su unità diverse del substrato pre-neogenico con un livello conglomeratico a clasti e fossili fosfatizzati e noduli di apatite; in alcune località, tale livello si riduce ad una pellicola fosfatica rivestente la superficie e le cavità del substrato. Il plancton calcareo consente di riferire la Pietra leccese agli intervalli biostratigrafici Zona a Globigerinoides trilobus - Zona a Globorotalia conomiozea dei foraminiferi e Zona a Sphenolithus heteromorphus (parte inferiore) - Zona a Amaurolithus delicatus - A. amplificus dei nannofossili. In termini cronostratigrafici la formazione si estende dal Burdigaliano superiore alla parte basale del Messiniano, perdurando quindi per oltre 11 M.A.. Nonostante questa lunga durata, la Pietra leccese mostra spessori modesti nell’area studiata, non superan- do i 17 m. L’esiguo spessore della formazione è giustificato dalla presenza di hiatus, in numero ed ampiezza varia- bili, dovuti all’azione erosivo-dispersiva di correnti. Questa “lacunosità” è registrabile soprattutto nell’intervallo glauconitico sommitale (e ben si addice a questo ambiente dinamico la presenza del minerale argilloso). Essa può riguardare anche la base della formazione ed il suo contatto con l’unità soprastante. Per la base della Pietra lecce- se, caratterizzata da associazioni bentoniche profonde, è stata ipotizzata un’alternanza di episodi erosivi e di fosfa- tizzazione in regime di “upwelling” nel corso delle fasi iniziali della subsidenza. Quest’ultima è stata responsabi- le di un veloce approfondimento dell’area (fino a valori della parte più distale della zona neritica esterna) e di una sua probabile sommersione totale. Una rapida regressione si registra alla sommità della Pietra leccese glauconiti- ca e la formazione soprastante ne rappresenta una diretta conseguenza.

Le Calcareniti di Andrano sono costituite da varie tipologie carbonatiche, ben stratificate e molto fossilifere. La formazione, spessa al massimo 50 m, si è deposta interamente nel Messiniano pre-evaporitico (Zona a G. cono- miozea - Zona Sterile del plancton a foraminiferi, Zona ad A. delicatus - A. amplificus - Zona Sterile del nanno- plancton calcareo). Le associazioni bentoniche del tratto basale dell’unità sono relativamente diversificate e testi- moniano profondità iniziali non molto discoste da quelle del limite neritico interno/esterno; verso l’alto poi si impoveriscono denunciando una progressiva diminuzione batimetrica. Nella porzione inoltrata delle Calcareniti di Andrano le microfaune manifestano già elementi e tipologie di associazione indicative del deterioramento chi- mico-fisico del Mediterraneo che prelude la “crisi di salinità” e, quindi, la precipitazione di evaporiti. Il tratto fina- le del ciclo miocenico è caratterizzato da associazioni ipoaline. Nella Penisola Salentina non sono presenti evapo- riti per l’emersione della stessa.

Il 2° ciclo è costituito dalla Formazione di Lèuca. Essa è rappresentata soprattutto da brecce e conglomerati in genere eterogenei ed eterometrici, poco fossiliferi e di potenza massima sui 30 m. Le associazioni planctoniche documentano la loro appartenenza alla parte iniziale dello Zancleano (Pliocene Inferiore), indicando la Zona a Sphaeroidinellopsis seminulina seminulina dei foraminiferi, nonchè la Zona a Discoaster variabilis s.l. dei nan- nofossili. Le microfaune a foraminfieri bentonici e ad ostracodi palesano inoltre una subsidenza che ha condotto rapidamente l’area fino a profondità compatibili con la zona neritica esterna.

In molte località brecce e conglomerati sono gli unici sedimenti della formazione; in altre sono seguiti da marne biancastre (tipo “trubi”), marne sabbiose e talora calcareniti giallastre. Si tratta di sedimenti profondi (parte più distale della zona neritica esterna) che dalle cronozone a S. seminulina seminulina ed a D. variabilis s.l. si spin- gono fin entro le cronozone a Globorotalia puncticulata e a Discoaster tamalis (parte inferiore), ma che rimango- no di competenza dello Zancleano. Questi sedimenti costituiscono il Membro di Palmariggi.

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Nell’ambito della prima cronozona pliocenica è documentato un rapido approfondimento, verosimilmente accompagnato da “strappi” tettonici negativi (elementi isolati e masse di clasti dell’unità psammitica si rinvengo- no immersi nel tratto inferiore delle marne profonde). L’attività dinamica è stata poi integrata (almeno a partire dalle cronozone a G. puncticulata - G. margaritae ed a Sphenolithus abies) dall’azione di correnti che hanno deter- minato la formazione locale di abbondante glauconite e temporanea assenza di deposizione. Le biomicriti glauco- nitiche, mai cartografabili per il loro limitato spessore e l’esigua ampiezza degli affioramenti, risultano parzial- mente eteropiche al Membro di Palmariggi, spingendosi fino all’interno delle cronozone a G. puncticulata ed a D.

tamalis (parte inferiore), e sono altrettanto profonde.

Nonostante materializzi un ciclo di circa 1.5 M.A., la Formazione di Lèuca mostra spessore alquanto modesti per la sua “lacunosità”.

Il 3° ciclo è costituito dalla Formazione di Uggiano la Chiesa. Essa è rappresentata prevalentemente da calcari biodetritici friabili e sabbie calcareo-organogene di color giallastro. L’unità mostra una evidente stratificazione, è molto fossilifera e raggiunge uno spessore massimo di circa 60 m. La sua base risulta diacrona in quanto in alcu- ne aree appartiene al Piacenziano sommitale (parte superiore delle zone a Globorotalia aemiliana e a Discoaster pentaradiatus), in altre al Gelasiano (Zona a Globorotalia inflata, Zona a Discoaster brouweri). Talora la trasgres- sione è marcata da una breccia, più spesso da un livello conglomeratico a elementi e fossili fosfatizzati. Questo processo di fosfatizzazione si è verosimilmente alternato, analogamente a quanto si è verificato per la trasgressio- ne miocenica, all’azione di correnti erosive.

Le associazioni bentoniche indicano batimetrie della zona neritica interna; solo in alcune zone registrano pro- fondità leggermente superiori. Nell’area costiera otrantina il ciclo si è protratto sin entro la parte iniziale del Pleistocene Inferiore (Santerniano); altrove i sedimenti sommitali della formazione sono risultati del Pliocene Superiore (Gelasiano), suggerendo una probabile diacronia della regressione. I livelli pleistocenici contengono Arctica islandica e plancton calcareo indicativo delle zone a G. inflata (parte sommitale) ed a Crenalithus doro- nicoides (parte superiore).

La durata massima del ciclo si aggira sul milione di anni.

Il 4° ciclo è del Pleistocene Inferiore e precisamente della porzione superiore del Calabriano (Emiliano sommi- tale-Siciliano). Le Calcareniti del Salento che lo materializzano appartengono agli intervalli: parte sommitale della Zona a Helicosphaera sellii - Zona a “small” Gephyrocapsa dei nannofossili calcarei, parte superiore della Zona a Globigerina cariacoensis - Zona a Globorotalia truncatulinoides excelsa dei foraminiferi planctonici. La forma- zione, dello spessore massimo di circa 50 m, è caratterizzata da sedimenti carbonatici biodetritici (tipo “panchi- na” e altri), riccamente fossiliferi (anche Arctica islandica). Ricorrenti le bioturbazioni e la stratificazione incro- ciata (anche a granda scala). L’unità, con talora alla base una breccia o un conglomerato di piccolo spessore, tra- sgredisce su unità del Pliocene, del Miocene e del pre-Neogene. Le batimetrie sono ovunque limitate e di perti- nenza della zona neritica interna. Verosimilmente durante il Siciliano il dominio marino, che lambiva la scarpata salentina per buon tratto della zona costiera, per ragioni tettoniche riusciva a penetrare ampiamente verso l’inter- no solo a Sud. La durata massima di questo ciclo è valutabile in circa 0.3 M.A..

PAROLE CHIAVE: Stratigrafia, Neogene-Quaternario, Salento sud-orientale, Puglia, Italia.

ABSTRACT - The geologic map (scale 1:25.000) related to Neogene-Pleistocene sediments outcropping in the wide area along the Adriatic coast, which has Otranto-Cànnole and Marina Porto Tricase as northern and sou- thern boundaries, is here presented. This map is very different with respect to the official 2th edition of the Geologic Map (scale 1:100.000) of Italy, particularly regarding the interpretation of the formations and their boundaries. The lithostratigraphic units have been framed in an updated biostratigraphic and chronostratigra- phic context based on calcareous plankton (foraminifera and nannofossils). On the contrary, benthonic foramini- fera and ostracods have been used for paleoenvironmental reconstructions. These reconstructions have concer- ned also particular phenomena as, for example, processes of phosphatization and glauconization in the Neogene sediments.

This work completes previous researches of the writers on sectors of the same area. Its aim consists mainly to outline the Neogene-Lower Pleistocene sedimentary and paleogeographic evolution of the considered area. From the late Burdigalian to the late Calabrian (Sicilian), this area was subject to four sedimentary cycles which inclu- de six lithostratigraphic units (one of these recently instituted).

The first cycle is constituted by the Pietra leccese formation and everywhere overlying Calcareniti di Andrano formation. The Pietra leccese is typically represented by biomicrites with prevalent calcareous plankton, generally straw-coloured, green in colour only in the upper part due to the abundance of glauconite. The formation, badly stratified in thick beds, through a conglomeratic level with phosphatic nodules or pebbles and macrofossils is transgressive on different pre-Neogene units. Occasionally, this level is replaced by a phosphatic film which covers surfaces and cavities of the substratum.

The Pietra leccese formation belongs to the Globigerinoides trilobus Zone - Globorotalia conomiozea Zone and Sphenolithus heteromorphus Zone (lower part) - Amaurolithus delicatus - A. amplificus Zone intervals of the Mediterranean zonal scheme used here. In chronostratigraphic terms, it reaches from the upper Burdigalian to the basal Messinian; then, its deposition lasted about 11 M.A.. In spite of that, the Pietra leccese formation shows generally a small thickness (maximum 17 meters). The scanty thickness is found to be due to hiatuses linked to the erosive-dispersive action of deep sea currents. These hiatuses have been above all recorded in the uppermost part

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of the glauconitic interval (this dynamic environment suits well to the occurrence of glauconite), but they charac- terize also the bottom and top of the unit.

The base of the Pietra leccese formation already contains benthonic assemblages of the outer neritic zone; the- refore, during the initial phases of the subsidence, erosive processes alternated with active processes of phospha- tization in upwelling regime. The subsidence produced rapidly a deepening up to a probable total submersion of the area (benthonic microfaunas indicate constantly the deeper part of the outer neritic zone). A rapid regression has been recorded at the top of the glauconitic Pietra leccese; the overlying Calcareniti di Andrano are a direct consequency of it.

The Calcareniti di Andrano formation is represented by different carbonatic deposits which are well stratified and very fossiliferous. Its total thickness reaches 50 meters. The unit belongs to the G. conomiozea Zone - barren Zone (lowermost part) and A. delicatus - A. amplificus Zone-barren Zone (lowermost part) intervals; then, it can be entirely referred to the pre-evaporitic Messinian.

The basal part of the Calcareniti di Andrano formation shows relatively diversified benthonic assemblages which indicate depositional environments near to the inner/outer boundary of the neritic zone. On the contrary, the unit becames increasingly poor in microfaunas when going upwards, which gives evidence of a progressive decrease of the depth. As regards its upper part, the benthonic assemblages testify a deteriorated chemical-physi- cal condition of the sea, which precede the “salinity crisis” and, then, the precipitation of evaporites. The termi- nal part of the Calcareniti di Andrano formation is characterized by hypohaline assemblages.

The Miocene sedimentary cycle ended owing to the emersion of the area (and Salento) which prevented the deposition of evaporites.

The second cycle is represented by the Formazione di Lèuca. This unit is mainly constituted by breccias and conglomerates, which show generally heterogeneous carbonatic pebbles of different size (from few millimeters up to 60 centimeters) in a more or less abundant carbonatic, marly and sandy matrix. The macrofossils are rare and are mainly represented by Ostrea. The maximum thickness is about 30 meters.

The breccias and conglomerates have been referred to the Sphaeroidinellopsis seminulina seminulina and Discoaster variabilis s.l. zones, which characterize the basal part of the Zanclean (Lower Pliocene). Sometimes, whitish marls (similar to those of the Sicilian “trubi” formation), sandy marls and yellowish calcarenites follow upwards the breccias and conglomerates. These deposits, which constitute the Palmariggi Member, encompass the S. seminulina seminulina Zone (pars) - Globorotalia puncticulata Zone (pars) and D. variabilis s.l. Zone (pars) - Discoaster tamalis Zone (lower part) intervals and, then, greater part of the Zanclean stage.

The benthonic microfaunas indicate that already in the earliest Pliocene the subsidence produced rapidly a dee- pening of the area up to depths of the outer neritic zone. This deepening was probably associated to sudden tec- tonic negative activity because more or less coarse clastic material of the formation occurs within the lower part of the marls. Later (from the G. puncticulata - G. margaritae and Sphenolithus abies chronozones at least), the dynamic activity was completed by the erosive-dispersive action of deep currents and, locally, abundant glauco- nite was forming. The glauconitic biomicrites belong to the G. puncticulata - G. margaritae Zone - G. puncticula- ta Zone (pars) and S. abies Zone - D. tamalis Zone (lower part) intervals; consequently, they are partially hetero- pic to the Palmariggi Member. The glauconitic biomicrites are of scarce thickness and their outcroppings are not very extensive; therefore, they never have been mapped.

The deposition of the Formazione di Lèuca lasted about 1.5 MA.

The Formazione di Uggiano la Chiesa constitutes the third sedimentary cycle of the studied area. This unit, essentially represented by biodetritical limestones and yellowish calcareous sands, is well stratified and very fos- siliferous, and shows a maximum thickeness of about 60 meters. The transgression of the formation is often emphasized by a conglomeratic level (more rarely by breccias) with phosphatic pebbles and macrofossils.

Probably, the process of phosphatization alternated with the erosive-dispersive action of currents as it was during the Miocene transgression.

In some areas the base of the Formazione di Uggiano la Chiesa belongs to the Piacenzian (upper part of the Globorotalia aemiliana and Discoaster pentaradiatus zones), in others it has been referred to the Gelasian (Globorotalia inflata and Discoaster brouweri zones). Therefore, it’s very diachronous.

The benthonic assemblages indicate typical depths of the inner neritic zone. Occasionally, lightly larger depths have been recorded.

In the area near Otranto, this cycle is continued until the initial part of the Early Pleistocene (Santernian). The Santernian sediments contain Arctica islandica and calcareous plankton of the G. inflata Zone (uppermost part) and Crenalithus doronicoides Zone (upper part). Elsewhere, the uppermost part of the formation belongs to the Gelasian (Upper Pliocene); probably this suggests a diachronous regression.

The deposition of the Formazione di Uggiano la Chiesa lasted about 1.0 M.A.

The fourth cycle is represented by the Calcareniti del Salento formation which is Early Pleistocene in age. In fact, this unit has been referred to the Helicosphaera sellii Zone (uppermost part) - “small” Gephyrocapsa Zone and Globigerina cariacoensis Zone (upper part) - Globorotalia truncatulinoides excelsa Zone intervals and these intervals characterize the upper part of the Calabrian (highest Emilian - Sicilian).

The Calcareniti del Salento formation, which is basically constituted by very fossiliferous (with A. islandica) biodetritical carbonatic sediments and shows commonly both bioturbations and cross stratification, lies in discor- dance on pre-Neogene, Miocene and Pliocene units. Sometimes, its base is emphasized by a conglomeratic level of scanty thickness. The Calcareniti del Salento formation reaches a maximum thickness of about 50 meters.

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INTRODUZIONE

A seguito di ricerche interdisciplinari pluriennali, nel 1997 Bossio et al. realizzavano la stampa della carta geologica a colori alla scala 1:25.000 di una vasta area del Salento meridionale. Per la precisione, l’area rileva- ta è ubicata sul lato adriatico della Penisola Salentina ed è delimitata dalla costa e dagli allineamenti Otranto- C à n n o l e - P a l m a r i g g i - G i u g g i a n e l l o - P o g g i a r d o - Spongano-Castiglione d’Otranto-Tutino-Caprarica del Capo-Marina Porto. Tuttavia, dagli stessi autori a più riprese erano state anticipate (Bossio et al., 1989a, b, c, f; 1991; 1994) relazioni più o meno dettagliate su alcu- ne sue zone, le quali avevano peraltro consentito una sintesi stratigrafica preliminare (Bossio et al., 1999b).

Con questa nota si vuol fornire un quadro unico delle acquisizioni per l’intera area, riunendo i dati già esposti ed integrandoli con quelli relativi ad altre zone; con l’occazione si allega anche la carta geologica sopra indi- cata.

Si precisa che anche questo lavoro è dedicato alla stra- tigrafia neogenica e pleistocenica, per cui sono trascura- te le unità carbonatico-dolomitiche pre-neogeniche, riunite in un sol colore nella carta. Si rileva inoltre che, dato il carattere della ricerca rivolto alla ricostruzione dell’evoluzione stratigrafica e ambientale dell’area, si è preferito non trattare gli aspetti della tettonica riservan- doli per un prossimo lavoro.

SINTESI BIBLIOGRAFICA PER L’AREA

Questa breve rassegna degli autori che hanno apporta- to un contributo alle conoscenze geologico-paleontolo- giche del Neogene e Pleistocene dell’area rilevata pren- de avvio dagli anni ‘60 dell’ultimo secolo, allorchè gli studi geologici su questo settore della Provincia di Lecce ripresero con rinnovato fervore e con criteri di una certa modernità, in particolare con l’applicazione della micro- paleontologia ai fini stratigrafici e paleoambientali. Ciò nondimeno non possiamo esimerci dal ricordare il basi- lare contributo delle ricerche pionieristiche della secon- da metà del 19° secolo e della prima metà del secolo successivo, le quali hanno portato un’enorme mole di informazioni di varia natura, sia settoriali che generali. A titolo di esempio si ricordano i contributi di Dainelli (1901), Cassetti & Di Stefano (1904), Sacco (1911), De Benedetti (1930), D’Erasmo (1934) e, soprattutto, quel- lo di De Giorgi. Questi ha operato per oltre cinquanta anni in territorio salentino, a cavallo dei due secoli cita- ti; tra i suoi lavori più significativi si evidenziano quelli del 1903 e del 1922.

La nostra analisi bibliografica inizia con Martinis (1962); la sua ricerca a carattere tettonico, realizzata a seguito delle attività dell’AGIP Mineraria, diviene un buon supporto ai di poco successivi rilevamenti per la Carta Geologica d’Italia. L’area per la quale sono deli- neate le caratteristiche strutturali principali è molto più vasta di quella del nostro rilevamento e si spinge da poco a Sud di Lecce fino a Lèuca e dall’Adriatico allo Ionio. L’Autore riconosce e descrive sia elementi plica- tivi che disgiuntivi di tipo distensivo. Le pieghe sono in genere asimmetriche (con fianco nord-orientale meno sviluppato, più ripido, spesso interrotto da faglie) e con assi a direzione NNO-SSE o NO-SE. Gli elementi di stile rigido possono essere paralleli ai precedenti, oppu- re ad essi trasversali o con direzione Nord-Sud. Gli specchi di faglia sono in genere poco inclinati, talora quasi verticali, mentre i rigetti variano da qualche deci- na di metri ad oltre 200 m. Martinis (1962) puntualizza, inoltre, una generale concordanza fra morfologia e tet- tonica, con corrispondenze tra serre ed alti strutturali, tra aree pianeggianti e zone depresse, queste ultime determinate da Graben o sinclinali.

Dal punto di vista stratigrafico è soprattutto con due brevi note di Giannelli et al. (1965; 1966), dedicate sostanzialmente alla fascia costiera tra Capo d’Otranto e Porto Badisco (ma con circostanti controlli anche nelle zone di Otranto e Castro, rispettivamente più a Nord e a Sud), che la geologia neogenica di Terra d’Otranto acquisisce puntuali e significative precisazio- ni; esse costituiranno un fondamentale riferimento per le successive ricerche sulla Penisola Salentina. Tra i principali risultati si ricordano:

- il rilevamento geologico di dettaglio dell’area, con riconoscimento di nuove unità litostratigrafiche, descritte informalmente e documentate nei loro conte- nuti in foraminiferi e macrofossili;

- il riconoscimento di un ciclo miocenico datato, per la prima volta, al Tortoniano superiore-Messiniano e costituito da un conglomerato fosforitico basale (o

“livello ad Aturia”), seguito da calcareniti più o meno glauconitiche (o “livello a Pycnodonta”) ed infine da una successione di calcari costituente il “livello calca- reo ad Anellidi e piccoli Gasteropodi”;

- la individuazione di due cicli pliocenici: il primo del Pliocene inferiore rappresentato da “conglomerati e brecce” trasgressivi sul Miocene; il secondo del Pliocene medio-superiore costituito da “sabbie calca- reo-organogene” caratterizzate alla base da un livello conglomeratico a ciottoli “arrossati”, trasgressivo su biozone diverse del Pliocene inferiore;

- il riconoscimento, su base litologica, mineralogica e paleontologica (soprattutto micropaleontologica), della The deposition of this unit is generally realized within limited depths of the inner neritic zone. Probably, during the Sicilian the sea, which lapped the escarpment of a considerable stretch of coast, managed to penetrate widely towards the inner areas only at south.

This Pleistocene cycle encompasses at least 0.3 M.A..

KEY WORDS: Stratigraphy, Neogene-Quaternary, south-eastern Salento, Apulia, Italy.

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corrispondenza (anche cronologica) tra la successione miocenica della fascia costiera e quella della porzione superiore della Pietra leccese dell’entroterra salentino.

È ancora del 1966 la conferma, da parte di Ungaro, dell’appartenenza al Miocene Superiore delle calcareni- ti glauconitiche e dei soprastanti livelli carbonatici della zona a Sud di Otranto, stabilita sulla base dei fora- miniferi. Dello stesso anno è anche la monografia di Alvino (probabilmente non al corrente dei lavori pocan- zi citati) sulla geologia del Neogene della fascia costie- ra tra Otranto e Porto Badisco, corredata da carta geo- logica e da un’appendice paleontologica per le due nuove unità litostratigrafiche istituite, le sole a rappre- sentare il Neogene dell’area: la miocenica Formazione di Monte Cavallo e la pliocenica Formazione di Uggiano la Chiesa, ambedue a giacitura trasgressiva e molto fossilifere. La prima è suddivisibile in un mem- bro inferiore A, sabbioso glauconitico, ed un membro superiore B, calcareo-marnoso, i quali si identificano senza ombra di dubbio rispettivamente con il “livello a Pycnodonta” e il “livello calcareo ad Anellidi e piccoli Gasteropodi” di Giannelli et al. (1965). La formazione, datata al Langhiano, presenta un contenuto paleontolo- gico identico a quello della Pietra leccese, della quale è considerata una facies eteropica “littorale”. La Formazione di Uggiano la Chiesa è invece costituita da calcareniti riferite al piano “Astiano” per la presenza di

“Globorotalia hirsuta” ed anch’esse di ambiente poco profondo.

L’anno 1966, comunque, segna soprattutto l’avvio di una serie di note da parte di ricercatori dell’Università di Ferrara e di Milano che operavano per la realizzazio- ne della 2a edizione della Carta Geologica d’Italia (scala 1:100.000) del Servizio Geologico. Per l’area di nostra competenza si ricorda anzitutto Largaiolli et al.

(1966), i quali presentano sintetici lineamenti della geo- logia dell’area compresa tra Otranto e S. Cesarea Terme, completati da una cartina geologica. Per quanto riguarda Miocene e Pliocene (il Quaternario non è men- zionato), gli Autori si limitano sostanzialmente a ripor- tare ed estendere a tutta l’area quanto acquisito da Giannelli et al. (1965). Sempre sulla stessa area è inve- ce di Nardin & Rossi (1966) la ricostruzione dell’asset- to strutturale e la visualizzazione della geologia con uno stereogramma. In particolare, sono illustrate le caratteristiche morfologico-geometriche e litologiche generali dei contatti lungo le scarpate che raccordano formazioni più antiche e costituenti le zone più elevate e quelle più recenti sottostanti; con la conclusione che

“le scarpate rappresentano antiche linee di costa taglia- te dal mare nel tempo corrispondente all’età dei sedi- menti situati in posizione depressa”. La constatazione del parallelismo tra orientazione prevalente delle scar- pate e quella degli assi tettonici (NNW-SSE) non è con- dizione sufficiente per invocare una corrispondenza delle prime con faglie preesistenti. Gli Autori ipotizza- no quindi l’andamento delle linee di costa e focalizza- no, ove possibile, l’andamento interdipendente tra paleogeografia e tettonica.

Considerazioni analoghe sono svolte da Rossi (1966) per l’area rappresentata nella Tav. “Muro Leccese” e visualizzate con una serie di profili.

Martinis (1967a) conferma e meglio precisa, per la vasta area con pressochè ai vertici Cerfignano, Alliste e Tiggiano, i lineamenti strutturali delineati nel 1962. Il lavoro ha tuttavia un carattere prettamente stratigrafico ed è corredato da una carta geologica. Nell’area di nostra competenza riconosce le seguenti unità litostratigrafi- che:

- Calcareniti di Andrano, una nuova unità carbonatica con caratteri talora simili alla Pietra leccese con la quale è in larga misura eteropica avendo un’età langhiano-tor- toniana (per precisazioni in merito a quanto espresso da Martinis e per un emendamento dell’unità si rimanda a Bossio et al., 1994);

- Sabbie di Uggiano, unità istituita dai rilevatori del F°

Otranto e costituita da sabbie giallastre con intercalazio- ni di calcareniti marnose. Pur citando il contributo di Giannelli et al. (1966), Martinis non applica appieno le relative risultanze e all’unità, che presenta un’evidente giacitura trasgressiva, assegna un’età dal Pliocene infe- riore a quello superiore;

- Calcareniti del Salento, anch’esse introdotte per la stesura della nuova edizione della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000; in esse sono inclusi tutti i sedimenti noti localmente come “tufi”. Per questa unità, molto eterogenea per compattezza, granulometria e colo- re, è indicata un’età dal Pliocene medio-superiore al Quaternario.

Martinis (1967b), con il rinvenimento di lembi “cala- briani” sulle serre Calaturo e Castelforte presso la costa ionica del Salento meridionale, contraddice l’osserva- zione di Nardin e Rossi (1966) sull’invasione marina, durante il Quaternario, delle sole aree attualmente depresse. A questa puntualizzazione e ad altre espresse da Martinis (1967a, b), Rossi (1968) replica con un chia- rimento e completamento di quanto proposto in note pre- cedenti sul modello morfologico-strutturale-paleogeo- grafico della Penisola Salentina.

Melidoro & Zezza (1968), in una indagine sui fosfati contenuti nei sedimenti miocenici del versante adriatico della costa salentina, esaminano e descrivono nei detta- gli soprattutto mineralogico-petrografici, varie sezioni mioceniche tra Otranto e Lèuca. Ne risulta una succes- sione pressochè uguale a quella ricostruita da Giannelli et al. (1965): essa, infatti, è costituita da una “rudite fosfatica” (“livello ad Aturia” di Giannelli et al.), in gia- citura discordante sul pre-Miocene e spessa da pochi cm fino a 90 cm, cui seguono verso l’alto una “calcarenite tipo Pietra leccese”, definita come biomicrite grigio- giallastra (non sempre presente) dello spessore compre- so tra 20 e 90 cm, e una “calcarenite glauconitico-fosfa- tica” (“livello a Pycnodonta” di Giannelli et al.), indica- ta come biomicrite grigio e giallo-verdastra (talora assente) potente da 35 a 185 cm; al di sopra sono presen- ti “calcari e calcareniti” di colore grigio-chiaro o gialli- no, con stratificazione evidente e spessore intorno ai 3 m. Sulla base delle loro analisi sul terreno e in laborato-

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rio gli Autori, riprendendo anche gli elementi cronologi- ci di Giannelli et al. (1965) che erroneamente estendeva- no al livello conglomeratico di base l’età tortoniana del livello glauconitico, arrivano alla conclusione che gli elementi fosfatici e fosfatizzati rappresentano il prodot- to dello smantellamento e del successivo rimaneggia- mento di un ipotetico giacimento fosfatico primario

“elveziano”.

Nel 1963 vengono pubblicate le Note Illustrative dei Fogli 215-Otranto (Rossi) e 214-Gallipoli (Largaiolli et al.) e nel 1970 vede la luce quella del F° 223-Capo S.

Maria di Lèuca (Martinis). Queste note poco aggiungo- no a quanto riportato dai relativi Autori nei lavori già segnalati. Per le unità neogenico-quaternarie affioranti nella nostra area si riporta quanto segue:

- Pietra leccese. Calcarenite marnosa organogena di colore giallo paglierino, con varietà glauconitica grigio- verdastra (piromafo) come termine più recente; potenza massima di 80 m (in sensibile riduzione nei lembi pres- so e sopra le serre). Età: “Elveziano, forse Langhiano e forse Tortoniano”. Relativamente alla “zona di Muro Leccese, Cànnole, Melpignano” è precisato che “gli stra- ti di <<Pietra leccese>> si mostrano parzialmente etero- pici alle Calcareniti di Andrano: sono quindi riferibili al Tortoniano e in alcuni punti forse anche al Miocene superiore” (p. 24 di Largaiolli et al., 1969);

- Calcareniti di Andrano. Calcareniti organogene tal- volta marnose o leggermente glauconitiche, calcari detri- tici porosi, calcari compatti, calcari bioclastici e talora lumachelle. Stratificazione evidente e potenza massima di 80 m. Età: Langhiano-Messiniano. Da notare che gli Autori hanno inserito nelle Calcareniti di Andrano quel- lo che in realtà è di pertinenza della Pietra leccese (come evidenziato dai nostri precedenti lavori ed in particolare da Bossio et al., 1994). In proposito si riporta anche la puntualizzazione (p. 25) di Largaiolli et al. (1969) relati- va all’osservazione che “i termini più bassi di questa serie”, (leggi: stratotipo della formazione), “glauconitici e con concrezioni fosfatiche” (leggi: livello a Pycnodonta e livello ad Aturia di Giannelli et al., 1965),

“sono molto simili ai livelli più alti della <<pietra lecce- se>> della zona di Melpignano-Cursi”;

- Sabbie di Uggiano. Sabbie calcaree e calcareniti mar- nose giallastre, calcari detritico-organogeni, con alla base spesso conglomerati (leggi: Formazione di Lèuca);

spessore massimo 60 m. Età: “Pliocene inferiore” fino a

“Pliocene superiore”;

- Calcareniti del Salento. In base ai rapporti stratigra- fici e alle caratteristiche paleontologiche nella formazio- ne sono distinte l’Unità P3 e l’Unità QP. La prima è rap- presentata da calcareniti e calcareniti argillose del

“Pliocene superiore-medio?”, in trasgressione sulle for- mazioni più antiche e di spessore intorno ai 50 m. Nella zona otrantina l’unità si trova a contatto laterale con le Sabbie di Uggiano; il passaggio è però rilevabile solo in fotografia aerea, corrispondendo ad un gradino morfolo- gico di qualche metro di altezza e interpretato come linea di costa. La seconda è costituita da calcareniti eteroge- nee, calcari grossolani organogeni tipo <<panchina>> e

sabbioni calcarei del Pliocene-Calabriano; potenza mas- sima 50 m.

Per l’unità QP delle Calcareniti del Salento, affiorante nella sezione naturale di Porto Miggiano, viene precisa- ta l’età “calabriana” da Rossi e Ungaro (1969). Da ricor- dare, in particolare, che l’“angular unconformity” rileva- ta nella parete è da loro interpretata come “marine unconformity” senza emersione. La stessa è ritenuta da Zezza (1983) indicativa di una fase tettonica siciliana separante due episodi sedimentari: uno calabriano (dando fiducia alla datazione dei due precedenti Autori), responsabile di una linea di costa a 70 m s.l.m., l’altro tirreniano (in base a dati radiometrici), con linea di costa a 30 m s.l.m.

È comunque dagli anni ‘80 che le conoscenze geolo- giche del Salento meridionale adriatico si arricchiscono di numerosi lavori che portano un significativo salto di qualità ed un apprezzabile balzo in avanti. A prescinde- re dalle ricostruzioni paleogeografiche di De Giuli et al.

(1986) per il Miocene Inferiore - Pliocene Superiore dell’area “Apulo-Dalmatica”, espresse con 6 cartine schematiche costruite in base alla biogeografia dei mammiferi e con l’ausilio della geologia di campagna, delle stratigrafie di pozzi e dei dati geofisici (esse sono poco significative e molto incomplete per quel che riguarda il Salento meridionale), questo progresso si deve soprattutto ad un programma di ricerca plurienna- le e interdisciplinare degli scriventi, nell’ambito del quale sono realizzati rilevamenti di estremo dettaglio ed applicate le moderne acquisizioni bio- e cronostratigra- fiche, basate soprattutto su foraminiferi planctonici e nannoplancton calcareo (i foraminiferi bentonici e gli ostracodi sono stati invece utilizzati in larga misura per le ricostruzioni paleoambientali). I risultati ottenuti hanno consentito di presentare una serie di comunica- zioni settoriali al “Convegno sulle conoscenze geologi- che del territorio salentino”, tenutosi a Lecce nel 1987 (i relativi atti sono stati stampati nel 1989). Sui molte- plici aspetti trattati in quella occasione e sui risultati acquisiti non è da soffermarsi in quanto per la maggior parte riguardanti l’area della carta qui allegata e quindi, come anticipato nell’introduzione (a cui rimandiamo per le citazioni), riproposti nel lavoro presente. Si ricor- dano, invece, altre due comunicazioni al sopracitato convegno: quella introduttiva di Palmentola e quella di Fiore e Palmentola. Con la prima è sintetizzata l’evolu- zione geologica (su base bibliografica) e morfologica del Salento leccese; con la seconda sono invece meglio definite le Sabbie a Brachiopodi (D’Alessandro &

Palmentola, 1978), una formazione di probabile età sici- liana (ma non viene escluso il Pleistocene Medio) i cui sedimenti sono conservati solo nella parte occidentale del Salento (in quella orientale essi sono assenti per ero- sione ma hanno lasciato, come traccia della loro presen- za, un ripiano di abrasione alla quota di 80 m e ai piedi di una falesia).

Nel contesto del programma di ricerche sopra citato, Bossio et al. (1988) hanno presentato al 74° Congresso Nazionale della Società Geologica Italiana (Sorrento

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13-17 settembre 1988) una sintesi di un modello strati- grafico per il Miocene-Pleistocene Inferiore del Salento, interpretato in relazione di “causa-effetto” con l’evolu- zione geodinamica della catena appenninica (per preci- sazioni sull’argomento si veda anche in Bossio et al., 1989d). Nell’occasione sono definiti i cicli sedimentari neogenico-infrapleistocenici (5 nell’area di Lèuca, 4 altrove) ed è inquadrata l’evoluzione sedimentaria negli schemi zonali a foraminiferi planctonici e nannofossili calcarei e, quindi, nella successione cronostratigrafica standard. In termini tettonici, sulle espressioni sedimen- tarie di questi cicli vengono evidenziate deformazioni duttili in regime compressivo smorzato e fragili in regi- me distensivo polifasato.

Allo stesso congresso è presentata da Ricchetti et al.

(1988) una sitensi dell’evoluzione geodinamica dell’a- vampaese apulo (sviluppata dagli Autori nella nota del 1992) e da Ciaranfi et al. (1988) una carta geologica delle Murge (dall’altezza di Barletta) e del Salento alla scala 1:250.000 (allegata alla suddetta nota del 1992).

Per il Salento non è da registrare niente di nuovo rispet- to a quanto già espresso dai nostri lavori, con l’eccezio- ne che le Calcareniti del Salento sono da loro indicate con il termine di Calcareniti di Gravina.

Bossio et al. (1991) considerano le formazioni neoge- niche dell’area di Palmariggi, la quale rientra intera- mente in quella della carta qui presentata; per questa ragione, si riporta solo che da tale ricerca è offerto un quadro evolutivo di ordine tettonico, stratigrafico e paleogeografico che ricalca fedelmente, sia nelle carat- teristiche di dettaglio che nei lineamenti generali, il modello ricostruito per altre aree salentine.

Nel 1992 viene organizzato nel Salento meridionale il 12° Convegno della Società Paleontologica Italiana.

Come premessa alla “Guida alle escursioni” appare un sintetico inquadramento geologico dal titolo “La Penisola Salentina nel quadro dell’evoluzione sedimen- taria e tettonica dell’avampaese apulo” e a nome dei soli Ciaranfi, Pieri e Ricchetti, nonostante che gli scriventi avessero partecipato attivamente alla stesura del testo.

Nell’occasione sono presentate anche varie ricerche sul Salento, pubblicate nel 1994 sul Bollettino della Società Paleontologica Italiana. Ai fini dello studio dell’area rilevata si evidenziano gli interessanti dati paleoecolo- gici ottenuti da Taddei Ruggiero sulle paleocomunità a brachiopodi della Pietra leccese di Porto Badisco e delle Calcareniti del Salento di Castro Marina, oltre che le precisazioni stratigrafiche di Bossio et al. sulle Calca- reniti di Andrano nell’area tipo, incluso lo stratotipo della formazione (Martinis, 1967a). In particolare, que- sta seconda ricerca ridefinisce la formazione in termini litologici, ne precisa la giacitura costantemente al di sopra della Pietra leccese, ne stabilisce l’età limitando- la al Messiniano inferiore pre-evaporitico.

Degli scriventi si ricorda ancora la stampa della

“Carta Geologica del Salento sud-orientale” (Bossio et al., 1997), qui allegata, e una sintesi dell’evoluzione sedimentaria dell’area compresa in detta carta (Bossio et al., 1999b).

Si conclude infine la rassegna bibliografica segnalan- do una serie di ricerche eseguite da studiosi di varie uni- versità italiane (Bologna, Ferrara, Modena e Napoli) sui sedimenti cretacico-miocenici della fascia costiera adria- tica del Salento a Sud di Otranto. Per quelli attinenti l’a- rea considerata in questa nota si ricordano Bosellini &

Parente (1994), Bosellini et al. (1999), Vescogni et al.

(2000), Vescogni (2001) e Bosellini et al. (2001).

Un’ampia sintesi dei risultati ottenuti da questi Autori è riportata in Bossio et al. (2002, pp. 103-104); qui si evidenzia che tali risultati seguono la stampa della carta geologica allegata per cui questa non contempla la nuova unità messiniana istituita e cioè la Formazione di Novaglie. Tale unità, materializzata da un complesso di scogliera, è presente esclusivamente all’estremità meri- dionale dell’area studiata.

STRATIGRAFIA

Nell’area investigata del Salento Sud-orientale, estesa da Otranto-Cànnole a Nord fino a poco oltre Marina Porto - Tricase a Sud, sono state riconosciute sei unità litostratigrafiche appartenenti a cinque formazioni. A ini- ziare dalla più antica, queste sono: Pietra leccese (Miocene Inferiore-Miocene Superiore), Calcareniti di Andrano (Miocene Superiore), Formazione di Lèuca con distinto il Membro di Palmariggi (Pliocene Inferiore), Formazione di Uggiano la Chiesa (Pliocene Medio- Pleistocene Inferiore) e Calcareniti del Salento (Pleisto- cene Inferiore). Per ciascuna unità, alla descrizione delle caratteristiche litologiche e paleontologiche segue la precisazione bio- e cronostratigrafica e, successivamen- te, il chiarimento del significato ambientale. A supporto, viene fornita una sintetica documentazione dei gruppi di organismi e precisamente, foraminiferi planctonici e nannofossili calcarei per la prima (utilizzando lo stru- mento stratigrafico riportato in Foresi et al., 2002a e qui riproposto nelle Figg. 1-2), foraminiferi bentonici ed ostracodi per il secondo.

Pietra leccese

È la peculiare unità miocenica del Salento; il suo nome risale a Giovene (1810) ed è stato consacrato nell’uso fin dai lavori pionieristici del 19° secolo e delle prime deca- di del 20° secolo (per tutti si ricorda De Giorgi, il più famoso e prolifico cultore della geologia del leccese, ed in particolare la sua opera monumentale del 1922).

Questo utilizzo storico e generalizzato del nome Pietra leccese è stato recepito dagli operatori della nuova edi- zione della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Largaiolli et al., 1969; Rossi, 1969a, b; Martinis, 1970) ed introdotto quindi nei nostri lavori precedenti anche se la formazione non era mai stata ufficialmente formaliz- zata secondo i canoni della moderna stratigrafia. Ciò nondimento, come area-tipo della formazione è stata sto- ricamente indicata l’area di Cursi-Melpignano (vicino Maglie) e quella di Lecce. Di recente nelle due aree sono

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Fig. 1 - Contesto stratigrafico e geocronologico utilizzato per il Miocene dell’area rilevata (da Foresi et al., 2002).

– Stratigraphic and geochronologic context used for the Miocene of the considered area (after Foresi et al., 2002).

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state eseguite ricerche sul plancton calcareo dell’intera successione sedimentaria della formazione con l’obietti- vo di definirne l’esatta distribuzione bio- e cronostrati- grafica. Per la zona di Cursi-Melpignano si veda lo stu- dio dei nannofossili calcarei da parte di Mazzei (1994) e dei foraminiferi planctonici da parte di Foresi et al.

(2002); per quella di Lecce lo studio dei due gruppi di organismi è stato eseguito da Foresi et al. (nota in corso di stesura). In ambedue le località la successione sedi-

mentaria é risultata estendersi dal Burdigaliano superio- re (Zona a Globigerinoides trilobus dei foraminiferi e Zona a Sphenolithus heteromorphus dei nannofossili) al Messiniano inferiore (Zona a Globorotalia conomiozea e Zona a Amaurolithus delicatus - A. amplificus rispettiva- mente), ma caratterizzata da più lacune sedimentarie, alcune delle quali generalizzate. Esse costituiscono il motivo dello spessore contenuto dell’unità, rispetto a quello virtuale che avrebbe dovuto raggiungere come

Fig. 2 - Contesto stratigrafico e geocronologico utilizzato per il Plio-Pleistocene dell’area rilevata (da Foresi et al., 2002).

– Stratigraphic and geochronologic context used for the Plio-Pleistocene of the considered area, (after Foresi et al., 2002).

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sedimento detritico nell’arco della sua lunga cronoripar- tizione (oltre 11 M.A.).

Caratteristiche

La Pietra leccese giace trasgressiva e discordante su unità pre-neogeniche diverse. Dove ha un maggiore svi- luppo, soprattutto nell’area tra Palmariggi e Poggiardo, essa si presenta tipicamente composta da tre litofacies.

Alla base è presente un livello conglomeratico di 20-30 cm di spessore (max 50 cm), costituito da ciottoli calca- rei fino a 20 cm di dimensioni e parzialmente fosfatizza- ti, noduli fosfatici da pochi millimetri ad alcuni centime- tri di diametro, numerosi fossili, spesso in modelli, in genere fosfatizzati (pettinidi, gasteropodi tra cui Conus, brachiopodi, cefalopodi con Aturia, coralli isolati, echi- nidi, denti e vertebre di pesci), pisoliti bauxitiche rima- neggiate, in matrice biomicritica e biomicrosparitica a prevalenti foraminiferi planctonici. Il colore d’insieme è bruno, ma con plaghe variamenti colorate (dal verde al rosso) per alterazione differenziata dei vari componenti.

Il livello basale forma evidenti tasche nel substrato e riempie le fessure dello stesso (Fig. 3).

Al conglomerato fa seguito la Pietra leccese vera e propria costituita da micriti, biomicriti e biospariti a prevalente plancton calcareo, talora molto tenace, talal- tra relativamente friabile, di colore sul giallo paglieri- no, a luoghi biancastro, avana o bruno tabacco, mal stratificata in grossi banchi in genere di oltre 1 m e fino a 2 m. I fossili sono dispersi e rappresentati soprattutto da pettinidi; ricorrenti i livelli più o meno bioturbati. La parte superiore è punteggiata da sparsi granuli verdi di glauconite. Lo spessore massimo è stato incontrato nel Pozzo Poggiardo (Bossio et al., 1989a) e si aggira sui 17 m.

Segue infine un intervallo sommitale rappresentato da biomicriti glauconitiche (Fig. 4) tenaci o friabili, di colore verde scuro, non stratificate, ricche di fossili (soprattutto Neopycnodonte, Flabellipecten, Amusium) spesso concentrati a costituire un particolare livello. In esso sono abbondanti anche piccoli elementi fosfatici bruni; questi possono essere frequenti anche alla base dell’intervallo. Quest’ultima forma chiare ondulazioni sulle sottostanti biomicriti e infiltrazioni più o meno estese entro le stesse. Anche per le biomicriti glauconi- tiche lo spessore massimo di 9,50 m è stato incontrato nel Pozzo Poggiardo.

Come da noi più volte evidenziato a partire dalla nota di Bossio et al. (1989b; v. anche 2002), la formazione si è realizzata in regime idrodinamico molto attivo; l’azio- ne erosiva e/o dispersiva delle correnti si è manifestata alquanto variabile nello spazio e nel tempo con il risul- tato di una grande variabilità di spessori delle tre litofa- cies descritte, addirittura su brevi distanze. Il livello di base è costantemente presente, ma spesso è ridotto a pochissimi centimetri o addirittura ad una spalmatura fosfatica che riveste cavità e fessure del substrato, con- servando comunque il ruolo di un importantissimo livel- lo guida per le sue peculiari caratteristiche. Anche le

soprastanti biomicriti giallastre possono essere varia- mente ridotte nello spessore fino addirittura ad essere completamente asportate. In questo caso le biomicriti glauconitiche giacciono direttamente sul livello di base, ma non sono infrequenti le situazioni in cui anche que- ste risultano sensibilmente ridotte o addirittura assenti.

Fig. 3 - Particolare del contatto tra calcari pre-neogenici e livello a noduli fosfatici di base alla Pietra leccese nell’area a Sud-Est di Andrano, lungo la strada che da questa località scende ad Arenosa.

– Detail of the contact between the pre-neogenic limestones and the Pietra leccese formation at SE of Andrano, near Arenosa.

Fig. 4 - Biomicriti glauconitiche alla sommità della Pietra leccese nella zona di Monte Ferrari, a Sud-Est di Uggiano la Chiesa.

– Glauconitic biomicrites at the top of the Pietra leccese formation, in the Monte Ferrari area (SE of Uggiano la Chiesa).

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La formazione successiva (Calcareniti di Andrano) viene allora a giacere sul livello di base, che è stato talo- ra esagerato nella rappresentazione in carta geologica, data la sua importanza.

Età ed ambiente

Le migliori possibilità di campionature in serie di un discreto spessore di Pietra leccese dell’area rilevata sono già state utilizzate da Bossio et al. per la nota sul Pozzo Poggiardo (1989a) e per quella sulla sezione di Palmariggi (1991). Dall’integrazione delle due succes- sioni risulta che la formazione appartiene all’intervallo Burdigaliano superiore (Zona a G. trilobus dei forami- niferi planctonici e Zona a S. heteromorphus, parte infe- riore, del nannoplancton calcareo)-Messiniano inferiore (Zona a G. conomiozea e Zona a A. delicatus - A. ampli- ficus rispettivamente). Queste datazioni sono conferma- te da numerosi altri campioni analizzati per la parte inferiore e per quella sommitale dell’unità. A titolo di documentazione si ricordano alcuni taxa tra quelli rin- venuti nelle due coppie di zone riconosciute: per la Zona a G. trilobus, Paragloborotalia acrostoma, P.

incognita, P. siakensis, Dentoglobigerina langhiana, D.

larmeui, Globigerinoides altiaperturus, G. subquadra- tus, Globo-turborotalita woodi, Cassigerinella chipo- lensis, Globi-gerina aff. ciperoensis, Globorotalia peri- pheroronda, G. birnageae, Globoquadrina dehiscens;

per la Zona a G. conomiozea, oltre al taxon nominale, Globorotalia mediterranea, G. saheliana, G. suterae, G. menardii, Neo-globoquadrina acostaensis (sinistror- sa), N. gr. humerosa, Globigerinoides extremus, G. bol- lii, G. seigliei, Glo-boturborotalita nephenthes, Globigerinella pseudobesa, Sphaeroidinellopsis semi- nulina seminulina; per la Zona a S. heteromorphus, il taxon zonale, Coccolithus miopelagicus, C. pelagicus, Cyclicargolithus floridanus, Discoaster aulakos, D.

deflandrei, Helicosphaera ampli-aperta, H. kamptneri, Reticulofenestra spp., Spheno-lithus belemnos (limita- tamente alla parte più bassa della zona), S. moriformis;

per la Zona ad A. delicatus - A. amplificus, i taxa zona- li, A. primus, Calcidiscus leptoporus, C. macintyrei, Coccolithus pelagicus, Discoaster brouweri, D. penta- radiatus, D. quinqueramus, D. surculus, D. variabilis s.l., Helicosphaera carteri, Ponto-sphaera multipora, P. japonica, Reticulofenestra pseudoumbilica, Rhabdosphaera procera, Scyphosphaera spp., Spheno- lithus abies e Umbilicosphaera sibogae. Lo spessore limitato della Pietra leccese nelle due successioni (sui 17 m nel Pozzo Poggiardo e meno di 15 m nella sezio- ne di Palmariggi) a confronto del lungo arco temporale riconosciuto per l’unità (oltre 11 M.A.) è la prova tan- gibile dell’azione erosivo-dispersiva delle correnti e della conseguente riduzione dello spessore virtuale. A conferma di ciò le analisi effettuate hanno consentito di individuare alcune lacune sedimentarie (5 per il Pozzo Poggiardo, 2 per la sezione di Palmariggi), di determi- narne l’ubicazione e di valutarne l’estensione. Da quan- to è stato detto nel paragrafo precedente circa le forti

variazioni nello spessore della formazione nell’ambito dell’area studiata e perfino tra zone vicine, è altresì evi- dente una altrettanto elevata variabilità delle attività idrodinamiche nello spazio e nel tempo. A conferma di ciò le analisi effettuate hanno riscontrato lacune bio- stratigrafiche di numero ed ampiezza variabili fra le diverse località.

Per quanto riguarda l’ambiente di sedimentazione, nei numerosi campioni esaminati, compresi quelli basa- li e sommitali, le associazioni a foraminieri bentonici, tra l’altro quantitativamente subordinate a quelle planc- toniche, sono costantemente indicative della parte più profonda della piattaforma esterna. Concorrono a costi- tuirle, per gli intervalli stratigrafici di loro pertinenza, Anomalinoides helicinus, Bolivina arta, B. hebes, B.

reticulata, Bolivinoides miocenicus, Bulimina costata, B. echinata, B. minima, Burseolina calabra, Cassidulina cruysi, Cibicidoides pseudoungerianus, C.

ungerianus, Globocassidulina subglobosa, Gyroidina soldanii, Gyroidinoides altiformis, Heterolepa derto- nensis, Karreriella bradyi, Lenticulina spp., Liebusella rudis, Marginulina costata, M. hirsuta, Martinottiella communis, Melonis padanus, M. pompilioides, M. sol- danii, Neoeponides schreibersii, Oridorsalis stellatus, Planulina ariminensis, P. wuellestorphi, Siphonina pla- noconvexa, S. reticulata, Spiroplectammina carinata, Uvigerina barbatula, U. peregrina, U. rutila.

Indicazioni della zona neritica esterna sono fornite anche dalle ostracofaune per le quali si ricordano Argilloecia acuminata, Buntonia dertonensis, Bytho- cypris arcuata, Citerella confusa, Costa punctatissima, C. tricostata, Cytherella vulgata, C. inaequalis, C. van- denboldi, Cytheretta aff. semipunctata, Henryhowella asperrima, Neomonoceratina helvetica, Puricytheretta melitensis, Retibythere vandenboldi, Ruggieria micheli- niana, R. tetraptera, Xestoleberis prognata.

Nel contesto idrodinamico e batimetrico desunto per la Pietra leccese ben si addice anche la presenza e l’ab- bondanza di glauconite. Balenzano et al. (1994, 1997), che tra l’altro hanno studiato la glauconite della Pietra leccese, riportano infatti che le condizioni ottimali per lo sviluppo del minerale si riscontrano a profondità di 150-300 m, nelle aree a lento seppellimento dell’inter- faccia sedimento/acqua dovuto all’energia dinamica delle correnti di fondo. Questi dati si conciliano con quanto riportato da Amorosi (1997) che indica per il minerale una formazione a profondità variabili tra -50 e -500 m. Per quel che concerne il livello fosforitico di base della Pietra leccese e l’assenza di livelli, immedia- tamente soprastanti, indicativi di un’evoluzione batime- trica compatibile con la realizzazione di un ciclo sedi- mentario a partire dal livello di trasgressione, riteniamo possibile una spiegazione analoga a quella ipotizzata per l’area di Lèuca da Bossio et al. (2002). In sintesi, durante l’iniziale periodo di subsidenza nell’area si sarebbero alternate fasi di non deposizione e/o erosive e fasi di fosfatizzazione dei vari elementi al fondo pro- babilmente in regime di “upwelling” (per precisazioni in merito si rimanda al lavoro citato, pp. 109-111).

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Calcareniti di Andrano

La formazione è stata istituita da Martinis (1967a), che indicò come area-tipo quella tra Marittima e Tricase, in prossimità della costa Sud-orientale del Salento (e rica- dente nella parte meridionale della carta geologica alle- gata) e come stratotipo la successione miocenica esposta lungo la strada Andrano-Arenosa. I caratteri geologici ed in particolare quelli stratigrafici dell’area-tipo della for- mazione sono stati di recente oggetto di uno studio da parte di Bossio et al. (1994); in tale ricerca viene chiari- ta la distinzione tra Pietra leccese e Calcareniti di Andrano (con le quali si identifica il “Membro B” della

“Formazione di Montecavallo” di Alvino, 1966) e riba- dita la costante giacitura delle seconda unità sulla prima, documentata più volte dagli Autori insieme all’età mes- siniana e al carattere regressivo. Con le Calcareniti di Andrano, infatti, si chiude ovunque nel Salento la fase pre-evaporitica del Messiniano inferiore.

A stampa avvenuta del nostro rilevamento, Bosellini et al. (1999) e Bosellini et al. (2001) hanno scorporato dalle Calcareniti di Andrano i termini costituenti un comples- so di scogliera affiorante lungo il margine della Piattaforma Apula; rimandiamo quindi ai lavori citati per le caratteristiche litologiche e paleontologiche di questa unità che, nella nostra area, sarebbe presente solo all’e- stremità meridionale.

Caratteristiche

Delle due formazioni mioceniche, le Calcareniti di Andrano costituiscono l’unità che di gran lunga più ampiamente affiora, con lembi più o meno estesi da Nord a Sud. Se si esclude il piccolo affioramento isola- to nei pressi del Seno Acquaviva a Sud di Castro (sul quale torneremo per le peculiarità litologiche e paleon- tologiche e per il significato paleogeografico), che però non rappresenta la porzione iniziale dell’unità, le Calcareniti di Andrano giacciono ovunque sulla Pietra leccese (laddove nella carta geologica quest’ultima non figura a contatto delle prime, con l’eclusione natural- mente dei contatti di natura tettonica, è solo per l’im- possibilità di una sua rappresentazione cartografica), con la quale si trovano peraltro in concordanza ma spes- so non in continuità di sedimentazione. Infatti, per le ragioni idrodinamiche già viste, le Calcareniti di Andrano vengono spesso a giacere su livelli di età diversa della formazione precedente, talora addirittura sul suo livello fosforitico basale (ad esempio, in lunghi tratti della fascia costiera con inclusa la località della base dello stratotipo). Nelle successioni in cui la trans- izione tra Pietra leccese (con la sua facies glauconitica) e Calcareniti di Andrano è priva di hiatus, il passaggio tra le due unità è graduale ma molto rapido e si realizza nel giro di pochi centimetri (Fig. 5) per riduzione pro- gressiva della componente glauconitica ed incremento di quella carbonatica (es. nella sezione di Palmariggi).

Esso è inoltre marcato da una variazione delle associa- zioni fossilifere. Il contatto è invece brusco e netto nel

caso in cui le due tipologie sedimentarie siano separate da una superficie erosiva (es. nel Pozzo Poggiardo).

Gli affioramenti più estesi si presentano nell’area-tipo della formazione tra Marittima e Tricase. dove la poten- za (ovviamente in relazione, oltrechè alla copertura dei depositi successivi, all’azione erosiva dei cicli successi- vi e a quella subaerea delle interposte fasi di emersione) raggiunge i 50 m circa (Bossio et al., 1994). Valori pros- simi a questo sono comunque conservati anche in altre località, come ad esempio nell’area a Sud di Palmariggi (Bossio et al., 1991) e in quella ad Ovest di T.re S.

Emiliano (v. Sez. 3 della carta geologica allegata).

Si tratta di una successione di calcari (calcilutiti, bio- micriti, biospariti) e, soprattutto nel tratto inferiore, cal- cari marnosi, talora con livelli calcarenitici o oolitici.

Alle litofacies carbonatiche o carbonatico-marnose, talora molto tenaci talaltra friabili, alla base si alterna- no spesso livelli di pochi centimetri o, raramente, di alcuni decimetri di marne grigio-giallastre.

L’organizzazione è in strati ben distinti (Fig. 5-6), di spessore variabile dal centimetro ad oltre 1 m; i più ricorrenti sono però i comparti decimetrici. Il colore d’insieme è chiaro, dal bianco sporco al grigio e all’a- vana, con variazioni verso il giallo pallido, più raramen- te verso l’olivastro.

Caratteristica pressochè generale della formazione è la presenza di fossili, molto abbondanti in vari interval- li e specialmente in quello inferiore dove si riscontra una maggiore biodiversità. Ricorrentemente i fossili sono concentrati in lumachelle (Fig. 7), alle quali parte- cipano l’uno o l’altro (o più di uno) dei seguenti taxa:

Cardium, Modiola, Corbula, piccoli gasteropodi (soprattutto Cerithium), Anellidi. Possono comunque essere ben rappresentati anche Ostrea, Lutraria, Tellina, Chlamys, Venus, Turritella, echinidi, brachio- podi (Terebratula), briozoi, alghe verdi (Halimeda), alghe calcaree.

Il piccolo lembo del Seno Acquaviva, bisecato dalla strada litoranea, è invece costituito da brecce e conglo- merati monogenici, con evidente prevalenza dei secon- di sulle prime, che si “arrampicano” rapidamente sui calcari preneogenici per 7-8 m di altezza. I clasti, tutti calcarei e di colore biancastro, hanno dimensioni nel- l’insieme uniformi e comprese tra 2 e 5 cm, ma non mancano elementi più grandi, fino anche a qualche decimetro. La matrice è calcarenitico-marnosa e bian- castra; diffuse le plaghe calcareo-marnose e lenti di sab- bia grigio-chiara. Non sono stati osservati macrofossili.

Questo affioramento mostra una facies del tutto diversa da quella caratterizzante in generale le Calcareniti di Andrano; esso non ha nemmeno i caratteri dell’altra unità prevalentemente ciottolosa riconoscibile nel Salento, cioè la Formazione di Lèuca (v. più avanti). Ne conseguirebbe una separazione come unità a sè stante.

Per il momento, si è ritenuto opportuno considerare le brecce ed i conglomerati del Seno Acquaviva come una facies particolare delle Calcareniti di Andrano; fra l’al- tro, essi condividono età e significato paleoambientale con i livelli superiori di quest’ultime.

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Età e ambiente

Per questi obiettivi sono stati eseguiti esami micropa- leontologici di numerosi campioni, prelevati da altrettan- to numerose località; ovviamente quelli maggiormente indagati sono i livelli inferiori dell’unità, in quanto mar- nosi o comunque a maggior componente pelitica, e quin- di più favorevoli a questo tipo di indagine.

Il risultato analitico suggerisce che quanto già espres- so in precedenti pubblicazioni è, con qualche ulteriore precisazione, generalizzabile a tutta l’area cartografata.

In particolare è ben rilevabile che sia le associazioni a plancton calcareo (foraminiferi e nannofossili), sia quel- le bentoniche (foraminiferi ed ostracodi) sono più diver- sificate e ricche nei livelli inferiori e progressivamente si impoveriscono verso l’alto, con precoce scomparsa delle prime (in particolare dei foraminiferi).

Per quanto riguarda i foraminiferi planctonici, tra le forme più abbondanti dei livelli inferiori si ricordano, Globoturborotalita decoraperta, G. nepenthes, Turbo- rotalita quinqueloba, Globigerinoides gr. obliquus, G.

gr. quadrilobatus, G. bollii, G. gr. seigliei, Orbulina spp.

Tra le forme che comunque possono essere comuni si cita Globigerina bulloides, Globigerinella pseudobesa, Neogloboquadrina acostaensis (sinistrorsa), N. gr.

humerosa. Ai fini biostratigrafici fin dai livelli basali è documentabile la presenza di Globorotalia conomiozea, a cui si possono associare G. miotumida, G. mediterra- nea, G. saheliana e G. nicolae. Mentre la prima specie

obbliga ad un riferimento alla Zona a G. conomiozea, l’ultima consente di escludere da esso la parte basale della stessa (si veda Foresi et al., 2001 e le relative cita- zioni). Per i nannofossili si rilevano in genere presenze più continue e, talvolta, più consistenti di Calcidiscus leptoporus, C. macintyrei, Cyclolithella sp., Helico- sphaera carteri, Rhabdosphaera procera, Sphenolithus abies e Umbilicosphaera sibogae. Non vanno invece oltre un rinvenimento del tutto raro e sporadico gli altri taxa (Amaurolithus amplificus, A. delicatus, A. primus, Coccolithus pelagicus, Cricolithus jonesi, Discoaster brouweri, D. pentaradiatus, D. surculus, D. variabilis s.l., Pontosphaera japonica, Reticulofenestra pseudoum- bilica). La presenza dei primi due amauroliti, anche se decisamente saltuaria, non lascia dubbi circa l’attribu- zione delle associazioni a nannofossili alla Zona ad A.

delicatus - A. amplificus.

Dalle attribuzioni biostratigrafiche eseguite deriva che i livelli inferiori delle Calcareniti di Andrano sono di pertinenza del Messiniano inferiore (non basale) pre- evaporitico.

Nel Pozzo Poggiardo (Bossio et al., 1989a), dove la successione è stata campionata per circa 27 m, per i fora- miniferi planctonici si registra: un sensibile impoveri- mento sin da poco più di 5 m sopra la base; il cambia- mento da sinistrorsa a destrorsa della direzione di avvol- gimento di Neogloboquadrina acostaensis (e quindi il limite tra Zona a G. conomiozea e quella a Turborotalita quinqueloba) a circa 13 m sopra la base, pressochè con-

Fig. 5 - Passaggio biomicriti glauconitiche-Calcareniti di Andrano nell’area a Nord-Ovest di Porto Badisco, alcune centinaia di metri a Est della stra- da che da questa località sale verso Uggiano la Chiesa.

– Glauconitic biomicrites-Calcareniti di Andrano transition at NW of Porto Badisco, near Uggiano la Chiesa.

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temporaneo alla comparsa di T. multiloba; associazioni molto impoverite, oligotipiche, con abbondanti orbuline e piccoli foraminiferi indeterminabili tra 15 e 18 m dalla base; scomparsa dei foraminferi planctonici (e quindi il limite Zona a T. quinqueloba - Zona Sterile) a 18 m. Per le associazioni a nannofossili calcarei dello stesso pozzo si evidenzia il generale carattere di povertà, spesso di oligotipia, senza un preciso significato stratigrafico; da rilevare ancora la loro solita maggiore diversificazione specifica nel tratto iniziale della formazione e la loro assenza in quello terminale (Zona Sterile). Tra le forme di rinvenimento più continuo si ricordano Calcidiscus macintyrei, Helicosphaera carteri, Rhabdosphaera pro- cera, Sphenolithus abies e Umbilicosphaera sibogae.

Sono state comunque riscontrate situazioni alquanto diverse in termini di spessori. Ad esempio nella zona a Nord di M. Ferrari, a Ovest di Porto Badisco, le associa- zioni oligotipiche ad Orbulina sono presenti già a circa 3,50 m sopra la base della formazione e a 4 m il plancton a foraminiferi è già scomparso. Quindi è evidente che in un trend generalizzato di progressivo impoverimento del plancton calcareo si sovrappone l’influenza di situazioni locali. Se questa tendenza verso un impoverimento microfaunistico e floristico è nella norma in un regime di progressiva diminuzione batimetrica, come deriva dalle variazioni verticali delle associazioni bentoniche, la pre- senza di microfaune costituite soprattutto da eccezionali abbondanze di orbuline colloca il quadro paleogeografi- co dei carbonati salentini in un intervallo messiniano di evoluzione mediterranea verso condizioni nella massa d’acqua ed al fondo del tutto particolari, soprattutto per salinità ed ossigenazione. La tendenza verso una diminu- zione di profondità in regime di deterioramento ambien- tale è ben avvertibile anche dalle associazioni bentoni- che. Quello che in merito a ciò abbiamo già espresso nel lavoro relativo al Pozzo Poggiardo (Bossio et al., 1989a) è stato confermato dalle successive campionature. In sin- tesi, le associazioni a foraminiferi bentonici e ad ostra- codi dei livelli inferiori sono le più diversificate, in ragione della loro appartenenza ad un contesto ambien- tale in prossimità del limite tra le zone nerica esterna ed

interna, grazie ad una rapida diminuzione batimetrica nel passaggio dalle sottostanti biomicriti glauconitiche. Tra i taxa che caratterizzano queste associazioni, composte da elementi ad habitat più e meno profondo, si ricordano Ammonia beccarii, Asterigerinata planorbis, Bolivina spp. (apenninica, dentellata, leonardii, punctata), Bulimina spp. (echinata, costata), Burseolina calabra, Cassidulina cruysi, Cancris auriculus, Cibicides lobatu- lus, C. refulgens, Cibicidoides pseudoungerianus, Cri- broelphidium decipiens, Elphidium crispum, E. compla- natum, Eponides repandus, Florilus boueanus, Globo- bulimina affinis, G. pyrula, Globocassidulina subglobo- sa, Gypsina vesicularis, Gyroidinoides altiformis, Gyroidina soldanii, Liebusella rudis, Martinottiella communis, Marginulina costata, Mississippina concen- trica, Melonis padanus, M. soldanii, Neoconorbina ter- quemi, N. williamsonii, Oridorsalis stellatus, Pla- norbulina mediterranensis, Protelphidium granosum, Reussella spinulosa, Rosalina globularis, Spiro- plectammina carinata, Uvigerina peregrina, U. rutila, per i foraminiferi. Per gli ostracodi prendono parte alle associazioni dei livelli inferiori Acantocythereis histrix, Aurila convexa, A. freudenthali, A. gr. convexa, A. phi- lippi, Bairdia aff. longevaginata, Callistocytere pallida, C. antoniettae, C. assueta, C. joachinoi, Carinocythereis galilea, Celtia quadridentata, Cytherella aff. vulgata, Cytheridea neapolitana, Eucytherura complexa, E. rus- soi, Grinioneis haidingeri, Heliocythere magnei, Hiltermannicythere aff. rubra, Keijella lucida, Lepto- cythere sanmarinensis, L. tenuis, Loxoconcha agilis, L.

cristatissima, L. rhomboidea, L. variesculpta, Neo- cytherideis fasciata, Nonurocythereis semilunum, Olimfalunia sicula, Pachicaudites ungeri, Para- cytheridea bovettensis, P. triquetra, Pokornyella devians, P. italica, Ruggieria tetraptera, Semicytherura inversa, S. raulini, Xestoleberis dispar, X. plana, X. rey- menti.

A pochi metri dalla base le associazioni perdono le loro componenti più profonde, mentre alcune di quelle più costiere aumentano la loro rappresentanza quantita- tiva, a significare una apprezzabile diminuzione batime- trica. Ad altezza variabile nella formazione (ad esempio,

Fig. 6 - Affioramento di Calcareniti di Andrano nella zona Sud-Ovest di Marina Porto, lungo la strada che da Tricase scende al mare.

– Calcareniti di Andranno formation in the southwestern area of Marina Porto.

Fig. 7 - Lumachelle a Cardium nelle Calcareniti di Andrano dell’area di Vitigliano.

– Concentration of Cardium in the Calcareniti di Andrano outcrop- ping near Vitigliano.

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