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Audizione ANCI. Documento di economia e finanza 2017

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Audizione ANCI

sul

“Documento di economia e finanza 2017”

Commissioni Bilancio Camera e Senato in seduta congiunta

Roma 18 aprile 2017

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Sommario

Introduzione e sintesi ... 3

Analisi e tendenze della finanza pubblica locale ... 8

Il peso del Fondo crediti di dubbia esigibilità ... 8

Un’analisi della ripresa degli investimenti comunali ... 10

Il raggiungimento degli obiettivi di saldo di competenza e l’overshooting ... 14

Stabilizzazione delle regole di finanza pubblica: opportunità e criticità ... 16

Nuovo impianto sanzionatorio e flessibilità del saldo ... 17

Esigenze di adeguamento dei principi contabili ... 17

Le entrate comunali: riforme mancate e perdita di autonomia ... 19

La riorganizzazione del sistema fiscale ... 19

Imposta di soggiorno ... 20

Il Fondo di solidarietà 2017 e la quota perequativa ... 21

Sentenze giurisdizionali sugli interventi di determinazione e riparto delle risorse comunali ... 21

Le Città Metropolitane ... 23

Dissesto e predissesto ... 24

Welfare e misure per il contrasto alla povertà ... 25

Sviluppo sostenibile, energia, tpl e infrastrutture ... 27

Sicurezza ... 29

Coesione, riequilibrio territoriale e Mezzogiorno ... 30

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Introduzione e sintesi

L’ANCI esprime un complessivo apprezzamento circa le principali linee di azione individuate con il Documento di economia e finanza 2017, volte a consolidare i segnali di ripresa dell’economia italiana avviandola verso uno stabile percorso di sviluppo, comunque nel rispetto della tenuta dei conti pubblici e a fronte dei rischi di instabilità provenienti dal quadro geo-politico e macroeconomico internazionale. In tale prospettiva devono essere positivamente valutate le politiche a sostegno degli investimenti, pubblici e privati, per il contrasto all’evasione fiscale e alla razionalizzazione della spesa pubblica.

Si tratta di obiettivi cruciali per la crescita del paese e per la stabilizzazione strutturale della finanza pubblica, al cui perseguimento il comparto comunale ha già responsabilmente contribuito negli anni più duri della crisi, mentre oggi si candida a mantenere un ruolo centrale nella fase di rilancio economico in particolare sotto il profilo della stabile ripresa degli investimenti pubblici.

Questa funzione si deve poter realizzare in un contesto di maggiore solidità finanziaria così da assicurare l’ordinato svolgimento delle funzioni fondamentali nonché l’erogazione dei servizi essenziali, messi a dura prova per fasce non trascurabili di enti dalle politiche finanziarie restrittive del quinquennio 2011-2015.

Il DEF 2017 conferma il cambio di rotta già avviato dal 2016 che ha portato ad una progressiva stabilizzazione dei meccanismi di regolazione del rapporto tra Stato ed enti locali ed alla chiusura di una lunga stagione di riduzione delle risorse disponibili.

E’ comunque doveroso sottolineare l’entità dello sforzo richiesto ai Comuni nel periodo 2011-2015, pari ad oltre 9 miliardi di euro di tagli alle risorse cui si sono aggiunti i maggiori vincoli di finanza pubblica. Gli effetti di tali interventi, molto differenziati a seconda delle caratteristiche degli enti, condizionano inevitabilmente il loro pieno coinvolgimento nell’attuazione di politiche di crescita economica e di sviluppo territoriale.

Le manovre sui Comuni 2010-2016. Importi in milioni di euro

2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Cumulato

2010-2016

Manovra (*) 3.009,3 5.185,9 3.160,7 43,8 850,5 -902,1 11.348,0

di cui Patto e nuova contabilità dal 2015 345,1 1.509,3 1.522,3 1.261,3 -448,5 -637,3 -902,1 2.304,9

di cui taglio trasferimenti erariali 1.500,0 3.663,6 1.899,4 492,3 1.487,8 0,0 9.043,1

"Costi della politica" 118,0 118,0

taglio D.L. 78/2010 1.500,0 1.000,0 2.500,0

taglio D.L. 201/2011 1.450,0 1.450,0

taglio D.L. 95/2012 95,6 2.154,4 250,0 100,0 2.600,0

taglio D.L. 66/2014 375,6 187,8 563,4

taglio L. Stab. 2015 1.200,0 1.200,0

taglio da revisione IMU cat. D 170,7 170,7

taglio occulto ICI /IMU 1.000,0 -255,0 -304,0 441,0

(*) Effetto netto incrementale

Fonte: Elaborazioni IFEL su dati Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze

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Il contributo richiesto per il risanamento dei conti pubblici, gli effetti restrittivi della nuova contabilità, il congelamento della manovrabilità della leva tributaria locale ed il concomitante avvio della perequazione, hanno concorso ad una forte compressione dell’autonomia politico-amministrativa dei Comuni ed hanno altresì richiesto uno sforzo eccezionale, tuttora in atto, per l’adeguamento ai nuovi paradigmi. Preme in proposito evidenziare che, pur in assenza di ulteriori tagli alle risorse, la stretta di parte corrente sta continuando a manifestarsi per effetto dell’armonizzazione contabile, dovuta in particolare al progressivo adeguamento dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE), per diverse centinaia di milioni annui fino al 2019. Gli accantonamenti al FCDE e agli altri fondi rischi previsti dalla normativa ammontano a fine 2016 a circa 3,5 miliardi di euro, con impatti molto differenziati per le diverse fasce di enti.

Entrate e spese comunali tra il 2015 e il 2016 - Importi in mld. di euro

2015 2016 Var. %

Entrate - Accertamenti correnti 56,5 55,7 -1,4%

Spese - Impegni correnti 51,1 50,1 -2,1%

Accantonamenti correnti FCDE e altri Fondi rischi 2,5 3,5 40,5%

Investimenti fissi lordi - Impegni 10,9 11,6 7,0%

Stock debito 41,7 40,4 -3,1%

Fonte: elaborazioni IFEL su dati RGS e Banca d’Italia

La stretta recata dalle nuove regole contabili è ben visibile nell’andamento delle spese (- 2,1%) e nella marcata crescita degli accantonamenti di cui è principale componente il FCDE (+1 mld. in un anno), mentre il blocco della leva fiscale contribuisce alla stagnazione delle entrate correnti che si riducono di un -1,4%. Su queste basi, L’ANCI ritiene che debba essere nettamente esclusa una ulteriore fase di spending review che comporti ulteriori compressioni delle risorse correnti dei Comuni.

Sul versante della fiscalità comunale, desta preoccupazione che anche nel DEF 2017 sia stato accantonato il tema della razionalizzazione e del riordino dei prelievi locali, con l’ipotesi di una revisione dei tributi a base immobiliare (IMU e Tasi), eventualmente estesa anche ad altri tributi minori, mentre rischiano di perpetuarsi il blocco della manovrabilità delle aliquote dei tributi propri e la trasformazione in trasferimenti statali compensativi dei gettiti aboliti per oltre 4,5 miliardi di euro, tutti elementi che contribuiscono ad un ulteriore irrigidimento della gestione finanziaria, compromettendo i principi di autonomia e responsabilità che erano alla base della legge delega sul federalismo fiscale (L. 42/2009).

Deve essere sottolineata l’oggettiva contraddizione tra l’ampliamento della perequazione e qualsiasi ipotesi di mantenimento del blocco della leva fiscale, giunto ormai al secondo anno. Da un lato, infatti, il blocco colpisce in misura più incisiva i Comuni di piccole e medie dimensioni, che hanno negli anni mantenuto livelli di tassazione relativamente meno elevati. Il previsto passaggio della quota di risorse perequata dal 40% del 2017 al 55% nel 2018 costituirebbe un fattore di crisi per molti di questi enti.

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Appare evidente che in assenza di un più ampio intervento di riordino e di rispristino dell’autonomia tributaria, anche la perequazione debba segnare una pausa fino alla definizione di un nuovo quadro.

La crisi ha inoltre svelato inedite criticità che accentuano il quadro di estrema rigidità dei bilanci comunali, che ostacola la ripresa degli investimenti in un quadro di regole oggi invece decisamente più favorevole. Basti pensare al peso che il debito continua a rappresentare sul complesso delle spese comunali, nonostante la progressiva riduzione dello stock complessivo.

Se l’obiettivo di contenere l’indebitamento delle amministrazioni pubbliche deve essere perseguito con tenacia, deve tuttavia tenere conto che il debito comunale (meno del 2% rispetto a quello dell’intera PA) produce sui bilanci comunali effetti molto consistenti. L’incidenza media del debito (restituzioni e interessi) sulle spese correnti comunali è del 12%, con punte che superano il 25%, e risulta particolarmente gravosa per gli enti di minor taglia demografica. I Comuni hanno beneficiato solo in minima parte dell’attuale lunga fase di bassi tassi interesse e si trovano a sostenere forti oneri di servizio del debito non più coerenti con gli attuali valori di mercato. Il DEF prevede una ulteriore e progressiva riduzione, in valore assoluto, dello stock di debito delle amministrazioni locali senza entrare nel merito di strumenti per una sua necessaria ristrutturazione. Su questo tema l’ANCI ha chiesto un confronto di ampio respiro, che tenga conto delle proposte formulate dall’Associazione, al fine di coniugare le esigenze di risanamento con quelle di ristrutturazione del debito comunale.

Non devono essere altresì sottovalutati gli oneri che la crisi pone a carico dei comuni in via indiretta. Ne sono testimonianza le difficoltà che molti enti riscontrano nell’affidamento del servizio di tesoreria, manifestatesi con il fenomeno delle c.d. “gare deserte”. Il tema ha certamente origini multifattoriali, ma affonda le sue radici nella centralizzazione delle tesorerie e nella sospensione del passaggio alla tesoreria mista decisa nel 2014. È necessario trovare soluzioni con l’intervento di tutti gli attori coinvolti, per evitare un ulteriore motivo di crisi della gestione finanziaria degli enti locali.

Pur in un quadro segnato dalle fragilità sommariamente menzionate, già dal 2015 si registrano sensibili segnali di ripresa della spesa locale destinata agli investimenti che, nell’ottica del percorso delineato dal DEF, può e deve essere ulteriormente sostenuta. In tale prospettiva vanno accolte con favore le misure che favoriscono un più fluido ricorso agli avanzi di amministrazione, garantendo significativi spazi di manovra aggiuntivi, in particolare a sostegno di interventi ritenuti di interesse nazionale, quali l’edilizia scolastica e la prevenzione dei rischi sismici ed idrogeologici, nonché la messa in sicurezza del territorio. Va altresì nella giusta direzione l’interesse rivolto al rafforzamento della capacità di progettazione degli enti locali, che dovrebbe essere sostenuta attraverso la costituzione di organismi centrali in grado di assicurare il pieno utilizzo delle risorse, l’applicazione del codice degli appalti – sul quale si sta opportunamente intervenendo per assicurare maggior flessibilità alle nuove procedure – e gli strumenti di partenariato pubblico-privato.

Rimangono altresì sfumati i contorni di due importanti esigenze di intervento che sono intimamente legati a qualsiasi ipotesi di riassetto delle risorse comunali: la revisione

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degli estimi catastali e la riforma della riscossione locale. La riforma del catasto rileva sia sotto il profilo dell’equità fiscale sia sul versante della corretta ripartizione delle risorse tra enti locali delle diverse aree del Paese. La previsione contenuta nel DEF di ulteriori avanzamenti nel completamento delle basi dati catastali dovrebbe accompagnarsi, ad avviso dell’ANCI, con la ripresa della concertazione delle modalità attuative della riforma del catasto, che può essere progressivamente attuata senza aumenti della pressione fiscale sugli immobili con il coinvolgimento attivo dei Comuni italiani.

Il riassetto della riscossione locale ha assunto maggiore rilevanza anche a seguito dell’importanza dell’indicatore della “capacità di riscossione” quale determinante essenziale per gli equilibri di bilancio e per il mantenimento delle autonome capacità di spesa dei Comuni a fronte dell’introduzione del Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE). La dimensione delle mancate riscossioni produce infatti in modo diretto un accantonamento corrispondente di risorse che impedisce di impegnare spese non sostenute da una prospettiva di sollecita realizzazione delle risorse locali. Va segnalato, come meglio dettagliato in un successivo paragrafo, che il comparto comunale è quello che – per le caratteristiche delle proprie entrate – è più esposto di altri agli effetti del FCDE il cui ammontare per il 2016 ammonta a oltre 3 miliardi di euro.

Il recente intervento di trasformazione di Equitalia (dl n. 193 del 2016) rappresenta un primo passo verso un assetto auspicabilmente più maturo, ma non risolve le attuali inefficienze che ostacolano il conseguimento degli obiettivi di compliance e di semplificazione più volte richiamati nel DEF. È tuttora necessario attivare misure ordinamentali e di riorganizzazione della riscossione locale, in grado di delineare un sistema efficiente ed economicamente sostenibile, inquadrando la riscossione coattiva dei crediti tributari e patrimoniali dei Comuni nell’ambito della filiera della riscossione di somme strutturalmente di minore entità unitaria rispetto alle entrate erariali e nel quadro di più generali obiettivi di compliance fiscale che devono essere opportunamente declinati anche sul versante delle entrate locali.

La sofferenza non solo finanziaria in cui versano le Città metropolitane viene delineata in un apposito paragrafo, Preme qui evidenziare che le scelte dei decisori devono al più presto sciogliere nodi fondamentali di tipo ordinamentale prima ancora che finanziario. Il destino dei nuovi enti deve riflettere il ruolo di motore dell’innovazione e dello sviluppo di aree cruciali per l’intera economia nazionale, attraverso scelte che definiscano un “nuovo inizio”, facendo tabula rasa dell’attuale intrico di contributi e prelievi eredità della stretta imposta all’intero comparto delle aree vaste, e fissando le funzioni operative e strategiche in modo univoco sulla base di congrue risorse proprie e derivate.

Per quanto riguarda la le misure a sostegno della ricostruzione dopo il sisma che ha ripetutamente colpito il Centro Italia, preme qui segnalare i positivi contenuti di riduzione della imposizione fiscale nelle aree coinvolte dal sisma con l’introduzione di una ZFU Zona Franca Urbana, attesa con il decreto legge di prossima emanazione. Va sottolineato che questa potrebbe rivelarsi elemento propulsivo per una zona economica speciale (ZES / Special Economic Zone) quale realtà geografica dotata di una legislazione economica differente dalla legislazione generale sulle attività economiche. Le zone economiche speciali, volute fortemente dall’Unione Europea, sono caratterizzate da una

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propria legislazione di vantaggio riferita alla fiscalità locale, in modo da attrarre maggiori investimenti stranieri e quindi arginare il fenomeno dello spopolamento e della vivibilità nei territori montani o aree svantaggiate, come le aree fortemente danneggiate dagli eventi sismici nelle regioni Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria. Si propone, in particolare, la realizzazione di una Zona Economica Speciale per attività legate alla promozione della green economy di cui alle legge n. 221/2015.

Il DEF riprende, nell’ambito del Programma nazionale di riforme (PNR) le esigenze di semplificazione più volte affermate ma non ancora concretizzate in adeguate misure con riferimento ai vincoli normativi ed agli adempimenti contabili cui i Comuni sono sottoposti. L’ANCI ribadisce che l'impegno per la semplificazione e per l'abbattimento delle ridondanze nelle richieste di informazioni provenienti dalle strutture amministrative centrali e da organi di controllo, giurisdizionali e non, costituisce un interesse di primaria importanza per gli enti locali. La semplificazione è un fattore di sostenibilità economico-organizzativa nella gestione dei Comuni, già fortemente gravati da rilevanti tagli degli ultimi anni e da carenza di ricambio generazionale, criticità queste sempre più diffuse e che risultano ulteriormente accentuate per i Comuni di piccole dimensioni, che rappresentano oltre il 70% del comparto. Il tema, che pure ha registrato ampia convergenza sugli obiettivi, non ha ancora prodotto uno sbocco normativo all’altezza delle attese. In questo senso, ANCI ritiene che occorra definire in occasione della Legge di bilancio 2018 un intervento organico sul sistema di regolazione degli enti locali, basato su principi di semplificazione, responsabilità ed autonomia finanziaria e organizzativa e sull’abbattimento dei vincoli burocratici che tuttora gravano sul settore.

L’introduzione nel 2016 della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP) può rappresentare lo strumento per la rapida e fattiva riduzione delle richieste di informazioni contabili, al quale tutti i soggetti istituzionali possono fare riferimento e sul quale incardinare in modo prudente e adeguatamente ponderato ogni ulteriore richiesta informativa. Infatti, tale nuovo strumento, nato con l’obiettivo dichiarato di rispondere all’esigenza di ridurre gli adempimenti a carico degli enti (che sono tenuti a trasmettere gli schemi di bilancio ed i dati contabili analitici, comprensivi del piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio di previsione, rendicontazione e consolidamento), assolvendo nel contempo all’obbligo di trasmissione dei rendiconti alla Corte dei conti, risponde sicuramente alla necessità avvertita dal comparto dei Comuni.

Preme a tal fine osservare come l’invio del bilancio di previsione 2016-2018, pur non essendo sanzionato, abbia registrato la più elevata percentuale di adempimento da parte del comparto dei Comuni, il 78,32%, a fronte del 60% rilevato per le Regioni e province autonome e il 73,9% delle province. L’Anci auspica pertanto che la BDAP diventi al più presto l’unico strumento per l’invio di comunicazioni contabili, prevedendo la soppressione di tutti gli ulteriori adempimenti contabili attualmente ancora previsti.

In materia di gravosità dei nuovi adempimenti, vanno sottolineate le gravi difficoltà che investono gli enti alle prese con l’avvio della contabilità economico-patrimoniale, che comporta impegni straordinari spesso non assistiti dalla disponibilità di programmi informatici, per i diffusi ritardi nell'adeguamento dei software da parte dei principali fornitori. Pertanto, per assicurare le condizioni per la presentazione degli ulteriori

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documenti contabili previsti in occasione del rendiconto 2016, Anci ritiene auspicabile un intervento responsabile e tempestivo, attraverso la proroga di un anno degli obblighi di tenuta della contabilità economico-patrimoniale o – in alternativa, il differimento alla fine di settembre di tali obblighi, in corrispondenza della prima formulazione del bilancio consolidato, di cui la contabilità economico-patrimoniale costituisce necessario presupposto. Si darebbe così modo al sistema locale di provvedere ai nuovi quadri contabili in modo ordinato e consapevole.

Infine, merita un cenno la rilevanza economica di alcuni aspetti riguardanti il personale degli enti locali, su cui ci attendiamo anzitutto una maggior flessibilità di copertura del turnover dopo anni di forte contrazione e di mancato ricambio generazionale. Desta preoccupazione, però, l’impatto economico dei rinnovi contrattuali, come in parte già definiti dal DPCM del 27 febbraio scorso, a cui si aggiungeranno quelli che dovranno essere stanziati in attuazione dell’accordo governo-sindacati del novembre 2016 (gli “ 85 euro medi pro-capite a regime”- seconda tabella del documento) che viene richiamato nel DEF senza alcuna previsione di specifiche risorse aggiuntive. Le previsioni di maggior aggravio per i Comuni, che il nuovo DPCM riconosce come aggiuntive rispetto all’indennità di vacanza contrattuale, sono di seguito riportate:

- 52,1 mln. per il 2016 - 157,9 mln. per il 2017 - 209,9 mln. per il 2018 - 564,3 mln. a regime

Per quanto riguarda la riforma lavoro pubblico preme ricordare che l’ANCI ha espresso un parere favorevole allo schema di decreto attuativo dell’art. 17 della legge n. 124 del 2015, relativo alle modifiche al c.d. Testo unico sul pubblico impiego. In particolare si è rilevata l’esigenza di introdurre modifiche più significative alla disciplina del salario accessorio e dei relativi fondi, soprattutto in un’ottica di semplificazione e razionalizzazione.

Analisi e tendenze della finanza pubblica locale

Sulla base dei dati di monitoraggio del saldo di competenza è oggi possibile abbozzare un’analisi dell’andamento delle principali grandezze finanziarie che caratterizzano i risvolti quantitativi di maggior rilievo della riforma contabile: l’incidenza degli accantonamenti al Fondo crediti di dubbia esigibilità e le tendenze degli investimenti.

Come vedremo, le innovazioni nella contabilità rendono necessari adeguamenti nell’approccio ai dati che non sempre sono considerati dai principali commentatori.

Il peso del Fondo crediti di dubbia esigibilità

Uno dei principali esiti della riforma contabile è certamente rappresentato dall’obbligo di costituzione di un fondo che sterilizza le quote di entrate accertate di cui non è certa la sollecita riscossione. Questo meccanismo abbatte le capacità di spesa degli enti in

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misura direttamente proporzionale alla percentuale di mancata riscossione delle entrate proprie, calcolata sui dati del quinquennio precedente.

Al fine di evitare un impatto troppo brusco del nuovo fondo, favorendo così la sostenibilità dell’intera riforma della contabilità, la legge di stabilità per il 2015 e successivi provvedimenti hanno permesso un graduale raggiungimento del pieno ammontare dell’accantonamento, sia in previsione che a consuntivo: dal 36% del 2015 (55% per gli enti già sperimentatori della riforma) al 100% nel 2019. L’ammontare complessivo degli accantonamenti (FCDE e altri fondi rischi) è pari a fine 2016 a circa 3,5 miliardi di euro, di cui circa 3 miliardi per il solo FCDE.

Va osservato che il disallineamento tra accertamenti e riscossioni è un fenomeno che caratterizza le entrate comunali in modo molto più incisivo rispetto agli altri comparti della Pubblica amministrazione. Il peso del FCDE incide quindi in modo più intenso sui Comuni che sono ora costretti ad un più severo ridimensionamento dei propri bilanci.

A fronte di una valore medio nazionale procapite di 51 euro, la Toscana, il Lazio e tre regioni del Sud-Isole (Campania, Calabria e Sicilia) mostrano valori medi significativamente superiori (tra i 61 e gli 81 euro), mentre i procapite di ciascuna area territoriale sono quasi sempre crescenti al crescere della fascia di popolazione.

FCDE 2016. Tabella di riepilogo per fascia demografica, regione. Valori assoluti (mln. €) e procapite (€)

REGIONE

1 - FINO A

1.000 2 - DA 1.001 A 5.000

3 - DA 5.001 A 10.000

4 - DA 10.001 A 20.000

5 - DA 20.001 A 60.000

6 - DA 60.001 A 100.000

7 - DA 100.001 A 250.000

8 - OLTRE

250.000 TOTALE Val.% per

Regione

Procapite Regione

PIEMONTE 7,0 17,0 11,0 14,2 36,8 6,7 5,2 35,3 133,1 4,5% 30 LOMBARDIA 3,7 32,0 36,0 42,3 54,5 32,5 27,9 184,0 412,9 13,9% 41 VENETO 0,4 10,3 14,7 21,8 28,9 4,9 25,1 29,7 135,7 4,6% 28 LIGURIA 1,9 6,6 11,2 8,6 11,0 3,9 - 35,4 78,6 2,7% 50 EMILIA-ROMAGNA 0,2 8,9 18,4 26,5 29,3 8,5 51,5 33,6 176,8 6,0% 40 TOSCANA 0,8 15,1 18,3 42,6 57,0 56,6 31,1 31,6 253,0 8,5% 68 UMBRIA 0,1 3,8 3,7 4,1 6,7 - 8,9 - 27,3 0,9% 31 MARCHE 0,3 5,1 6,6 8,9 26,4 5,9 3,1 - 56,3 1,9% 36 LAZIO 1,4 13,3 19,0 29,3 76,7 36,4 6,1 294,4 476,5 16,1% 81 ABRUZZO 3,1 7,5 5,0 9,1 25,6 2,1 5,9 - 58,3 2,0% 44 MOLISE 1,2 2,2 1,4 0,6 4,6 - - - 10,0 0,3% 32 CAMPANIA 2,1 19,7 24,2 43,6 131,1 54,8 23,5 133,7 432,7 14,6% 74 PUGLIA 0,3 7,8 12,0 24,2 42,9 11,9 26,2 28,1 153,3 5,2% 38 BASILICATA 0,3 2,9 2,8 3,1 - 14,8 - - 24,0 0,8% 42 CALABRIA 2,1 28,8 28,0 20,3 17,6 17,6 26,9 - 141,3 4,8% 72 SICILIA 1,3 21,9 25,3 37,3 91,9 27,7 19,3 86,4 311,1 10,5% 61 SARDEGNA 2,3 16,5 10,9 8,7 21,2 7,3 16,8 - 83,6 2,8% 50

ITALIA 28,3 219,3 248,4 345,1 662,1 291,7 277,5 892,2 2.964,7 100,0% 51

NORD 13,2 74,8 91,3 113,4 160,4 56,5 109,6 317,9 937,2 31,6% 37

CENTRO 2,5 37,3 47,5 84,8 166,9 98,9 49,2 326,0 813,1 27,4% 67

SUD E ISOLE 12,6 107,2 109,6 146,9 334,9 136,3 118,7 248,2 1.214,4 41,0% 58

Procapite (euro)

ITALIA 29 27 31 37 49 67 60 96 51

NORD 24 18 21 25 35 43 53 85 37

CENTRO 25 33 42 53 59 84 58 100 67

SUD E ISOLE 39 37 44 44 56 74 72 108 58

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L’analisi dell’accantonamento a FCDE riportato nel monitoraggio del saldo di competenza 2016 mostra una distribuzione molto difforme. Un numero relativamente ristretto di enti (circa 1.300), concentrati tra le città medie e grandi e nel centro-sud del Paese, registra accantonamenti complessivi per oltre i due terzi del totale (2.100mln. di euro). Si tratta di enti mediamente più grandi e mediamente più concentrati nelle aree centro-meridionali.

Distinguendo tra i Comuni sopra e sotto la media di area territoriale, si evidenzia infatti che il valore procapite medio del FCDE dei 1300 enti superiore al valore della rispettiva ripartizione territoriale (“sopra media”), sale a ben 93 euro con punte di alcune centinaia.

Sotto questo profilo, anche regioni come la Liguria, mediamente meno coinvolte, vedono il 37% dei Comuni “sopra media”. Ad eccezione di tre regioni (Umbria, Marche e Basilicata) nelle quali i Comuni con FCDE “sopra media” non supera il 5%, in tutte le altre regioni i Comuni coinvolti sono una significativa minoranza (tra il 12 e il 37%). In quasi tutte le fasce demografiche il valore procapite del FCDE oscilla intorno alla media nazionale di 93 euro, con punte di 103 euro (nella fascia 1000-5000 abitanti degli enti

“sopra media”) e il minimo di 75 euro tra gli enti della fascia 100-250mila abitanti.

La concentrazione del fenomeno su un numero di enti relativamente ristretto, ma ampiamente distribuito su tutti i territori e su tutte le dimensioni deve portare ad una riflessione circa la sostenibilità del percorso di adeguamento al 100%

dell’accantonamento attualmente previsto per il 2019.

Un’analisi della ripresa degli investimenti comunali

Negli anni del Patto di stabilità interno si è verificata una pesante contrazione degli investimenti comunali, non solo sul versante della cassa per effetto della cosiddetta

“competenza mista”, ma anche sul fronte degli impegni (-23% nel periodo 2010-2014). Se i ritardi nei pagamenti alle aziende costruttrici ha generato gravi criticità economiche sul territorio – rimane celebre lo slogan dell’Ance “Prima si moriva per debiti, ora per crediti” – la flessione degli impegni riflette il principale malessere vissuto in quegli anni da amministratori e operatori locali, vale a dire la rinuncia più o meno forzata alla progettazione di opere pubbliche sul territorio, sia per l’imposizione di vincoli di bilancio sempre più stringenti sia per l’acuirsi delle difficoltà nel programmare sul piano finanziario in un’ottica pluriennale.

Nel 2015 si registra però l’avvio di una positiva inversione di tendenza (+14% circa), piuttosto debole nel Centro-Nord del Paese, ben più robusta nel Mezzogiorno, dove ha agito in misura consistente l’effetto delle code di rendicontazione dei fondi comunitari riferiti al ciclo 2007-2013. Seppur parziali e provvisori, i dati attualmente disponibili sembrano consolidare nel 2016 la ripresa degli investimenti comunali (+7% rispetto al 2015). Tale indicazione si ricava dal confronto tra le informazioni desunte dai Certificati consuntivi di bilancio 2015 e i dati del Monitoraggio saldo finale di competenza comunicati alla Ragioneria Generale dello Stato al 31 marzo scorso, utilizzando come proxy degli investimenti fissi lordi 2016 l’85% circa degli impegni in conto capitale complessivamente assunti nell’anno di riferimento, sulla base delle evidenze empiriche dedotte dai precedenti esercizi finanziari.

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ANDAMENTO DEGLI INVESTIMENTI FISSI LORDI COMUNALI Impegni in miliardi di euro. Anni 2010-2016

Fonte: elaborazione IFEL su dati CCCB 2015 e monitoraggio saldo di competenza 2016

Contrariamente a quanto accaduto nell’anno precedente, nel 2016 la crescita degli investimenti appare più diffusa sul territorio, investendo – pur con differente intensità – le diverse aree geografiche del Paese e quasi tutte le fasce demografiche del comparto. In particolare, molto incoraggiante appare il dato del Nord (+9%) e ancora più il salto del Centro (+24%, accentuato dall’elevato valore apportato da Roma Capitale). Anche il risultato del Sud (+1%) va inteso positivamente, dovendosi valorizzare la conferma dell’ottima performance dell’anno precedente, pur venendo meno l’effetto degli elementi contingenti dovuti alla programmazione comunitaria.

SPESE IN CONTO CAPITALE DEI COMUNI (ESCLUSE LE REGIONI A STATUTO SPECIALE DEL NORD) Impegni in migliaia di euro. Anni 2015 e 2016

Fonte: elaborazione IFEL su dati CCCB 2015 e monitoraggio saldo di competenza 2016

AMBITO ANNO 2015 ANNO 2016 VARIAZIONE 2016-2015

TERRITORIALE v.a. % v.a. % v.a. %

ITALIA 12.732.527 100% 13.574.025 100% 841.498 7%

PER AREA GEOGRAFICA

NORD 3.767.984 30% 4.113.564 30% 345.580 9%

CENTRO 1.836.636 14% 2.277.099 17% 440.463 24%

SUD E ISOLE 7.127.908 56% 7.183.362 53% 55.455 1%

PER CLASSE DEMOGRAFICA

1 - FINO A 1.000 825.779 6% 867.547 6% 41.767 5%

2 - DA 1.001 A 5.000 2.853.914 22% 3.001.922 22% 148.008 5%

3 - DA 5.001 A 10.000 1.404.325 11% 1.671.706 12% 267.381 19%

4 - DA 10.001 A 20.000 1.389.621 11% 1.521.305 11% 131.683 9%

5 - DA 20.001 A 60.000 1.976.586 16% 2.142.008 16% 165.422 8%

6 - DA 60.001 A 100.000 1.755.906 14% 1.723.092 13% -32.815 -2%

7 - DA 100.001 A 250.000 744.629 6% 799.105 6% 54.476 7%

8 - OLTRE 250.000 1.781.766 14% 1.847.341 14% 65.575 4%

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Alla luce degli andamenti evidenziati appare opportuno formulare due linee di riflessione.

In primo luogo, seppur contrassegnati da un certo grado di provvisorietà, occorre evidenziare che i dati di competenza riportati segnalano una significativa deviazione rispetto alle indicazioni di cassa desunte dal sistema SIOPE, che costituisce la base informativa più utilizzata per delineare gli andamenti tendenziali dei sottosettori della Pubblica amministrazione. Si corre pertanto un serio rischio di alimentare i decisori pubblici con elementi conoscitivi inadeguati rispetto al nuovo assetto della contabilità pubblica, favorendo valutazioni erratiche circa la performance dei singoli comparti PA, con possibili ripercussioni negative in merito alle misure di intervento più appropriate.

In secondo luogo, pur in presenza di segnali indubbiamente incoraggianti, la ripresa degli investimenti comunali si mostra ancora relativamente timida, frenata da una serie di ostacoli sui quali è opportuno riflettere anche per l’adozione di interventi di ulteriore sostegno. Ci si riferisce in particolare alle diffuse difficoltà gestionali incontrate dai Comuni in fase di aggiudicazione dei lavori per opere pubbliche messi a gara, a causa della lenta e complessa attuazione delle modalità operative del riformato codice degli appalti. Nondimeno, fino al secondo semestre 2016 ulteriori ritardi sono certamente da imputare alla lentezza con la quale si è compiuta la stabilizzazione delle regole di finanza pubblica, prospettata con la modifica della legge 243 sul pareggio di bilancio e poi confluita nella Legge di bilancio 2017.

Non deve infatti essere sottovalutato il fatto che il superamento dei vincoli di cassa originariamente previsti dalla legge 243 e la stabilizzazione del Fondo pluriennale vincolato nel vincolo di finanza pubblica assegnato al comparto dispiegheranno pienamente i benefici attesi solo a partire dal 2017, favorendo il recupero della programmazione finanziaria pluriennale e garantendo un impulso alla progettazione tecnica degli enti locali nell’arco del triennio 2017-2019.

Una valutazione del potenziale di investimento del comparto comunale è effettuabile utilizzando le informazioni contabili attualmente disponibili, al fine di quantificare il volume degli investimenti programmabili e finanziabili dai Comuni. Il tendenziale di spesa viene stimato seguendo un approccio di esigibilità pluriennale nell’ambito di uno schema di sostenibilità contabile e finanziaria, che tiene conto della dimensione degli avanzi di amministrazione applicabili e della loro corrispondenza con fondi di cassa effettivamente disponibili.

Ne deriva uno scenario di ripresa, che considera l’arco triennale della realizzazione delle opere (l’esigibilità degli interventi di investimento) e il necessario rispetto dei margini contabili e finanziari a disposizione del singolo ente. Tale scenario porta da qui al 2019 alla proiezione di un surplus di investimenti comunali – rispetto all’ammontare registrato nel 2016 – pari a 9 miliardi di euro.

La stima ha carattere prudenziale, in attesa di poter aggiornare le previsioni sulla base dei rendiconti 2016, in quanto assorbe solo il 50% circa dell’avanzo complessivamente applicabile dai Comuni e trascura completamente le risorse finanziate con indebitamento. È il Nord del Paese ad esprimere le maggiori potenzialità del surplus (56%), dal momento che in questa area del Paese si concentra una quota molto significativa di avanzo applicabile e di disponibilità di cassa, ma anche per le altre zone territoriali del Paese gli effetti attesi si rivelano ugualmente importanti. Preme

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segnalare, infine, la buona corrispondenza della stima rispetto alla distribuzione territoriale degli spazi finanziari messi a disposizione del comparto comunale mediante lo strumento del Patto nazionale verticale (febbraio 2017).

SURPLUS INVESTIMENTI FISSI LORDI COMUNALI 2017-2019 RISPETTO AL LIVELLO DEL 2016 Impegni in milioni di euro

Fonte: stima IFEL su dati CCCB 2010, 2014 e 2015 e monitoraggio saldo di competenza 2016

L’articolazione triennale del surplus viene riportata nella figura seguente, anche per ripartizione territoriale. Nel complesso, il livello medio annuale previsto per gli investimenti fissi lordi dei Comuni si colloca tra i 14 e i 15 miliardi di euro, a fronte di una base 2014 di 9,6 miliardi e sensibilmente al di sopra degli impegni assunti nel 2010 (12,5 miliardi.)

SURPLUS INVESTIMENTI FISSI LORDI COMUNALI Anni 2017-2019 con indice 2016 = 100

Fonte: stima IFEL su dati CCCB e monitoraggio saldo di competenza 2016

Anche ai fini del sostegno agli investimenti va ripensato il sistema del debito comunale ed è urgente un intervento per limitarne i costi. Ampie fasce di enti, in assenza di strumenti di sostituzione o ristrutturazione del debito contratto in anni di alti tassi di interesse, non dispongono delle risorse necessarie per attivare il livello di investimento cui potrebbero aspirare. Potrebbero

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così liberarsi utili risorse a sostegno della progettazione comunale, che tarda ad essere riconosciuta e valorizzata dal legislatore quale fase indispensabile e qualificante per un robusto, sostenibile e duraturo rilancio degli investimenti comunali.

Rimangono tuttavia immutate le aspettative di rilancio degli investimenti pubblici locali quale condizione necessaria per consolidare la ripresa economica generale e per corrispondere alle esigenze di maggiori margini di flessibilità nelle politiche di bilancio, formulate dall’Italia in sede europea.

Il raggiungimento degli obiettivi di saldo di competenza e l’overshooting

I dati di monitoraggio del saldo finale di competenza 2016 forniscono le informazioni utili a valutare il rispetto degli obblighi di finanza pubblica assegnati a ciascun ente, ma anche per dimensionare l’andamento del fenomeno noto come overshooting, vale a dire il margine finanziario rimasto inutilizzato rispetto all’obiettivo finanziario assegnato al singolo Comune.

I cambiamenti delle regole finanziarie degli ultimi anni rendono necessaria un’attenzione particolare nell’omogeneizzazione dei dati di confronto, al fine di evitare conclusioni affrettate e fuorvianti. Muovendo da questo presupposto, la tabella seguente riporta le principali grandezze acquisite con i monitoraggi del biennio 2015-2016, sistemate secondo uno schema che consente di operare un confronto omogeneo.

RISULTATI DEL SALDO DI FINANZA PUBBLICA

Confronto 2015-2016 per i Comuni con oltre 1.000 abitanti. Valori in migliaia di euro

Fonte: elaborazioni IFEL su dati RGS

2015 2016

ENTRATE CORRENTI NETTE CON FPV ( a ) 58.849.835 57.199.279

di cui Fondo pluriennale vincolato corrente in entrata ( b ) 2.948.352 1.833.523

SPESE CORRENTI NETTE CON FPV E ACCANTONAMENTI ( c ) 54.808.272 54.565.504

di cui Fondo pluriennale vincolato corrente in spesa ( d ) 1.291.486 1.026.060

di cui Accantonamenti correnti FCDE e altri Fondi rischi ( e ) 2.483.782 3.489.225

ENTRATE IN CONTO CAPITALE NETTE CON FPV ( f ) 5.661.149 16.950.657

di cui Fondo pluriennale vincolato in conto capitale in entrata ( g ) 0 8.175.476

SPESE IN CONTO CAPITALE NETTE CON FPV E ACCANTONAMENTI ( h ) 6.802.629 17.564.907

di cui Fondo pluriennale vincolato conto capitale in in spesa ( i ) 0 5.022.665

di cui Accantonamenti in conto capitale FCDE e altri Fondi rischi ( l ) 0 279.694

ENTRATE DA RIDUZIONE DI ATTIVITÀ FINANZIARIE ( m ) 0 803.019

SPESE PER INCREMENTO DI ATTIVITÀ FINANZIARIA ( n ) 0 725.341

ENTRATE FINALI NETTE ( 1 ) = ( a ) + ( f ) + ( m ) 64.510.984 74.952.955

SPESE FINALI NETTE ( 2 ) = ( c ) + ( h ) + ( n ) 61.610.901 72.855.752

SALDO FINANZIARIO ( 3 ) = ( 1 ) - ( 2 ) 2.900.083 2.097.203

SALDO OBIETTIVO ( 4 ) -95.024 -108.261

OVERSHOOTING CON ACCANTONAMENTI E FPV CORRENTE ( 5 ) = ( 3 ) - ( 4 ) 2.995.107 2.205.464

OVERSHOOTING NOMINALE (SENZA ACCANTONAMENTI 2016 E CON FPV CORRENTE) ( 6 ) = ( 5 ) + ( e 2016 ) + (l 2016 ) 2.995.107 5.974.383 OVERSHOOTING CON ACCANTONAMENTI MA SENZA FPV CORRENTE ( 7 ) = ( 5 ) - ( b ) + ( d ) 1.338.241 1.398.001

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Preme in particolare evidenziare che l’overshooting fatto registrare dal comparto nel 2016, se opportunamente misurato mediante un metodo in grado di operare un confronto corretto con le regole previste nel 2015, assume un valore inferiore rispetto all’anno precedente: dai 3 mld. del 2015 ai 2,2 mld. del 2016 (-26%, ved. riga 5 della tabella).

Da una mera applicazione delle regole formalmente vigenti nel 2016, invece, l’overshooting dei Comuni si attesterebbe sui 6 miliardi di euro, pressoché raddoppiandosi rispetto al 2015. Questa quantificazione appare invece del tutto fuorviante perché include tra le entrate di riferimento l’intero ammontare degli accantonamenti a FCDE e a altri fondi rischi, per ben 3,5 mld. di euro.

La dimensione dell’overshooting appare in via di riduzione anche con riferimento a quanto osservato negli ultimi anni del Patto di stabilità (2013-2015), quando gli avanzi in eccesso realizzati dai Comuni si attestavano sui 1.600 milioni di euro. Al fine di comparare in modo corretto tale valore con i risultati 2015-2016, anni di avvio della nuova contabilità, va depurato il ruolo del Fondo pluriennale vincolato di parte corrente.

Il saldo del FPV corrente (FPV in entrata meno FPV in spesa) non costituisce oggi un effettivo maggior potenziale di entrata dei Comuni, ma deriva dalla pregressa gestione del bilancio corrente di competenza e dalla fisiologico percorso di riordino della gestione dei residui di parte corrente indotto dalla nuova contabilità. Riducendo il risultato osservato anche dell’ammontare del saldo del FPV corrente, la dimensione dell’overshooting si attesta tra i 1.300 e il 1.400 mln. di euro, dimensione comunque considerevole, ma in riduzione rispetto ai risultati di patto (riga 7, cfr. figura seguente).

Al fine di favorire una corretta interpretazione del fenomeno in questione, va messo in luce che, per le ragioni più volte esposte nel presente documento, gli spazi finanziari aggiuntivi teoricamente resi disponibili con l’esclusione degli accantonamenti FCDE e Fondi rischi dalla formula del pareggio non sono stati utilizzati dai Comuni interessati per molteplici ed ovvie ragioni. In molti casi si tratta della mancata disponibilità di avanzi applicabili a favore di spese per investimenti, in altri della difficoltà di riprogrammare in

Valori in milioni di euro

Fonte: elaborazioni IFEL su dati monitoraggio Patto e Saldo di competenza - RGS

CONSISTENZA DELL'OVERSHOOTING NEL TRIENNIO 2013-2015

1.645 1.595 1.338

1.398 2013

2014 2015 2016

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corso d’anno impieghi basati su progetti di intervento complessi (e resi ancor più difficili dalle nuove regole degli appalti avviate in primavera 2016), nel contesto più volte richiamato di tardiva stabilizzazione delle regole finanziarie, dalla revisione della legge 243 all’inclusione del FPV nella formula del pareggio. Il rischio di non poter contare sulle risorse accantonate in FPV nel passaggio dal 2016 al 2017, per interventi di natura in prevalenza pluriennale, ha indubbiamente frenato le capacità espansive delle nuove regole ed il pieno utilizzo dei margini disponibili.

Resta critico il nodo della redistribuzione degli spazi finanziari in corso d’anno. La prima fase di flessibilità regionale è attualmente in corso e non potrà prevedibilmente contare su interventi “verticali” da parte di molte Regioni. Il comitato di monitoraggio previsto dal DPCM attuativo dell’articolo 10 della revisionata legge 243 potrà contribuire all’individuazione delle criticità, ma la forte normazione primaria della flessibilità (scadenze, chiusura nazionale a giugno, criteri e priorità) rende difficili interventi di correzione tempestivi ed efficaci.

Non può essere in ogni caso sottovalutato, ad avviso dell’ANCI, lo sforzo di risanamento posto in essere dal comparto attraverso la dimensione imponente degli accantonamenti, che costituisce di fatto una dote per la finanza pubblica, da valorizzare nel prossimo futuro a copertura di regole di maggior espansività del vincolo di finanza pubblica, con la finalità di rendere più ampia ed efficace la mobilitazione delle risorse disponibili anche per gli enti con margini di competenza potenziata di minore entità.

Stabilizzazione delle regole di finanza pubblica: opportunità e criticità

L’armonizzazione contabile, avviata a regime dal 2015, grazie agli sforzi profusi dalle autonomie locali, rappresenta una riforma strutturale di grande portata, che, se da un lato ha comportato un importante riassetto negli equilibri contabili dei comuni, con forte impatto amministrativo e rilevanti effetti sui bilanci, dall’altro ha favorito l’abbandono del Patto di stabilità interno, sostituito dal saldo finale di competenza quale nuovo vincolo di finanza pubblica, facilitando contestualmente il percorso di modifica della legge n. 243 del 2012, conclusosi con l’approvazione della legge n. 164 del 2016.

Di fatto, il nuovo sistema contabile ha costituito una condizione essenziale per consentire il superamento del meccanismo della competenza mista vigente in regime di Patto di stabilità, creando le condizioni per individuare nella la competenza potenziata la migliore approssimazione al saldo utilizzato a livello europeo per la definizione dell’indebitamento netto dalla Pubblica Amministrazione.

Il nuovo saldo di competenza offre agli enti locali una maggiore capacità di spesa per investimenti, grazie al venir meno di qualsiasi obbligo di conseguire avanzi annuali di tipo finanziario ed al progressivo consolidamento dell’inclusione del Fondo Pluriennale Vincolato (FPV), sia in entrata che in uscita per tutto il periodo 2016-2019. Tale più favorevole declinazione del saldo è stata purtroppo stabilizzata soltanto nel corso del 2016 (e in definitiva con la Legge di bilancio 2017), producendo un periodo di incertezza che non ha ancora consentito il pieno dispiegamento delle potenzialità di sblocco di quote significative di avanzo di amministrazione.

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17 Nuovo impianto sanzionatorio e flessibilità del saldo

Restano tuttavia necessarie diverse ulteriori modifiche alla disciplina del nuovo vincolo di finanza pubblica. È anzitutto necessario anticipare ai casi di sforamento del saldo 2016 l’impianto sanzionatorio previsto dalla legge di bilancio 232/2016 solo a decorrere dai risultati del saldo 2017. L’importante revisione delle sanzioni è infatti coerente con criteri di proporzionalità, ragionevolezza ed efficacia previsti dalla legge 243/2012 doverosamente applicabili anche all’esercizio 2016. Il 2016, pertanto, andrebbe a configurarsi come un anno di rottura rispetto alla normativa previgente sul patto di stabilità, sia in termini di vincoli di finanza pubblica che di sanzioni previste per il mancato rispetto degli stessi.

Non meno cruciale è la previsione di ulteriori elementi di flessibilità, pur nella coerenza dell’impianto complessivo della normativa vigente.

Deve essere in primo luogo meglio valutata la difficoltà di assorbimento degli avanzi accumulati con il vecchio Patto, in particolare per enti di dimensione piccola e medio- piccola che dispongono di avanzi consistenti (con fondi cassa di analoghe dimensioni) a fronte di margini di pareggio di bilancio relativamente esigui. Per questi enti si manifesta un’esigenza di ampliamento dei margini di utilizzo degli avanzi per finanziare investimenti, peraltro ampiamente sostenibile anche alla luce dei dati sul carattere strutturale dell’overshooting comunale di cui al paragrafo precedente.

Vanno altresì considerati alcuni adeguamenti minori, quali, a titolo esemplificativo, quelli relativi agli interventi di gestione delle discariche per rifiuti solidi urbani successivi alla chiusura delle discariche stesse (cosiddetta gestione “post mortem”). Si tratta di una questione che, pur riguardando un numero limitato di Comuni di piccole e piccolissime dimensioni, segnala un problema di carattere generale che deve essere ben governato per evitare difficoltà oggettive nella gestione dei bilanci. A fronte di leggi di settore (nel caso specifico sulla gestione dei rifiuti) i Comuni che per anni hanno vincolato quote di risorse per future gestioni (nel caso specifico la gestione trentennale della bonifica dei siti), si trovano ora nella condizione di dover ricorrere ad ulteriori mezzi di copertura per l’utilizzo delle somme accantonate e confluite in avanzo, fino a non poter rispettare il saldo finale di competenza. Per superare tale situazione, non risolvibile neppure con il ricorso agli spazi finanziari aggiuntivi trattandosi di spese correnti, Anci propone che sia possibile consentire l’imputazione nel fondo pluriennale vincolato delle somme accantonate in avanzo annualmente esigibili per le gestioni straordinarie previste dalle leggi di settore, assicurandone l’utilizzabilità anche per spese di parte corrente.

Esigenze di adeguamento dei principi contabili

Il percorso che porta alla piena attuazione della riforma contabile e al suo consolidamento è ancora lungo. Come più volte evidenziato nel periodo di sperimentazione e di avvio, infatti, il nuovo sistema contabile è suscettibile di progressivi miglioramenti. I principi contabili armonizzati, peraltro, possono essere modificati alla luce dell’esperienza di attuazione della riforma, come è più volte avvenuto anche a

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seguito delle proposte della Commissione Arconet, via via recepite in specifici decreti ministeriali.

Tuttavia, numerose questioni rimangono aperte. Tra queste, la possibilità di prevedere la costituzione del fondo pluriennale vincolato (FPV) per l’intero quadro economico progettuale di investimento in presenza di impegni assunti sulla base di obbligazioni giuridicamente perfezionate, imputate secondo esigibilità, ancorché relativi solo ad alcune spese del quadro economico progettuale, comprese le spese di progettazione – almeno definitiva – attualmente escluse, adeguando così il principio alla nuova disciplina contenuta nel Codice degli appalti, che assegna alla progettazione un nuovo ruolo rispetto al passato. In tal senso, l’impegno di spesa concernente la progettazione definitiva/esecutiva può essere considerato una condizione che garantisce l’avvio dell’opera, condizione prevista per la costituzione del FPV.

Un’ulteriore questione da affrontare riguarda la quantificazione del fondo crediti dubbia esigibilità (FCDE). È infatti frequente il caso di entrate che vengono riscosse, in misura pressoché integrale, nell’arco dell’anno o del biennio successivo a quello di esercizio. L'attuale disciplina del FCDE tende invece ad obbligare ad un accantonamento in spesa pari a quanto non riscosso nell’anno di competenza, producendo un avanzo di amministrazione forzoso che può liberarsi solo nella seconda metà dell'esercizio successivo. Pertanto, ANCI ha proposto di rendere “ordinario” il metodo di calcolo del FCDE da accantonare nel bilancio di previsione previsto dal principio applicato “in via transitoria”, che considera il rapporto tra il totale degli incassi (in conto competenza e in conto residui) e gli accertamenti in conto competenza. In questo modo è possibile tener conto in modo semplice dei difformi cicli di riscossione che caratterizzano le diverse entrate e delle diverse velocità di allineamento degli enti locali su più elevati livelli di efficienza nella riscossione.

Ancora, il sistema degli enti locali segnala grandi difficoltà relativamente all’applicazione delle modalità di accertamento dei contributi a rendicontazione. Sul punto si auspica che le amministrazioni centrali e le Regioni adeguino le modalità di erogazione dei trasferimenti a favore dei Comuni in base al nuovo principio generale della contabilità finanziaria per evitare di costringere gli enti a prefinanziare opere la cui copertura finanziaria è già assicurata, in tutto o in parte, da stanziamenti esterni. Anche nel caso di risorse correnti non erogate secondo l’esigibilità degli interventi – spesso di carattere sovracomunale (trasporti, servizi sociali) – è necessario che gli enti erogatori, in particolare le Regioni, acquisiscano e rispettino il cronoprogramma di spesa degli enti locali. Il mancato adeguamento delle amministrazioni erogatrici rischia di comportare risultati alterni nella spesa e nei risultati di saldo – con conseguente dissipazione di spazi finanziari altrimenti disponibili – nonché un forte rallentamento (e in alcuni casi addirittura l’impossibilità) nella realizzazione di investimenti e infrastrutture utili all’economia e al Paese in generale.

Inoltre, i nuovi principi contabili affrontano in modo parziale la contabilizzazione delle operazioni di partenariato pubblico privato (PPP), tendendo a considerare debito tutte le operazioni di leasing finanziario. Manca una disciplina nazionale organica sulla materia e questo lascia ampi spazi di indeterminatezza producendo numerose pronunce delle sezioni regionali della Corte dei Conti. È necessario trovare modalità di

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contabilizzazione, coerenti con la disciplina comunitaria, che consentano il pieno utilizzo di questi metodi alternativi per realizzare opere pubbliche e infrastrutture grazie all'apporto di capitali di rischio privati, senza che questi investimenti incidano sull'indebitamento del singolo ente e, di conseguenza, su quello generale. Per queste forme di realizzazione delle opere, peraltro, pur essendo disciplinate ed incentivate in interventi di settore (nuovo codice degli appalti), manca un organico coordinamento con la legislazione contabile.

Le entrate comunali: riforme mancate e perdita di autonomia

Le entrate comunali e il regime fiscale locale non sono purtroppo stati oggetto della stessa tensione riformatrice che ha invece investito il campo dei vincoli finanziari. Anche nel DEF 2017 sembra accantonato il tema della razionalizzazione e riordino dei prelievi locali.

Va inoltre sottolineato che il blocco della leva fiscale colpisce dal 2016 in particolare quella fascia di enti, in prevalenza medi e piccoli, che negli anni precedenti era riuscita a mantenere la pressione fiscale locale su livelli relativamente bassi e che ora si trova impedita nelle proprie facoltà di manovra. La prosecuzione di questa misura straordinaria per il terzo anno consecutivo costituirebbe un grave vulnus ad un requisito essenziale dell’autonomia, non solo finanziaria, riconosciuta costituzionalmente.

La riorganizzazione del sistema fiscale

La riorganizzazione del sistema fiscale resta pertanto un tema aperto alle più diverse soluzioni e cruciale per ristabilire il circuito autonomia-responsabilità nella fiscalità comunale, fortemente degradato a seguito dell’introduzione dell’IMU e del progressivo azzeramento del contributo statale alle risorse dei Comuni.

È auspicabile che sia sollecitamente riaperto un confronto sulle prospettive di riordino che devono restituire non solo stabilità all’assetto tributario quale presupposto essenziale per l’attuazione di politiche fiscali eque e sostenibili, ma anche ripristinare effettivi margini di manovrabilità sulle aliquote e introdurre misure di semplificazione di regole e adempimenti, sia per i Comuni che per i contribuenti.

L’introduzione dell’IMU e l’azzeramento dei trasferimenti statali ai Comuni hanno prodotto un sistema sempre più insostenibile per l’enorme dimensione del riequilibrio delle basi imponibili, cui si è aggiunto il riparto perequativo crescente a partire dal 2015.

Un sistema anche fragile sotto il profilo della legittimità delle scelte via via operate, come dimostrano le ormai numerose sentenze di diverse giurisdizioni che hanno portato a revisioni delle assegnazioni su singoli enti o sull’intero comparto.

È necessario riportare nel dibattito politico e tecnico le esigenze di revisione dell’intero assetto delle entrate, a cominciare dall’unificazione dei tributi immobiliari oggi articolati in IMU e Tasi, due tributi che – con l’abolizione del prelievo sull’abitazione principale – sono concettualmente indistinguibili. La separazione IMU-Tasi porta a forti

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complicazioni nelle attività amministrative – dalla comunicazione della disciplina stabilita dal Comune, ai controlli – e negli adempimenti dei cittadini. L’unificazione potrebbe essere accompagnata dalla predeterminazione delle facoltà di articolazione dei regimi fiscali che i Comuni possono adottare, con ulteriore effetto semplificativo.

Il tema delle compartecipazioni ai tributi erariali potrebbe essere ripreso, in chiave di superamento dell’attuale meccanismo di ristoro dei gettiti aboliti, che ha caratteristiche necessariamente straordinarie.

Recuperare l’autonomia finanziaria serve a rendere trasparente ai cittadini il rapporto fra prelievo fiscale e finanziamento dei servizi locali, e riaffermare un principio equità, riferito sia alla necessità che siano garantite parità di condizioni nell’accesso ai servizi sia il giusto livello di contribuzione al loro finanziamento. Pertanto, l’obiettivo di contenere la pressione fiscale deve essere certamente perseguito con tenacia, ma deve essere consentito a ciascun livello di governo di poter attuare politiche fiscali adeguate alle esigenze del proprio territorio.

Imposta di soggiorno

L’annuncio dell'estensione della cedolare secca sugli affitti brevi anche per chi effettua prenotazioni elettroniche su community marketplace, su portali web, o sotto altra forma, costituisce un importante passo verso la regolarizzazione fiscale delle locazioni temporanee.

Sul tema l’Anci auspica che questa apertura porti anche ad una migliore definizione della disciplina dell’imposta di soggiorno, la quale ancora necessita di una compiuta regolamentazione che permetterebbe di superare le difficoltà applicative ed i rischi di elusione del tributo e di contenzioso tra le categorie più direttamente interessate e i Comuni che hanno deliberato il nuovo tributo secondo le attuali previsioni di legge. In particolare, ad avviso dell’Anci le azioni da intraprendere per una corretta regolamentazione dell’imposta di soggiorno sono le seguenti:

- precisazione del ruolo dei gestori delle strutture ricettive quali responsabili del pagamento del tributo con facoltà di rivalsa sul soggetto passivo. Tra i gestori devono essere inclusi anche i soggetti che si occupano di prenotazioni elettroniche su community marketplace, su portali web, o sotto altra forma, e che intermediano la transazione finanziaria tra coloro che richiedono alloggio e coloro che offrono alloggio;

- applicabilità delle norme di rilievo generale alla gestione dell’imposta (accertamento, riscossione, rimborsi e sanzioni);

- estensione a tutti i Comuni della facoltà di adozione del tributo, superando difficoltà applicative dovute alla precedente indicazione delle Unioni di Comuni quali possibili soggetti attivi e alla limitazione ai Comuni turistici o città d’arte sulla base di “elenchi regionali” che in molti casi non risultano deliberati;

Riferimenti

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