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Enti di formazione e formatori - Judicium

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Paolo Porreca

Enti di formazione e formatori

SOMMARIO: 1. Profili generali: la formazione come attività professionale non riservata. 2. Requisiti per l’iscrizione degli enti di formazione e vigilanza. 3. Il percorso formativo. 4. Requisiti per l’esercizio dell’attività di formatore. 5. Procedimento di iscrizione, sospensione e cancellazione. 6. Disciplina transitoria.

1. Il varo del testo unico sulla mediazione, avvenuto con il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, ha diviso nelle analisi degli studiosi e nelle considerazioni dei professionisti, ma un punto ha trovato tutti concordi: sarà decisiva la formazione dei mediatori.

Il citato d.lgs. n. 28/2010 all’art. 16, comma 5, ha enunciato laconicamente l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, dell’elenco dei formatori per la mediazione.

Si è così rinviato il tutto alla normativa regolamentare attuativa, e, contrariamente ad alcune opinioni, non pare a torto, posto che si tratta di disciplina di dettaglio e per così dire “a monte” della mediazione vera e propria. Anche se essenziale alla riuscita di una valida implementazione dell’istituto nell’ordinamento e nella prassi operativa italiani.

Il previsto decreto ministeriale doveva stabilire i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione, «in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori», oltre a indicare il tempo a decorrere dal quale la partecipazione alla nuova formazione avrebbe dovuto divenire elemento costitutivo della qualificazione professionale propria dei soggetti coinvolti.

Tale decreto è stato emanato il 18 ottobre 2010 con il numero 180.

Relazione per il seminario La riforma della mediazione civile e commerciale alla luce del decreto ministeriale n. 180 del 2010, Milano, 3 febbraio 2011.

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L’art. 17, attuando la norma primaria, istituisce quindi l’elenco degli enti abilitati a svolgere l’attività di formazione dei mediatori.

Il termine “elenco”, innanzi tutto, vuole sottolineare – tanto più per differenza con il termine “registro” utilizzato per gli organismi di mediazione – che non si tratta, come ad esempio per gli albi, dell’introduzione di una nuova e autonoma figura di professione regolamentata, dal punto di vista ordinamentale, ma piuttosto di un servizio professionale che può essere erogato da professionisti di vario tipo, quali potranno essere, a titolo di mero esempio, avvocati o commercialisti. Analogamente a quanto avviene in altri casi tipizzati dalla legge, primo fra tutti quello dei revisori contabili.

Va detto che la distinzione tra professione e servizio professionale tende a essere sempre più fragile non solo dal punto di vista concettuale ma anche da quello della normativa sovranazionale e in specie comunitaria. È sufficiente pensare alla direttiva dell’Unione europea sui servizi nel mercato interno, n. 123 del 2006, attuata con il decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59, che mira a disciplinare in modo comune professioni e servizi professionali soggetti a speciali requisiti. Del resto, è evidente che sia il mediatore sia il suo formatore individuano nuove e specifiche categorie professionali, oltre che un importante e ulteriore segmento del mercato del lavoro sul quale, essendo in totale espansione, è ragionevole ipotizzare saranno effettuati utili investimenti. La vigilanza amministrativa servirà quindi a far sì che le utilità si abbinino alla necessaria qualità del settore.

Quello che qui importa sottolineare è che non si tratta, comunque, di attività professionale riservata.

Sotto il profilo giuridico, infatti, il formatore può essere definito quale persona fisica che svolge un’attività professionale di natura intellettuale in favore dell’ente iscritto nel citato elenco.

La natura intellettuale dell’opera deriva dalla considerazione che sua funzione precipua è, come si evince dai contenuti del percorso formativo di cui si parlerà in seguito, quella di implementare nella persona fisica del mediatore l’idoneità allo svolgimento della sua prestazione. E, cioè, assistere le parti in lite al fine di pervenire a una soluzione concordata della medesima, attività che esige conoscenza degli strumenti tecnici della procedura di negoziazione assistita e capacità di una loro utile

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applicazione, oltre che, evidentemente, dei profili giuridici che attengono alla gestione prima che al merito della controversia.

Si può porre, in questo contesto, il problema se l’attività svolta dal formatore sia o meno da ritenersi protetta e esercitabile solo da determinati soggetti aventi specifici requisiti. E quindi assoggettabile al regime ordinamentale delle attività professionali riservate, anche nel quadro delle deroghe al principio comunitario di libera concorrenza.

In termini generali, l’attività professionale è da qualificarsi protetta solo qualora trattasi di attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato solo in favore di chi possiede una determinata qualifica professionale (cfr.

art. 4, comma 1, lett. a) n. 3, del d.lgs. n. 206/2007).

Si tratta di un problema che inerisce alla verifica delle specifiche attività che determinati professionisti svolgono e che, secondo precise previsioni normative, non possono che essere svolte unicamente da essi, con esclusione, quindi, di qualunque altro professionista non in possesso del medesimo titolo professionale.

Se, in generale, sussiste il principio della libertà di svolgimento dell’attività lavorativa (art. 41 Cost.), in determinate ipotesi, ritenute di particolare rilievo sotto il profilo dell’interesse sociale a una adeguata preparazione e qualificazione del professionista tenuto a svolgere specifiche attività, il legislatore richiede che esse non possano che essere esercitate solo da chi abbia acquisito una qualifica professionale (nel senso di preparazione e competenza tecnica specifiche e titolate sul piano formale).

Ora, così come disciplinata dal legislatore, la figura del formatore (come anche quella del mediatore), non può essere riguardata in termini di attività professionale riservata.

È vero che, ai fini dello svolgimento dell’attività di formazione di cui al d.lgs.

n. 28/2010 e d.m. n. 180/2010, è necessario che il professionista (in senso lato inteso) presti la sua opera in favore dell’ente iscritto nell’elenco accreditato, e che il legislatore ha specificamente regolato i requisiti che deve possedere il formatore per potere effettivamente svolgere la sua attività.

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Ma è anche vero che la regolamentazione compiuta dal legislatore è stata dettata unicamente e con specifico riferimento ai fini tenuti presenti dalla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 28/2010: quelli, cioè, di supportare la mediazione disciplinata da questa normativa, che a sua volta si risolve in un’attività di negoziazione assistita supportata normativamente in specie sul piano fiscale.

Solo i mediatore formati ai sensi della disciplina in parola possono condurre le parti al raggiungimento di un accordo omologabile a fini esecutivi e d’iscrizione ipotecaria (art. 12 del d.lgs. n. 28/2010).

Solo presso quei mediatori le parti potranno essere sostenute sul piano tributario innanzi tutto con il credito d’imposta a valere sulle indennità da corrispondere all’organismo di riferimento (artt. 17 e 20 del d.lgs. n. 28/2010).

Ciò non esclude, però, che anche al di fuori del percorso procedimentale predisposto dal legislatore, si possa comunque svolgere un’attività di formazione da un “professionista” non inserito nell’elenco dei mediatori di un organismo accreditato.

In altri termini, l’attività di formazione, così come quella di mediazione per cui valgono eguali motivazioni, può anche essere esercitata da professionisti presso enti non inseriti nell’elenco sopra menzionato, non avendone il legislatore riservato ad essi lo svolgimento. Ma diverso sarà il valore giuridico dell’opera, che non potrà essere titolo per esercitare l’attività di mediazione privilegiata, quale regolata dal d.lgs. n. 28/2010.

Va quindi escluso che la disciplina possa ledere i principi di libera concorrenza dei servizi professionali.

2. Del sopra citato elenco è responsabile il direttore generale della giustizia civile, del dipartimento per gli affari di giustizia interno al dicastero retto dal Guardasigilli, ovvero anche da persona delegata con qualifica dirigenziale di secondo livello nell'ambito della direzione generale.

Il responsabile dovrà articolare l’accreditamento degli enti di formazione in modo da distinguere tra enti pubblici e privati, e, all’interno di queste categorie, dovrà istituire, in modo coordinato, un sottoelenco di formatori e di responsabili

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scientifici “di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie”, di cui ciascuno degli enti si dovrà dotare per iscriversi affinché attesti la completezza e l’adeguatezza del percorso formativo e di aggiornamento predisposto.

Nulla impedisce che, ove ne abbia i requisiti, il “responsabile di chiara fama”

potrà essere individuato anche tra i docenti del corso.

In particolare, nel caso di corsi di formazione organizzati da Università accreditate come enti formatori (per i quali la prassi già denota l’approvazione del programma da parte del consiglio di facoltà e successivamente da un apposito decreto rettorale, nonché l’individuazione, tra i professori di ruolo della facoltà che presenta la richiesta, di uno o più responsabili scientifici del corso), l’individuazione, da parte del richiedente, del responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza potrà essere rivolta anche ai responsabili scientifici del corso, purché in possesso dei necessari requisiti.

Tra i requisiti richiesti per l’individuazione del responsabile di chiara fama l’art. 18 del d.m. n. 180/2010 indica «l’esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie»: pertanto, in ossequio a quanto previsto dal decreto, non potrà essere indicata anche la partecipazione a procedure arbitrali, posto che, sia nel decreto ministeriale che in quello legislativo, per alternative dispute resolutions dovranno intendersi quelle attività di risoluzione del conflitto anche valutative ma prive di capacità di vincolare (art. 1, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 28/2010, e art. 1, comma 1, lettera c), del d.m. n. 180/2010).

L’iscrizione avviene dunque mai d’ufficio né di diritto bensì sempre a domanda, e questa può essere avanzata, come opportunamente precisa il comma 1 dell’art. 18 del d.m. n. 180/2010, da enti ma anche da organismi costituiti dagli gli stessi.

L’idoneità dei richiedenti è disciplinata ricalcando quella imposta per l’accreditamento degli organismi di mediazione.

Sarà quindi necessario possedere e attestare la capacità finanziaria e organizzativa dell’ente, nonché la compatibilità dell’attività di formazione con l'oggetto sociale o lo scopo associativo.

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La stessa norma specifica che ai fini della dimostrazione della capacità finanziaria, il richiedente deve possedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata. Si fa così implicito richiamo all’art. 2463, comma 2, n. 4), del codice civile. Il che appare condivisibile se solo si pensa che sarebbe stato illogico chiedere soglie superiori a quella necessaria a svolgere a pieno titolo attività d’impresa, mentre sarebbe stato inopportuno non individuare alcun parametro rimettendo questo delicato aspetto a pericolose oscillazioni.

Quando si tratti di enti privati, come nel caso di società, i soci, associati, amministratori o rappresentanti di quegli enti, devono avere requisiti di onorabilità conformi a quelli fissati dall'articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.

58, per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione finanziaria, società di gestione del risparmio, società d’investimento a capitale variabile.

Si tratta dei requisiti fissati con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (già Tesoro, Bilancio e Programmazione economica) dell’11 novembre 1998, n. 468. Ai sensi dei parametri dell’art. 3 di tale ultimo decreto, saranno di ostacolo, pertanto, le condizioni d’ineleggibilità o decadenza previste dall’art. 2382 del codice civile, e quindi l'interdizione, l'inabilitazione, la dichiarazione di fallimento personale, o la condanna a una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici, o l'incapacità a esercitare uffici direttivi.

Così come saranno impeditive: le misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni e integrazioni, salvi gli effetti della riabilitazione; le condanne con sentenza irrevocabile (sempre salvi gli effetti della riabilitazione) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; e le condanne alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nella legge fallimentare (regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni), purché, tutte queste, non siano inferiori all’anno.

E saranno altresì ostative le condanne alla reclusione, sempre per un tempo non inferiore a un anno, per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede

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pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria.

E, ancora, quelle alla reclusione, questa volta per un tempo non inferiore a due anni, in ragione di un qualunque delitto non colposo.

Le cariche sopra indicate non potranno essere comunque ricoperte da coloro ai quali sia stata applicata su richiesta delle parti una delle pene previste per i reati come appena sintetizzati, salvo il caso dell’estinzione del reato stesso.

Con riferimento alle fattispecie disciplinate in tutto o in parte da ordinamenti stranieri, la verifica dell’insussistenza delle condizioni previste sarà effettuata sulla base di una valutazione di equivalenza sostanziale, a cura questa volta non della CONSOB per le SIM e della Banca d’Italia per SGR e SICAV, come previsto dal d.m. Economia e finanze, ma – stante il richiamo materiale e non recettizio operato dal d.m. Giustizia – dalla direzione generale dalla giustizia civile quale pubblica amministrazione vigilante.

Come si vede, una griglia di “sicurezza” non trascurabile.

A tutto ciò si aggiunge che il responsabile dell’elenco dovrà vagliare, per acconsentire all’accreditamento, la trasparenza amministrativa e contabile dell'ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e l’ente di cui in ipotesi il primo costituisca articolazione interna, al fine della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale. Quest’ultima precisazione, peraltro, è il frutto dell’accoglimento di un suggerimento contenuto nel parere del Consiglio di Stato del 22 settembre 2010 n. 4279.

Sul descritto profilo, evidentemente data la sua mutevole natura, non vi sono specifiche particolari, così che il legislatore ha lasciato alla discrezionalità amministrativa implementarlo caso per caso.

La cultura normativa e professionale italiana tende a diffidare sempre di clausole aperte, ma questo anche a prezzo di ipertrofiche discipline che spesso inseguono inevitabilmente senza successo la realtà della prassi.

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Per scendere esemplificativamente sul terreno della casistica, la trasparenza di tale rapporto potrebbe essere revocata in dubbio qualora esso leghi l’organismo e un ente non accreditato, e dunque non vigilato, che però abbia elusivamente affidato in appalto di servizi ad altro ente, ovviamente accreditato, la costituzione dell’ente di formazione e la realizzazione del correlativo servizio.

Sarà poi necessario avere un numero di formatori non inferiore a cinque, che svolgano l’attività presso l’accreditato. Sul punto, peraltro, nulla pare impedire che i formatori svolgano la loro attività per più enti di formazione (o loro organismi). Resta fermo, però, che per raggiungere il numero minimo necessario all’iscrizione dovranno risultare legati da un rapporto stabile, anche se non esclusivo, con il richiedente l’accredito.

Peraltro, l’autorità vigilante potrebbe revocare in dubbio l’autonomia funzionale dell’ente qualora i formatori di cui dispone siano legati da un rapporto di servizio professionale con un numero molto elevato di enti, così da potersene inferire l’insufficienza del loro apporto singolo.

Diversamente, ferma la necessità che ogni ente accrediti, a copertura delle esigenze formative, un certo numero di formatori, l’ente potrà ricorrere, in caso di necessità (ad esempio, per malattia o indisponibilità, per la singola edizione, di uno o più dei propri formatori) e d’accordo con i formatori che andrà a utilizzare, anche a soggetti accreditati presso enti diversi, che siano disponibili a tenere una o più lezioni, senza legarsi stabilmente al distinto ente.

Nella domanda al responsabile dell’elenco dovrà poi essere indicata la sede dell'organismo, con la specificazione della disponibilità delle strutture amministrative e logistiche per lo svolgimento dell’attività didattica. Insomma, si sarà obbligati a chiarire anche i mezzi materiali (e non solo umani) disponibili.

3. Alla lettera f) del comma 2, l’art. 18 del d.m. n. 180/2010 regola l’aspetto probabilmente più importante, ossia il contenuto della prestazione resa dal soggetto abilitato a fornire il servizio di formazione.

Si impone in questo modo, per l’accreditamento, la previsione e l’istituzione di un percorso formativo, di durata complessiva non inferiore a cinquanta ore, articolato in corsi teorici e pratici, con un massimo di trenta partecipanti per corso, comprensivi

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di sessioni simulate partecipate dai discenti, e in una prova finale di valutazione della durata minima di quattro ore, articolata distintamente per la parte teorica e pratica.

La durata del corso di formazione per i mediatori è dunque di 50 ore, comprensiva delle 4 ore di valutazione. La norma va infatti letta nel senso che la descrizione dell’articolazione del percorso ne elenca i contenuti distinti nei corsi e nella prova finale, che non si aggiunge, con le sue 4 ore minime, al monte ore complessivo.

I corsi teorici e pratici dovranno avere per oggetto la normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, la metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, l’efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, i temi della forma, del contenuto e degli effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, e quello dei compiti e delle responsabilità del mediatore.

Distinta dovrà essere, opportunamente, la previsione e l’istituzione di un apposito percorso di aggiornamento formativo, di durata complessiva non inferiore a diciotto ore biennali, articolato in corsi teorici e pratici “avanzati”, comprensivi anche qui di sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione.

I corsi di aggiornamento avranno per oggetto le stesse materie sopra indicate, che mostrano come l’attenzione dovrà trovare il proprio baricentro sui peculiari contenuti della mediazione intesa come disciplina autonoma dalla cornice giuridica in cui si inserisce.

L’esistenza, la durata e le caratteristiche dei percorsi di formazione e di aggiornamento formativo dovranno essere rese note anche mediante loro pubblicazione sul sito internet dell’ente di formazione.

L’attenzione della disciplina per i contenuti della formazione si spiega agevolmente se si pensa al suo legame con la principale innovazione del d.m. n.

180/2010, ossia quella di cui all’art. 4, comma 3, del testo. Norma in cui si indica che i mediatori devono possedere un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea

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universitaria triennale (riconosciuta se acquisita all’estero) ovvero, in alternativa, essere iscritti a un ordine o collegio professionale (italiani).

Si tratta di una previsione estremamente innovativa rispetto all’art. 4, comma 4, lettera a) del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004 n. 222, emanato per l’abrogata conciliazione societaria di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 (art. 38).

In quella norma, restata transitoriamente in vigore1 sino all’emanazione del d.m. n. 180/2010, si riconosceva di diritto la qualifica di mediatore ai professori universitari in discipline economiche o giuridiche, ai professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità d’iscrizione da almeno quindici anni, e ai magistrati in quiescenza. Nell’attuale normativa regolamentare, al contrario, si esclude ogni riconoscimento automatico che prescinda dalla formazione specifica che tutti i mediatori debbono acquisire.

Il mediatore è quindi una figura professionale trasversale rispetto alle competenze tecniche che pure attengono alla materia mediata.

Non deve cioè trattarsi necessariamente di un giurista, anche se risulta chiaro che la conoscenza del diritto renderà migliore la sua opera.

E in questa cornice risulta quindi decisivo il ruolo della formazione.

Ma il vaglio di qualità sugli enti di formazione, al riguardo, non si ferma qui.

Il responsabile dell’elenco dovrà verificare altresì i requisiti di qualificazione dei formatori, i quali dovranno provare la loro idoneità, attestando: per i docenti dei corsi teorici, di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie; per i docenti dei corsi pratici, di aver operato, in qualità di mediatori, presso organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure; per tutti i docenti, di avere svolto attività di insegnamento in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie presso ordini professionali,

1 Normativa che, logicamente, tornerebbe in vigore ove fosse accolta un’impugnativa in sede amministrativa del regolamento in esame.

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enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute, nazionali o straniere, nonché di impegnarsi a partecipare in qualità di discente presso i medesimi enti ad almeno sedici ore di aggiornamento nel corso di un biennio.

Vanno fatte, sul punto, due precisazioni.

Tra i requisiti di qualificazione dei formatori viene dunque indicato, «per i docenti dei corsi pratici, di avere operato, in qualità di mediatore, presso organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure»: la ratio che pare emergere dal regolamento nel suo complesso (valorizzare le pregresse esperienze di tutti i soggetti che hanno svolto effettiva attività di mediazione o conciliazione), é assolutamente in linea con le non trascurabili esigenze di carattere pratico (poter contare, in tempi brevi, su un buon numero di qualificati docenti). Si deve dunque ritenere che, a integrare il suddetto requisito, sia l’aver svolto procedure di mediazione anche presso organismi quali i centri di mediazione istituiti, tipicamente, presso enti pubblici o CCIAA, ma non iscritti al registro del d.m. n. 222/04 , sempre che la tipologia dei conflitti mediati coincida con una o più materie di cui al d.lgs. n. 28/2010.

Tra i requisiti di qualificazione dei formatori è richiesto, poi, per i docenti dei corsi teorici, «di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie»: per rispondere a uno dei quesiti appena emersi nella prassi applicativa, si deve ritenere che il requisito sia integrato anche quando la pubblicazione, trattandosi di rivista, non rechi un indice ISBN, ma abbia invece il codice ISSN (analogo al codice ISBN, che è utilizzato per i libri).

Un ulteriore aspetto merita di essere sottolineato.

Nella disciplina transitoria dedicata ai mediatori si dice che quelli abilitati a prestare la loro opera presso gli organismi di cui al d.m. n. 222/2004 sulla conciliazione societaria, devono acquisire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, i requisiti anche formativi in esso previsti per l’esercizio della mediazione o, in alternativa, attestare di aver svolto almeno venti procedure di mediazione, conciliazione o negoziazione volontaria e paritetica, in qualsiasi materia, di cui almeno cinque concluse con successo anche parziale.

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I contenuti del modulo integrativo dovranno evidentemente riguardare almeno uno tra gli argomenti indicati nell’art. 18, comma 2 lett. f), del d.m. n. 180/2010, oltre, necessariamente, all’analisi del nuovo regolamento (puntualizzazioni logiche anche se non espresse nella norma).

L’impegno orario del corso integrativo sarà invece dato dalla differenza tra le ore 50 previste dal recente regolamento e le 40 ore dei corsi previsti dalla disciplina previgente, svolte presso un organismo iscritto.

È poi ovvio che un corso sarà integrativo qualora lo sia nei contenuti appena descritti, al di là della sua formale denominazione (per riprendere un altro dubbio di recente emerso).

L’aggiornamento dei docenti iscritti dovrà in generale svolgersi nei due anni successivi all’entrata in vigore del regolamento, mentre l’adeguamento ai requisiti richiesti deve avvenire entro i sei mesi dalla data di entrata in vigore del nuovo regolamento.

Un’ultima precisazione: eventuali corsi formativi seguiti all’estero potranno, in tesi, essere riconosciuti, in mancanza di una specifica disciplina, in base a un criterio di equipollenza, analogamente alla valutazione da operare rispetto alla fattispecie non costitutive ma impeditive di cui sopra si è discusso.

È chiara la volontà di traghettare il vecchio – ossia l’embrionale cultura della formazione sulla mediazione – verso il nuovo – ossia un compattamento organico delle energie e prassi professionali di settore, volto a far tendere verso l’alto l’asticella della qualità, con un combinato di vigilanza amministrativa e concorrenza.

4. Infine, anche i formatori dovranno possedere i requisiti dei mediatori stabiliti dall’art. 4 comma 3 lettera c), del d.m. n. 180/2010, ossia: non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; non essere incorsi nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento.

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Ne risulta la volontà del legislatore e dell’amministrazione di assicurare un elevato livello di legalità e deontologia, che deve compenetrare la figura professionale su cui viene fatto un così gravoso investimento.

Assumono infatti rilevanza ostativa anche pronunce non fondate su accertamenti pieni di responsabilità – come nel caso delle misure di prevenzione – che però incidono sulla credibilità del professionista e, di riflesso, del servizio erogato dall’organismo.

Scelta dunque rigorosa, anche se non manca l’equilibrio che discende dall’aver escluso divieti per condanne definitive per delitti non dolosi e, in ogni caso, quando la pena irrogata non risulti sospesa.

Sul punto, peraltro, emerge una certa ambiguità regolamentare, posto che la particella disgiuntiva che, nella lettera del regolamento, separa l’ipotesi dei delitti non colposi dalle condanne (sempre irrevocabili) a pene restrittive non oggetto di sospensione condizionale, potrebbe intendersi, o (con qualche forzatura) meno, nel senso che pure le ipotesi colpose contravvenzionali, ove diano luogo a misure di detenzione da applicare immediatamente ed effettivamente, siano impeditive.

Si potrebbe cioè sostenere che le ipotesi ostative siano: condanna definitiva per delitto doloso; condanna definitiva per delitto anche colposo ma a pena detentiva non sospesa. Ovvero si potrebbe concludere, portando alla compiuta estensione semantica la particella disgiuntiva, che siano d’ostacolo tutte le condanne a pena detentiva non sospesa, a qualunque titolo (di delitto o contravvenzionale) comminate.

5. Una menzione va fatta al procedimento d’iscrizione nell’elenco: a essa, come alla tenuta dello stesso, alla sospensione e alla cancellazione degli iscritti si applicano gli articoli 5, 6, 8, 9, 10 e 12, del d.m. n. 180/2010, in quanto compatibili (art. 19 del d.m. n. 180/2010). Norme che concernono gli organismi di mediazione.

Non è richiamato dunque l’art. 4 del d.m. n. 180/2010, che esclude per i soggetti di diritto pubblico la necessità di stipulare una polizza assicurativa con copertura (ovviamente riferita al massimale) fino a 500.000 euro. Il legislatore regolamentare, evidentemente, ha ritenuto di non ripetere esenzioni al riguardo. Una possibile spiegazione può correlarsi all’assenza di qualsiasi calmiere amministrativo sui prezzi per l’erogazione del servizio di formazione. Il maggior margine di profitto

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può aver suggerito la scelta di non estendere agevolazioni previste al contrario per gli organismi di mediazione.

6. Infine, la disciplina transitoria, che negli ultimi giorni sta dando qualche problema interpretativo e gestionale di rilievo.

Secondo l’art. 20 del d.m. n. 180 del 2010 si considerano iscritti di diritto all’elenco gli enti abilitati a tenere i corsi di formazione, già accreditati presso il Ministero ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.

Salvo quanto previsto allo specifico riguardo dei formatori, il responsabile verifica il possesso in capo a tali enti dei requisiti previsti dall’articolo 18 del regolamento e comunica agli stessi le eventuali integrazioni o modifiche necessarie.

Se l’ente ottempera alle richieste del responsabile entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, l’iscrizione si intende confermata; in difetto di tale ottemperanza, l’iscrizione si intende decaduta.

I formatori abilitati a prestare la loro attività presso gli enti iscritti di diritto devono invece acquisire, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, i requisiti di aggiornamento indicati nell’articolo 18 del testo.

Gli stessi formatori, fino alla scadenza dei sei mesi, possono però continuare a esercitare l’attività di formazione.

Dell’avvenuto aggiornamento gli enti medesimi daranno poi immediata comunicazione al responsabile dell’elenco.

La ratio è, come già si è accennato, di palmare evidenza: consentire il passaggio da un passato privo di omogeneità e garanzie di livelli adeguati di professionalità, al futuro, dove il mercato di questo servizio ambisce a essere libero e guidato al tempo stesso, essendo un momento decisivo per la partita che si gioca sulla giustizia civile.

Ma allo stesso tempo disporre sin da subito di un’adeguata copertura di formatori, salvo l’aggiornamento loro imposto.

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Nessun soluzione di continuità, quindi, posto che agli enti formatori, tali considerati dalla disciplina della conciliazione societaria, è stata attribuita, nell’immediato, un’iscrizione di diritto, e ai loro formatori la possibilità, sempre nell’immediato, di continuare a eserciate il proprio servizio professionale.

Anzi, può notarsi che ai formatori è richiesta solamente l’acquisizione dei requisiti di «aggiornamento» di cui all’art. 18 del d.m. n. 180/2010.

La lettera della norma induce a ritenere che sia necessario solamente entrare in possesso dell’aggiornamento formativo biennale, ma non dei restanti requisiti generali previsti dallo stesso articolo.

Non pare vi possa essere alcuna irragionevolezza in relazione a questa che potrebbe essere qualificata come una sanatoria per i “vecchi” formatori, attesa l’evidente finalità di assicurare una continuità certa del servizio, per poi far decollare gradualmente il “nuovo corso” che nel tempo non potrà che sostituire integralmente il precedente.

In questo contesto, peraltro, la direzione generale della giustizia civile del Ministero della giustizia, con una nota del 4 novembre 2010, ha chiesto anche ai vecchi enti (nel numero di 153) la compilazione della modulistica prevista per l’iscrizione dei nuovi, evidentemente al fine di censirne le caratteristiche.

L’invito a inviare le informazioni era previsto, nel provvedimento amministrativo, a pena di decadenza, ma senza supporto nella normativa regolamentare.

Con successivo provvedimento del 21 dicembre 2010 la direzione generale riapriva i termini, precisando quattro nuovi punti:

1) quanto ai 3 contributi scientifici si è indicato che si potrà trattare di pubblicazioni su riviste specializzate a diffusione nazionale dotate dei codici ISSN, oltre che di testi dotati del codice ISBN, ovvero di pubblicazioni su riviste ufficiali edite o prodotte da organi dello Stato, Regioni, Provincie o Comuni e, in generale, enti pubblici;

2) si conferma espressamente l’esclusione dei provvedimenti pubblicati online già indicata nel precedente provvedimento dirigenziale;

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www.judicium.it

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3) si chiarisce che, a differenza di quanto previsto nel precedente provvedimento dirigenziale, non sono richiesti i requisiti previsti per i docenti al responsabile di chiara fama, eccedendo la diversa previsione dell’art. 18, comma 2, lettera i), del d.m. n. 180 del 2010;

4) si chiarisce ancora che per i docenti accreditati l’acquisizione dei requisiti di aggiornamento potrà effettuarsi nel termine semestrale previsto dall’art. 20 dello stesso decreto ministeriale, e non nel termine decadenziale praeter legem inizialmente previsto.

Può solamente sottolinearsi che l’ultimo provvedimento dell’autorità di vigilanza si conforma alla lettera e alla ratio della normativa regolamentare, fermo restando che anche per gli enti formatori non potrà individuarsi alcuna decadenza se nel (nuovo) termine di trenta giorni non invieranno informazioni che, all’esito della verifica, siano considerate individuare carenze.

L’art. 20 sopra citato, come visto, prevede che il termine di decadenza di trenta giorni decorra all’esito della richiesta di specifiche integrazioni o modifiche.

L’autorità di vigilanza non potrà pertanto invertire la lettera e la logica della norma in danno dei destinatari, chiedendo informazioni a tappeto e poi verificando se siano complete, pena la decadenza dall’iscrizione di diritto.

Il termine di trenta giorni assegnato e poi riaperto potrà dunque ritenersi relativo alla sola trasmissione delle informazioni preliminari all’eventuale e successiva richiesta di integrazione.

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