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Diritto e processo rivisitati - Judicium

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V

ALERIO

T

AVORMINA

Diritto e processo rivisitati

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I.- L’ORDINAMENTO GIURIDICO IN GENERALE

1.- Definizione

1.1 Il diritto oggettivo ossia l'ordinamento giuridico è una tecnica di controllo del comportamento umano consistente nel qualificare giuridicamente doverosi (cioè nel valutare positivamente) in base a parametri posti da norme giuridiche: a) i comportamenti desiderati e, nel caso in cui questi non siano tenuti, altri comporta- menti, soprattutto a1) di terzi che tendano a produrre un risultato fattuale equivalente (diritto civile in senso lato); oppure b) altri comportamenti, soprattutto b1) di terzi, la cui minaccia possa indurre a tenere quelli de- siderati o comunque ritenuti di basso disvalore2 (diritto penale in senso lato).

Nell'un caso come nell'altro può prevedersi, e generalmente si prevede, onde la tecnica in questione risulti più adeguata al controllo del comportamento umano (principio di effettività), che gli altri comportamenti si estendano all'applicazione di coazione fisica sulla persona il cui comportamento si intende controllare, fino (in certi ordinamenti) alla sua messa a morte.

1.1.1 La definizione sub 1.1 è soddisfatta, nel suo riferirsi ad un comportamento umano, anche nel caso d’imputazione del dovere ad una astrazione giuridica (un soggetto giuridico, anziché un essere umano) per- ché saranno sempre comportamenti umani (e precisamente quelli di coloro la cui attività viene imputata al soggetto giuridico) ad essere valutati.

1.2 La qualifica di doverosità di un comportamento umano è l'unica propria dell'ordinamento. Ogni altra (di esercizio di un diritto o di un potere, di liceità, di facoltatività ecc.) si riduce ad un'affermazione o nega- zione della prima, mentre questa non può essere ridotta alle altre proprio perché queste sono definite in fun- zione esclusiva della prima.

1.2.1 Anche il divieto esprime una qualifica di doverosità, benché non del comportamento vietato (che viene appunto vietato), bensì di uno qualsiasi (a scelta dell'obbligato) dei possibili comportamenti incompatibili con quelli vietati.

1.2.2 L’esclusività del dovere (compreso il divieto: 1.2.1) ha conseguenze enormi, quasi sempre obliate di proposito, alcune, od inconsapevolmente, altre.

Nell’oblìo doloso inquadrerei il tacere che il diritto o potere dell’uno si esaurisce nella possibilità di forzare altri ad adempiere doveri (10.2/10.3)3. In quello colposo il tacere che all’ordinamento è indifferente ogni

1 Questo saggio, completato a settembre 2012, rappresenta una revisione del precedente mio Diritto e processo (uno schema di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2009, I, 119 ss., del quale conserva perciò l’impostazione pur tentando di ovviare a sue oscurità ed imprecisioni espositive, disordine logico, lacune ed errori.

Ho aggiunto le note, non certo al fine di fornire una bibliografia (sarebbe – per me – impossibile in ragione dell’ampiezza della materia), ma solo per chiarire (magari con esempi) la mia esposizione e per dare semmai qualche indicazione sull’origine o sugli sviluppi di qualche assunto.

2 La precisazione s’impone perché, se possiamo chiamare desiderata – per esempio – l’astensione dall’omicidio, non altrettanto possiamo fare – sempre ad esempio – per la commissione di un omicidio giustificato da legittima difesa la quale pure, al pari della prima, non fa scattare la sanzione penale.

3 Ricordavo in Il processo come esecuzione forzata, Jovene, 2003, 3, che “parlare di ‘diritti’ anziché di obblighi e doveri aiuta ad occultare i costi della… imposizione” di questi ultimi; e specie da quando la feroce recessione indotta dalla bulimia governativa imperante sul 90% del pianeta ha reso quasi impossibile l’arte della politica (cioè quella che, se- condo un noto aforisma, consiste “nel dimostrare che tutti i soldi che ti rubano sono legittimi”), è diventata questione

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comportamento non doveroso o che non ne prefiguri altro doveroso, sicché non esistono previsioni mera- mente “permissive”, né loro estensioni o riduzioni, né dunque ineluttabilità della qualificazione giuridica di ogni comportamento umano, che peraltro di fatto sussiste sempre perché basta a fondarla la doverosità alter- nativa di un’estesissima gamma di comportamenti di per sé irrilevanti (1.2.1)4.

2.- Norma

2.1 Per stabilire se un certo comportamento di un determinato soggetto è giuridicamente doveroso lo si con- fronta con un modello di comportamento descritto da una norma giuridica (il quale comportamento si dice essere oggetto di un dovere).

La norma giuridica rappresenta (cioè si definisce come) una proposizione complessa che contemporanea- mente

a) descrive in termini generali fatti (compresi, tra questi, comportamenti umani) ed eventualmente (differen- ti) doveri (modelli doverosi di comportamento) al risultare di alcuni dei quali ed al non risultare di altri5 un certo modello di comportamento viene dalla stessa norma qualificato doveroso ossia oggetto di un dovere (e- ventualmente per un periodo di tempo determinato: c.d. prescrizione dei diritti e delle azioni) per uno o più soggetti,

b) descrive gli strumenti ed il grado di probabilità del risultare dei predetti fatti e (differenti) doveri (mezzi di prova e standard probatori),

c) pone un’implicazione tra il risultare di tali fatti e (differenti) doveri ed il sorgere di un (altro) dovere, d) descrive in termini generali tanto quest’ultimo dovere (cioè il modello di comportamento che ne costitui- sce oggetto) quanto i soggetti cui il medesimo viene imputato.

2.1.1 Si tratta di classi di fatti (ad esempio, art. 2043 c.c.: “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno”), di classi di (differenti) doveri (“ingiusto” ossia, nell’interpretazione corrente, lesivo di diritti e perciò – 1.2 – valutato negativamente alla luce di differenti doveri), di classi di strumenti probatori (art.

2739.1 c.c.: “il giuramento non può essere deferito o riferito… sopra un fatto illecito”), di classi di doveri posti (“obbliga… a risarcire il danno”) e di classi di soggetti (“colui che ha commesso il fatto”) solo ipotizza- ti, in attesa di essere confrontati con altri realmente risultanti, impiegati, imputati ed esistenti per affermare (o negare) l’identità di uno degli elementi di ogni classe con uno di ogni (diversa e corrispondente) classe di quelli realmente risultanti, impiegati, imputati ed esistenti e farne derivare (od escludere) l’imputazione ad uno o più dei soggetti realmente esistenti di uno o più specifici comportamenti doverosi (o dovuti). Nel pri- mo caso, cioè nel caso di identità degli altri pertinenti elementi delle due categorie di classi (ossia quelle di elementi solo ipotizzati e quelle di elementi effettivamente risultanti), i comportamenti imputati come dove- rosi implicheranno da ultimo una valutazione positiva dei comportamenti effettivamente tenuti se con essi collimanti (adempimento del dovere) ed una loro valutazione negativa se non collimanti (violazione del do- vere) (1.1); nel secondo caso, cioè nel caso di diversità tra gli elementi, non vi sarà alcuna imputazione di comportamenti doverosi e perciò nessuna valutazione dei comportamenti effettivamente tenuti (assenza del dovere)6.

2.1.2 L’esigenza che i fatti (inclusi d’ora in poi per semplicità nel termine “fatti” comportamenti, soggetti e doveri diversi da quelli posti dalla norma) “risultino”, e non semplicemente “si verifichino” o “sussistano”, è di vita o di morte per i governanti poter continuare a proclamare che si “difendono i diritti” e non che si perpetuano obblighi ormai intollerabili.

4 Amplius Il processo, cit., 6 s.

5 Ad esempio, il fatto rappresentato dall’accordo fra più persone, qualificato come contratto, vincola ai comportamen- ti ivi individuati a meno che non si verifichino gli altri fatti x, y o z, qualificati come comportanti la nullità del contratto medesimo ed escludenti la doverosità di quei comportamenti.

6 Con l’usuale espressione “sussunzione di certi fatti in una certa norma”, invece, o si designa meno chiaramente il de- scritto giudizio di identità o, peggio ancora dal punto di vista della chiarezza, si accorpano le varie descritte operazioni.

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ovvia se non si creda (assurdamente) di poter prescindere da un loro riscontro. L’equivalenza dei due termini è qui pertanto presupposta.

2.2 Nell’ambito della norma definiamo: a) fattispecie l’insieme di fatti il risultare di alcuni dei quali ed il non risultare degli altri fa sorgere un dovere; quali sottoripartizioni della fattispecie: a1) fattispecie costitutiva l’insieme di fatti che devono risultare accaduti o non accaduti7; a2) fattispecie ostativa l’insieme di fatti che non devono risultare; b) effetto il dovere che sorge a carico di un soggetto all’integrarsi della fattispecie ossia l’imputazione al singolo del comportamento dovuto.

2.2.1 E’ lecito distinguere tra fatti che devono risultare accaduti o non accaduti e fatti che non devono risulta- re, perché non è vero che questi ultimi possono essere convertiti nei primi semplicemente “invertendone il segno”8: “invertire il segno di un fatto” significa individuarne uno diverso ed incompatibile col primo, sicché mentre è vero che l’effetto si produce senz’altro se risulta un tal fatto incompatibile (perché allora manca per definizione il fatto ostativo), non è invece vero che la norma equipari il non risultare del fatto ostativo alla presenza di un fatto con questo incompatibile, giacché essa individua solo il fatto ostativo e non il fatto con questo incompatibile (il cui accadimento pure implica l’esclusione del primo). Dunque, la verifica dovrà fo- calizzarsi sul primo ed un suo risultato negativo non passerà necessariamente attraverso il riscontro del se- condo9. E’ un problema perciò, prima che di prova, di costruzione della fattispecie sostanziale.

2.2.2 Poiché il proprium della norma consiste nell’ipotizzare doveri quale conseguenza di ipotetici fatti, ap- pare appropriato parlare di estensione della norma maggiore o minore a seconda della maggiore o minore quantità e durata di doveri ipotizzati come conseguenza; e, per ciò che concerne la quantità, in conseguenza della definizione stessa della norma che si è appena data, essa risulta direttamente proporzionale all’estensione definitoria degli elementi che compongono la fattispecie costitutiva (quanto più comprensivi sono gli elementi richiesti per ipotizzare un dovere, tanti più doveri risulteranno ipotizzati) ed inversamente proporzionale all’estensione definitoria degli elementi che compongono la fattispecie ostativa (quanto più comprensivi sono gli elementi che impediscono od estinguono un dovere, tanti meno doveri potranno nascere o continuare a sussistere)10.

2.3 Definiamo un fatto (giuridicamente) rilevante se è incluso tra quelli sub 2.2a; efficace se è incluso fra quelli sub 2.2a1 e, in aggiunta, si è prodotto l’effetto. I fatti impeditivi ed estintivi (art. 2697.2 c.c.) inclusi

7 E’ il caso, per esempio, della ripetizione d’indebito, in cui l’art. 2033 c.c. fa scaturire l’obbligo di restituzione dal pa- gamento e dall’inesistenza del dovere di effettuarlo.

8 E’ questo invece il presupposto da cui parte il dibattito sulla semplificazione della fattispecie (imperniato sui fatti im- peditivi) e sul suo ancoraggio ad una ragionevole ripartizione dell’onere della prova lucidamente ed esaustivamente esposto da COMOGLIO, Le prove civili3, Utet, 2010, 263 ss.

9 Se è vero infatti che “la totalità dei fatti determina ciò che accade, ed anche tutto ciò che non accade” (WITTGEN- STEIN, Tractatus logico-philosophicus, 1.12), non è men vero che è impossibile acquisire conoscenza della totalità dei fatti.

10 Ciò implica che agli organi cui spetta solo di resecare norme, ma non di introdurne ex novo (come si argomenta dall’art. 136.1 cost. per la Corte costituzionale, nonostante le sue implicite affermazioni che vorrebbero limitare que- sta restrizione alle materie coperte da riserva di legge: cfr. ad esempio Corte cost., 02/07/2009, n. 204), sarà lecito so- lo restringere (e non ampliare) l’estensione definitoria degli elementi di fattispecie costitutiva e, per converso, solo ampliare (e non restringere) gli elementi di fattispecie ostativa, nonché solo ridurre (e non estendere) la durata dei doveri scaturenti dalla norma.

Ne consegue che essa Corte costituzionale ha usurpato poteri legislativi nell’estendere progressivamente (a partire da Corte cost. 20/07/1990, n. 341) la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale ex art. 274 c.c., nell’estendere alle ceneri di pirite la punibilità dello smaltimento non autorizzato di rifiuti (Corte cost., 20/01/2010, n.

28), nel limitare alle sole cause di danno da reato l’incompetenza art. 30bis c.p.c. per le cause in cui sia parte un magi- strato del distretto (Corte cost., 25/05/2004, n. 147), nell’estendere l’obbligo di assistenza gratuita di un interprete all’imputato sordo, muto o sordomuto in grado di leggere e scrivere generalizzando la disposizione dell’art. 119.2 c.p.p. (Corte cost., 22/07/1999, n. 341), ecc.

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nella fattispecie ostativa sono perciò rilevanti, ma non efficaci; non possono essere definiti fatti giuridici, perché al loro risultare è escluso ogni effetto giuridico della fattispecie in questione. Quanto ai fatti modifica- tivi, si tratta di termine residuale che esprime i fatti costitutivi di un dovere ed al contempo estintivi di un al- tro dovere ovvero soltanto costitutivi di un altro dovere visto come accessorio o comunque determinato per relationem ad altro precedente (ad esempio la proroga di un dovere precedente): fatti "modificativi" quindi della situazione (in senso atecnico) pregressa.

2.3.1 I comportamenti desiderati (o comunque ritenuti di basso disvalore: 1.1) in materia penale sono quelli irrilevanti, ossia estranei alla fattispecie e quelli inefficaci perché inclusi nella fattispecie costitutiva, ma con- correnti con altri inclusi nella fattispecie ostativa (2.3); in materia civile, sono quelli doverosi (1.1). Un ordi- namento penale può dunque ben esistere in mancanza attuale di qualsiasi dovere, se nessuno ha commesso alcun reato; uno civile no, perché il comportamento desiderato sarà anche doveroso.

2.4 Discende da 2.2 e 2.3:

a) che per la produzione dell'effetto devono risultare e, rispettivamente, non risultare tutti i fatti componenti la fattispecie costitutiva e quella ostativa, a prescindere dalla circostanza che, per l'eventualità contraria, non esista specifica previsione della mancata produzione dell'effetto (ad esempio, da nessuna parte è scritto che l'intimazione di pagamento non effettuata per iscritto non produce l'effetto della costituzione in mora; per ta- le conclusione basta tuttavia la formula dell'art. 1219.1 c.c. ove è scritto che "il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto"): principio di completezza della fattispecie;

b) che è la fattispecie ad essere ritagliata sull'effetto e non viceversa, ossia che, mentre ha significato parlare di doverosità di un certo comportamento in sé e per sé (effetto); al contrario non ha alcun significato chieder- si se certi fatti esauriscano o no, facciano parte o no di una fattispecie fino a quando non si indichi di quale effetto quei certi fatti sarebbero fattispecie: principio di relatività della fattispecie rispetto all'effetto giuridi- co.

2.5 A distinguere una norma dall’altra e dunque ad identificare ogni singola norma concorrono perciò effetto e relativa fattispecie (2.2), presi in quest’ordine in forza del principio di relatività della fattispecie rispetto all'effetto giuridico (2.4b); ossia concorrono le descrizioni in termini generali di fatti, modelli di comporta- mento e strumenti probatori ipotizzati (2.1), rappresentanti effetto e fattispecie. E dunque variare una qualsi- asi di tali descrizioni significa porre una norma diversa.

2.6 Può darsi perciò che norme diverse perché aventi fattispecie diverse (2.5) implichino il sorgere di due (o più) doveri identici (ossia a carico di uno stesso soggetto e di identico contenuto), magari solo per un certo periodo di tempo, essendovene per altro periodo solo uno dei due (ad esempio, rispettivamente, obbligo di risarcimento ex art. 2048 e 2049 c.c. del padre/datore di lavoro per danni arrecati dal figlio mino- re/dipendente ad un terzo; oppure, obbligo di origine contrattuale del vettore di risarcire il viaggiatore ex art.

1681 c.c., che dura un anno – art. 2951.1 c.c. – ed obbligo di origine aquiliana dello stesso vettore in colpa di risarcire lo stesso viaggiatore per lo stesso danno, che sopravvive al primo obbligo per un altro anno: art.

2043 e 2947.2 c.c.). Ciò non vuol dire però che vi sia un dovere unico, ma due doveri di tenere uno stesso comportamento: basta la diversità delle norme (2.5) a giustificare la coesistenza di due doveri identici (inve- ro, i doveri non sono cose e dunque la loro identità non ne esclude la coesistenza: si può essere nello stesso momento obbligati due volte a risarcire lo stesso danno; proprietari due volte della stessa cosa; ecc.); ed in caso di parziale sovrapposizione nel tempo c’è anche una diversa estensione temporale11.

2.6.1 Se quindi, dopo l'imputazione al singolo di un secondo modello di comportamento identico ad altro in precedenza imputatogli, viene meno una delle due imputazioni, ad esempio per superamento del periodo di tempo per il quale la stessa era prevista (2.1a) ovvero per il successivo realizzarsi della fattispecie ostativa della norma che aveva determinato quella imputazione (2.2a2), permane l'altra a giustificare la perdurante valutazione di doverosità di quel comportamento. Peraltro, tenuto di fatto questo comportamento vengono meno entrambe le imputazioni.

11 Per qualche ulteriore dettaglio cfr. il mio Unicità del comportamento, pluralità di doveri ed oggetto del processo, in Riv. dir. proc., 2005, 51 ss.

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5 3.- Disposizione

3.1 Chiamiamo disposizioni le proposizioni (scritte, pronunciate od anche soltanto pensate) meno complesse (ossia più semplici) che compongono quella più complessa costituente la norma, descrivendone (in tutto o in parte) fattispecie, implicazione ed effetti (2.1 e 2.2). Ad esempio, a comporre la proposizione complessa rap- presentata dalla norma generale sul risarcimento per fatto illecito concorrono le proposizioni più semplici dell’art. 12 disp. prel. (nella parte in cui modificano il “significato proprio” dei termini delle altre proposi- zioni); dell’art. 15 disp. prel. (nella parte in cui determinano la durata delle altre proposizioni); degli artt.

2043, 2947, commi 1 e 3, 832 ecc. c.c. (queste ultime in quanto qualificanti l’ingiustizia del danno) e 43.1 c.p. (queste in quanto definitorie del dolo e della colpa) per la descrizione della fattispecie costitutiva, dell’implicazione e dell’effetto (anche quanto alla sua durata); degli artt. 2044, 2045 e 2046 c.c. per la de- scrizione della fattispecie ostativa; dell’art. 2739.1 c.c. ancora per la descrizione dell’implicazione (nel senso che è necessario che gli elementi di fattispecie costitutiva risultino da ogni mezzo di prova ammesso fatta ec- cezione per il giuramento); ecc.

3.1.1 Come risulta dall’esempio sub 3.1, si danno dunque disposizioni monofunzionali, che formano cioè parte di una sola norma (l’art. 2043 c.c.) e disposizioni polifunzionali, che formano cioè parte di una plurali- tà di norme (tutte le altre citate).

3.2 Sempre nel presupposto (non imprescindibile: 5 e 7) che un ordinamento consti di una pluralità di norme, chiamiamo disposizioni (monofunzionali o polifunzionali, secondo che si riferiscano ad una sola od a più norme) anche quelle proposizioni che, senza entrare nella composizione di alcuna norma, attribuiscono giu- ridicità a norme cui si riferiscono (7.2.1).

4.- Giuridicità di norme e disposizioni; limiti spaziali, soggettivi e temporali

4.1 Attribuiamo giuridicità alle norme e disposizioni in base ad assunti assolutamente arbitrari; il che si e- sprime anche dicendo che sono norme giuridiche quelle che così definiamo.

Che l’ordinamento giuridico italiano includa attualmente tutte e solo le disposizioni (e quindi le norme) con- tenute nella costituzione approvata nel 1947 e tutte le altre provenienti nelle forme ivi previste da soggetti (anche Stati esteri ed organizzazioni sovranazionali) ivi individuati o suo tramite individuabili, è assunto giu- ridicamente non meno arbitrario di quello (per taluno assai più condivisibile) che vi includesse tutte e solo le disposizioni (e quindi le norme) da chiunque derivabili, secondo un postulato di coerenza normativa (9.3), dalla proprietà di se stessi e dei frutti del proprio lavoro12.

4.1.1 L’arbitrarietà dell’attribuzione di giuridicità alle norme e disposizioni riflette la mancanza di una realtà giuridica di cui il linguaggio corrente (con le sue caratterizzazioni giuridiche) possa rappresentare l’immagine, a differenza di quanto avviene invece per una diffusamente ritenuta preesistente realtà fattuale di cui il linguaggio stesso rappresenta l’immagine13. Occorre dunque “costruire” prima una realtà giuridica per dare “senso” al discorso giuridico, mentre il discorso comune ha senso di per sé in quanto rifletterebbe una realtà fattuale già data14.

12 L’ordinamento proprio del pensiero austro-libertario sviluppatosi in campo economico, il quale pensiero – a partire dalle radici poste da Etienne de la Boetie, dalla tarda scolastica spagnola (Juan de Mariana) e da Locke – si è nutrito dell’opera di grandi economisti di lingua francese (Condillac, Turgot, Say, Bastiat e de Molinari), ha trovato la sua teo- rizzazione nella scuola austriaca di Menger, Boehm-Bawerk e von Mises, trapiantandosi poi con quest’ultimo negli Sta- ti Uniti, alimentato dal contributo sia di locali (Rothbard, Block, Rizzo ecc.), sia di europei (Leoni, Hoppe, Huerta de So- to, Colombatto ecc.): per la formulazione-base del relativo ordinamento naturale cfr. per tutti ROTHBARD, The ethics of liberty2, New York Univ. Press, 1998 (prima ed. 1982), 21 ss. e passim.

13 WITTGENSTEIN, Tractatus, 4.01: “la proposizione è un’immagine della realtà”.

14 In assenza di un ordinamento giuridico non ha evidentemente “senso” chiedersi se un certo comportamento sia giu- ridicamente dovuto. In sua presenza, invece, il quesito ha “senso”, benché possa non avere “significato” qualora la ri- sposta dipenda da dati estranei all’arbitrario assunto di giuridicità (ad esempio, tenendo presenti le due norme fon-

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4.1.2 Che l’attribuzione di giuridicità alle norme e disposizioni sia arbitraria non toglie che, in un dato ambi- to spazio-temporale, prevalga quell’ordinamento che in concreto (come tecnica di controllo del comporta- mento umano: 1.1) funziona più degli altri perché quasi tutti i suoi destinatari tollerano la necessaria (per il funzionamento, non per l’ordinamento: 1.1) coazione fisica.

4.2 Un ordinamento cui sia stata (arbitrariamente) attribuita giuridicità, nonché le norme e disposizioni che lo compongono, si definiscono giuridicamente vigenti nell’ambito spaziale, soggettivo e temporale risultante dall’ordinamento medesimo; possiamo a questo riguardo parlare di estensione della vigenza di una norma.

4.2.1 Per quanto concerne in particolare la durata, occorre distinguere.

4.2.1.1 Un ordinamento giuridico naturale, che si assume cioè conforme alla natura umana, a ragione15 ecc., per definizione assume se stesso, con tutte le sue norme e disposizioni, come immutabile16; e lo stesso avvie- ne normalmente per un ordinamento la cui giuridicità è imputata ad una entità trascendente: un ordinamento di quest’ultimo tipo (come del resto un ordinamento naturale, per quanto oggi non mi pare ve ne siano esem- pi) può costituire nel contempo un ordinamento positivo, nel senso di prevalente in un dato ambito spazio- temporale (4.1.2), come nel caso di quello islamico per lo meno in quelle sue articolazioni che non ricono- scono altre norme oltre a quelle coraniche ed a quelle enunciate dal Profeta.

4.2.1.2 Gli altri ordinamenti positivi assumono normalmente17 la durata illimitata di un qualche loro compo- nente (norma o disposizione) che ne caratterizza così l’identità, pur prevedendo regole per l’eliminazione e la modifica di tutte le altre norme e disposizioni (che hanno perciò durata indeterminata), nonché per l’introduzione di nuove norme.

Regole di trasformazione del genere sono comunque imprescindibili per modificare un ordinamento positivo, perché in loro mancanza nessuna disposizione o norma potrebbe essere eliminata, modificata o introdotta ex novo e quelle precedenti resterebbero perciò in vigore illimitatamente: infatti, l’arbitrario assunto di giuridi- cità non potrebbe in un caso del genere estendersi a regole che non c’erano quando fu adottato; esso assunto dovrebbe dunque semmai ripetersi, dando però luogo appunto ad un nuovo ordinamento.

5.- Norma fondamentale; unicità o pluralità di norme

5.1 L’arbitrario assunto di giuridicità di norme e disposizioni (4.1) è dunque un assunto logico e non norma- tivo, necessario per configurare un qualsiasi discorso giuridico. Esso non può pertanto coincidere con la norma fondamentale (Grundnorm) kelseniana, che è norma giuridica (arbitrariamente posta con il detto as-

damentali cui ci si riferisce sub 4.1, 5.1 e 5.2, non ha significato nell’ordinamento italiano chiedersi se corrisponda alla natura dell’uomo e sia perciò giuridicamente doveroso astenersi dallo sfruttare le idee altrui).

15 Come è dimostrabile: HOPPE, Eigentum, Anarchie und Staat, Westdeutscher Verlag, 1987, 69 ss., nonché EABRASU, A reply to the current critiques formulated against Hoppe’s argumentation ethics, Libertarian Papers 1, 20 (2009). Non è invece dimostrabile che un assunto di giuridicità non possa che corrispondere a ragione.

16 ROTHBARD, op. cit., 17.

17 Un’eccezione può forse trovarsi ad esempio nell’ordinamento tedesco, dato che l’art. 146 della costituzione (GG) la quale, come tutte le altre costituzioni, individua le norme e disposizioni vigenti e detta le regole per la formazione, e- liminazione e modifica delle stesse, prevede che essa stessa perderà “la sua validità il giorno in cui [entrerà] in vigore una costituzione che sia stata approvata con libera decisione del popolo tedesco”. Infatti, questa previsione può alter- nativamente significare che la futura, ed indeterminata nelle sue modalità, libera decisione del popolo tedesco darà vita ad un nuovo ordinamento che avrà bisogno di un nuovo assunto arbitrario di giuridicità (ed in questo caso ci si troverebbe appunto di fronte ad una previsione di durata non illimitata, ma soltanto indeterminata); oppure che la vincolatività di essa libera decisione, per quanto non meglio definita, in quanto prevista dall’odierno ordinamento ne garantisce la perpetuità (durata illimitata) fosse pure con contenuti totalmente diversi.

L’illimitata durata dell’ordinamento italiano dovrebbe invece desumersi dall’art. 139 cost., che esclude la possibilità di modifica della forma repubblicana dello Stato (ed ammette a contrariis la modifica di qualsiasi altro contenuto della costituzione).

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sunto logico) in una formulazione linguistica che include, riducendole ad unità, tutte le proposizioni con va- lore normativo di un qualsiasi ordinamento.

Per esempio, la norma fondamentale dell’ordinamento italiano è: “bisogna comportarsi così come ha pre- scritto il costituente del 1947”. Quella dell’ordinamento naturale austro-libertario, invece è: “bisogna aste- nersi da ogni comportamento che, con violenza fisica (o minaccia di violenza fisica) o frode, privi in tutto o in parte taluno della possibilità di usare come crede della propria persona e della sua proprietà [quest’ultima definita come: a) i frutti del proprio lavoro che rappresentino una scarsa risorsa, b) ogni scarsa risorsa di cui taluno si sia appropriato e non già posseduta da altri e c) ogni altra proprietà gli sia stata volontariamente tra- sferita da terzi], salvo quanto necessario secondo coerenza normativa (6.3) per prevenire o reprimere ogni violazione dell’obbligo di astensione”. E così via.

5.1.1 E’ sempre possibile adottare una formulazione linguistica che inglobi in una proposizione ancora più complessa, chiamata norma fondamentale, tutte le proposizioni complesse che vengono correntemente quali- ficate come le varie norme di un ordinamento (2.1), a loro volta risultanti da proposizioni meno complesse che chiamiamo disposizioni (3.1).

In questo modo si ottiene un’unica norma che descrive (2.1) tutti i fatti e i doveri ipotizzati dalla norma stessa (cioè dall’intero ordinamento), tutti i mezzi di prova da cui possono risultare ciascuno dei predetti fatti e doveri, tutti i nessi di implicazione di detto risultare, tutti i soggetti a cui carico sorgerebbero tutti i doveri implicati dall’unica norma secondo i nessi ivi pure descritti.

5.2 Ciò nonostante può essere egualmente corretto parlare di una pluralità di norme se la proposizione- norma fondamentale rinvia ad altra od altre proposizioni che la prima qualifichi norme o le quali altre propo- sizioni si autoqualifichino norme o che a loro volta rinviino ad altre proposizioni che qualifichino o che si autoqualifichino norme e così via.

E’ quanto accade appunto con la norma fondamentale dell’ordinamento italiano, che impone di comportarsi

“così come ha prescritto il costituente del 1947” (5.1), con ciò stesso rinviando a proposizioni della costitu- zione che si autoqualificano come norme, come ad esempio l’art. 112 che è stato inserito in una sezione ru- bricata “norme sulla giurisdizione” e che recita “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione pe- nale”; e ad altre che qualificano “norme” le preesistenti previsioni di legge ordinaria (ad esempio disp. trans.

VII).

In questo caso, la norma fondamentale è solo una disposizione polifunzionale che attribuisce giuridicità alle norme cui rinvia (3.2).

5.3 L’altra norma fondamentale che si è presa sopra in esame (5.1), invece, esaurisce effettivamente l’ordinamento naturale austro-libertario, perché non c’è in essa rinvio ad altre proposizioni (norme) storica- mente formulate, ma sua mera trasformabilità in formulazione più dettagliata.

6.- Potere ed atto normativi

6.1 Come si è già accennato in 4.2.1.2, nelle norme di quasi tutti gli ordinamenti positivi vigenti, a partire dalla norma fondamentale (5.1), si enunciano regole per l’eliminazione e la modifica di tutte le altre norme e disposizioni, nonché per l’introduzione di nuove norme. Più precisamente vi sono disposizioni che autoriz- zano uno o più soggetti (giuridici od esseri umani: 1.1.1) ad emettere dichiarazioni, con forme e/o contenuti più o meno determinati, che spesso vengono a loro volta qualificate come norme dalle stesse disposizioni au- torizzative (oppure comunque si autoqualificano, ovvero oggettivamente si configurano, come norme).

6.1.1 Quando vengono emesse dichiarazioni di quest’ultimo contenuto si verifica una moltiplicazione norma- tiva nella quale la disposizione autorizzativa ed ogni dichiarazione normativa emessa dal soggetto autorizza- to possono essere considerate a loro volta un’altra, unica norma la cui fattispecie è rappresentata dagli ele- menti (fatti, eventuali doveri e soggetti) indicati nella disposizione autorizzativa, dall’emissione della dichia- razione normativa e dagli altri elementi indicati in quest’ultima. Questa norma può essere letta così: sono do- vuti tutti i comportamenti di tutti i soggetti che saranno qualificati come dovuti in una dichiarazione emessa da chi si trovi nella situazione qui descritta (cfr. art. 70 cost.: “la funzione legislativa è esercitata collettiva- mente dalle due Camere” e art. 136.1 cost.: vi sono “norm[e] di legge”, ossia “sarà doveroso ogni comporta-

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mento previsto come tale in una norma di legge approvata dalle Camere”; cfr. art. 1372.1 c.c.: “il contratto ha forza di legge tra le parti”, ossia: “ogni comportamento previsto come doveroso in un accordo tra due soggetti sarà da loro e tra loro dovuto”).

6.1.2 In alternativa, la disposizione autorizzativa può essere vista come una disposizione polifunzionale che attribuisce giuridicità alla norma emergente dalla dichiarazione normativa emessa dal soggetto autorizzato (3.2 e 5.2).

6.2 Quanto alla terminologia, il primo pezzo di fattispecie, composto dagli elementi indicati nella proposi- zione autorizzativa, viene definito come attributivo (ai soggetti ivi indicati) di potere normativo e la dichia- razione che ne costituisce esercizio viene definita atto normativo (esempi: potere di revisione costituziona- le/leggi costituzionali; potere legislativo/leggi ordinarie; potere regolamentare/regolamenti; potere contrattu- ale/contratti; potere decisorio/decisioni; ecc.).

6.2.1 Naturalmente, in forza del principio di completezza della fattispecie (2.4a), un dovere potrà nascere (od estinguersi) in forza di quell'atto normativo se e soltanto se il pezzo di fattispecie attributivo di potere norma- tivo ed anche quello relativo all’atto normativo si sia compiutamente realizzato (risulti che una legge sia stata approvata da certi consessi identificabili con il parlamento e con le maggioranze richieste dai regolamenti parlamentari; la vendita di un immobile sia stata redatta per iscritto; ecc.).

Ed allo stesso risultato si perviene anche se non si considera la disposizione autorizzativa quale componente di un’unica norma insieme con la disposizione autorizzata (6.1.1), bensì come una disposizione polifunziona- le che attribuisce giuridicità alla norma autorizzata (6.1.2): in tal caso, se mancassero le condizioni indicate dalla prima, la seconda non sarebbe una norma giuridica.

6.2.2 Di potere normativo e di atto normativo si parla anche se le dichiarazioni autorizzate sono di modifica od eliminazione di altre norme o disposizioni e perciò non ne risulti una nuova norma, bensì (a seconda del contenuto di dette dichiarazioni) una variazione dell’estensione (9.1) di altra od altre norme o addirittura la cessazione della loro vigenza attraverso la loro abrogazione, che può essere vista anche come modifica nel senso di determinazione della loro durata che esaurisce quella ab origine indeterminata (4.2.1.2).

7.- Grado normativo

7.1 Se, per l’individuazione dei comportamenti dovuti, una norma od una disposizione rinvia ad altro atto normativo già adottato (5.2) od ancora da adottare (6.1), si dice che queste norme hanno grado crescente.

Ad esempio, la norma fondamentale dell’ordinamento italiano (5.1) è norma di primo grado rispetto a quella costituzionale (di secondo grado) che sancisce l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 cost.); la disposizione costituzionale polifunzionale (3.1.1 e 3.2) che prevede l’adozione di norme di legge (cfr. art. 136.1) da parte del legislatore ordinario (artt. 70 ss. cost.) fa parte di norme e disposizioni di secon- do grado (le norme e disposizioni costituzionali) rispetto a quelle (di terzo grado) poste con atto avente forza di legge ordinaria; la disposizione polifunzionale di legge ordinaria che prevede che accordi tra soggetti pri- vati (contratti) abbiano tra i medesimi “forza di legge” (art. 1372.1 c.c.) fa parte di norme e disposizioni di terzo grado (le norme e disposizioni di legge ordinaria) rispetto a quelle (di quarto grado) poste dai contraen- ti; e così via.

7.2 In realtà, se si tratti di varie norme di diverso grado ovvero di varie proposizioni normative aggregantisi a comporre un’unica norma fondamentale è questione definitoria (5.1.1, 5.2, 6.1.1, 6.1.2), con implicazioni meramente classificatorie oppure anche di diverso assetto normativo ma, in tal caso, solo se la definizione come norma separata da quelle di grado n-1 viene incorporata in una qualsiasi proposizione normativa.

7.2.1 Dal punto di vista classificatorio, se assumiamo l’unicità della norma, allora tutti i dati ivi indicati sono dati di fattispecie rispetto ai doveri che ne scaturiscono (l’effetto) (6.1.1): dunque, ad esempio, dal punto di vista della norma fondamentale italiana, posta nel 1947 (5.1), nella fattispecie di ogni dovere di ogni singolo soggetto descritta sub 2.2a rientrano la costituzione, la pertinente legge ordinaria la cui adozione è prevista dalla costituzione, ogni pertinente fonte sublegislativa prevista dalla legge ordinaria (regolamento, contratto, atto amministrativo, sentenza, ecc.) oltre ad ogni altro fatto e dovere all’uopo previsto da queste fonti.

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Altrimenti, se assumiamo l’autonomia della norma di grado n (6.1.2), le disposizioni di grado n-1 ed i dati ivi indicati (ossia il rinvio oppure quelli necessari per l’attribuzione del potere ed il suo esercizio) non sono ele- menti di fattispecie di una corrispondente norma, ma vengono a rappresentare, in aggiunta all’arbitrario as- sunto di giuridicità di tutte le norme e disposizioni (4.1), condizioni per la vigenza giuridica (3.2 e 4.2) della norma di grado n.

7.2.2 Dal punto di vista di un possibile diverso assetto normativo, invece, se una qualsiasi disposizione quali- fica norma una proposizione di grado n, ne vanno tratte le conseguenze. Così, ad esempio, poiché l’art.

360.1, n. 3 c.p.c. ammette ricorso per cassazione “per violazione o falsa applicazione di norme di diritto” e l’art. 1372.1 c.c. prevede che “il contratto ha forza di legge tra le parti”, occorrerebbe ammettere ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme contrattuali (norme poste col contratto) se l’elencazione delle fonti del diritto nell’art. 1 disp. prel. c.c. non conducesse a diversa conclusione.

7.3 Una descrizione in termini generali, sia pure spesso con grado di generalità decrescente, tanto della fatti- specie che dell'effetto (modello di comportamento doveroso) (2.1) è propria delle norme di qualsiasi grado, comprese quelle indirizzate ad uno o più soggetti determinati, le quali ammettono perciò sempre qualche va- riabile (ad esempio, la condanna giudiziale al pagamento di una somma pari o inferiore a € 1.000 può assol- versi sia con la consegna di biglietti di banca, sia con la comunicazione al creditore dell'accettazione dell'in- termediario ex art. 49.2 d.lgs. n. 231/2007). Il comportamento dovuto è quindi spesso un genere di compor- tamento che ne comprende più di uno alternativamente dovuti.

8.- Rango normativo

8.1 Definiamo rango di una o di un insieme di norme e disposizioni un rapporto fra queste ed altre norme e disposizioni tale per cui, ove le prime e le seconde (eventualmente alla fine di un processo di produzione normativa del genere descritto sub 6) prefigurassero effetti (doveri) diversi tra loro, si esclude ab origine o si elimina successivamente (ex tunc od ex nunc) la giuridicità delle une, le quali si dicono allora avere rango inferiore alle altre (che si definiscono di rango superiore).

8.1.1 Nulla esclude naturalmente che la norma o disposizione di rango superiore consenta che altra di rango inferiore preveda i menzionati diversi effetti, che allora però si produrranno in quanto appunto consentiti (se si preferisce, incorporati: 6.1.1 e 7.2) dalla norma di rango superiore. Si pensi ad esempio che le disposizioni degli artt. 11, secondo inciso e 117.1 cost. (di rango superiore a quelle di legge ordinaria) consentono l’adozione di norme in contrasto con quelle costituzionali, contenute in convenzioni internazionali che pure, ex art. 80 cost., sono ratificate (se necessario) con legge ordinaria; e che l’art. 1418.1 c.c. (rango di legge or- dinaria) consente a contrariis ai privati di porre norme contrattuali (di rango inferiore) contrarie alle previ- sioni di legge ordinaria che non siano imperative (e che per questo si chiamano derogabili).

9.- Solo le parole determinano l’estensione della norma e l’estensione della sua vigenza (interpretazio- ne, analogia, rapporti tra norme, coerenza normativa)

9.1 Dato che non esiste altro strumento che il linguaggio, comune e specialistico, per comunicare, è soltanto dalle espressioni linguistiche impiegate (c.d. interpretazione letterale) che dipende l’estensione delle norme ossia l’estensione delle classi di fatti, doveri e strumenti probatori, con le relative implicazioni, descritte dalle varie disposizioni (o dall’unica disposizione) che compongono le norme (o l’unica norma) e l’estensione soggettiva, spaziale e temporale della sua vigenza (4.2). Detta estensione di ciascuna delle norme include ovviamente i relativi rapporti nel senso che specialità, incompatibilità ecc. si riflettono ed esauriscono in una determinata estensione di quelle classi con corrispondenti implicazioni, fino ad arrivare, sempre a seconda delle espressioni linguistiche impiegate, all’espulsione di una norma dall’ordinamento (ad esempio, abroga- zione per incompatibilità ex art. 15 disp. prel. c.c.).

9.1.1 L’esclusività dell’interpretazione letterale non è smentita dalla previsione, in varie disposizioni, di al- tri strumenti di determinazione dell’estensione di norme, come ad esempio “l’intenzione del legislatore” (art.

12.1 disp. prel. c.c.), similitudine ed analogia di casi e materie, “principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato” (art. 12.2 disp. prel. c.c.), “comune intenzione delle parti” (art. 1362.1 c.c.) ecc. E’ infatti evi-

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dente che la correzione delle altre espressioni linguistiche18 viene imposta da queste ultime espressioni lin- guistiche e quindi che è sempre e solo il linguaggio che determina il significato delle norme e disposizioni.

9.2 L’ineliminabile margine di equivocità del linguaggio, accresciuto dal deliberato impiego di termini ad ampio spettro semantico (a cominciare da “intenzione” del legislatore ecc.), fa sì che raramente l’interpretazione di una norma conduca ad un solo risultato; quasi sempre si ottengono molteplici risultati nell’ambito dei quali, se ordinatamente graduabili per attendibilità linguistica, va preferito il più attendibile appunto perché più rispondente al linguaggio.

9.3 E’ possibile che, in un ordinamento positivo non naturale (4.2.1), l’interpretazione conduca all’emersione di norme che impongono ad un soggetto comportamenti tra loro incompatibili ossia non adottabili in unico contesto spazio-temporale (c.d. norme incompatibili: per esempio, consegnare contemporaneamente lo stesso bene a due conduttori diversi, cui lo si è locato - art. 1380 c.c.); in tal caso tutte queste norme dovranno rite- nersi contemporaneamente vigenti e, poiché qualsiasi fatto va raffrontato con tutte le norme vigenti, qualsiasi comportamento tenuto risulterà contrario ad almeno una delle norme incompatibili.

Ne consegue che l’introduzione successiva in un ordinamento del genere, in conformità alla regole all’uopo date, di nuove norme incompatibili con quelle preesistenti (introduzione che è ben possibile qualora le men- zionate regole non la vietino: nel qual caso le nuove norme non potrebbero dirsi introdotte e quindi vigenti) non comporta di per sé eliminazione delle preesistenti norme incompatibili salvo che ciò non sia espressa- mente previsto (4.2.1.2; ad esempio, nell’ordinamento italiano, l’art. 15 disp. prel. c.c. prevede che “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori… per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti”).

Negli ordinamenti non naturali, la coerenza normativa vale nei soli limiti in cui è sancita.

Negli ordinamenti naturali, invece, la coerenza normativa è un postulato. In alcuni, poi, come ad esempio in uno che attribuisse incondizionata efficacia vincolante agli accordi tra singoli, sarebbero bensì concepibili proposizioni normative che si aggiungano a quelle della norma fondamentale (5) o che abbiano grado o ran- go (7 e 8) diversi (le quali proposizioni normative sarebbero appunto rappresentate dal contenuto di detti ac- cordi), ma in nessun caso potrebbero dette proposizioni risultare incompatibili con il contenuto di quelle che le fondano. In altri, invece, come nel caso dell’ordinamento austro-libertario, non sono neppure concepibili proposizioni normative aggiuntive, in quanto ogni dato eteronomo ha la sola funzione di identificare il pro- prietario di una certa (scarsa) risorsa19.

9.4 In caso di norme o disposizioni di rango diverso, tenuto conto che i rapporti fra e l'interpretazione delle norme e disposizioni sono affidati esclusivamente al linguaggio (9.1 e 9.1.1), a) la diversità di rango è neces- sario risulti dalle norme di rango superiore (perché se fosse affermata solo nelle norme che si autodefinissero di rango inferiore essa diversità di rango potrebbe venir meno, in contraddizione con la definizione stessa di rango, a seguito di semplice modifica di queste ultime); b) il significato delle parole contenute in disposizioni di rango superiore non potrà né desumersi né essere condizionato da disposizioni di rango inferiore, perché ciò equivarrebbe a far prevalere la disposizione di rango inferiore; c) disposizioni di un certo rango (per e- sempio di legge ordinaria) sull'interpretazione (per esempio interpretazione restrittiva ed analogia: 9.1.1) so- no inapplicabili a quelle di rango diverso, superiore (per esempio costituzione) od inferiore (per esempio contratti), a meno che - per quest'ultimo caso - ciò non sia previsto (nel primo caso non potrebbe esserlo per

18 Ad esempio consistente, nel caso dell’analogia, nell’aggiunta delle parole “nonché in tutti i casi simili” a tutte le di- sposizioni suscettibili di applicazione analogica e, nel caso della c.d. interpretazione teleologica, ossia governata dalla

“intenzione del legislatore”, nelle sue varianti restrittiva ed estensiva (la quale ultima si traduce in una più bassa gra- dazione dell’analogia), in una più o meno marcata distorsione delle parole della norma per ottenerne una riduzione od un ampliamento dell’estensione (come avviene anche per effetto delle disposizioni – pretorie o di legge – sul c.d. “a- buso del diritto”, sulle quali vedi l’acuta analisi di GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., 2012, I, 297 ss., spec. 312 s., 318 ecc., che ha il solo torto di fare delle disposizioni medesime un caso speciale).

19 Il contratto ha la sola funzione e vincola nei soli limiti in cui trasferisce proprietà di scarse risorse: ROTHBARD, op.

cit., 133 ss.

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quanto detto alla precedente lett. b): infatti, le disposizioni da interpretare, designate da quelle sull'interpreta- zione, non potranno, in mancanza di diversa indicazione, che essere omogenee a queste ultime.

9.4.1 Segue da 9.4a che è solo la previsione, nel testo della nostra costituzione, dell’insorgere di questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge ordinaria (art. 134, primo alinea) e della perdita di efficacia di queste ultime a seguito di loro dichiarazione di illegittimità costituzionale (art. 136.1) che fonda la superiori- tà di rango delle norme costituzionali rispetto a quelle di legge ordinaria. E che sono solo l’art. 1418.1 c.c. e norme consimili, statuenti l’improduttività di effetti di contratti o loro clausole contrastanti con certe previ- sioni di legge ordinaria, a fondare la superiorità di rango delle norme di legge ordinaria rispetto alle norme contrattuali.

9.4.2 Segue da 9.4b che il significato delle parole diritto (soggettivo), interesse legittimo, processo, giurisdi- zione ecc. impiegate nella nostra costituzione non può essere desunto da quello che le stesse parole hanno nella legge ordinaria.

9.4.3 Segue da 9.4c che interpretazione teleologica ed analogia (9.1.1) delle nostre norme costituzionali sono possibili solo se previste dalla stessa costituzione, non essendo invocabile a loro fondamento l’art. 12 disp.

prel. c.c. (disposizione di rango inferiore).

9.4.3.1 Nell’ordinamento italiano interpretazione teleologica ed analogia sono sancite anche a livello costitu- zionale (oltre che di legge ordinaria).

9.4.3.1.1 Per ciò che concerne il trattamento dei cittadini (art. 3.1) e di tutti gli altri esseri umani (art.

117.120), l’analogia (e l’interpretazione estensiva che ne costituisce gradazione inferiore: 9.1.1, nota 18) è sancita anche a livello costituzionale perché esprime nient’altro che parità di trattamento21 che, come dispo- sizione costituzionale (art. 3.1), impone l’estensione di tutte le altre disposizioni costituzionali e di legge or- dinaria (art. 134 ss.) a tutti i casi simili che coinvolgano soggetti diversi22.

9.4.3.1.1.1 Il rango costituzionale dell'analogia renderebbe quindi incostituzionale anche l'abrogazione espli- cita dell'articolo 139, che pure vieta esplicitamente solo la reintroduzione della "forma" monarchica (limitan- do la libertà di determinazione dei relativi sostenitori) e non la propria stessa abrogazione, in quanto aprireb- be la via allo stesso risultato. E rende incostituzionale pure l'art. 14 disp. prel. recante divieto di analogia del- le leggi penali23 e di quelle eccezionali, a meno che con quest'ultimo termine non si intenda qualcosa di su- perfluo e cioè le disposizioni che non regolano casi simili.

9.4.3.1.2 L'interpretazione restrittiva è sancita anche a livello costituzionale perché è la risultante di un'in- compatibilità del senso (da espungere) di una certa disposizione con il senso di un'altra disposizione esplici-

20 Questa disposizione, introdotta con legge costituzionale n. 3/2001, ha elevato qualsiasi obbligo internazionale dello Stato (e quindi anche quelli a beneficio di ogni essere umano scaturenti ad esempio dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Patto ONU sui diritti civili e politici e dalla Carta dei diritti fondamentali nelle materie di compe- tenza UE) a parametro di legittimità costituzionale.

21 Per uno spunto in tal senso Cass. civ., Sez. Unite, 14/12/1994, n. 10680, nonché BVerfG, 06/12/2005, 1 BvR 1905/02, in BVerfGE, 115, 51, punto B II 1 b e WUERDINGER, Die Analogiefähigkeit von Normen, in AcP, 2006, 948 e 964.

22 Per ragioni di carattere storico l’art. 3.1 è formulato così anziché, per esempio, in quest’altro modo: “tutte le situa- zioni simili e tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge ecc.”. Peraltro il risultato non cambia, perché ogni cittadino (ed essere umano ex art. 117.1) potrà comunque dolersi del fatto che una sua situazione, simile ad altra sempre sua, sia trattata peggio di questa riferendo la prima situazione ad un qualsiasi altro cittadino od essere umano e giovandosi poi della dichiarazione d’incostituzionalità della relativa disciplina.

23 Ciò però non significa ad esempio che la Corte costituzionale possa estendere le sanzioni penali a casi simili non previsti, perché travalicherebbe i suoi poteri, limitati a "tagliare" norme e che non si estendono ad introdurne (arg. ex art. 136.1: supra, nota 10); dovrebbe però "tagliare" le norme incriminatrici di situazioni simili ad altre non punite e con ciò esercitare pressione sul legislatore per l'incriminazione di tutte le situazioni simili. Più in generale, proprio per i menzionati limiti ai suoi poteri, ogni disparità di trattamento può essere eliminata dalla Corte costituzionale solo "ver- so il basso" (cioè riducendo l’ordinamento ossia il numero o la portata dei doveri posti dallo stesso).

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tamente formulata o derivabile per analogia: incompatibilità che può correggere - salvo che sia previsto di- versamente dalla costituzione - anche disposizioni costituzionali. Infatti, la costituzione prevede che tutte (o quasi: art. 139 ed osservazioni sub 9.4.3.1.1.1) le sue disposizioni possano essere abrogate o modificate da successive disposizioni costituzionali (e, nel caso dell’art. 60.2, anche di legge ordinaria)24; e dunque anche che il senso di una sua disposizione possa essere limitato da quello di un’altra sua disposizione25.

10.- Classi di doveri (e di corrispondenti situazioni soggettive spurie)

10.1 Doveri strumentali e doveri finali: i primi sono quelli in cui il comportamento dovuto è soltanto rile- vante (2.3) in ordine ad altri doveri; i secondi sono quelli in cui la rilevanza (2.3) del comportamento dovuto si limita all’estinzione del dovere stesso (magari continuativa nel tempo, come nel caso di quei doveri di a- stensione il cui riflesso — 10.2a — chiamiamo proprietà). La distinzione è utile, fra l’altro, per una più det- tagliata analisi degli strumenti previsti dalla legge e degli obiettivi loro tramite perseguiti (per esempio: con- dannare il ladro è comportamento doveroso quale strumento della creazione del suo dovere di scontare la pe- na; scontare la pena è comportamento doveroso finale; obiettivo ultimo è la tutela di ogni proprietà tramite la dissuasione scaturente dalla pena minacciata e applicata ai colpevoli26), della quale è parte la distinzione tra dinamica dei doveri e loro adempimento (condanna del ladro ed espiazione della pena non stanno sullo stes- so piano; il pagamento della somma dovuta non si limita ad estinguere il debito, ma attribuisce al creditore la proprietà del denaro e fa sorgere con ciò tutti i doveri di astensione in cui si risolve la proprietà, i quali dove- ri — a differenza del debito — sono doveri finali); per individuare i ruoli spettanti ai vari soggetti interessati (il giudice pone il dovere di scontare la pena, il ladro condannato l’adempie); ecc.

10.2. Doveri (anche strumentali o finali) per evocare i quali è più utile — per semplicità linguistica (oltre che per obiettivi demagogici: supra, nota 3) — attribuire un nome (diritti soggettivi per taluni e interessi legitti- mi per altri) al loro riflesso, il quale riflesso consiste rispettivamente: a) nel vantaggio (utilità specifica so- cialmente tipizzata) che il comportamento doveroso arreca a terzi individuati od individuabili nel momento in cui il dovere nasce, accompagnato dalla possibilità di ottenere un risultato (considerato dall’ordinamento) equivalente in caso d’inadempimento dell’obbligato27; b) nell’eventualità che il comportamento doveroso della pubblica amministrazione (che può consistere anche solo nel rispetto delle prescrizioni di legge in tema di formazione degli atti amministrativi) possa recare un vantaggio a terzi individuati od individuabili nel momento in cui il dovere nasce, sempre accompagnato dalla possibilità di ottenere un risultato (considerato dall’ordinamento) equivalente in caso d’inadempimento.

10.2.1 Per quanto se ne parli, non esistono diritti soggettivi o interessi legittimi di collettività più o meno ampie, perché appunto per definizione i loro titolari non possono che essere soggetti individuati od indivi- duabili (10.2) eventualmente anche al di là dello schermo di una persona giuridica (1.1.1)28. Non esistono

24 L’art. 138 prevede la revisione (letteralmente inclusiva di parziale abrogazione) della costituzione medesima; l’art.

132.1 prevede la fusione tra regioni e la costituzione di nuove regioni, che modificherebbe automaticamente l’art.

131; l’art. 139 sancisce come eccezione il divieto di revisione costituzionale per la forma repubblicana dello Stato.

25 Per esempio, la parola “tutti” con cui viene spesso introdotta, dagli articoli inclusi nella parte I della costituzione, la previsione di diritti costituzionalmente tutelati, non può implicarne l’estensione agli stranieri perché ciò sarebbe in- compatibile sia con l’intitolazione di essa parte I ai “diritti e doveri dei cittadini” (ereditata – con le varianti “tutti” e

“niuno” – dalla rubrica e disposizioni degli artt. 24-32 dello statuto albertino), sia con i commi dal 2° al 4° dell’art. 10, da cui emerge chiaramente che la tutela dello straniero è di regola demandata alla legge ordinaria.

Dunque, quella parola “tutti” va restrittivamente letta come “tutti i cittadini”, mentre la tutela costituzionale dei non cittadini è demandata all’art. 117.1 (9.4.3.1.1, nota 20).

26 Per critiche alla funzione preventiva e riaffermazione della funzione reintegrativa della pena dal punto di vista del citato ordinamento naturale cfr. invece ad esempio ROTHBARD, op. cit., 85 ss.

27 Obligatio generat actionem: Baldo, In secundam Codicis partem Commentaria, Giunta, 1572, IV.1.rubr.14.

28 Nel pensiero austro-libertario la società non è altro che il complesso delle relazioni tra individui: cfr. VON MISES, Human action, Fox & Wilkes, 1996, 143 ss.

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quindi situazioni definibili come diritti soggettivi o interessi legittimi dello Stato, della P.A. ecc. né garanzie costituzionali in materia («i diritti dello Stato sulle eredità» ex art. 42.4 Cost. sono soltanto possibilità di avo- cazione di proprietà già privata alla mano pubblica), ma solo doveri (imposti anche dalla costituzione) a cari- co di funzionari pubblici. Tuttavia il dovere di questi funzionari di creare obblighi a carico di privati e/o di assumere iniziative volte ad ottenere un risultato equivalente in caso d’inadempimento di loro obblighi, non- ché l’attribuzione agli stessi funzionari della possibilità di avvalersi di strumenti creati per i privati (accordi, contratti ecc.) rende possibile un’assimilazione più o meno ampia della posizione degli enti che impersonano alle situazioni note come diritti soggettivi o interessi legittimi.

10.2.2 Il vantaggio cui si riferiscono i diritti soggettivi ed interessi legittimi può consistere, istituzionalmente (per il caso di doveri strumentali: 10.1) od accidentalmente (per il caso d’inadempimento del dovere), ed in questo secondo caso in tutto o in parte, nella nascita (ope legis o su iniziativa del beneficiario) di doveri ulte- riori (tipici quelli risarcitori) al cui adempimento il vantaggio stesso si trasferisce in tutto o in parte.

10.3. Doveri (anche strumentali o finali) che vengono creati, direttamente oppure con l’imposizione al giudi- ce del dovere di crearli, tramite l’esercizio di un potere normativo (6.2), il quale potere è chiamato anch’esso diritto (spesso diritto potestativo) se il riflesso dei doveri che possono essere creati è quello descritto sub 10.2a (ad esempio, obbligo di liquidazione della quota societaria creato dal socio ex artt. 2285 e 2289 c.c.

oppure obbligo di restituzione della prestazione creato dal giudice ex artt. 1453 e 1458 c.c.) ed altrimenti po- tere o potestà (ad esempio amministrativa, d’imposizione tributaria, punitiva29).

10.4. Diritti, interessi legittimi e poteri (tutti chiamati anche situazioni soggettive sostanziali) disponibili ed indisponibili da parte dei loro titolari (artt. 5, 160, 1966.2, 2934.2 c.c.; art. 34.1 d. legisl. n. 5/2003), secondo che possano essere oggetto di rinuncia oppure no.

10.4.1 In altra più restrittiva, benché meno utile, definizione si parla di situazioni soggettive sostanziali di- sponibili se le stesse siano non solo rinunciabili, ma anche trasferibili a terzi (generalmente dal loro titolare).

Segue peraltro da 10.2. e 10.3 che questo trasferimento non significa passaggio di un’identica situazione giu- ridica da un soggetto dell’ordinamento ad un altro: dato che la situazione è riflesso di doveri altrui e che que- sti cambiano necessariamente in caso di trasferimento ad altri del loro riflesso (ad esempio, dover consegnare una cosa a Tizio è comportamento doveroso diverso nella sua materialità dal doverla consegnare a Caio), trasferire una situazione soggettiva significa sempre estinguere vecchi doveri e crearne di nuovi (la relativa vicenda va inclusa tra i fatti modificativi: 2.3), anche se il loro contenuto è determinato per relationem (nor- malmente anche temporale) a quelli estinti.

10.4.2 Segue da 9.1 che disponibilità alle situazioni soggettive sostanziali può essere conferita solo da appo- site disposizioni, in mancanza delle quali nessuna di queste situazioni soggettive può essere rinunciata o tra- sferita. Ed anche se sussistono disposizioni generali in tal senso, va comunque assunta — in mancanza di al- tra specifica disposizione in contrario — irrinunciabilità ed intrasferibilità quando esigere l’adempimento dell’obbligo di cui queste situazioni soggettive costituiscono il riflesso (10.2) o che il diritto/potere può crea- re (10.3) è a sua volta doveroso per il titolare (situazioni soggettive indisponibili «per loro natura»: art.

1966.2 c.c.); il che vale ad esempio per la potestà punitiva dello Stato, per i poteri della P.A. in genere (anche se radicati secondo le forme del diritto dei privati: 10.2.1) e quindi anche per il potere d’imposizione tributa- ria, per il diritto dei minori all’istruzione, ecc.

Limitare invece la disponibilità delle situazioni soggettive in oggetto, assoggettandola a condizioni di tempo (per esempio, indisponibilità di situazioni future, secondo quanto si ritiene per i crediti alimentari), a condi- zioni di forma (per esempio, necessità di atto scritto: art. 1350, n. 5 c.c.) e ad altre ancora (art. 2113.4 c.c.), equivale comunque a qualificarle disponibili (sia pure a dette condizioni).

10.5 Doveri privatistici e doveri pubblicistici: i primi sarebbero volti a soddisfare interessi privati e i secondi interessi della collettività. Siccome tuttavia le norme coinvolgono praticamente sempre intere classi di sog-

29 In relazione a quest’ultima, legittimati al suo esercizio sono il P.M., nonché la parte offesa dal reato nei casi dell’art.

21 d.lgs. n. 270/2000; e detto esercizio, ricorrendone tutte le altre condizioni, crea il dovere del giudice di condannare l’imputato, la quale condanna crea il dovere del condannato di scontare la pena.

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getti (e di comportamenti), da un lato viene sempre in gioco l’interesse privato di ciascun componente di queste classi (gli obblighi di astensione dei non proprietari sono propri di tutti, tranne che del proprietario;

l’obbligo di pagare le imposte su redditi superiori ad una certa soglia interessa anche chi non li percepisce, evitandogli un onere che magari altrimenti ci sarebbe; e così via); d’altro lato, solo il privato (l’individuo) può avere interessi. Sicché gli interessi della collettività sono in realtà interessi di alcuni privati30 che pre- scindono dagli interessi degli altri e sovente li sopraffanno31.

11.- Procedimento

11.1 Una sequenza di almeno due comportamenti, il primo dei quali non sia di per sé doveroso e legati da un nesso tale per cui ciascuno di essi implica, per lo stesso agente o per un terzo, il dovere di tenerne un altro in una successione predeterminata, si definisce procedimento (dall’uno all’altro comportamento).

11.1.1 Segue dal principio di completezza della fattispecie (2.4a) e dalla definizione del procedimento (11.1) che se, per qualsiasi ragione (nullità, annullamento ecc.), un atto non ha (o si debba ritenere non abbia) com- portato il dovere di compiere quello successivo, il procedimento si è definitivamente interrotto perché viene a mancare un elemento della fattispecie costitutiva di ciascun dovere di compiere ciascun atto successivo (ecco in che senso l’art. 159.1 c.p.c. dice che «la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono indipendenti» e l’art. 185.1 c.p.p. dice che «la nullità di un atto rende invali- di gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo»).

11.2 Atto finale del procedimento è quello il cui compimento (oltre ad estinguere il dovere precedente) non fa di per sé sorgere alcun altro dovere (anche se può costituire elemento di una fattispecie più complessa di un altro dovere: ad esempio, la pubblicazione di una legge che chiude un procedimento legislativo può far nascere doveri solo se si verifica la fattispecie nella stessa all’uopo delineata; una sentenza civile di condan- na può far nascere il dovere dell’organo giurisdizionale di darvi esecuzione solo se il beneficiario lo chieda;

ecc.), a meno che non si tratti di un dovere finale (10.1) (come nel caso della consegna al creditore del rica- vato dell’espropriazione, che ne attribuisce la proprietà allo stesso creditore e crea perciò un dovere — fina- le, appunto — di astensione di tutti gli altri32).

11.3 In applicazione del principio della relatività della fattispecie rispetto all’effetto giuridico (2.4b), ogni procedimento si definisce in funzione del suo atto finale che, se indicato in termini tali da includere una plu- ralità di sue configurazioni (per esempio, pubblicazione di una legge), individua a sua volta il procedimento sia come sequenza minima di atti che soddisfano quella indicazione (per esempio, proposta di legge, delibera di approvazione del corpo legislativo, promulgazione e pubblicazione della legge), sia come sequenza inclu- siva di tutti gli altri atti da cui dipende ciascuna delle sue configurazioni (per esempio, proposta di emenda- mento e deliberazione, di approvazione o di rigetto, di quell’emendamento da parte del corpo legislativo).

Ogni sequenza di questi altri atti può definirsi subprocedimento, in quanto rientra nella definizione sub 11.1, ma non incide sull’identità del procedimento principale.

11bis.- Diritto pretorio

30 Nei regimi democratici (che sono i peggiori di tutti, in quanto istituzionalmente votati all’uso peggiore delle risorse economiche: HOPPE, The political economy of monarchy and democracy, and the idea of a natural order, in Journal of libertarian studies, 1995, 94 ss.) si suol dire “della maggioranza”: ma occorre tener conto dello scarto, insito nella ine- vitabile tecnica di questo regime (capacità organizzativa, rappresentanza indiretta, deleghe ecc.), tra il risultato, da un lato, dell’azione del voto e, dall’altro, di quella diversa azione che altrimenti ciascuno dei singoli che compongono la maggioranza indirizzerebbe alla diretta soddisfazione dei propri interessi (con un processo rispettoso di tutte le scelte individuali che può trovarsi solo nel mercato: ROEPKE, The social crisis of our time, Chicago Univ. Press, 1950, 103).

31 Fra i più recenti GRAF, Action-based jurisprudence: praxeological legal theory in relation to economic theory, ethics, and legal practice, in Libertarian Papers, vol. 3, art. n. 19 (2011), 47.

32 Gaio, Inst., IV, 4: quod ita datur, ut nostrum fiat.

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