• Non ci sono risultati.

SIMULAZIONE DI UN CASO CONCRETO NELLA CAUSA PROMOSSA DA X CONTRO Y

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "SIMULAZIONE DI UN CASO CONCRETO NELLA CAUSA PROMOSSA DA X CONTRO Y"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

SIMULAZIONE DI UN CASO CONCRETO NELLA CAUSA PROMOSSA DA X CONTRO Y

Avv. Rodolfo Berti*

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

L’attore afferma di essere rimasto danneggiato a seguito di un incidente stradale occorsogli per colpa del convenuto che, a velocità elevata, non avrebbe rispettato lo stop e quindi avrebbe urtato violentemente la parte antero laterale della sua vettura, provocando danni per le cui riparazioni ebbe a sostenere una spesa di £. 4.000.000, documentata da fattura.

Afferma inoltre che “avvedutosi dell’altro automezzo” tentò in ogni modo di evitare l’urto frenando senza peraltro riuscirvi. Quindi, secondo l’assunto avversario, la responsabilità del sinistro sarebbe da attribuirsi esclusivamente al convenuto per evidente condotta colposa da questi mantenuta nel procedere a velocità non adeguata allo stato dei luoghi ed alla segnaletica esistente oltre nel non aver rispettato lo stop.

Produce a conferma di ciò il rapporto dalla Polizia Stradale intervenuta per i rilievi dell’incidente.

A seguito dell’urto l’attore avrebbe patito un trauma contusivo agli arti inferiori ed una distorsione cervicale, come risulta dal certificato del pronto Soccorso. Successivamente, e a distanza di 7 giorni dall’incidente, il suo medico curante gli consigliava una visita specialistica ortopedica per cui egli il 30 aprile successivo, si sottoponeva ad una TAC e il 12 maggio successivo ad una risonanza magnetica, a seguito delle quali gli veniva riscontrata una lesione del corno posteriore del menisco mediale, con condropatia femoro-rotulea mediale.

Il suo consulente medico legale gli riconosceva l’esistenza di un danno biologico di natura permanente dell’8 – 9% della totale integrità psicofisica per “esiti di trauma distorsivo del rachide cervicale e di trauma contusivo del ginocchio destro con lesione di primo-secondo grado del collaterale mediale e del menisco interno” basando tale prognosi su sintomatologie del tutto soggettive mentre obiettivamente nulla di grave né di patologico veniva rilevato per ciò che riguarda il rachide cervicale.

Pretende, a titolo risarcitorio, per il danno biologico di 9 punti percentuali l’importo di £ 18.125.000 oltre la temporanea totale per giorni 2 pari a £. 200.000, per quella parziale al 50% per giorni 28, pari a £. 1.400.000, e per quella ulteriore di giorni 30 al 25%, pari a £. 750.000, e ciò per l’aspetto statico del danno biologico.

Sostiene inoltre che la lesione al diritto alla salute gli avrebbe compromesso le attività relazionali e ricreative precedentemente, per cui pretende un aumento del 50% della valutazione a punto percentuale del danno base per il conseguente danno dinamico.

Per ciò che riguarda il danno morale, sussistendone la liquidità ex art. 2059 c.c., chiede la metà del danno biologico.

Afferma anche di aver patito un danno patrimoniale rappresentato da un lucro cessante di £.

1.500.000, pari all’importo del compenso da straordinario che avrebbe perduto a causa della malattia, e a titolo di danno emergente, il rimborso delle spese mediche di £. 11.000.000.

* Avvocato giurista, Ancona

(2)

Il complessivo danno quindi ammonterebbe a £. 62.568.000 oltre interessi sulla somma rivalutata.

A prova del proprio diritto produce e deduce prove testimoniali sull’an e sul quantum.

Con il presente atto si costituiscono X e Y che contestano la domanda in fatto ed in diritto per i seguenti.

Motivi

L’incidente è indubbiamente avvenuto alla confluenza di due strade, l’una delle quali, percorsa dal convenuto, provvista di segnaletica di stop, per cui è indubitabile che sussista da parte del conducente che ha omesso di dare la precedenza una violazione della norma della circolazione stradale.

Si tratta di accertare se tale violazione sia in nesso causale con il fatto e attendere che l’attore si liberi della presunzione di colpa fornendo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

E’ noto infatti come la norma speciale di cui all’art. 2054 c.c., che disciplina le ipotesi di responsabilità civile da indicente stradale, inverte l’onere probatorio rispetto alla norma generale di cui all’art. 2043 c.c.

Non basta infatti che vi sia certezza della responsabilità dell’un conducente per esimere l’altro dall’onere di fornire a sua volta la prova liberatoria.

La Cassazione da sempre, e mai come negli ultimi tempi, ha ribadito il principio secondo il quale: “Nel caso di scontro tra veicoli l’accertamento concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancito dall’art.

2054 c.c., essendo a tal fine necessario accertare in pari tempo che l’altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme di circolazione e a quelle di comune prudenza ed abbia fatto il possibile per evitare l’incidente” (Cass. Civ. Sez. III 28.11.1994 n. 10156; Cass. Civ. Sez. III 7.2.1997 n. 1198; Cass. Civ. Sez. III 14.2.1997 n. 1384).

Addirittura la giurisprudenza ritiene necessaria comunque la prova liberatoria anche quando l’altro conducente abbia fissato in giudizio di aver violato una norma di comportamento o di prudenza (Cass. Civ. Sez. III 16.4.1996 n. 3563), per non parlare poi del caso in cui addirittura uno dei due veicoli fosse, al momento dell’urto, in sosta, per la quale la giurisprudenza ritiene comunque necessaria la prova liberatoria dall’altro conducente in quanto l’urto è avvenuto nei luoghi ove si svolge il traffico veicolare (Cass. Civ. Sez. III 15.10.1997 n. 10110).

In forza di questo tetragono principio è quindi assolutamente non determinante il fatto che il convenuto non abbia rispettato lo stop, perché se ciò depone per la sussistenza di una violazione, non assorbe la responsabilità presunta dell’attore che comunque dovrà dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno e di essersi conformato alle norme di comune prudenza.

Prova assai difficile da fornire nel caso di specie dal momento che è l’attore stesso ad affermare che egli vide l’altro automezzo in tempo utile tanto da poter frenare.

E’ quindi evidente che se avesse adottato un comportamento prudenzialmente conforme alla presenza del prossimo incrocio, presegnalato dal cartello ottagonale di stop, e secondo il disposto dell’art. 141 C.d.S., comma 1, 2 e soprattutto 3 avesse moderato la propria andatura in modo tale da poter arrestarsi tempestivamente alla presenza del prevedibile ostacolo rappresentato dal veicolo antagonista, da lui tempestivamente avvistato, l’incidente non sarebbe avvenuto, o comunque avrebbe comportato conseguenze di danno ben minori di quelle oggi lamentate.

Il rapporto redatto dalla Polizia stradale ed anche l’ipotetica contestazione della violazione delle norme del C.d.S., essendo frutto di una ricostruzione a posteriori della dinamica dell’incidente, non fornisce mai l’oggettiva certezza di come si sono svolti i fatti, a meno che non vi siano testimoni oculari, che nel caso di specie difettano, che vengano a descrivere quanto davanti a loro avvenuto.

Gli elementi a mezzo dei quali il giudice potrà valutare i rispettivi comportamenti, e dunque accertare le rispettive responsabilità, difettando per quanto riguarda la posizione dell’attore e

(3)

pertanto non potrà non risolversi il giudizio con l’applicazione dell’ipotesi sussidiaria di colpa presuntiva di cui al II comma dell’art. 2054 c.c. Mancherebbe infatti ogni elemento per valutare se la violazione del dovere di dare precedenza abbia da solo determinato l’incidente o se questo si sarebbe potuto evitare se l’attore avesse proceduto a più modesta andatura.

Le prove testimoniali dedotte infatti dall’attore, risultano inammissibili perché contengono una soggettiva interpretazione dei comportamenti, mentre i testi debbono limitarsi a descrivere i fatti avvenuti o a riferire notizie storiche a loro conoscenza.

Da quanto sopra consegue che il diritto al risarcimento del danno dovrà proporzionalmente ridursi in forza della presunzione di pari responsabilità e del fatto che, al cospetto di tale presunzione, nulla può essere previsto per il danno morale come poi diremo. In ogni caso, sulla scorta delle valutazioni del consulente medico legale del convenuto, si deve contestare la riconducibilità dei lamentati postumi al trauma subito a seguito dell’incidente per una serie di motivi che qui di seguito spiegheremo.

Sostanzialmente l’attore lamenta sia il classico colpo di frusta che una lesione al menisco mediale e una condropatia femoro-rotulea di secondo grado.

L’attore mette le mani avanti sin dall’atto introduttivo di lite, affermando che aveva indossato le cinture di sicurezza conformemente al disposto dell’art. 172 del C.d.S.

Peraltro la tipologia delle lesioni da lui subite, trauma contusivo al ginocchio e colpo di frusta, non si compatisce con un regolare uso delle cinture di sicurezza, perché è evidente che lo scopo di tale sistema di sicurezza sia proprio quello di evitare che il corpo dell’occupante il veicolo, in caso di urto, sia proiettato in avanti e quindi vada a contatto con le parti della carrozzeria.

E’ evidente che laddove la violenza dell’impatto sia tale da determinare la completa introflessione della scocca, nessun sistema risulta sufficiente ad evitare lesioni, neanche il peraltro contesto airbag, ma nel caso di specie l’urto, sebbene violento, non fu di tale entità da intaccare la scocca e l’abitacolo riguardando le riparazioni solo la parte latero anteriore sinistra.

Dunque non furono parti della carrozzeria ad urtare contro la persona del conducente, bensì fu il conducente stesso che, a seguito dell’impatto latero anteriore, venne proiettato in avanti procurandosi le lesioni.

Se avesse indossato le cinture di sicurezza, quanto meno il danno al ginocchio non lo avrebbe patito. Rimane il dubbio se il trauma al rachide cervicale potesse essere attenuato in caso di uso di cinture di sicurezza.

Di ciò chiederemo spiegazioni al consulente d’ufficio.

In ogni caso le conseguenze dannose del fatto colposo sono state quanto meno aggravate, se non esclusivamente determinate, dal negligente comportamento dell’attore per cui ai sensi dell’art. 1227 c.c. l’entità del risarcimento dovrà essere diminuita se non addirittura esclusa per quella parte di danno attinente alle lesione al ginocchio Trib. Crema 8.7.1997).

La Cassazione Penale ha ritenuto addirittura colpevole a titolo di concorso il conducente di un veicolo che non aveva preteso che il suo trasportato, deceduto nell’incidente avvenuto per fatto e colpa di un altro conducente, indossasse le cinture di sicurezza (Cass. Pen. Sez. IV 20.11.1996 n.

9904).

Sebbene certa parte della Giurisprudenza (Giud. Pace Cesena 24.10.1996 n. 78) e dottrina (M.

Rossetti) ritenga che, trattandosi di una eccezione, l’omissione vada provata da chi vi abbia interesse, e cioè dal danneggiante, è bene rilevare che purtroppo non vi è possibilità alcuna, se non l’insperata confessione giudiziale del danneggiato, che tale prova possa essere fornita laddove non vi siano stati testimoni oculari e con buona memoria del fatto.

Infatti gli organi di polizia arrivano per gran parte dei casi quando i feriti gravi sono già stati portati all’ospedale, o comunque, se lievi, sono già scesi dai veicoli, per cui è difficile, se non attraverso una indagine medico legale e anche cinematica, accertare se al momento dell’urto il danneggiato avesse indosso il sistema di trattenuta.

Peraltro la questione di sicurezza non può ritenersi un’eccezione in quanto, dovendo comunque il conducente dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, credo sia evidente che il

(4)

mancato uso delle cinture di sicurezza costituisce quanto aggravamento del danno se non causa esclusiva per cui è il danneggiato conducente stesso onerato dalla prova di averle indossate secondo il disposto del I comma dell’art. 2054 c.c.

Giova infine ricordare che la prova può essere anche desunta anche per logiche, univoche e concordanti deduzioni, come nel caso di specie ove la lesione al ginocchio non è stata causata dalle rilevanti introflessioni della carrozzeria, ma dalla proiezione in avanti del corpo del conducente probabilmente contro il cruscotto: se ne deduce logicamente che non aveva indosso la cintura di sicurezza e quindi se il medico legale ausiliario del Giudice, in collaborazione con il consulente tecnico cinematico, valuteranno che si poteva evitare con l’uso delle cinture di sicurezza, nulla spetterà ai sensi del II comma dell’art. 1227 c.c. al danneggiato per le lesioni subite al ginocchio.

Ovviamente sempre che venga dimostrato il nesso causale tra le patologie lamentate dall’attore ed il fatto colposo commesso dal convenuto, perché a questo proposito si deve porre in rilievo la discrepanza che risulta dai documenti allegati da controparte ove risulta che solo a distanza di 7 giorni dal trauma l’attore si sia presentato al suo medico di base lamentando il dolore al ginocchio destro.

Secondo quanto affermato e sostenuto dal consulente medico legale dei convenuti, la patologia lamentata dall’attore sarebbe pregressa e comunque riguardante un trauma intrinsecamente modesto che tutt’al più potrebbe aver determinato un aggravamento di una già “compromessa situazione di sofferenza cartilaginea di tipo naturale o di microtraumatismi usuranti procurati al danneggiato per l’intensa pratica sportiva”.

L’indagine medico legale dovrà accertarsi quindi sulla probabilità che le lamentate lesioni non dipendono dal trauma, bensì da pregressa situazione.

Tutto ciò affermato e stabilito, si passa ora all’esame del quantum della pretesa attorea.

Il calcolo effettuato per il danno biologico è basato sul criterio distintivo del danno biologico base, o statico, e del danno biologico dinamico.

E’ indubbio che il primo costituisca il vero e proprio danno biologico, e cioè entità eminentemente medico legale e quindi accertabile in quella sede, mentre il secondo rappresenta il pregiudizio che il danno biologico comporta, come danno alla salute, alle aspettative vitali ed alle estrinsecazioni dell’individuo e quindi si proietta nelle varie componenti della vita di relazione, della sfera sessuale, della capacità lavorativa generica ecc.

Nel caso di specie è corretto il fatto che venga quantificato con valore a punto in uso presso il Tribunale di appartenenza, anche perché è evidente che il valore del punto elaborato nei vari Tribunali, tiene conto della realtà socio – economica alla quale si riferisce il risarcimento, per cui, anche se può apparire asociale e soprattutto anacronistico, apparirebbe più ingiusto liquidare un danno subito da una persona che vive in un paesino del sud, dove la vita costa poco, con i criteri liquidativi adottati in una grande città del nord, perché ciò determinerebbe un indubbio arricchimento senza causa violandosi il principio della congruità del danno rispetto alle effettive perdite vitali subite.

Peraltro fermo questo principio, se è pur vero che la valutazione del danno biologico o statico spetta al medico legale, è altrettanto vero che quella della compromissione degli aspetti dinamici, una volta dimostrato il pregiudizio patito rispetto alle attività prima svolte, appartenga al giudice che quindi deve usare correttivi per adeguare il valore risarcitorio all’effettivo danno subito.

La congruità unitamente al concetto di equità, cui è sottoposto il criterio liquidativo del danno biologico, non deve essere mai persa di vista e dunque è inaccettabile che per un anno da micropermanente, quale è una percentuale di 8/9 punti, si pretenda il 505% in più del valore a punto in quanto le lesioni, ammesso e non concesso siano tali e di tale misura, avrebbero impedito non già una intensa vita di relazione o affettiva, o pregiudicato la capacità lavorativa generica, bensì di giocare a tennis e di accompagnare il figlio alle gare di sci.

Con ciò non si vuol sostenere che non esista un pregiudizio per le attività ricreative, necessarie ed utili alla vita moderna di ogni individuo, ma che la rilevanza di tali pregiudizi debba essere esaminata e valutata in relazione all’id quod plerunque accidit e non alla particolare e peculiare

(5)

situazione del danneggiato il quale, secondo il suo assunto, a causa del proprio burrascoso rapporto coniugale e della noiosa attività di impiegato di banca, riservava le proprie attitudini vitali unicamente in queste attività ricreative.

Prescindendo dal fatto che ai sensi dell’art 1225 c.c. il risarcimento deve essere limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui si è creato, e che era assolutamente imprevedibile per il convenuto sapere che quello contro cui andava a sbattere soffriva di problemi coniugali e di depressione per la noiosa attività bancaria, è assolutamente esorbitante la pretesa di aumentare del 50% il valore a punto, in quanto il pregiudizio non attiene ad aspetti determinanti della vita del soggetto, né la pregiudica per gran parte, ma solo dell’8/9% e quindi, per il restante 91/92% l’attore potrà seguitare a giocare a tennis, magari con un po’ di sforzo e meno impeto, ed accompagnare il figlio alle gare di sci, ma non potrà pretendere che il risarcimento per equivalente che il danneggiante sarebbe tenuto a versargli lo compensi anche dei dolori e delle delusioni matrimoniali e professionali.

E’ infatti evidente che lo scopo del risarcimento del danno alla persona è quello di reintegrare, non già in forma specifica ma per equivalente, le perdite subite, quale conseguenze immediate, dirette e prevedibili del fatto illecito e non anche per ulteriori aspetti, pregressi o del tutto indipendenti da questo.

La giurisprudenza più costante ed attuale afferma infatti il principio che nella valutazione del danno biologico, purché congruamente motivato dal giudice della liquidazione, ogni criterio vada bene purché esente da riferimenti patrimoniali o reddituali che duplicheranno il danno o lo risarcirebbero per titolo diverso, ma in ogni caso raccomanda che vi sia la proporzionalità con l’effettivo danno patito (Cass. Civ. Sez. III 14.10.1997 n. 10024).

Dunque all’attore andrà, se gli verrà riconosciuto il diritto, solo il risarcimento di quei punti percentuali di pregiudizio alla capacità psicofisica che risulteranno dall’indagine medico legale, tenendo conto che le perdite patite in realtà si limitano a ben poca cosa e non offendono completamente le ulteriori capacità vitali.

Quanto al danno morale, qualora il giudice giudicherà ai sensi del II comma dell’art. 2054 c.c., nulla risulterà dovuto in quanto è ius receptum e principio pacifico che tale voce di danno possa essere riconosciuta solo quale conseguenza di un reato, anche se non giudizialmente accertato ma solo potenzialmente esistente, per cui non sussiste il presupposto previsto dall’art. 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p. della colpa penale qualora la responsabilità venga giudicata attraverso la presunzione sussidiaria per mancanza di prova liberatoria.

Ma a prescindere da ciò è ben far presente che la valutazione del danno morale, per sua natura, non può essere rapportata all’entità della lesione, trattandosi di un danno conseguenza e non, come il biologico, di un danno evento, tanto è vero che spetta il risarcimento del danno morale anche laddove il reato non abbia interessato la persona, bensì la sua dignità, il suo patrimonio ecc.

La Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza del 1998 n. 134 ha di fatto ratificato il criterio liquidativo del danno morale adottato dal Tribunale di Milano che liquida tale voce con somme oscillanti tra ¼ la metà del danno biologico (Cass. Civ. Sez. III 9.1.1998).

E’ pur vero che tale decisione non riguarda, né poteva riguardare, il criterio liquidativo eleggendolo a unico criterio di riferimento, ma il semplice fatto che, sebbene incideter tantum la Suprema Corte abbia ritenuto non censurabile la determinazione del danno morale in una frazione tra ¼ e la metà del risarcimento del danno alla salute, comporta inevitabilmente che tale criterio assurga a criterio nazionale.

Orbene perché il danno morale vi è anche laddove non vi sia un danno biologico per mancanza di lesione alla persona per la diversa natura del reato, appare discriminante che in alcuni casi il danno venga valutato in siffatta maniera e in altri senza alcun parametro di riferimento.

Si è perso infatti di vista la natura del danno extra patrimoniale, e cioè il suo scopo sanzionatorio e riparatorio al tempo stesso, per cui è rispetto alla offensività del fatto reato che deve essere commisurato il conseguente risarcimento del danno morale e non alle conseguenze che il reato ha comportato nel modo di essere della persona lesa, perché altrimenti si avrebbe implicitamente ed

(6)

inevitabilmente una sovrapposizione al danno biologico sia perché comunque da ¼ alla metà di questo viene riliquidato come danno morale, sia perché, facendosi riferimento alle sofferenze, agli interventi chirurgici patiti, alle menomazioni alla qualità della vita, in pratica si ripeterebbe il diverso titolo risarcitorio.

E’ il caso che ci interessa, perché l’attore pretende che il suo danno morale sia “da considerarsi particolarmente rilevante” per la frustrazione e lo sconforto di non aver potuto più svolgere le attività sportive, frustrazioni ancor più gravi a causa del “burrascoso rapporto coniugale e delle noiosa e ripetitiva attività bancaria”.

Per evitare una indebita locupletazione del danno, come la natura del danno morale vuole, alla gravità del reato stesso e quindi all’offensività del comportamento illegittimo. Trattandosi di un incidente stradale, che è un fenomeno fisiologico del caotico traffico cittadino, risulta che l’offensività del reato, per di più colposo, sia assolutamente insignificante e quindi contenuto proporzionalmente il risarcimento del conseguente danno (Cass. Civ. Sez. III 14.10.1997 n. 10024).

Questione a parte è rappresentata dal danno da temporanea per il quale non si ritiene sussista un periodo di incapacità assoluta soprattutto se di natura biologica. Infatti la malattia potrà impedire al leso alcune attività ma non tutte, e dunque, si dovrà tener conto delle capacità residue e liquidare il danno da incapacità temporanea in via percentuale.

Quanto al danno patrimoniale l’attore pretende una reintegrazione per le perdite dovute alla mancata effettuazione dei consueti straordinari.

E’ notorio che l’attività lavorativa straordinaria non costituisca base stipendiale, bensì sia una mera indennità che viene elargita a compenso di quella eccezionale attività che il dipendente compie, con carattere di occasionalità e senza alcuna consuetudine, oltre l’orario di lavoro.

Alcuni contratti di lavoro, come quelli pubblici, vietano lo straordinario se non per particolari attività ed in modo del tutto eccezionale. Dunque la perdita di questa indennità straordinaria non può essere reintegrata in quanto, se il danneggiato non lo ha svolto nel breve arco di tempo in cui gli è stato impossibile prestare la propria attività lavorativa, potrà sempre farlo in futuro e per di più non è provato che in quel periodo di malattia egli l’avrebbe svolta.

Si contestano inoltre le esorbitanti somme delle spese mediche quantificate in £. 11.000.000 in quanto non giustificate dalla esiguità delle lesioni e dalle irrilevanti prestazioni mediche, per cui il riconoscimento di tale voce costituirebbe un aggravamento della posizione del debitore incompatibile con il disposto dell’art. 1227 c.c.

Nessuno infatti ha obbligato il danneggiato a rivolgersi a luminari e a non usufruire delle prestazioni sanitarie gratuite delle strutture pubbliche, in quanto le sue lesioni non abbisognavano di particolari cognizioni mediche, né di particolari terapie. Sul punto si chiederà chiarezza al C.T.U.

Da ultimo si deve contestare anche la richiesta di munire la somma risarcitoria di interessi al tasso legale da calcolarsi sulla somma rivalutata dal giorno del sinistro al saldo in quanto tale ulteriore voce di maggior danno costituirebbe un arricchimento senza causa posto che, nei debiti di valore, l’equivalente pecuniario rivalutato soddisfa il credito per il bene perduto, ma non anche il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene a rimborso delle quali possono corrispondersi gli interessi, i quali non devono essere necessariamente al tasso legale, non disponendolo alcuna norma codicistica, bensì rapportati all’interesse bancario, nella media maturata dal fatto al saldo, e calcolati anno per anno sul valore originario della somma via via rivalutata per il periodo di ritardo (Cass. Civ. Sez. Un. 17.2.1995 n. 1712).

Oggi soprattutto che il rendimento del denaro, per somme di basso valore, come quelle richieste dall’attore, oscilla tra l’1 ed il 2% annuo, è assolutamente iniquo liquidare un interesse al tasso legale pari a 5 punti percentuali perché, come è evidente, il danneggiato avrebbe una ricchezza in più rispetto alle effettive perdite di rendimento per il mancato utilizzo di quel denaro.

E’ anche da tenere presente che calcolare gli interessi, in modo valutati, sulla somma già interamente rivalutata, comporterebbe un indebito ed illegittimo anatocismo perché è evidente che in questo caso verrebbero liquidati gli interessi degli interessi già maturati e quindi con un

(7)

crescendo esponenziale che aumenterebbe di molto il valore del risarcimento rispetto al danno effettivamente patito.

CONCLUSIONI

Piaccia all’Ill.mo Tribunale, in funzione di giudice Unico, respingere la domanda attrice così come formulata anche ai sensi ed agli effetti del II comma dell’art. 2054; in via subordinata, dato atto che i convenuti hanno versato all’attore la somma di £. 7.000.000, pari a quanto è risultato, secondo i criteri adottati in citazione, per il danno permanente valutato, dal fiduciario medico legale, in 4 punti percentuali, per la temporanea al 50%, per il costo di riparazioni auto, oltre che alle spese legali, respingere per il reso la domanda attrice ritenendo congrua e satisfatoria la somma versata; in via ancor più subordinata, respingere in ogni caso la richiesta del risarcimento del danno morale qualora venga accolta la domanda attrice in applicazione del II comma dell’art. 2054 c.c.; in via subordinata ridurre il risarcimento del danno biologico, per ciò che riguarda l’aspetto dinamico dello stesso, ad equità e proporzionalmente alle effettività dei pregiudizi patiti; respingere la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale perché non provato e comunque non dovuto;

liquidare, secondo il disposto delle Sezioni Unite del 1995, il maggior danno da interessi e rivalutazione, respingendo per il resto la domanda attrice, il tutto con vittoria di spese ed onorari di lite.

In sede istruttoria si chiederà nomina di un consulente medico legale e di un consulente tecnico cinematico al fine di stabilire se le lesioni lamentate dal danneggiato siano compatibili con un corretto uso delle cinture di sicurezza, tenuto conto delle lesioni stesse, dei danni subiti dal veicolo, della forza d’urto con cui giunse il veicolo.

Non si oppone all richiesta C.T.U. avversaria purché egli, esaminata la documentazione prodotta all’udienza o depositata in Cancelleria, visitato il periziando, compiuti, ove autorizzato dal G.I. i necessari accertamenti specialistici:

a) stabilisca se le lesioni refertate e/o successivamente certificate siano in rapporto casuale, secondo i criteri medico legali di giudizio con il fatto lesivo come risultante dagli atti;

b) accerti:

- se le lesioni abbiano cagionato un peggioramento temporaneo delle generali condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti;

- in caso positivo indichi la durata dell’inabilità temporanea, sia assoluta che relativa, precisando quali attività dell’ordinaria esistenza siano state precluse al periziando nel periodo di inabilità (ad es. camminare, lavarsi, vestirsi, ecc).

b1. accerti:

- se sussista rapporto causale tra lesioni rilevate ed un peggioramento permanente delle generali condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti;

- se sussistono precedenti morbosi;

- se tali precedenti siano concorrenti o coesistenti rispetto ai postumi;

b2. dica in caso di sussistenza di postumi di natura soggettiva e non obiettivabili, se gli stessi possono essere ritenuti attendibili in riferimento alle lesioni riportate;

c) indichi il grado percentuale di invalidità permanente precisandone i criteri di determinazione, in particolare in presenza di concorrenze o coesistenze, precisando il bareme di riferimento o il metodo seguito;

d) dica se i postumi siano suscettibili di miglioramento mediante protesi, terapie od interventi, precisandone costo, natura e difficoltà; in tal caso stabilisca l’eventuale teorica riduzione in termini percentuali del grado di invalidità permanente;

e) dica se i postumi:

- impediscano del tutto o in parte l’attività lavorativa svolta all’epoca del sinistro, ovvero se dopo il sinistro il lavoro possa essere divenuto usurante;

(8)

- ove il danneggiato non lavorasse al momento del sinistro, dica se i postumi gli impediscano del tutto ogni attività lavorativa, ovvero in quali settori probabile attività possa impiegare le energie residue;

f) valuti la congruità e le necessità delle spese sanitarie sostenute; determini le spese future ritenute necessarie.

Riferimenti

Documenti correlati