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Lo “strano caso” delle sentenze pubblicate più d’una volta - Judicium

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Academic year: 2022

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Bruno Capponi

Lo “strano caso” delle sentenze pubblicate più d’una volta

SOMMARIO: 1.- Lo “strano caso” della sentenza che «presenti, oltre la firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere». 2.- La Cass. n. 20858/2009 e la prevalenza della prima data. 3.- La Cass. n. 9863/2004, richiamata dalla Cass. n. 20858/2009, e la pubblicazione occulta (timbro lasciato in bianco). 4.- La Cass. n. 17777/2011 e la prevalenza della seconda data. 5.- La Cass.

n. 13633/2011 e la prevalenza della prima data. 6.- La Cass. n. 13179/2011 e la prevalenza della seconda data. 7.- La Cass. n. 8979/2011 e la prevalenza della prima data, con importanti precisazioni.

8.- La Cass. n. 7240/2011 e la prevalenza della prima data, con esame critico della giurisprudenza anteriore e la formulazione di un principio di diritto del tutto ignorato dalla giurisprudenza successiva.

9.- Considerazioni finali.

1.- La vita di qualsiasi operatore del diritto è fatta anche di problemi che sarebbe illusorio pensare di poter affrontare con l’ausilio della comune manualistica. Situazioni che sfuggono alle ordinarie classificazioni, agli schemi noti, per collocarsi in curiose nicchie sottratte all’astrattezza delle previsioni di legge. Tali considerazioni s’adattano perfettamente al caso in cui «la sentenza presenti, oltre la firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere»1, che solleva il velo sul singolare fenomeno della sentenza venuta a duplice esistenza terrena, in contrasto con le leggi naturali non meno che con le regole tecniche del processo. Superfluo aggiungere che, a norma dell’art. 133 c.p.c., la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata (adempimento che – ad occhio e croce – dovrebbe stimarsi di competenza del cancelliere2), e che vi è perfetta identità tra deposito e pubblicazione: essendo, il primo, requisito di

“esistenza” o “rilevanza giuridica” della decisione3.

La presenza di un certo numero di casi giurisprudenziali – stranamente tendenti, di recente, a moltiplicarsi4 – in cui la sentenza risulta soggetta a più d’una pubblicazione presentando, nella maggioranza dei casi, un doppio timbro di deposito (con diciture del tipo: Pervenuto il …;

1 Così Cass., Sez. II, 29 settembre 2009, n. 20858, sentenza dal quale muoverà il nostro esame della recente giurisprudenza.

2 A volte si ritiene invece che la pubblicazione sia atto proprio del giudice, ovvero del presidente in caso di organo collegiale, o in alternativa che essa sia frutto di un’attività congiunta del giudice e del cancelliere: il primo “consegna”

la sentenza al secondo (cfr. l’art. 119 disp. att. c.p.c., che si riferisce peraltro alla consegna della minuta e non della

“copia originale” della sentenza), e quest’ultimo “documenta” l’avvenuto deposito apponendovi data e sottoscrizione. È invece certo che le successive attività rimesse al cancelliere in base al comma 2 dell’art. 133 c.p.c. (iscrizione della sentenza nel registro cronologico e relativa certificazione, invio alle parti degli avvisi dell’avvenuto deposito) non hanno nulla a che vedere con la pubblicazione (v., per riferimenti, Commento all’art. 133 c.p.c., in Codice di procedura civile, a cura di N. Picardi, Tomo I – Artt. 1-473, V ed., Milano, 2010, p. 936-937). Peraltro, quella che pacificamente viene ritenuta una vera e propria fase costitutiva della decisione può anche mancare del tutto: il fatto che una sentenza sia stata spedita in forma esecutiva, ancorché non risulti previamente pubblicata, comporta che essa debba intendersi

“implicitamente” pubblicata alla data dell’avvenuta spedizione (Cass., 25 marzo 1997, n. 2604). V. anche infra, nota n.

7.

3Per tutte, Cass., SS.UU., 21 giugno 2007, n. 14385.

4 Di cui dà atto, senza all’apparenza sorprendersi più di tanto, il Commento all’art. 133 c.p.c. del Codice di procedura civile commentato, diretto da C. Consolo, Tomo I, Artt. 1-286, IV ed., Milano, 2010, p. 133, n. 3, richiamando la Cass.

n. 20858/2009. Senza alcuna pretesa di completezza, il problema risulta successivamente affrontato almeno dalle sentenze cui questo studio è dedicato: Cass., Sez. III, 30 agosto 2011, n. 17777; Cass., Sez. Lav., 21 giugno 2011, n.

13633; Cass., Sez. III, 16 giugno 2011, n. 13179; Cass., Sez. III, 19 aprile 2011, n. 9879; Cass., Sez. III, 30 marzo 2011, n. 7240.

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Depositato il …; Pubblicato il …, ed equivalenti) mostra come il fenomeno sia tutt’altro che un incidente isolato; e giacché la pubblicazione funge da dies a quo per il decorso del termine semestrale (olim annuale) di decadenza dalle impugnazioni (art. 327 c.p.c.), spesso può avere importanza determinante stabilire con esattezza quale sia la “vera” data di pubblicazione.

2.- Secondo la già ricordata (cfr. la nota 1) Cass. n. 20858/2009, al fine di individuare il giorno del deposito, dal quale decorre il termine di decadenza dalle impugnazioni, occorrerà far riferimento alla prima data, in relazione alla quale può dirsi “accertata” la formazione della sentenza per il perfezionamento dei requisiti indispensabili prescritti dall'art. 133, comma 1, c.p.c. (ovvero la sua consegna da parte del giudice al cancelliere ed il contestuale deposito, da parte di quest’ultimo, in cancelleria5), atteso che il successivo (timbro di) “deposito” recante una diversa data, non potendo attestare un evento già verificatosi (la pubblicazione della sentenza, appunto), è riconducibile agli adempimenti a carico del cancelliere, di cui al secondo comma dell’art. 133 c.p.c. (che dovrebbero essere eseguiti nel termine di cinque giorni dalla pubblicazione; termine, ovviamente, soltanto acceleratorio6). Ma, è facile obbiettare, l’annotazione della sentenza nei registri giudiziari e l’invio alle parti degli avvisi (col solo dispositivo) nulla hanno a che vedere con la formalità della pubblicazione della sentenza, semplicemente presupponendola; inoltre, sembra nella natura delle cose che l’avviso sia adempimento successivo alla pubblicazione (come la spedizione in forma esecutiva: v. la nota 2), per cui la questione stessa della prevalenza tra le due rispettive date appare un perfetto fuor d’opera: un problema di prevalenza può logicamente porsi soltanto in caso di incertezza circa la data di effettiva pubblicazione.

Nel caso della sentenza del 2009 – da cui muove il nostro discorso – si faceva questione di tempestività dell’impugnazione; in particolare, risulta dalla narrativa della sentenza di legittimità che la sentenza d’appello era stata censurata «perché, ai fini della valutazione in ordine alla tempestività o meno dell'atto di appello, in presenza di due timbri di deposito presenti in calce alla decisione di primo grado ed entrambi firmati dal cancelliere (il primo apposto il 22 ottobre 2002, il secondo il 6 febbraio 2003), ha dato rilevanza, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c., al primo di tali timbri di deposito, assumendo che la prima annotazione di deposito si riferiva alla materiale consegna della sentenza del giudice nelle mani del cancelliere per cui, ai sensi dell'art. 133 c.p.c., è da quel momento che la sentenza era venuta a giuridica esistenza mentre la seconda annotazione certificava il tempo in cui il cancelliere aveva provveduto ad effettuare gli adempimenti burocratici di sua competenza».

Questione, nei termini descritti, forse semplicemente mal posta: perché il passaggio materiale della sentenza – “consegna” – dalle mani del giudice a quelle del cancelliere non viene sanzionato, che si sappia, dall’apposizione di alcun timbro, e perché il primo “adempimento burocratico” che il cancelliere deve curare (ma vedremo che il punto non è affatto pacifico) è proprio la pubblicazione della sentenza7, cui debbono seguire le altre formalità di cui al comma 2 dell’art. 133 c.p.c.

Leggendo l’art. 119 disp. att. c.p.c., d’altro canto, si realizza facilmente che il codice regola il passaggio materiale della minuta della sentenza (manoscritta) dal giudice al cancelliere, sul presupposto che quest’ultimo debba redigerne «il testo originale», o affidarne la scritturazione al dattilografo di ruolo, sotto la sua direzione. Sennonché, la diffusione degli strumenti informatici ha

5 Cfr. in particolare Cass., Sez. III, 3 marzo 2011, n. 7240, sulla quale torneremo.

6 Vedremo che, spesso, le due date di deposito si distanziano anche di mesi, rendendo assai più gravoso il problema di individuare la “vera” data di deposito.

7 Ma non mancano, lo si è accennato alla nota 2, sentenze che affermano apertamente che la pubblicazione è compito proprio ed esclusivo del giudice: v., ad es., Cass., Sez. III, 19 aprile 2011, n. 8979; Cass., Sez. III, 30 marzo 2011, n.

7240.

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di fatto portato un’implicita abrogazione della norma e, del resto, non è del tutto infrequente vedere, anche nei grandi tribunali, sentenze civili pubblicate nel testo manoscritto (a volte in un pietoso stampatello) direttamente dal giudice. La “consegna” della minuta manoscritta destinata alla dattiloscrittura può forse essere considerata, oggi, un tenero ricordo del passato.

Il ricorrente sosteneva, dal suo canto, che «con l'attestazione datata 6 febbraio 2003 il cancelliere non aveva affatto certificato il compimento delle formalità previste dall'art. 133 c.p.c., comma 2, ma esclusivamente il deposito della decisione in cancelleria, cosicché non era possibile propendere per una delle due certificazioni contrastanti che si elidevano a vicenda; pertanto, in presenza di due attestazioni di deposito della sentenza che determinavano una oggettiva incertezza sulla data effettiva (probabilmente l'annotazione del 22 ottobre 2002 faceva riferimento al deposito della minuta e non della sentenza sottoscritta dal giudice), il dubbio avrebbe dovuto essere risolto con l'ausilio di ulteriori elementi, individuabili nelle attività del cancelliere risultanti dai registri giudiziari».

La deduzione faceva parzialmente deflettere il problema: se infatti la prima data di “pubblicazione”

altro non era che l’attestazione del deposito della minuta in cancelleria ex art. 119 disp. att. c.p.c.

(adempimento del quale, di norma, non v’è traccia nella sentenza, e che appunto ci riporta al bel tempo che fu: in cui il giudice consegnava al cancelliere la sentenza manoscritta perché questi la destinasse alla dattiloscrittura), verosimilmente non poteva neppure parlarsi di una vera e propria doppia pubblicazione. Se invece la prima data di “pubblicazione” era relativa alla consegna della sentenza dal giudice al cancelliere ed al suo deposito in cancelleria, non c’era dubbio che l’attività descritta era quella prevista dall’art. 133 c.p.c. in termini di pubblicazione della sentenza, prescindendo dal compimento delle attività materiali e notiziali di cui al comma 2 dello stesso art.

133. Ma, certo, ciò che non poteva pretendersi dalla parte è che, per sapere quale fosse la giusta data di pubblicazione, si dovessero interrogare atti esterni alla sentenza, quali i registri giudiziari (peraltro, gestiti dallo stesso soggetto che già aveva apposto sulla sentenza due diverse date di pubblicazione…).

La C.S. respinge il motivo di ricorso «considerato che, una volta accertata la formazione della sentenza di primo grado il 22 ottobre 2002 per la ricorrenza dei suoi requisiti indispensabili ai sensi dell'art. 133 c.p.c., comma 1 (ovvero la consegna da parte del giudice al cancelliere nel suddetto giorno della sentenza stessa ed il suo contestuale deposito da parte del cancelliere), il successivo timbro di deposito del cancelliere in data 6 febbraio 2003, non potendo attestare un evento - ovvero la pubblicazione della sentenza - già verificatosi, era riconducibile agli adempimenti a carico del cancelliere previsti dall'art. 133 c.p.c., comma 2; tale assunto è del resto conforme all'orientamento consolidato di questa Corte menzionato dalla stessa sentenza impugnata (vedi per tutte Cass. 12 maggio 2004, n. 9863), nonché all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il termine annuale di decadenza dall'impugnazione decorre dalla data di pubblicazione della sentenza, ossia dal deposito in cancelleria della sentenza, a nulla rilevando l'omissione della comunicazione di cancelleria di avvenuto deposito, la quale però dava solamente luogo a conseguenze disciplinari a carico del responsabile (Cass. 7 agosto 2003 n. 11910; Cass. 16 luglio 2007 n. 15778)».

Sebbene la sentenza non precisi se, nel caso, il cancelliere avesse effettuato la comunicazione del dispositivo alle parti – vale a dire, uno degli “adempimenti burocratici” di cui al comma 2 dell’art.

133 c.p.c.8 – con riferimento alla prima o alla seconda “pubblicazione”, dal contesto della motivazione sembra doversi dedurre che il 22 ottobre 2002 la sentenza fosse stata pubblicata, ma che il relativo avviso fosse stato dato alle parti soltanto il 6 febbraio 2003 (evento di per sé patologico), senza alcuna conseguenza, si preoccupa di precisare la Corte, sul decorso del termine di decadenza dalle impugnazioni.

8 V., al riguardo, la Cass., Sez. III, 19 aprile 2011, n. 8979.

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Alla luce della motivazione in diritto, il problema peraltro sembra tornare alla sua lezione iniziale: il primo timbro di deposito non si riferiva, checché sostenesse il ricorrente, alla consegna della minuta – adempimento che, infatti, non si identifica con la pubblicazione, essendo atto interno nel rapporto tra giudice e cancelliere – e quindi siamo dinanzi ad una (apparente) doppia pubblicazione: se ne potrà dedurre l’affermazione della regola per cui, in caso di doppia pubblicazione, sarà sempre la prima a prevalere – vale a dire, è la prima l’unica vera “pubblicazione”: si nasce, del resto, una sola volta – mentre il secondo adempimento interviene, del tutto inutilmente ma senza inficiare la validità del primo (ed a qual fine non si sa bene), su di un atto già di per sé perfetto.

3.- E però, andando a controllare, risulta che il precedente citato dalla Corte come “orientamento consolidato” non risulta perfettamente in linea con la decisione adottata nel 2009, perché la sentenza n. 9863/2004, decidendo un caso in cui si era lamentato che il giudice d’appello avesse

«individuato nella data di emissione e firma del provvedimento (20 giugno 1996), da parte del pretore e del cancelliere, anche la data di deposito in cancelleria dello stesso, non distinguendo i due momenti», aveva giudicato: «è vero che la pubblicazione della sentenza (o del decreto ingiuntivo), mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, deposito consistente nella consegna ufficiale al cancelliere del provvedimento, costituisce un elemento essenziale per l'esistenza dell'atto, è anche vero che la certificazione del compimento di tale attività, che deve essere eseguita dal cancelliere a norma del secondo comma dell'art. 133 c.p.c., è formalità estrinseca all'atto stesso, con la conseguenza che la sua mancanza non determina (non solo la inesistenza ma neppure) la nullità della sentenza, atteso che l'individuazione del giorno del deposito è sempre consentito con l'uso della normale diligenza, attraverso la consultazione delle annotazioni del cancelliere sui registri degli atti giudiziali (Cass., 23 settembre 1991 n. 9914; 20 febbraio 1992 n. 2084; 13 luglio 1994 n. 6571; 9 maggio 1996 n. 4357; 22 marzo 2001 n. 4130).

Nella fattispecie in esame il Tribunale ha ritenuto che, al di là della mancanza della data e della firma sulla scritta ‘Depositato in Cancelleria...’, il decreto ingiuntivo fosse stato comunque depositato, come attestava la firma del cancelliere, nella stessa data di emissione (20 giugno 1996)».

A questo punto, qualsiasi sereno lettore si insospettirebbe. Dapprima si definisce la “pubblicazione”

come «consegna ufficiale al cancelliere del provvedimento», consegna che, così intesa, non potrebbe non essere un atto occulto, dandosi per scontato che quello della sottoscrizione, da parte del giudice come del cancelliere, e quello del deposito della sentenza siano “momenti diversi”;

quindi sembrano distinguersi due diversi adempimenti a rilevanza esterna: il primo di emissione e firma del provvedimento da parte tanto del giudice quanto del cancelliere, documentato dalla presenza delle sottoscrizioni, il secondo di deposito del provvedimento in cancelleria (atto che non può che competere al solo cancelliere, il quale del resto appone l’ultima delle sottoscrizioni); infine si apprende che, nel caso, difettavano sia la data sia la sottoscrizione (s’intende: del cancelliere) dell’avvenuto deposito in cancelleria, con la conseguenza di doverlo desumere, il deposito, dalla sottoscrizione, da parte dello stesso cancelliere, del provvedimento emesso dal giudice (deve forse intendersi: consegnato dal giudice al cancelliere per il deposito) alla data del 20 giugno 1996.

E così, nel caso indicato quale precedente “consolidato”, in realtà scopriamo che si era in presenza di un provvedimento …addirittura privo dell’indicazione del deposito (timbro lasciato in bianco), in cui la sottoscrizione del cancelliere seguiva quella del giudice senza però dare atto dell’avvenuta formalità della pubblicazione.

Ne deduciamo che il caso di una sentenza avente una doppia data di deposito, o – il che è lo stesso – che presentava un doppio timbro di deposito e così una doppia data di pubblicazione, è stato risolto richiamando quale precedente consolidato il caso di un provvedimento privo di data di deposito e quindi di pubblicazione.

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4.- L’esame dei casi successivi alla Cass. n. 20858/2009 apre scenari diversi, per la cui illustrazione dobbiamo lasciare, con larghezza, la parola direttamente alla S.C.: che d’altra parte tende a motivare sui nostri argomenti sempre con una certa ampiezza, e spesso con sconcertante ripetitività pur nella disparità delle soluzioni volta per volta adottate.

Partiamo dalla Cass., Sez. III, 30 agosto 2011, n. 17777, che costituisce, all’atto della redazione delle presenti note, l’ultimo precedente disponibile:

«Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per effetto del combinato disposto degli artt.

133 e 327 c.p.c., il termine annuale per l'impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione, e, laddove sulla sentenza pubblicata, come nella specie, appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l'altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è a quest'ultima che deve aversi riguardo ai fini della decorrenza del termine (v. Cass., 24 giugno 2009, n. 14862; Cass., 19 giugno 2008, 12681).

Ai sensi dell'art. 133 c.p.c., la sentenza è infatti "resa pubblica" con il deposito in cancelleria, di cui il cancelliere "dà atto", apponendo data e firma in calce alla sentenza, e la parte interessata legittimamente fa affidamento, ai fini dell'esercizio dei propri poteri e diritti processuali, su tale data, che deve intendersi come quella di effettiva pubblicazione, costituente elemento essenziale per l'esistenza giuridica della sentenza cui attribuisce il carattere di atto pubblico irretrattabile ed immodificabile (v. Cass., 15 luglio 1980, n. 4571) dalla quale decorrono i termini per gli adempimenti a carico del cancelliere di cui al secondo comma dell'art. 133 c.p.c. (consistenti nell'iscrizione della sentenza nel registro cronologico e nella certificazione di tale iscrizione, nonché gli avvisi alle parti dell'avvenuto deposito del dispositivo: v. Cass., 15 luglio 1980, n. 457), ma anzitutto decorrono per le parti … i termini di legge a fini d'impugnazione.

In tal caso, il timbro più remoto non può considerarsi altrimenti che un'indicazione erronea, la quale non può invero ridondare a scapito delle parti, che non possono vedersi incisi o penalizzati i propri poteri e diritti processuali, come indubitabilmente avviene laddove i termini di legge a fini d'impugnazione si ritengano decorrere dalla prima e più remota data.

La riduzione dei suddetti termini di legge (se non addirittura completa vanificazione, come in caso di secondo timbro di pubblicazione apposto a termine ex art. 327 c.p.c. già decorso) non può farsi infatti discendere da erronee condotte sulle quali le parti non hanno poteri di controllo e di incidenza.

Il primo e più remoto timbro non può allora intendersi che alla stregua di quello apposto (come sovente avviene, pur se erroneamente, o quantomeno ultroneamente, non essendo richiesto dalla legge) dal cancelliere in occasione del deposito della minuta ex art. 119 c.p.c. (in realtà: 119 disp.

att. c.p.c.), con effetti invero meramente "interni", in ordine ad esempio al rispetto dei termini per la redazione e deposito della sentenza da parte del magistrato ai fini della responsabilità disciplinare. E ciò anche allorquando come nella specie manchi la precisazione (sovente apposta a penna, in aggiunta a margine dell'attestazione a timbro) che trattasi appunto di minuta, priva di rilevanza esterna e non precludente la modificazione della sentenza prima del suo deposito ufficiale a norma dell'art. 133 c.p.c. (cfr. Cass., 4 marzo 2009, n. 5245. V. anche Cass., 8 giugno 1977, n.

2349; Cass., 4 gennaio 1977, n. 9).

Orbene, avendosi riguardo al timbro più recente in data 15 maggio 2008 (anziché a quello più remoto del 5 maggio 2008) il termine ex art. 327 c.p.c. non risulta nella specie decorso, essendo stato il ricorso per cassazione incontestatamente notificato all'odierna controricorrente in data 23 giugno 2009.

Va a tale stregua disattesa la diversa tesi, sulla quale si fonda l'eccezione della controricorrente - e da questa Corte pure a volte sostenuta - secondo cui ove la sentenza presenti, oltre alla firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere, al fine di individuare il giorno del deposito, dal quale decorre il termine di decadenza dall'impugnazione ex art. 327 c.p.c., dovrebbe farsi riferimento alla prima data, ed intendersi il successivo timbro di deposito come

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relativo agli adempimenti a carico del cancelliere medesimo ex art. 133 c.p.c., comma 2, argomentandosi dalla ravvisata impossibilità di attestarsi un evento (la pubblicazione della sentenza) già verificatosi, se non nei limiti che alla più recente data l'atto risultava "già pubblicato" (v. Cass., 30 marzo 2011, n. 7240; Cass., 29 settembre 2009, n. 20858; Cass., 23 luglio 2009, n. 17290. V. anche Cass., 19 aprile 2011, n. 8979).

Tesi invero rispettosa del tenore formale dell'art. 133 c.p.c., ma non anche della sua funzione, e, come detto, suscettibile di violare il diritto di difesa delle parti».

La sentenza lascia fortemente perplessi: a) si distingue un deposito, definito non ufficiale, in cancelleria “da parte del giudice” (ma non è certo il giudice ad eseguire le formalità relative alla pubblicazione della sentenza!), dalla pubblicazione ufficiale “da parte del cancelliere”, anzi

“indicata come tale dal cancelliere”: il quale, evidentemente, potrà legittimamente indicare una data diversa e successiva rispetto a quella del deposito da parte del giudice; b) si dà per scontato che il

“timbro più remoto” debba coincidere con “un’indicazione erronea” che non potrebbe “ridondare a scapito delle parti”, obliterando che – per una cinica legge naturale, rifluita nel processo – c’è sempre qualcuno ad avvantaggiarsi della declaratoria d’inammissibilità di un’impugnazione per tardività; c) si dà anche per scontato che il primo timbro fosse stato apposto «erroneamente, o quantomeno ultroneamente, non essendo richiesto dalla legge», documentando esso il deposito della “minuta” della sentenza a norma dell’art. 119 disp. att., “con effetti meramente interni”; d) senza apparentemente scomporsi più di tanto, la sentenza aggiunge che – su di una questione semplice ma delicata, che non dovrebbe essere caratterizzata da incertezze e contrasti – la Corte sostiene, ondivagamente, tesi del tutto incompatibili.

Ma siamo poi davvero sicuri che, nel caso, era successo proprio quanto ritenuto dalla S.C., a proposito di un timbro anteriore che attestava il deposito della minuta e di un timbro successivo attestante il deposito della sentenza?

Dallo svolgimento del processo, le argomentazioni della S.C. non risultano, in fatto, né confermate, né smentite. In particolare, non si sa se, nel caso, il giudice avesse effettivamente depositato una

“minuta” della decisione destinata alla dattiloscrittura (si tratta, ora come ora, di ipotesi di rara verificazione), né è dato comprendere perché, pubblicando la sentenza, il cancelliere avesse dato atto di tale “timbro più remoto”, dal quale non decorreva alcun termine né derivava alcuna preclusione posto che – è sempre la nostra sentenza a parlare – tale “primo” deposito «non precludeva la modificazione della sentenza prima del suo deposito ufficiale a norma dell’art. 133 c.p.c.». Così come, nel caso deciso dalla sent. n. 20858/2009, la S.C. si era impegnata in una ricostruzione in astratto dei rapporti tra prima e seconda data, primo e secondo timbro, ragionando (quasi elegantemente) in termini di completamento della fattispecie descritta nell’art. 133 c.p.c.; allo stesso modo, nel nostro caso, la Corte si è preoccupata, sempre in astratto, di distinguere il

“deposito” ex art. 119 disp. att. c.p.c. dal “vero” deposito ex art. 133 c.p.c. senza interrogarsi, nell’uno come nell’altro caso, sul se, nella realtà del processo, una minuta fosse stata consegnata dal giudice al cancelliere al fine della dattiloscrittura. Insomma: l’impressione è che la Corte, nella sent.

n. 17777/2011, abbia, per amor di tesi, semplicemente inteso affermare un principio opposto a quello della sentenza del 2009, in ragione del quale, in caso di doppia indicazione di deposito, è la seconda data a dover prevalere: soprattutto perché la riduzione dei termini per le impugnazioni «non può farsi discendere da erronee condotte sulle quali le parti non hanno poteri di controllo e di incidenza» e perché la contraria soluzione, pur «rispettosa del tenore formale dell’art. 133 c.p.c.», risulta tuttavia «suscettibile di violare il diritto di difesa delle parti». Insomma, quella che premia la seconda data è la scelta più garantista, e perciò va coraggiosamente sostenuta: e poco importa se una parte incolpevole abbia fatto affidamento, dal testo della sentenza, sulla formazione del giudicato.

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5.- Indicazioni più dettagliate, in fatto, vengono dall’esame della Cass., Sez. Lav., 21 giugno 2011, n. 136339. Si legge infatti nella sentenza che «… la Corte d’appello di Catanzaro, previa riunione delle impugnazioni, ha dichiarato inammissibili per tardività gli appelli proposti dagli attuali ricorrenti contro varie sentenze del Tribunale di Paola constatando che queste erano state depositate tutte il 15 giugno 2004 mentre il ricorso in appello era stato depositato il 3 ottobre 2005.

I ricorrenti … denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 133 e 327 c.p.c. e sostengono che la Corte di merito ha attribuito rilievo ai fini del decorso del termine di cui all'art. 327 c.p.c.

non alla pubblicazione della sentenza ma al deposito della relativa minuta in cancelleria.

L'esame degli atti consentito dalla natura del vizio denunziato permette di affermare che nelle copie autentiche delle sentenze di primo grado si trova nell'ultima pagina l'attestazione del deposito in

9 La giurisprudenza della Sezione Lavoro va sempre considerata a parte, anche sui temi generali. Ai fini del nostro discorso, possiamo segnalare due precedenti significativi: secondo la sent. 19 maggio 2008, n. 12681, per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 c.p.c. il termine annuale per l'impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date – una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l'altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere – è solo a quest'ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine. La sentenza è molto sintetica: motivata, come si diceva una volta, “alla francese”, o coi “considerato che”:

«che a norma del citato art. 327 c.p.c., comma 1, indipendentemente dalla notificazione della sentenza, l'appello non può proporsi dopo decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza;

che a norma dell'art. 133 cit., la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata (comma 1), onde il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma (comma 2);

che pertanto la pubblicazione della sentenza è atto complesso, del giudice e del cancelliere;

che a norma dell'art. 119 c.p.c., comma 1, la minuta della sentenza, firmata, dev'essere consegnata dal giudice al cancelliere, che ne cura la scritturazione;

cha da queste disposizioni risulta come nel caso, come quello di specie, in cui sulla sentenza pubblicata appaiono due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l'altra, successiva, di pubblicazione, quest'ultima segni l'esordio della sentenza al fine dell'art. 327 cit.;

che pertanto la sentenza qui impugnata, contrastante con questo principio di diritto, dev'essere cassata».

L’orientamento viene confermato con la successiva sent. 24 giugno 2009, n. 14862, in modo più argomentato:

«La sentenza, per la verità, riporta due date:

in calce, l'attestazione "depositato in cancelleria oggi 8 febbraio 2005":

a margine della prima pagina, in alto, l'altra attestazione "pubblicata a 14 febbraio 2005".

Dato che il ricorso per cassazione è stato notificato il 10 febbraio 2006, l'impugnazione è tempestiva se la data valida di pubblicazione è quella del 14 febbraio 2005; al contrario è fuori termine se, invece, la sentenza era stata validamente pubblicata l'8 febbraio 2005.

Come affermato anche recentemente dalla giurisprudenza di questa Corte, per effetto del combinato disposto degli artt.

133 e 137 c.p.c., il termine annuale per l'impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice, e l'altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest'ultima che bisogna avere riguardo ai fini della decorrenza del termine." (Cass. civ., 19 maggio 2008, n. 12681).

E' appunto quanto è avvenuto nel caso di specie. Come risulta anche dalla attestazione, in data 29 settembre 2009, della Cancelleria della Corte d'Appello di Catania (documento che, concernendo l'ammissibilità del ricorso, poteva validamente essere depositato ai sensi dell'art. 372 c.p.c.), la data effettiva di pubblicazione della sentenza, completa della motivazione, è quella del 14 febbraio 2005 riportata nella pagina iniziale del testo.

L'altra data, quella dell'8 febbraio 2005, riportata, invece, al termine della pagina finale è semplicemente quella del deposito in cancelleria della minuta da parte dell'estensore.

Di conseguenza, il termine annuale per l'impugnazione deve essere calcolato dal 14 febbraio 2005, con scadenza il 14 febbraio 2006, e dunque non era ancora decorso quando, esattamente il 10 febbraio 2006, è stato notificato il ricorso per cassazione».

Tale secondo orientamento, tuttavia, sembra assumere come ipotesi normale che la sentenza dia atto del deposito della minuta (che, giusta quanto si dice nel testo, non è tecnicamente un deposito, semmai una “consegna” da parte del giudice al cancelliere perché venga eseguita la dattiloscrittura della sentenza, e che in ogni caso non riguarda la pubblicazione ma la deliberazione), laddove l’unica data che deve risultare dalla sentenza, in modo inequivoco, dovrebbe essere quella del deposito in cancelleria da parte del cancelliere: vale a dire, la pubblicazione.

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data 15 giugno 2004, resa dal cancelliere. Nelle stesse sentenze, nella prima pagina, si leggono poi, fra le altre, le seguenti annotazioni: “del 10 giugno 2004 dep. 15 giugno 2004, pubbl. 22 ottobre 2004”.

La Corte d'Appello ha ritenuto che quest'ultima annotazione si riferisca alla data di comunicazione alle parti dell'avvenuto deposito della sentenza e che per contro la pubblicazione della stessa mediante deposito sia avvenuta il 15 giugno 2004.

Tale ricostruzione appare al Collegio la più aderente al reale stato di cose. Vale in proposito infatti il rilievo che il cancelliere nel dare atto del “deposito” non ha fatto riferimento alla minuta della sentenza ma ha evidentemente pubblicato come originale l'atto trasmessogli dal giudice, siccome già perfettamente confezionato e non bisognoso di copia e successiva collazione.

Quindi la data anzidetta deve esser quella della pubblicazione della sentenza mentre l'indicazione successiva è da riferire alla comunicazione dell'avvenuto deposito, sicché è da considerare irrilevante ai fini della tempestività del gravame.

D'altra parte, la pubblicazione della sentenza (o del decreto ingiuntivo) mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, ai sensi dell'art. 133 c.p.c., comma 1, deposito consistente nella consegna ufficiale al cancelliere dell'originale della decisione sottoscritta dal giudice, costituisce un elemento essenziale per l'esistenza dell'atto; al contrario, la certificazione del compimento di tale attività, che deve essere eseguita dal cancelliere a norma dello stesso art.

133, comma 2, è formalità estrinseca all'atto, con la conseguenza che la sua mancanza non determina la nullità del provvedimento, atteso che l'individuazione del giorno del deposito è sempre consentita con l'uso della normale diligenza, attraverso la consultazione delle annotazioni del cancelliere sui registri degli atti giudiziali. (Cass., n. 9863/2004).

Ed infatti, questa Corte ha avuto occasione di chiarire – ritornello oramai noto – che qualora la sentenza presenti, oltre la firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere, al fine di individuare il giorno del deposito, dal quale decorre il termine di decadenza dall'impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., occorre far riferimento alla prima data, in riferimento alla quale risulta accertata la formazione della sentenza per la ricorrenza dei requisiti indispensabili prescritti dall'art. 133 c.p.c., comma 1 (ovvero la consegna della sentenza da parte del giudice al cancelliere e il suo contestuale deposito da parte di quest'ultimo), atteso che il successivo timbro di deposito, non potendo attestare un evento già verificatosi (la pubblicazione della sentenza), è riconducibile agli adempimenti a carico del cancelliere medesimo, di cui all'art.

133 cod. proc. civ., comma 2 (Cass., n. 20858/2009).

Proprio secondo tale prospettiva quindi, risultando, come detto, dalla lettura degli atti che non vi è stato alcun riferimento ad un deposito di minuta, non può trovare applicazione il principio, pur pienamente condivisibile, secondo cui per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod.

proc. civ. il termine annuale per l'impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l'altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest'ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine (Cass., n. 12681/2008)».

Varie e di vario genere sono le possibili annotazioni. Anzitutto, l’ampia motivazione dà per scontato – pur in assenza di qualsiasi indicazione risultante dal testo della sentenza – che la prima data non andava identificata con la consegna della minuta al cancelliere a norma dell’art. 119 disp. att. c.p.c., perché «il cancelliere, nel dare atto del ‘deposito’, non ha fatto riferimento alla minuta della sentenza ma ha evidentemente pubblicato come originale l'atto trasmessogli dal giudice, siccome già perfettamente confezionato e non bisognoso di copia e successiva collazione». In questo, la sentenza sembra essere coerente (ma, ancora una volta, lo si può dire soltanto in astratto) con quanto avviene nell’attuale prassi degli uffici, dovendosi considerare oramai abbandonato il sistema della minuta manoscritta in funzione della successiva dattiloscrittuta del “testo originale” a cura del

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cancelliere (o del dattilografo di ruolo sotto la direzione di quello); ma soprattutto sembra rispettare il testo del documento-sentenza, perché da esso risultava sì un primo deposito, ma non si dava atto in alcun modo che esso fosse stato effettuato a norma dell’art. 119 disp. att. c.p.c.

Proprio tale dettaglio svela un decisivo elemento di conflitto con la sent. n. 17777/2011, perché quest’ultima sembra introdurre una vera e propria presunzione assoluta di avvenuto deposito della minuta, anche «allorquando, come nella specie, manchi la precisazione (sovente apposta a penna, in aggiunta a margine dell’attestazione del timbro) che trattasi appunto di minuta». La situazione di fatto, quindi, si presentava del tutto identica a quella decisa dalla sentenza n. 13633/2011: e però, nel primo caso, in mancanza di qualsiasi indicazione risultante dal testo della sentenza il primo deposito era stato senz’altro imputato alla minuta, mentre nel secondo caso il deposito della minuta era stato con altrettanta certezza escluso non soltanto perché, ora come ora, i magistrati depositano sentenze «perfettamente confezionate e non bisognose di copia e successiva collazione», ma soprattutto perché il deposito ex art. 119 disp. att. non era indicato come tale dal testo della sentenza.

Per il resto, la sentenza richiama “massime consolidate”: tra cui segnaliamo quella che già sopra abbiamo criticato, e cioè – Cass., n. 9863/2004, della quale vengono anche riprodotti ampi stralci di motivazione – che in caso di incertezza sulla effettiva data di pubblicazione «l’individuazione del giorno del deposito è sempre consentita con l’uso della normale diligenza, attraverso la consultazione delle annotazioni del cancelliere sui registri degli atti giudiziali». Precisazione che lascia davvero sgomenti, vuoi perché la pubblicazione non può che risultare esclusivamente dal testo della sentenza (arg. ex comma 2 dell’art. 133 c.p.c.), e non può essere individuata con elementi esterni (e per di più estranei allo schema legale dell’atto10), vuoi perché – trattandosi di conflitto tra due date entrambe apposte dal cancelliere – non potrebbe certo considerarsi risolutiva di quel conflitto l’annotazione …eseguita dallo stesso cancelliere sul registro cronologico!

6.- L’interessante rassegna dei casi, sempre lasciando adeguato spazio alle parole della C.S., può continuare con la Cass., Sez. III, 16 giugno 2011, n. 13179. Si tratta in effetti di sentenza particolarmente elaborata:

«Il primo ed il secondo motivo di ricorso principale vanno esaminati congiuntamente poiché attengono al vizio di motivazione sulla circostanza della data di deposito della sentenza di primo grado del Tribunale di Grosseto nella cancelleria di questo tribunale, nonché alla collegata e denunciata falsa applicazione dell'art. 133 c.p.c., comma 2, con riferimento alla medesima data ed, ancora, alla falsa applicazione dell'art. 136 cod. proc. civ., sugli effetti della comunicazione del deposito della sentenza, e dell'art. 327 cod. proc. civ. sulla decorrenza del termine annuale per l'impugnazione.

In particolare, entrambe le censure sono rivolte alla decisione dei giudici d'appello che ha ritenuto la sentenza di primo grado depositata, quindi pubblicata, ai fini della proposizione del gravame, ex art. 133 c.p.c., comma 1, nella data del 28 febbraio 2000, quando invece vi era stato un deposito già in data 31 gennaio 2000; con la conseguenza che, secondo i ricorrenti, l'appello, proposto con atto notificato in data 11 aprile 2001, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile».

Nel dichiarare l’infondatezza del relativo motivo di ricorso, la Corte ha giudicato che «il giudice d'appello ha tenuto conto in motivazione delle due annotazioni apposte dal cancelliere in calce alla sentenza di primo grado ed ha adeguatamente motivato in merito alla distinzione tra il deposito della minuta (quale ha ritenuto essere quello effettuato in data 31 gennaio 2000, per come letteralmente risultante dalla relativa annotazione) ed il deposito della sentenza rilevante ai fini della sua pubblicazione ai sensi dell'art. 133 cod. proc. civ. (quale ha ritenuto essere quello effettuato in data 28 febbraio 2000)».

10 Cfr. ancora il Commento all’art. 133 c.p.c., in Codice di procedura civile, a cura di N. Picardi, loc. cit.

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La Corte di merito ha preso in esame, oltre alla norma da ultimo citata, anche l'art. 119 disp. att.

cod. proc. civ. e, dal combinato disposto dei due articoli, ha tratto le seguenti conclusioni:

- il legislatore ha inteso distinguere tra la consegna della minuta al cancelliere, per la definitiva scritturazione della sentenza, anche relativamente all'intestazione ed ai contenuti di cui all'art. 132 cod. proc. civ., nn. 1), 2) e 3) ed il deposito della sentenza, all'esito della verifica tra l'originale e la minuta precedentemente consegnata;

- per deposito della sentenza, rilevante ai fini della pubblicazione, deve intendersi il definitivo deposito di tale atto all'esito della prescritta verifica e non invece la semplice consegna della minuta al cancelliere, quest'ultima da considerarsi come atto interno dell'ufficio giudiziario, privo cioè di immediata rilevanza esterna … Conviene prendere le mosse dall'art. 327 cod. proc. civ., per il quale rileva, ai fini della decorrenza del termine annuale per l'impugnazione, la pubblicazione della sentenza, quindi il suo deposito in cancelleria, e non la comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere ai sensi dell'art. 133 c.p.c., comma 2, e dell'art. 136 cod. proc. civ. (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 11630/2004, 6375/2006, 15778/2007, 24913/2008, nonché l’ord. n. 17290/2009).

Ne consegue che la norma rilevante per detta decorrenza è quella dell'art. 133 c.p.c., comma 1, … nel senso che la sentenza è pubblicata mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata.

Il deposito rilevante ai fini del combinato disposto degli artt. 327 e 133 cod. proc. civ. è quello che si attua con la consegna al cancelliere della sentenza in originale sottoscritta dal relatore e dal presidente, ai sensi dell'art. 119 disp. att. c.p.c., commi 2 e 3; è invece da escludere che rilevi, ai fini della decorrenza del termine per proporre l'impugnazione, il deposito in cancelleria, mediante consegna al cancelliere, della minuta della sentenza, ai sensi del comma 1 della stessa disposizione di attuazione.

Il principio appena espresso è stato già affermato da questa Corte nel precedente costituito dalla sentenza del 19 maggio 2008 n. 12681 (cui ha fatto seguito Cass. n. 14862/2009), la cui massima (per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ. il termine annuale per l'impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l'altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest'ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine), ben si attaglia al caso di specie, anche se necessita della seguente precisazione: sia nel caso deciso dal precedente richiamato (per come si può ricavare dal richiamo all'art. 119 disp. att. c.p.c. fatto in motivazione) che nel presente la prima annotazione di deposito è riferita al deposito della minuta e la seconda al deposito dell'originale. In conseguenza di siffatta precisazione non è riscontrabile alcun contrasto con altri precedenti di questa Corte, in particolare quello per il quale quando sull'originale di una sentenza figuri una doppia attestazione da parte del cancelliere, il quale da atto che essa è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, ai fini del computo del c.d.

termine lungo per l'impugnazione di cui all'art. 321 cod. proc. civ. occorre fare riferimento alla data di deposito e non a quella di pubblicazione, in quanto è solo la prima che integra la fattispecie di cui all'art. 133 cod. proc. civ., mentre la successiva pubblicazione si collega ad attività che il cancelliere è obbligato a compiere per la tenuta dei registri di cancelleria o per gli avvisi alle parti dell'avvenuto deposito (così Cass. 30 marzo 2011, n. 7240; cfr., nello stesso senso anche Cass. 23 luglio 2009, n. 17290; 29 settembre 2009, n. 20858): nei casi oggetto di tali ultime decisioni, la prima certificazione del cancelliere era infatti riferita al deposito dell'originale della sentenza, non, come nel caso di specie, al deposito della minuta».

Nel caso di specie, peraltro, va evidenziato un elemento di fatto che risulta assente in tutti gli altri casi esaminati (e ancora da esaminare) e che fotografa, per così dire, la successione temporale degli adempimenti che avevano prodotto l’anomalia della doppia data di pubblicazione. Infatti, prosegue la sentenza affermando che «… i ricorrenti non censurano specificamente la ratio decidendi della

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sentenza impugnata laddove distingue tra deposito della minuta ex art. 119 disp. att. cod. proc. civ.

e deposito della sentenza ex art. 133 c.p.c., comma 1, ma assumono che il giudice d'appello avrebbe errato nell'interpretare ed applicare il comma secondo di tale ultima norma. In particolare, sostengono che il cancelliere avrebbe allegato al biglietto di cancelleria, con cui comunicava l'avvenuto deposito della sentenza di primo grado, una copia del dispositivo di questa che recava soltanto il timbro del deposito avvenuto in data 31 gennaio 2000, e non di quello avvenuto in data 28 febbraio 2000: ne seguirebbe, secondo i ricorrenti, che, anche ai fini della decorrenza del termine per impugnare, rileverebbe la data risultante dall'allegato al biglietto di cancelleria, comunicato ex art. 136 cod. proc civ. La censura, sostanzialmente ripetuta nella duplice prospettiva del primo e del secondo motivo, non è meritevole di accoglimento, per nessuno dei due.

Con riferimento al secondo motivo, la censura è errata quanto alla rilevanza attribuita all'art. 133 cod. proc. civ., comma 2 in riferimento agli artt. 136 e 327 cod. proc. civ. L'art. 133 c.p.c., comma 2, dispone che il cancelliere, dopo aver dato atto del deposito della sentenza ed avervi apposto la data e la firma, ne dia notizia alle parti, mediante biglietto contenente il dispositivo: la norma, nel prevedere l'avviso alle parti (che, dopo l'aggiunta del comma 3 da parte del D.L. 14 marzo 2005, n.

35, art. 2, comma 3, lett. a convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80, può essere effettuato anche con le modalità previste da tale disposizione), disciplina una formalità estrinseca all'atto di deposito, non essenziale per ritenere compiuta l'attività di pubblicazione rilevante ai fini dell'art.

133 cod. proc. civ., comma 1 (nonché, come detto sopra, dell'art. 327 cod. proc. civ.).

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il deposito rilevante ai fini della pubblicazione consiste nella consegna ufficiale al cancelliere dell'originale della sentenza sottoscritta dal giudice e, di recente, ha precisato che, mentre la fattispecie della pubblicazione è completata con l'attestazione del deposito dell'originale da parte del cancelliere, sono estranee alla nozione normativa di pubblicazione le attività compiute dal cancelliere in adempimento dei suoi doveri di tenuta dei registri di cancelleria o di avviso alle parti (cfr. Cass., n. 7240/2011, cit.).

In conclusione, l'avviso che il cancelliere fa alle parti costituite non rileva, come detto sopra, ai fini della decorrenza del termine ex art. 327 cod. proc. civ., ma nemmeno rileva come adempimento necessario per la pubblicazione della sentenza.

Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha considerato rilevante ai fini della tempestività dell'impugnazione proposta nel termine dell'art. 327 cod. proc. civ. la data di pubblicazione dell'originale della sentenza ai sensi dell'art. 133 cod. proc. civ., comma 1.

La censura dei ricorrenti non è meritevole di accoglimento nemmeno con riguardo al vizio di motivazione denunciato col primo motivo, essendo questo in parte infondato ed in parte inammissibile.

La Corte d'Appello ha effettuato una valutazione completa ed esauriente dei testi delle annotazioni rinvenute in calce alla sentenza ed ha ritenuto che la prima si riferisse al deposito della minuta.

L'accertamento se il deposito abbia riguardato la minuta ovvero l'originale della sentenza, nel caso di specie, risulta adeguatamente motivato e perciò non è censurabile. E' invece inammissibile la censura di difetto di motivazione per non avere la Corte d'Appello motivato sul fatto che al biglietto di cancelleria recante l'avviso dell'avvenuto deposito della sentenza fosse stata allegata una copia del dispositivo di questa che avrebbe avuto in calce soltanto uno dei timbri di deposito (quello relativo alla minuta del 31 gennaio 2000) e non anche l'altro (quello relativo all'originale del 28 febbraio 2000); secondo i ricorrenti, se si fosse considerato tale fatto, si sarebbe dovuto concludere nel senso che la prima annotazione non si riferisse al deposito di una minuta bensì al deposito del testo originale e definitivo della sentenza. Orbene, si tratta di un fatto che la sentenza non prende in alcun modo in considerazione: per tale ragione, i ricorrenti avrebbero dovuto allegare di avere dedotto tale fatto in appello ed avrebbero dovuto riportare in ricorso il contenuto del proprio atto difensivo, indicando anche se e quando fosse stata effettuata in giudizio la produzione del biglietto

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di cancelleria sul quale tale parte del motivo di ricorso si fonda; in mancanza, la relativa censura, non conforme alla previsione dell'art. 366 c.p.c., n. 6, è inammissibile».

Insomma: qui si aveva addirittura la prova diretta del “pasticcio” (ipotesi che la Corte non prende mai in considerazione!), ovvero del fatto che il secondo timbro era stato evidentemente apposto dopo l’espletamento delle formalità di cui al comma 2 dell’art. 133 c.p.c. in relazione al primo deposito, avendo le parti ricevuto, e prodotto in causa, copia del dispositivo con un solo timbro, che non poteva non riferirsi alla “vera” pubblicazione!

Da segnalare altri due importanti passaggi. Il primo è quello che definisce la formalità stessa della pubblicazione: «Il deposito rilevante ai fini del combinato disposto degli artt. 327 e 133 cod. proc.

civ. è quello che si attua con la consegna al cancelliere della sentenza in originale sottoscritta dal relatore e dal presidente, ai sensi dell'art. 119 disp. att. c.p.c., commi 2 e 3», affermazione che risulterà in contrasto con tutte le altre decisioni in argomento, prescindendo dalla preferenza volta per volta accordata alla prima o alla seconda pubblicazione: e non potrebbe essere altrimenti, posto che l’art. 119 disp. att. non riguarda la pubblicazione, ma soltanto la redazione della sentenza!; il secondo, riallacciandosi a precedenti decisioni, avverte che «Questa Corte ha ripetutamente affermato che il deposito rilevante ai fini della pubblicazione consiste nella consegna ufficiale al cancelliere dell'originale della sentenza sottoscritta dal giudice e, di recente, ha precisato che, mentre la fattispecie della pubblicazione è completata con l’attestazione del deposito dell’originale da parte del cancelliere, sono estranee alla nozione normativa di pubblicazione le attività compiute dal cancelliere in adempimento dei suoi doveri di tenuta dei registri di cancelleria o di avviso alle parti», affermazione in netto contrasto con quella del primo punto e che, in ogni caso, rivela un fraintendimento della giurisprudenza richiamata, in particolare della Cass. n. 7240/2011 (v. infra, § 8).

7.- Altro recente caso da esaminare è quello della Cass., Sez. III, 19 aprile 2011, n. 8979. In essa si legge:

«La copia autentica della sentenza depositata ritualmente dal ricorrente nella pagina otto, dopo la sottoscrizione del giudice estensore, reca le seguenti due diciture, la seconda delle quali è posta successivamente alla prima.

Quest’ultima ha il seguente tenore: "TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA DEPOSITATO 24 dic.

2007 IL CANCELLIERE". La dicitura è apposta con un timbro e sotto il termine "Il cancelliere"

reca una sottoscrizione illeggibile.

La seconda dicitura ha il seguente tenore: "PERVENUTO IN CANCELLERIA il 14-1-2008 Il Cancelliere". La data è scritta a penna, mentre il resto risulta apposto con un timbro. Sulla dicitura

"Il cancelliere" figura, peraltro, un secondo timbro del seguente tenore: "L'OPERATORE (o, non è chiaro, L'OPERATRICE) GIUDIZIARIO (o GIUDIZIARIA)", seguita dalla scritta "R.M.", con su apposta una sottoscrizione illeggibile.

Ora, in base alle emergenze di queste due attestazioni, la data di deposito della sentenza si identifica, ai sensi dell'art. 133 c.p.c., commi 1 e 2 in quella del 24 dicembre 2007. L'art. 133 c.p.c., infatti, costruisce la fattispecie della pubblicazione della sentenza come fattispecie complessa risultante da due comportamenti.

Il primo è rappresentato dal “deposito” della sentenza da parte del giudice che l'ha pronunciata presso la cancelleria del suo ufficio.

Tale attività, nei casi nei quali il giudice che pronuncia la sentenza è collegiale, è attività che deve compiere il presidente del collegio, attesa la sua posizione. Nessuna norma lo specifica, ma ciò sembrerebbe doversi desumere sia dall'attribuzione che l'art. 132 c.p.c., comma 2 fa al presidente della sottoscrizione per il caso di impedimento o morte dell'estensore, sia dall'attribuzione delle funzioni del presidente impedito o morto al consigliere più anziano, oltre che naturalmente dalla stessa natura della posizione del presidente. L'attività di deposito necessariamente si concreta nella

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consegna dell'originale della sentenza, recante le sottoscrizioni del presidente e del relatore (salvo i due casi appena indicati), al cancelliere.

Lo fa manifesto l'art. 133, comma 2 che affida al cancelliere la seconda attività di cui si compone la pubblicazione, dicendo che "il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma". L'attività del cancelliere assume valore decisivo di attestazione con efficacia di atto pubblico del momento nel quale il deposito è avvenuto. In forza di quanto attesta il cancelliere, indicando che il deposito è avvenuto e specificandone la relativa data, la fattispecie della pubblicazione si intende compiuta nel momento risultante da detta attestazione come momento di consegna dell'originale al cancelliere.

Il cancelliere, nell'ambito esclusivo delle sue funzioni amministrative è poi tenuto a procedere, com'è noto: a) sia all'annotazione del deposito nel registro delle sentenze e degli atti e provvedimenti emessi e pubblicati (art. 13, comma 1, n. 16, richiamato dal comma 4 per la corte d'appello, del D.M. Giustizia 27 marzo 2000, n. 264, emanato in base alla L. n. 59 del 1997, art. 11, comma 3 e giusta la previsione dell'art. 28 delle disp. att. c.p.c., come sostituito dalla L. n. 399 del 1991, art. 1); b) sia all'inserimento dell'originale del provvedimento nel registro cronologico dei provvedimenti e degli atti originali (art. 13, comma 1, n. 44, del citato D.M., pure richiamato per la corte d'appello dal comma 4). Entrambe le attività è previsto debbano essere compiute anche su registri digitalizzati (art. 15 e ss. del citato D.M.).

Ebbene, queste attività del cancelliere sono estranee alla fattispecie della pubblicazione della sentenza, di cui all'art. 133 c.p.c., costituendo soltanto gli adempimenti successivi ad essa, necessari per la tenuta degli atti dell'ufficio, fra cui le sentenze.

Ciò premesso, nel caso di specie, l'attestazione risultante sulla sentenza impugnata dell'essere stata la sentenza depositata il 24 dicembre 2007 è quella che evidenzia il completamento della fattispecie complessa della sua pubblicazione agli effetti dell'art. 133 e, quindi, dell'art. 327 c.p.c., comma 1, cioè ai fini dell'inizio del decorso del c.d. termine lungo per l'esercizio del diritto di impugnazione.

Detta attestazione avendo ad oggetto il deposito della sentenza esaurisce la suddetta fattispecie.

La successiva attestazione del “pervenimento in cancelleria” in una data successiva, per un'evidente principio di non contraddizione fra due diverse attestazioni del cancelliere, che nel compierle è pubblico ufficiale, non può essere intesa come riferentesi al deposito quale attività risultante dalla successione fra consegna ed attestazione della consegna dell'originale del provvedimento, ma deve riferirsi ad attività che il cancelliere attesta compiuta dopo il deposito e che, dunque, nulla ha a che fare con la fattispecie dell'art. 133. Verosimilmente, si deve trattare dell'attività connessa alle indicate registrazioni cui il cancelliere è tenuto a procedere.

In base al paradigma dell'art. 133 c.p.c. il Collegio osserva che dovrebbe escludersi che il cancelliere, una volta avuta la consegna dell'originale della sentenza, cioè una volta avvenuto il suo “deposito”, possa compiere l'attestazione della sua verificazione indicando una data diversa da quella della consegna. Ciò, perché l'attività di attestazione supposta dall'art. 133 è prevista dal comma 2 della norma non come da compiersi una volta avvenuto il deposito, cioè come attività eventualmente successiva e, quindi, non necessariamente contestuale, bensì come attività di attestazione contestuale del deposito: la norma dice, infatti, che “il cancelliere dà atto del deposito”. Il dare atto si riferisce al deposito.

Tuttavia, come in ogni caso di previsione di una forma, la mancanza di un'espressa previsione di nullità per la sua inosservanza e la stessa circostanza che la pubblicazione è atto complesso, risultante, come si è detto, di due distinte “operazioni”, impone di ritenere che l'eventuale mancanza di coincidenza cronologica, cioè di contestualità, fra la consegna (il deposito) dell'originale da chi vi sia autorizzato e l'attestazione di tale consegna (del deposito) da parte del cancelliere sull'originale, ove si verifichi (il che può darsi per notorio e pacifico, tenuto conto che l'adempimento costituito dall'attestazione da parte del cancelliere può non essere immediatamente esigibile, per i carichi di lavoro dell'ufficio di cancelleria), non determina una nullità, atteso che

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non incide in alcun modo sulla idoneità dell'atto complesso a determinare i suoi effetti, a raggiungere cioè il suo scopo. Che è quello di dare pubblicità, cioè di assicurare un notum facere sia pure convenzionale, alla sentenza, ritenuto idoneo a far decorrere il c.d. termine lungo per la sua impugnazione, ove ammessa.

Ove ciò avvenga e sull'originale risulti apposta una attestazione di deposito che, in realtà non lo sia stata nel giorno della consegna dell'originale, l'eventuale dimostrazione aliunde di tale mancanza resta di norma irrilevante, a meno che risulti impossibile alla data del compimento dell'attestazione che possa essere attestato il deposito. Il che potrebbe accadere se, dopo la consegna dell'originale non attestata hic et inde, si sia verificato un evento che renda impossibile individuare nel momento in cui si procede all'attestazione la data del deposito: si pensi alla morte del Presidente dopo la consegna dell'originale. Non è questa la sede per soffermarsi sull'evenienza ora indicata.

L'ipotesi di mancanza di contestualità fra consegna dell'originale e attestazione dell'essere essa avvenuta di cui si discorre è, comunque, quella in cui sull'originale figuri solo l'attestazione successiva. Si tratta dell'ipotesi in cui formalmente la scissione fra i due momenti non emerge, perché l'unica attestazione di deposito che figuri sull'originale è quella compiuta in una certa data.

Quando invece - come nella specie - figurino due date e la prima sia indicata come quella di deposito (e la seconda, peraltro, nemmeno con il riferimento al deposito, ma con la diversa formulazione sopra indicata), oltre al principio di non contraddizione innanzi richiamato, assume rilievo l'espresso uso del termine “deposito”, che è quello della legge e non v'è alcuna possibilità, specie se si considera che si è in tema di atto pubblico, di intendere quel termine in modo diverso da quanto l'art. 133 ritiene integrare la pubblicazione.

Nella specie, del resto, l'attestazione successiva di pervenimento in cancelleria non evoca nemmeno nella sua letteralità il deposito e la sua attestazione.

Onde, non è dato porsi il problema del contrasto fra due successive attestazioni entrambe di deposito.

E', poi, appena il caso di osservare che nella specie l'attestazione del "depositato" non è, del resto, riferita all'eventuale minuta con cui la sentenza potrebbe essere stata redatta (per cui si veda la disciplina dell'art. 119 disp. att. c.p.c.). Ipotesi questa, peraltro, che non è occorsa nella specie anche perché l'attestazione è apposta direttamente sull'originale. Nè il cancelliere ha riferito la prima data al deposito di una minuta, come spesso accade e può ritenersi consentito dall'art. 119 disp. att. c.p.c., posto che, prevedendo tale norma che al cancelliere possa consegnarsi una minuta, che egli redige in originale e poi restituisce al presidente per la sottoscrizione, si può reputare che il cancelliere abbia il potere di non considerare la consegna di un originale che di tale redazione non necessiti, come minuta, in modo da escludere che con l'attestazione del relativo deposito abbia inteso attestare detto deposito come deposito di un originale, riservandosi successivamente tale attestazione con una seconda annotazione. Questa ipotesi suppone, però, che la prima attestazione sia riferita espressamente ad una minuta, il che non è avvenuto nella specie».

8.- L’ultimo caso che possiamo esaminare è quello deciso da Cass., Sez. III, 30 marzo 2011, n. 7240, sentenza più volte richiamata – ed a volte fraintesa – negli arresti successivi:

«La copia autentica della sentenza depositata ritualmente dal ricorrente, dopo la pagina undici, che di seguito al dispositivo - che indica come data della deliberazione nella Camera di consiglio quella del 1° giugno 2005 - reca la sottoscrizione del consigliere estensore e del presidente del collegio ed una sottoscrizione con timbro del cancelliere senza alcuna data, nella successiva pagina dodici reca la seguente dicitura: “depositato in cancelleria il” con timbro 13-6-2005 a penna e pubblicata il con timbro 4 luglio 2005 con timbro.

In base a tale attestazione del cancelliere la data di deposito della sentenza si identifica, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., commi 1 e 2, in quella del 13 giugno 2005. L’art. 133 c.p.c., infatti, costruisce

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