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26 Nessun nuovo finanziamento… Nessun accordo!

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Nessun nuovo finanziamento…

Nessun accordo!

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2009 COLLANA STRUMENTI DI LAVORO

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INTRODUZIONE

''Tempo fa le preoccupazioni ambientali e climatiche a molti sembravano un lusso. Preoccupazioni dei ricchi. Altri erano i problemi dei poveri, che dovevano sopravvivere e soddisfare i bisogni primari. Poi abbiamo capito che le cose stavano diversamente”.

Si apre così un’editoriale del 5 dicembre di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, sottolineando come “le principali conseguenze dei cambiamenti climatici in atto

hanno ricadute pesanti soprattutto sulle popolazioni più povere del Pianeta”.

Non è una novità, gli effetti del cambiamento climatico sono riconosciuti da tutti, sulla stampa nazionale ed internazionale non si parla d’altro: la Conferenza sui cambiamenti climatici di Copenhagen è al punto di partenza, ed è ormai consolidato quanto il cambiamento climatico tocchi tutti noi, e soprattutto esacerbera le condizioni di povertà di chi è già stato impoverito.

Abbiamo quindi una grande responsabilità di fronte a questa grande sfida, una responsabilità che deve concretizzarsi nell’impegno dei nostri Governi per un accordo vincolante alla conferenza di Copenhagen che non può risolversi in una dichiarazione di intenti, inutile ai fini di salvare il nostro pianeta, salvaguardare le risorse naturali, garantire un futuro ai nostri figli e ai figli di tutto il mondo, e realizzare la giustizia sociale.

La FOCSIV (Federazione di Organismi Cristiani di Servizio Volontario) da più

trent’anni impegnata in progetti di cooperazione allo sviluppo e in azioni di advocacy, ha

lanciato in Italia la campagna “Crea un clima di giustizia”, espressione nazionale della

campagna internazionale “Poverty and climate justice” promossa dalla CIDSE, la rete delle

agenzie cattoliche di sviluppo delle Conferenze Episcopali di Europa e Nord America

della quale FOCSIV è il membro italiano. Una sfida necessaria, perché i cambiamenti

climatici non sono più solo una sensibilità degli ambientalisti quanto un nuovo

paradigma della povertà, su cui non potevamo che mobilitarci e mobilitare le nostre basi

sociali, i nostri soci e sostenitori e tutta l’opinione pubblica.

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Lo abbiamo fatto sulla base di un documento di posizione

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col quale presentiamo le nostre richieste e soprattutto le nostre proposte per contribuire alla sigla di un accordo al vertice di Copenhagen ispirato ai principi di equità, secondo il criterio delle responsabilità comuni ma differenziate, in cui si fissassero obiettivi di mitigazione e di adattamento concreti e vincolanti.

Questo è stato seguito da un secondo documento

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più centrato sulla questione dell’adattamento, a favore di impegni concreti da parte dei paesi industrializzati e soprattutto a favore di strategie di adattamento che valorizzassero i bisogni, le competenze ed i saperi locali.

Presentiamo ora questo ulteriore documento realizzato insieme a due altre grandi reti, Aprodev (l’Associazione che raggruppa 17 grandi organizzazioni europee di aiuto umanitario e allo sviluppo che lavora a stretto contatto con il Consiglio Mondiale delle Chiese) e Caritas Internationalis, che affronta direttamente la questione dei finanziamenti necessari per affrontare i cambiamenti climatici da parte dei paesi più poveri. Perché sono sempre loro al centro della nostra attenzione nelle grandi battaglie globali, loro che spesso oltre a pagare le conseguenze maggiori di politiche miopi e irresponsabili, potrebbero essere chiamati a sostenerne i costi maggiori.

Di giorno in giorno variano le aspettative sul Vertice, ma partecipiamo a questo appuntamento con la fermezza necessaria per pretendere dalla comunità internazionale un cambiamento di rotta, auspicando, come primo risultato, un accordo vincolante che si sostituisca al Protocollo di Kyoto e che dia lo spazio politico e gli strumenti necessari ai paesi più poveri per affrontare la sfida del cambiamento climatico.

Sergio Marelli Segretario Generale

Volontari nel mondo – FOCSIV

1 Campagna Target 2015: promuovere la sostenibilità ambientale, CIDSE/FOCSIV, pubblicato sulla rivista Volontari e Terzo Mondo 1-2/2009, Roma 2009.

2 Collana strumenti FOCSIV 24/2009 Ridurre la vulnerabilità per aumentare la resistenza: l’importanza delle tecnologie di adattamento per un accordo vincolante sul clima post-2012, Roma, 2009.

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Perché l'Unione europea deve rivedere la propria posizione sui finanziamenti per il clima, se vogliamo raggiungere un accordo equo durante la COP 15

L'accordo raggiunto il 30 ottobre 2009 dai leader europei – il primo di questo genere – su una posizione riguardante i finanziamenti per il clima è un fatto positivo. Il mondo ha aspettato per mesi che l'Ue prendesse una decisione in merito. La posizione finalmente adottata non è certo prematura, a sole cinque settimane dalla COP 15.

Affinché i negoziati di Copenaghen abbiano un risultato soddisfacente, è assolutamente necessario che i paesi più forti ed avanzati assumano un ruolo decisivo nel sostegno ai paesi in via di sviluppo di fronte ai cambiamenti climatici. In virtù del suo ruolo storico nella difesa dell'ambiente, l'Ue è nella posizione di indicare la strada giusta, mentre la crisi finanziaria la pone di fronte alla possibilità senza precedenti di trasformare la propria economia. Tuttavia, la proposta adottata il 30 ottobre non basterà a fornire la guida necessaria; piuttosto, dimostra che l'Ue cerca di evitare di assumersi le responsabilità storiche dei cambiamenti climatici e vorrebbe lasciare le cose come stanno. Le associazioni di ispirazione cattolica a favore dello sviluppo lo ritengono inaccettabile ed inadeguato.

Segue un'analisi, basata su una prospettiva di equità ed adeguatezza, della proposta europea per i finanziamenti per il clima. La proposta viene valutata in base al suo contributo per raggiungere un accordo che eviti i pericolosi mutamenti climatici senza compromettere il diritto allo sviluppo dei paesi poveri.

AZIONI CHIAVE:

Cosa devono fare l'Ue e gli altri paesi sviluppati prima della COP 15 per rendere efficace ed equa la loro offerta di finanziamenti per il clima

1. Rivedere tutti i calcoli su cui si basano le posizioni europee che sottovalutano i costi di mitigazione ed adattamento; inoltre, devono impegnarsi per un contributo europeo pubblico annuale di almeno 35 miliardi di Euro nel 2013, fino a 45 miliardi nel 2020.

2. Rispettare l'obbligo per l'Ue di assumersi impegni finanziari a lungo termine post-2012 durante la COP 15.

Non bisogna sostituire gli impegni a lungo termine con finanziamenti rapidi ed urgenti, per quanto importanti essi siano.

3. Far sì che tutti i finanziamenti europei pubblici per il clima siano nuovi e vadano ad aggiungersi agli impegni ODA già esistenti, oltre che ai compensi.

4. Rifiutare l'idea che i paesi in via di sviluppo debbano contribuire ai finanziamenti pubblici internazionali per il clima, e ridurre l'ammontare degli sforzi di adattamento e mitigazione non finanziati che i paesi in via di sviluppo devono affrontare.

5. Premere in favore di meccanismi innovativi di finanziamento per il clima, come le imposte sui trasporti internazionali, ed in favore di un'asta internazionale delle concessioni per le emissioni di carbonio, con la salvaguardia del principio delle 'responsabilità comuni ma differenziate'.

6. Premere per un fondo centralizzato ed amministrato equamente, sotto l'autorità dell'UNFCCC, come mezzo principale per i finanziamenti per il clima all'interno dell'accordo post-2012.

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1. Le stime dei bisogni sono ben lontano da ciò che gli studi recenti affermano

Il calcolo fatto dall'Ue, per il quale saranno necessari 100 miliardi di Euro entro il 2020, si basa su ricerche obsolete. Ciò vale soprattutto per i costi di adattamento, gravemente sottovalutati, che dovrebbero essere solo di 10-24 miliardi di Euro nel 2020; una somma largamente inferiore a quella calcolata negli ultimi studi.

Prima di tutto, le cifre Ue si basano su una stima dell'UNFCCC3 che è stata poi fortemente criticata in quanto inadeguata. In particolare, uno studio dell'International Institute for Environment and Development (IIED) giunge alla conclusione che le somme calcolate dall'UNFCCC sono ben 2-3 volte più basse, poiché alcuni settori – o parti di quei settori – sono stati esclusi dai calcoli4. Inoltre, un rapporto recente della Banca Mondiale è giunto alla conclusione che i costi di adattamento saranno notevolmente più alti di quelli calcolati dall'UNFCCC5. La Commissione europea ammette che le stime dell'UNFCCC siano state criticate, ma non adegua le proprie cifre ai bisogni più elevati emersi in studi più recenti.

Secondo, il metodo della Commissione europea per valutare i costi per il 2020 sono alquanto discutibili.

Lo studio dell'UNFCCC, che rafforza la stime dell'Ue, valuta i costi per l'adattamento nei paesi in via di sviluppo tra i 23 ed i 54 miliardi di Euro entro il 2030. La Commissione europea calcola i costi per il 2020 estrapolandoli linearmente a partire dal 2012, fino ad arrivare ai 23-54 miliardi di Euro del 2030, presumendo che i costi siano di 0 Euro nel 2012 (!). La Commissione non tiene dunque in considerazione che i cambiamenti climatici hanno già un impatto enorme, in particolare sui paesi e le popolazioni più poveri e vulnerabili. Se consideriamo l'attuale impatto climatico ed i calcoli condotti negli studi scientifici recenti, allora il costo per l'adattamento nei paesi in via di sviluppo risulta 2-3 volte più elevato rispetto a quello valutato dall'Ue.

L'Ue sottovaluta anche i costi di mitigazione. La Commissione europea stima che saranno necessari 71 miliardi di Euro all'anno entro il 2020 per i costi aggiuntivi della riduzione delle emissioni del settore energetico ed industriale dei paesi in via di sviluppo. Il World Development Report giunge alla conclusione che i costi per la mitigazione in quei paesi saranno di 140-175 miliardi di dollari all'anno entro il 2030, con relative richieste di finanziamento annuali dell'ammontare di 265-565 miliardi6.

Un'altra falla allarmante nella posizione europea è la discrepanza tra la mitigazione e le proposte di finanziamento. Il pacchetto di finanziamento è ben lontano dal prendere nell'adeguata considerazione il livello molto basso degli obiettivi di mitigazione che i paesi sviluppati si sono preposti. Le cifre e le stime dei costi alla base delle posizione finanziaria europea si fondano sulla previsione che i paesi

3 UNFCCC (2007). Investment and Financial Flows to Address Climate Change.

4 IIED e Grantham Institute for Climate Change at Imperial College (2009): Assessing the costs of adaptation to climate change: a review of the UNFCCC and other recent estimates.

5 Banca Mondiale (2009), The Economics of Adaptation to Climate Change.

6 World Development Report 2010: Development & Climate Change; p. 259: “E' importante anche distinguere tra i costi di mitigazione e la necessità di investimenti incrementali. Poiché molti investimenti puliti presentano costi di capitale iniziali, seguiti poi da economie nei costi operativi, i requisiti per i finanziamenti incrementali tendono ad essere più elevati dei costi di gestione riportati nei modelli di mitigazione”.

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industrializzati presi insieme diminuiscano le loro emissioni del 30% entro il 2020. Se gli obiettivi di mitigazione scendono ancora, i costi di adattamento aumenteranno in maniera notevole. In aggiunta, se l'azione di mitigazione viene posticipata in futuro, crescerà anche la cifra dei finanziamenti. La Commissione europea stima che, se gli obiettivi dei paesi industrializzati restano a livelli bassi, i finanziamenti pubblici dovranno arrivare fino a 120 miliardi di Euro all'anno7. Tuttavia, questa cifra notevolmente più alta non viene citata nei negoziati europei.

L'Ue dovrebbe rivedere con urgenza la propria posizione finanziaria per prendere in considerazione le relazioni scientifiche recenti sui costi di adattamento e

mitigazione nei paesi in via di sviluppo; inoltre, dovrebbe rivedere le proprie proposte di finanziamento al rialzo, tenendo conto degli obiettivi di mitigazione piuttosto scarsi da parte dei paesi sviluppati.

2. Nessuna cifra concreta da parte dell'Ue

Per la prima volta l'Ue ha stabilito una cifra complessiva per i finanziamenti pubblici globali, che ammonta a 22-50 miliardi di Euro all'anno entro il 2020; ciononostante, non ha ancora specificato a quanto ammonti la sua parte di contributi. La Commissione europea ha calcolato, in precedenza, che l'Ue dovrebbe sborsare tra i 2 e i 15 miliardi all'anno. Una differenza così ampia è il risultato del diverso peso attribuito ai criteri dello strumento di condivisione dello sforzo, che si basa su una capacità di pagamento e sul principio di responsabilità. Dato che il Consiglio europeo propone di dare un peso significativo alle emissioni, piuttosto che alla possibilità di pagare, il contributo europeo sarà probabilmente vicino al limite più basso.

CAN (Climate Action Network) ha calcolato che i finanziamenti pubblici complessivi, per l'adattamento e la mitigazione, saranno di almeno 131 miliardi di Euro annui entro il 2020; di questi, l'Ue dovrebbe pagare circa un terzo, cioè almeno 45 miliardi8. In base a studi recenti, tale somma andrebbe rivista e potrebbe quasi raddoppiare. Chiedere ai paesi in via di sviluppo di pagare in base alle emissioni attuali, come stabilisce la posizione europea, non tiene in considerazione le responsabilità storiche dei paesi avanzati. Basare i calcoli sulle emissioni storiche, anziché su quelle attuali, comporterebbe un giusto aumento nella parte che i paesi sviluppati devono pagare ed il contributo europeo sarebbe molto più alto.

7 Comunicazione della Commissione europea: Stepping up international climate finance: A European blueprint for the Copenhagen deal, settembre 2009

8 Già nel 2013 ci sarà una richiesta notevole, che CAN stima intorno ai 110 miliardi di Euro (dei quali l'Europa dovrebbe pagarne 35).

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APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas ritengono che le conclusioni della COP 15 dovranno mostrare impegni reali, da parte dei paesi sviluppati, per un

contributo finanziario concreto, su base annuale, a partire dal 2010, e che non sia limitato a finanziamenti veloci o a breve termine. Il mancato accordo su cifre concrete, e su meccanismi per incrementare le entrate a favore di impegni a lungo termine, comporterà probabilmente il fallimento dei negoziati di

Copenaghen, in quanto i paesi in via di sviluppo non accetteranno nulla di meno.

L'Ue dovrebbe presentare un'offerta unilaterale prima della COP 15 per fare pressione sulle altre parti, affinché propongano anch'esse cifre concrete.

3. I paesi in via di sviluppo pagano fino alla metà di 100 miliardi di Euro totali

E' positivo che l'Ue abbia finalmente una posizione sul finanziamento per il clima e che inizi a discutere cifre e limiti per i finanziamenti pubblici internazionali necessari. Gli altri paesi sviluppati dovrebbero fare altrettanto. I paesi in via di sviluppo, però, dubitano che la posizione europea porterà nuovo denaro; infatti, l'Ue chiede agli stessi paesi in via di sviluppo di pagare fino alla metà dei 100 miliardi di Euro necessari ogni anno, in quegli stessi paesi, per affrontare i cambiamenti climatici9.

La pretesa che i paesi emergenti paghino è criticabile per diverse ragioni.

Prima di tutto, l'Ue e gli altri paesi ricchi hanno sostanzialmente sopravvalutato le azioni che i paesi in via di sviluppo possono intraprendere senza il sostegno internazionale. La Commissione prevede un ruolo molto limitato per i finanziamenti pubblici internazionali – dovrebbero coprire appena il 10-20%

dei costi aggiuntivi di mitigazione nel settore industriale ed energetico. In particolare, l'Ue definisce un'ampia parte dei costi di mitigazione come misure a lungo termine e a basso costo per l'efficienza energetica, che ricadrebbero sui paesi in via di sviluppo. L'analisi della Commissione europea, appoggiando la posizione europea sul clima, afferma, inoltre, che “una grossa parte dei fondi per l'adattamento può giungere anche da privati ed aziende, poiché è loro interesse economico”10.

Questa eccessiva fiducia da parte dell'Europa nei confronti delle possibilità d'azione dei paesi più poveri non considera la realtà politica ed economica di quegli stessi paesi. Benché i paesi in via di sviluppo stiano già facendo molto, la loro azione resta comunque limitata, senza il sostegno internazionale, a

9 L'Ue suddivide i 100 miliardi di Euro complessivi in tre sezioni: finanziamenti forniti dagli stessi paesi in via di sviluppo (20-40%);

finanziamenti forniti dai mercati del carbonio; infine, finanziamenti pubblici internazionali (22-50 miliardi di Euro). Anche a questi ultimi dovrebbero contribuire i paesi in via di sviluppo, secondo un sistema di ripartizione dello sforzo basato sulla possibilità di pagare e la responsabilità per le emissioni. L'Ue dà molto peso alle emissioni, perciò i grandi paesi emergenti, come India e Cina, dovrebbero pagare molto, mentre la parte dell'Ue sarebbe alquanto inferiore. In questo modo i paesi in via di sviluppo pagherebbero due volte: tramite le proprie azioni (fino a 40 miliardi) e tramite i contributi ai finanziamenti pubblici internazionali (fino a 10 miliardi di Euro), in aggiunta ai 50 miliardi annuali.

10 Comunicazione della Commissione europea: Stepping up international climate finance: A European blueprint for the Copenhagen deal, settembre 2009.

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causa di numerose difficoltà politiche ed economiche. Per quanto gli investimenti a favore dell'adattamento e della riduzione delle emissioni saranno vantaggiosi a lungo termine, le priorità dei paesi in via di sviluppo sono spesso dettate da ciò che possibile e vantaggioso a breve termine;

affrontare i cambiamenti climatici si scontra con altri bisogni altrettanto importanti, come la sanità e l'educazione.

Numerose misure che l'Ue esige dai paesi in via di sviluppo sono tali, che nemmeno i paesi industrializzati sono riusciti a metterle in atto – a causa di ostacoli politici ed istituzionali, costi immediati, assenza di profitti a breve termine e così via. I finanziamenti reali potrebbero rivelarsi, di conseguenza, anche tre volte più elevati rispetto ai costi di mitigazione11. Esigere che i paesi in via di sviluppo sostengano costi immediati per investimenti che non daranno frutti prima di alcuni decenni non è solo irrealistico, ma profondamente ingiusto. Gran parte delle azioni che, secondo l'Ue, i paesi in via di sviluppo dovrebbero intraprendere da soli richiederebbero, di fatto, un ulteriore sostegno internazionale.

Secondo, l'idea che i paesi in via di sviluppo debbano contribuire ai finanziamenti pubblici internazionali, secondo un meccanismo di distribuzione globale, non tiene in alcuna considerazione il loro diritto allo sviluppo e le responsabilità storiche dei paesi industrializzati per i cambiamenti climatici, e manda un segnale molto negativo per le trattative in corso. L'idea che i paesi in via di sviluppo debbano pagare è, inoltre, non in linea con la Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, che traccia una distinzione netta tra gli obblighi finanziari dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo negli articoli 4.3 e 4.4:

4.3 Le Parti dei paesi sviluppati e le Parti sviluppate incluse nell'Annesso II dovranno fornire risorse finanziarie nuove ed aggiuntive per coprire i costi concordati complessivi e sostenuti dalle Parti dei paesi in via di sviluppo nell'adempiere agli obblighi elencati nell'Articolo 12, paragrafo 1. Dovranno fornire, inoltre, le risorse finanziarie – comprese quelle per il trasferimento di tecnologia – necessarie alle Parti dei paesi in via di sviluppo per sostenere appieno i costi incrementali concordati per le misure di attuazione trattate nel paragrafo 1 del presente Articolo e che vengono decise tra una Parte in via di sviluppo e l'entità – o le entità – internazionale cui si fa riferimento nell'Articolo 11, in conformità con quell'Articolo. La realizzazione di questi impegni dovrà considerare la necessità che il flusso dei fondi sia adeguato e prevedibile, e l'importanza di condividere in maniera appropriata gli oneri tra le Parti sviluppate.

4.4 Le Parti dei paesi sviluppati e le Parti sviluppate incluse nell'Annesso II dovranno, inoltre, assistere quelle Parti in via di sviluppo, che sono particolarmente vulnerabili di fronte agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, nell'affrontare i costi di adattamento nei confronti di quei medesimi effetti negativi.

APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas ritengono che abbandonare uno dei principi chiave di equità alla base della cooperazione internazionale sui

cambiamenti climatici, proprio poche settimane prima del raggiungimento di un

11 World Development Report 2010: Development & Climate Change.

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accordo, non sia solo ingiusto, ma anche una pessima strategia di negoziazione destinata al fallimento.

4. Nessuna garanzia di addizionalità agli impegni ODA (Official development assistance)

I capi di stato europei hanno stabilito, il 30 ottobre scorso, che i finanziamenti per il clima “non devono frenare né ostacolare la lotta contro la povertà ed il progresso verso la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio”. Tuttavia, in assenza di un impegno chiaro affinché i finanziamenti legati al clima siano aggiuntivi rispetto all'ODA, la posizione europea non è altro che una promessa vuota, un mero camuffamento di denaro vecchio. I ministri per lo sviluppo europei hanno concluso, il 17 novembre, che i cambiamenti climatici aumentano i costi del raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio e degli sforzi per ridurre la povertà. Quando, nel 1960, si è deciso di destinare lo 0,7% del Pil, non erano stati considerati gli effetti e i danni che i mutamenti climatici avrebbero inflitto ai paesi in via di sviluppo. Il costo dei cambiamenti climatici si aggiungerà ora agli oneri che i paesi in via di sviluppo già faticano a sostenere. Investimenti climate proof, nuove tecniche agricole e meccanismi assicurativi costituiscono costi aggiuntivi rispetto ai fondi per lo sviluppo tradizionali. È ingiusto chiedere ai paesi in via di sviluppo di pagare quel costo aggiuntivo, imposto loro dalla crescita dei paesi industrializzati basatasi sullo sfruttamento del carbone.

Anche se le azioni per il clima e per lo sviluppo dovrebbero essere coerenti nella pianificazione e nell'attuazione, APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas ritengono che debbano essere finanziate da fonti separate. Se i paesi avanzati facessero fluire i finanziamenti per il clima verso i loro obiettivi ODA, toglierebbero denaro dall'assistenza allo sviluppo e si sottrarrebbero ai loro impegni per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio. La riduzione della povertà è fondamentale per diminuire la vulnerabilità verso i mutamenti climatici; l'ODA e i finanziamenti per il clima sono cruciali, quindi, per assicurare una riduzione sostenibile della povertà. Spostare l'ODA verso la lotta ai cambiamenti climatici risulterebbe in un vuoto economico di fronte alla vulnerabilità già citata. Uno studio recente12 suggerisce che ciò potrebbe comportare un netto aumento dei costi di adattamento; quindi, a livello economico avrebbe senso considerarlo aggiuntivo rispetto agli obiettivi ODA.

12 IIED e Grantham Institute for Climate Change at Imperial College (2009): Assessing the costs of adaptation to climate change: a review of the UNFCCC and other recent estimates.

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L'Ue darebbe uno slancio notevole ai negoziati parlando in favore dell'addizionalità rispetto agli impegni ODA, che, al momento, è un'opzione nel testo in esame ed è appoggiata caldamente dai paesi in via di sviluppo13.

APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas premono affinché l'Ue adotti una posizione chiara, per far sì che i finanziamenti per il clima siano nuovi ed

aggiuntivi, come concordato nel Piano di azione di Bali, in modo da non minare gli sforzi per sradicare la povertà. Spostare l'ODA già impegnato, a favore delle azioni di contrasto ai mutamenti climatici, significa meno denaro per la sanità, l'educazione ed altri obiettivi di sviluppo. L'addizionalità deve essere definita in maniera chiara come nuova ed aggiuntiva rispetto agli impegni ODA (0,7% del Pil e oltre). Di meno, costituirebbe una grave minaccia allo sviluppo.

5. I mercati del carbonio non possono sostituire i finanziamenti pubblici

I paesi industrializzati propongono che una parte significativa dello sviluppo a basse emissioni di carbonio nei paesi in via di sviluppo arrivi tramite i mercati del carbonio. Pur riconoscendo il ruolo che tali mercati avranno in questo sviluppo, CIDSE/FOCSIV, APRODEV e Caritas sono molto preoccupate che i poveri non avranno benefici dai mercati attuali né dai mercati riformati. Le opzioni correnti e future legate ai mercati del carbonio porteranno solo a riduzioni parziali delle emissioni in alcuni settori chiave, ma non forniranno un approccio comprensivo per un sviluppo a basse emissioni di carbonio nei paesi poveri; pertanto, saranno necessarie altre misure di sostegno non legate ai mercati ed i paesi sviluppati sotto l'UNFCCC sono obbligati a fornire quel sostegno, in base al principio secondo il quale chi inquina paga.

I finanziamenti pubblici dovranno assicurare un approccio comprensivo per uno sviluppo a basse emissioni di carbonio e, non meno importante, per garantire risultati equi e giusti, concentrandosi sulla formazione di capacità ed assicurando un approccio a favore dei poveri.

Per quanto siano necessari i finanziamenti privati come i pubblici, questi ultimi hanno un ruolo speciale:

i. i governi dei paesi avanzati sono obbligati a coprire pienamente i costi incrementali dei cambiamenti climatici sostenuti dai paesi in via di sviluppo, come concordato nell'Articolo 4.3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992;

13 Uno dei molti esempi di paesi in via di sviluppo che sostengono l'addizionalità come un principio base dei finanziamenti per il clima: il gruppo dei paesi africani ha spinto a favore dell'addizionalità durante i negoziati dell'U a Bonn, il 12 agosto 2009; vedi:

http://www.iisd.ca/download/pdf/enb12425e.pdf

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ii. i fondi privati non possono coprire per intero i costi incrementali dell'azione per il clima. I fondi pubblici devono spesso sfruttare i finanziamenti privati ed incanalarli nella direzione giusta. Ad esempio, il settore privato non investirà necessariamente nella costruzione di pannelli solari nei paesi in via di sviluppo, se non c'è un ritorno sufficiente e se i combustibili fossili risultano più vantaggiosi. Degli incentivi, invece, aiuterebbero ad usare gli investimenti del settore privato, ma sarebbero comunque necessari finanziamenti pubblici per coprire i costi incrementali iniziali;

iii. il denaro pubblico è necessario per assicurare un risultato più equo e indirizzare i fondi verso aree in cui gli strumenti di mercato non sono sufficienti o appropriati, come nei paesi meno sviluppati e per le popolazioni e comunità più povere e vulnerabili. Come concordato nell'Articolo 2 dell'UNFCCC, uno degli obiettivi chiave della Convenzione è “far sì che lo sviluppo economico proceda in maniera sostenibile”. L'Articolo 3.4 afferma ancora: “le parti hanno il diritto a, e dovrebbero promuovere, uno sviluppo sostenibile”;

iv. numerosi paesi in via di sviluppo contestano l'idea di un'azione 'senza conseguenze', cioè la nozione che alcune riduzioni di emissioni nei paesi in via di sviluppo non avrebbero costi.

Infatti, anche queste azioni potrebbero necessitare di finanziamenti immediati per sostenere l'iniziale formazione di capacità e altro;

finché il mercato del carbonio (tramite i compensi) non pagherà entro il 2020 per più del 40% delle riduzioni, come richiesto dai paesi dell'Annesso I, saranno necessari finanziamenti pubblici

AGGIUNTIVI per coprire il 15-30% della deviazione BAU (Business As Usual) richiesta dai paesi in via di sviluppo. Le fonti pubbliche e private non sono quindi intercambiabili. I finanziamenti pubblici saranno necessari a prescindere da quanto emetterà il mercato del carbonio (al di sotto di una riduzione del 40%), perché sono volti a pagare per due diversi obiettivi di riduzione delle emissioni.

L'Ue dovrebbe ammettere che i finanziamenti pubblici non posso essere sostituiti da quelli privati né dai mercati del carbonio, e che i finanziamenti pubblici hanno un ruolo particolare, a favore sia dell'adattamento sia della mitigazione. I meccanismi flessibili ed i compensi non dovrebbero essere

ampliati, dato il basso livello degli obiettivi di mitigazione che si sono dati i paesi avanzati.

6. Il sostegno alle fonti globali prepara la strada per la messa all'asta delle EUA e dei depositi di carbone

Il Consiglio europeo ha riconosciuto, il 30 ottobre, che i contributi dalle 'fonti globali' potrebbero giocare un ruolo nella struttura finanziaria risultante da un accordo mondiale sui cambiamenti climatici.

Questo riconoscimento è positivo e apre la via per nuovi meccanismi di finanziamento per il clima, come la messa all'asta dei permessi per le emissioni (EUA) a livello internazionale, o uno strumento basato sulle emissioni derivanti dai trasporti (aerei e non).

Le fonti innovative e globali sono fondamentali per far sì che qualunque impegno preso durante la COP 15 venga mantenuto; inoltre, è molto difficile stabilire con precisione il grado di necessità, nei

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finanziamenti a lungo termine. Fonti innovative, come la messa all'asta delle EUA, hanno un ottimo potenziale per accrescere le risorse nel tempo.

L'idea di vendere all'asta le EUA a livello internazionale si basa sul principio 'chi inquina paga' racchiuso nella Convenzione. Crea anche dei flussi finanziari aggiuntivi rispetto all'ODA, che possono ammontare fino a 69 miliardi di dollari all'anno14. La proposta può anche essere emendata in vari modi, per migliorarne la prevedibilità e per includere un meccanismo automatico di conformità. L'Ue dovrebbe far sì che l'accordo sulla messa all'asta delle EUA a livello internazionale divenga uno degli esiti chiave di Copenaghen. L'Europa e gli altri paesi industrializzati porterebbero avanti la proposta sulle EUA sotto un Protocollo di Kyoto emendato; gli USA dovrebbero contribuire in proporzione tramite gli esiti del Gruppo di lavoro ad hoc sull'azione cooperativa di lungo termine.

La proposta di vendere all'asta le EUA potrebbe essere combinata con altri meccanismi di finanziamento innovativi, come le imposte sui trasporti internazionali. Un regime cap and trade sul settore dei trasporti avrebbe la duplice funzione di aumentare le entrate e di creare incentivi per ridurre le emissioni di quel settore a grave impatto; ciò porterebbe dai 25 ai 37 miliardi di dollari in più all'anno15.

APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas chiedono all'Ue di fare pressioni affinché uno degli esiti della COP 15 sia l'accordo sulle fonti globali di finanziamento – tra cui la messa all'asta delle EUA e le imposte sui trasporti internazionali – che sarebbero aggiuntive e prevedibile.

7. Il denaro a disposizione deve diventare in un fondo globale a favore del clima

APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas considerano il sistema degli aiuti attuale inadeguato per finanziare la lotta ai cambiamenti climatici. Comporta il rischio continuo che sorgano delle preferenze:

che i paesi donatori scelgano, cioè, programmi e progetti in base alle proprie priorità politiche, anziché orientare i fondi, in maniera coordinata, dove sono più necessari. Fondare una struttura internazionale per i finanziamenti per il clima, in mezzo una giungla di accordi bilaterali e multilaterali, significa anche che i paesi in via di sviluppo dovranno continuare a cercare il sostegno finanziario, con enormi costi di transazione, immensi carichi amministrativi e, come risultato, nessuna efficienza o efficacia.

Per queste ragioni, è positivo che le Conclusioni del Consiglio europeo del 30 ottobre non escludano la possibilità di un fondo centrale sotto la guida dell'UNFCCC. Quel fondo dovrebbe essere trasformato,

14 http://www.climatenetwork.org/

15Documento di lavoro dello staff che accompagna la Comunicazione Stepping Up Climate Finance. Vedi:

http://ec.europa.eu/environment/climat/pdf/future_action/sec_2009_1172.pdf, ultima pagina.

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a sua volta, in un Fondo centralizzato per il clima sotto la guida dell'ONU16, come è stato proposto da molte altre parti – paesi sviluppati ed in via di sviluppo – durante i negoziati. APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas ritengono che un simile fondo avrebbe un chiaro valore aggiunto, in quanto assicurerebbe la coerenza ed il coordinamento necessari, oltre a una giusta distribuzione delle risorse, e consentirebbe ai paesi in via di sviluppo di concentrarsi sulle azioni a favore del clima, anziché sulla ricerca di potenziali donatori.

La governance del meccanismo finanziario sotto la Convenzione ha la possibilità di stipulare o rompere un accordo a Copenaghen. Se il meccanismo funziona, attirerà ulteriore sostegno e fondi, quindi darà dei risultati, ma per poter funzionare, dev'essere politicamente accettabile per tutte le parti.

La governance del meccanismo di finanziamento per il clima deve soddisfare alcuni criteri chiave per essere accolto dai paesi in via di sviluppo e da quelli sviluppati. Questi criteri comprendono: efficienza, efficacia, governance equa, rappresentanza, trasparenza, responsabilità, sussidiarietà e supervisione indipendente. Al momento, non esiste alcuna istituzione che soddisfi tali criteri.

APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas chiedono con urgenza all'Ue di riconoscere, come uno degli esiti della COP 15, la necessità di creare nuove istituzioni. Il nuovo fondo per il contrasto ai cambiamenti climatici, centralizzato e globale, dovrebbe essere sotto l'autorità e la guida della COP e costituire il mezzo principale per il finanziamento internazionale per il clima.

8. I discorsi sulle azioni di mitigazione dei paesi in via di sviluppo non sono abbastanza legati al sostegno finanziario

È chiaro che non basta ridurre le emissioni nei paesi avanzati; è necessario ridurle anche nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, una delle questioni chiave, dal punto di vista dell'equità, è chi pagherà i costi aggiuntivi per la diminuzione delle emissioni in quei paesi. Secondo la Convenzione, i costi incrementali dell'azione per il clima nei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere sostenuti in tutto dai finanziamenti pubblici internazionali. Nella misura in cui vengono forniti i finanziamenti per il clima (nuovi ed aggiuntivi), i paesi in via di sviluppo dovrebbero impegnarsi a promuovere emissioni basse e uno sviluppo sostenibile. Le loro azioni finanziate, così come i fondi forniti dai paesi avanzati, dovrebbero essere controllate, riportate e verificate a livello internazionale.

Le proposte dei paesi sviluppati per azioni di mitigazioni ambiziose, che i paesi in via di sviluppo dovrebbero intraprendere senza alcuna garanzia di sostegno economico, non sono in linea con il

16 APRODEV (2009): The United Nations Climate Fund: An Equitable Financial Mechanism under the UNFCCC, sottoposto alla UNFCCC;

vedi: http://unfccc.int/resource/docs/2009/smsn/ngo/161.pdf.

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principio delle 'responsabilità comuni ma differenziate'. Anzi, quelle proposte sono un tentativo, da parte dei paesi avanzati, di sfuggire alle loro responsabilità storiche per i mutamenti climatici e di addossare il peso della riduzione delle emissioni sui paesi più poveri.

La proposta europea affinché i paesi in via di sviluppo intraprendano delle strategie per uno sviluppo a basse emissioni di carbonio rischia di aggravare la sfiducia di quegli stessi paesi, poiché non esiste un legame certo tra la proposta ed un sostegno finanziario. L'Ue ha promesso di migliorare la comunicazione su quelle strategie, per evitare di aumentare i timori dei paesi in via di sviluppo nei confronti di eventuali condizionalità legate al supporto economico. La nuova posizione europea sui finanziamenti per il clima, però, non affronta proprio quei timori.

APRODEV,CIDSE/FOCSIV e Caritas chiedono con urgenza all'Ue di affermare con chiarezza che le sue proposte riguardo alle azioni di mitigazione, che i paesi in via di sviluppo dovrebbero intraprendere, sono collegate a finanziamenti da parte dei paesi avanzati – finanziamenti che saranno controllati, riportati e verificati, e che copriranno sia i costi per la formazione di capacità sia i costi incrementali per l'azione a favore del clima.

9. I finanziamenti rapidi ed urgenti sono importanti, ma non possono sostituire gli impegni a lungo termine

Benché sia positivo che il Consiglio europeo abbia portato avanti e sostenuto le proposte precedenti fatte dall'Ue sui finanziamenti rapidi ed urgenti, APRODEV, CIDSE/FOCSIV e Caritas insistono affinché qualsiasi offerta di finanziamenti veloci, fatta a Copenaghen da parte dei paesi avanzati, sia nuova e aggiuntiva, non un mero camuffamento dell'ODA o degli impegni già presi. È cruciale, inoltre, che le offerte di finanziamento a breve termine non siano usate per convincere 'a poco prezzo' alcuni paesi emergenti ad accettare impegni di mitigazione inadeguati; devono, invece, essere legate saldamente a proposte di finanziamento ambiziose, adeguate, prevedibili, sostenibili ed a lungo termine e che includano certi meccanismi – senza tutto questo, non ci sarà alcun accordo a Copenaghen.

È importante, inoltre, che gli accordi istituzionali per sostenere i finanziamenti a breve termine non ostacolino i negoziati su una struttura post-2012, ma che, anzi, formino un ponte necessario tra l'azione a breve e medio termine, così da evitare qualsiasi vuoto nella fornitura di sostegno ai paesi in via di sviluppo.

L'Ue dovrebbe impegnarsi a fornire, tra il 2010 e il 2012, almeno un terzo dei 7

miliardi di euro annui stimati per i finanziamenti veloci, compresi quelli per la

formazione di capacità e per la mitigazione e l'adattamento a breve termine.

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campagne@focsiv.it

Traduzione dall’inglese: Elena Rulli.

Impaginazione, grafica ed editing: Damiano Sabuzi Giuliani (ufficio pubblicazioni e promozione Volontari nel mondo – FOCSIV)

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