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Appendice B Combustibili: aspetti generali e classificazione. 1. Introduzione: combustione e combustibili

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.1 Appendice B Combustibili:

aspetti generali e classificazione

1. Introduzione: combustione e combustibili

In questa appendice vengono riportate alcune note relative alla descrizione dei combustibili di maggior uso nell’industria di processo e dei parametri utilizzati per la loro caratterizzazione.

La combustione è tipicamente data da una serie di reazioni chimiche di ossidazione, fra un combustibile ed un comburente (in genere l’ossigeno), con notevole sviluppo di energia termica.

Dalle reazioni di combustione, si generano nuovi componenti che costituiscono i prodotti della combustione, detti tipicamente fumi.

Genericamente parlando, tutte le sostanze che si trovano ad uno stato di ossidazione inferiore a quello massimo sono in grado di dare origine a reazioni di combustione.

Ciò che rientra nella categoria dei combustibili è l’insieme di sostanze capaci di produrre elevati quantitativi di energia termica a seguito di una serie di reazioni di ossidazione completa opportunamente controllata.

Gli aspetti e le problematiche fondamentali dei combustibili e delle reazioni di combustione sono legate ai seguenti fattori:

 caratteristiche del combustibile (rapporto carbonio-idrogeno, tenore di zolfo, stato di aggregazione, naturale o artificiale, ecc..)

 quantità di comburente necessario (eccesso di aria)

 “chimica delle reazioni” (ossidazione completa o parziale, caratteristiche dei prodotti di reazione e/o dei fumi, presenza di NOx, SO2, SO3, ecc.. )

 “Termodinamica delle reazioni” (calore sviluppato, potere calorifico, temperatura teorica di fiamma, ecc.)

A seconda dell’origine, si dividono in naturali e artificiali: i primi si trovano in natura e vengono impiegati tali e quali, i secondi, invece, vengono ottenuti dai primi mediante opportuni trattamenti chimici e fisici. A seconda del loro stato fisico si dividono, poi, in solidi, liquidi e gassosi.

2. Aspetti chimici e termochimici

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.2 Analisi della composizione

Per determinare la composizione del carbone sono di uso corrente due tipi di analisi:

l’analisi immediata e l’analisi elementare.

L’analisi immediata consente di definire il combustibile per la qualità e l’utilizzazione. Si basa sulla determinazione di quattro gruppi di costituenti:

1. Umidità: componente negativo di tutti i combustibili a causa del calore che sottrae durante l’evaporazione. E’ costituita dall’umidità di imbibizione, che si elimina tramite esposizione all’aria, e dall’umidità residua, cioè dall’acqua di costituzione o igroscopica, e si determina attraverso essiccamento in stufa a 110°C o per estrazione con xilene.

2. Ceneri: residuo minerale della combustione dato dall’ossidazione delle sostanze minerali presenti nel carbone. Sono componenti negativi poiché riducono la percentuale di combustibile effettivo. Si determinano per combustione in crogiolo aperto.

3. Sostanze volatili: percentuale in peso di gas e vapori (umidità esclusa) che si liberano dal combustibile per decomposizione pirogenica fuori dal contatto con l’aria. Si determinano per riscaldamento in crogiolo munito di coperchio.

4. Carbonio fisso (coke): residuo solido della decomposizione pirogenica dopo l’eliminazione delle materie volatili. Dal coke, deducendone il peso delle ceneri, si determina il carbonio fisso.

La somma del carbonio fisso e della sostanza volatile di un carbone prende il nome di contenuto combustibile.

Lo zolfo si trova nei combustibili come solfuri e solfati e come zolfo piritico. Viene determinato attraverso ossidazione dello zolfo a SO2 e SO3 (bi- e tri-ossido di zolfo), assorbimento di tali ossidi con alcali per formare il corrispondente solfito o solfato, ossidazione del solfito a solfato ed infine conversione di tutti i solfati a solfato di bario insolubile. La percentuale di zolfo nel combustibile è calcolata a partire dal peso di solfato di bario così prodotto.

Il fosforo si trova, invece, sotto forma di fosfati e di composti organici del fosforo, ed ha particolare valore per i carboni da coke. Dopo la combustione tutto il fosforo si ritrova nelle ceneri ed il quantitativo è determinato attraverso un’analisi di tali ceneri.

Carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto possono essere determinati attraverso l’analisi elementare, che si esegue in un tubo di combustione, bruciando in corrente di ossigeno ad 800°C il carbone da analizzare e raccogliendo i prodotti della combustione, H2O e CO2 (accanto a O2 ed N2), in tubi pesati di CaCl2 e KOH o calce sodata; dall’aumento di peso di questi tubi si risale al contenuto di H e C del combustibile.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.3 L’azoto si determina con il metodo di Kjeldahl, trasformandolo in forma ammoniacale per trattamento del carbone a caldo con H2SO4 e Hg, in modo da formare solfato ammonico, da cui si sposta NH3 con NaOH a caldo e la si raccoglie su H2SO4 0.1 N.

I metodi più laboriosi dell’analisi elementare vengono applicati quando è necessario disporre di dati completi per bilanci di materia e di energia. Il contenuto di zolfo ha un’importanza particolare e spesso è preferibile una determinazione separata di questo elemento.

Parametri di interesse

eccesso d’aria (definito in dettaglio nel Capitolo 3).

Si valuta con riferimento all’ossigeno secondo la relazione

2 2

2

2 t

O O

O t

O

n n

e n

 

O2

n

= portata effettiva di O2 2

t

n

O = portata teorica che dovrebbe avere O2 per essere in rapporto stechiometrico con il combustibile in ingresso (reagente limitante)

Ai fini dei calcoli stechiometrici, si ricorda che l’aria viene schematizzata come una miscela binaria costituita da azoto al 79% mol e ossigeno al 21% mol. L’azoto viene considerato un inerte nelle reazioni di combustione.

La combustione di un generico combustibile con composizione elementare nota può essere schematizzata attraverso un insieme di reazioni elementari:

C + O2  CO2

S + O2  SO2

H2 + 1/2O2  H2O

Da cui risulta agevole il calcolo dell’ossigeno teorico.

Potere calorifico ((definito in dettaglio nel Capitolo 7)

Il potere calorifico di un combustibile è un indice dell'energia che, sotto forma di calore, si può ricavare dalla ossidazione completa del combustibile in oggetto.

Rappresenta il calore di combustione standard in convenzione termochimica.

E’ quindi strettamente correlato all’entalpia di combustione; nella notazione consueta, poiché è generalmente disponibile a 25°C, si ha che:

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.4 Pc (25°C) = - HC0(25°C)

e tipicamente si misura in MJ/kg o in kcal/kg per combustibili solidi e liquidi; in MJ/m3, kcal/Nm3, ecc., per combustibili gassosi. L’unità di massa o di volume si riferisce al combistibile.

Si parla di potere calorifico superiore (higher heat value HHL) e di potere calorifico inferiore (lower heat value LHV) nel caso in cui si consideri l’acqua ottenuta nella reazione di combustione rispettivamente nello stato di aggregazione liquido o gassoso. La relazione fra i due parametri è strettamente connessa al calore latente di vaporizzazione dell’acqua. Ad una generica temperatura, riferendosi al potere calorifico dell’unità di massa di combustibile secco, si ricava facilmente che:

Pcinf (T) = Pcsup (T) - mwvap (T) in Energia/unità di massa di combustibile in cui

2

w

massa di H O prodotta m =unità di massa di combustibile secco

Si suggerisce di reperire precise e dettagliate informazioni per l’utilizzo di questa proprietà, per non incorrere in errori grossolani.

Ad esempio, si possono trovare dati nelle seguenti forme:

a) potere calorifico per kg di combustibile secco b) potere calorifico per kg di combustibile umido

che ovviamente non sono equivalenti fra loro, pur presentandosi con le stesse unità di misura.

Il potere calorifico di un combustibile può essere determinato facendo bruciare una quantità misurata di combustibile ed assorbendo il calore sviluppato da tale combustione in una quantità nota di liquido termostatico, di cui si misura l’aumento di temperatura.

Lo strumento utilizzato per tale determinazione è il calorimetro adiabatico, nel quale tutto il calore sviluppato o assorbito dal processo provvede a variare la temperatura dell'involucro isolante ove è situato un termometro: il corpo principale di un calorimetro adiabatico è costituito quindi da una camera a doppia parete.

L'intercapedine è riempita di una quantità nota di liquido termostatico (acqua), la cui temperatura viene controllata da un termometro.

Per la misura del potere calorifico dei materiali combustibili solidi e liquidi, s'introduce nel calorimetro adiabatico una bomba calorimetrica di Mahler, consistente di un cilindro d'acciaio inox chiuso da un coperchio a vite a perfetta tenuta; sul coperchio è appeso il portacrogioli e sono applicati gli elettrodi con la spiralina d'ignizione e una valvola per l'immissione dell'O2. All’interno della bomba

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.5 avviene la combustione, a volume costante e in atmosfera di ossigeno puro, di una quantità nota della sostanza di cui si vuole determinare il potere calorifico.

In figura B1 vengono riportate foto della “bomba di Mahler” e del calorimetro in cui viene inserita per eseguire la misura, mentre in Figura B2 si rappresenta uno schema in sezione del calorimetro contenete la “bomba”.

a) b)

Fig. B1. “bomba di Mahler” (a) e calorimetro (b).

Negli strumenti moderni controllati da computer tutto il processo di combustione, a partire dall'impostazione dei parametri fino alla registrazione dei dati calorimetrici, è automatica. Sono disponibili sistemi multipli per il controllo e la gestione contemporanea di otto calorimetri. Un modello automatico ad alta velocità gestito da microprocessore, a differenza dei calorimetri classici, non misura lo scambio di calore con l'acqua, ma controlla direttamente l'andamento della temperatura nella bomba di combustione. Il trattamento matematico dei dati di temperatura, rilevati prima di raggiungere l'equilibrio, permette la determinazione del potere calorifico in circa 2 minuti. Lo strumento è dotato di un dispositivo di raffreddamento ad effetto Peltier, che riporta il sistema alla temperatura iniziale entro 3 min. La temperatura è

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.6 rilevata direttamente nella bomba mediante 4 sensori incorporati sul mantello interno ed esterno, che trasmettono i valori misurati al microprocessore per l'elaborazione.

Fig. B2 Schema di calorimetro

Temperatura teorica di fiamma (definita in dettaglio nel Capitolo 7)

Si definisce temperatura teorica di fiamma di un combustibile (o temperatura adiabatica di combustione), la temperatura di combustione adiabatica, realizzata attraverso ossidazione completa di un combustibile con aria.

Nella sua determinazione, ci si riferisce nello specifico alla temperatura in uscita da uno stadio adiabatico di combustione (schematizzabile come un semplice reattore adiabatico), in cui si realizza la ossidazione completa con aria.

Nel caso in cui la combustione avvenga solo in presenza di ossigeno, si parla di temperatura di fiamma di ossigeno.

Per come è definita, la temperatura teorica di fiamma dipende dalle condizioni di temperatura delle correnti alimentate alla camera di reazione e dall’eccesso di comburente.

3. Classificazione 3.1. Combustibili solidi

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.7 I combustibili solidi si dividono in naturali ed artificiali:

I combustibili solidi naturali: sono: legno, torba, lignite, litantrace, antracite;

I combustibili solidi artificiali sono : coke, semicoke e carbone di legna.

Questi combustibili, pur presentando caratteristiche diverse, hanno tutti una comune origine nella cellula vegetale. Il combustibile originario è il legno, che si forma da CO2 ed H2O per effetto della luce solare. Torba, lignite, litantrace ed antracite ne rappresentano i gradi della progressiva trasformazione sotto l’influenza di fenomeni fisici e chimici verificatisi attraverso le ere geologiche.

Gli elementi costitutivi fondamentali sono C, O, H, N, S, P. Carbonio ed idrogeno rappresentano i costituenti attivi del combustibile, gli altri, invece, sono costituenti inerti o dannosi. A questi ultimi si aggiungono le sostanze minerali, che nella combustione si trasformano in ceneri, e l’acqua che sottrae calore per l’evaporazione.

Dal punto di vista chimico, il processo evolutivo si manifesta come un progressivo arricchimento in C ed un altrettanto progressivo impoverimento di O ed H.

Dai combustibili solidi naturali si passa ai combustibili solidi artificiali convenzionali attraverso un’operazione tecnologica, comunemente detta distillazione secca, che consta di una carbonizzazione artificiale del combustibile naturale a temperatura più o meno elevata, al di fuori del contatto con l’aria.

Rientrano nella categoria dei combustibili solidi anche i rifiuti solidi, sia urbani che industriali.

Combustibili solidi naturali

Legno: è costituito principalmente da cellulosa e lignina in composizione all’incirca costante per ogni tipo di legno ed ha un potere calorifico inferiore, mediamente costante, di circa 3900 kcal/kg di legno secco. Può rientrare in questa categoria tutto quello che oggigiorno viene chiamato biomassa (ovvero residui di varia natura di origine vegetale, derivati dall’agricoltura, come scarti di potatura e simili o derivati dalla lavorazione dei prodotti agricoli).

La valutazione di una legna come combustibile dipende dal contenuto di umidità e dalla densità apparente.

Per quanto riguarda l’umidità, essa ha un contenuto iniziale di circa il 60%, che non può scendere, dopo essiccamento naturale all’aria (stagionatura), sotto il 15-20%.

La densità apparente rappresenta la massa dell’unità di volume ed in base a questa il legno può essere suddiviso in legno forte (legno a fibra compatta) ed in legno dolce (leggero e poroso). Il potere calorifico del legno forte non è più elevato di quello del legno dolce, in quanto tale potere si riferisce all’unità di massa e non di volume.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.8 Carbone fossile: è una roccia costituita da una miscela compressa di sostanze organiche e minerali, che hanno subito un processo naturale di decomposizione dei resti vegetali in assenza di ossigeno, detto carbonizzazione. Il materiale organico è costituito prevalentemente da carbonio e in parti minori da idrogeno, azoto e zolfo.

Durante il lungo processo di carbonizzazione, il contenuto in carbonio della materia organica aumenta, trasformandola progressivamente in torba, lignite, litantrace e antracite.

Torba: è un combustibile di formazione recente, che si trova negli strati superficiali del terreno ed ha appena iniziato il processo di carbonizzazione. E’ un materiale leggero, di consistenza fibrosa, di colore marrone, che mostra ancora le origini vegetali. Ha origine in climi umidi, temperati o freddi e può contenere fino al 90%

di acqua, che si riduce al 50% per essiccamento all’aria e, dopo alcuni mesi, anche al 25-30%. A 150-200°C può essere ulteriormente essiccata; per compressione si ottengono mattonelle combustibili, utilizzate nei forni a vetro per la preparazione di carboni attivi. Fornisce un coke privo di zolfo.

Il suo potere calorifico è scarso, circa 3000 kcal/kg, ed il suo uso è limitato.

Lignite: è più antica della torba, il suo processo di carbonizzazione è più avanzato, ma è ancora possibile riconoscere la sua origine vegetale, poiché mostra la struttura tipica del tronco d'albero. Il contenuto di acqua è del 20-50%. E’ un combustibile povero e molto umido, dotato di un potere calorifico di 5000 kcal/kg. La combustione industriale della lignite viene realizzata in focolari tipo Kramer, utilizzati nelle grandi caldaie delle centrali termoelettriche; ligniti vengono impiegate anche per il riscaldamento domestico, sotto forma di mattonelle, e per l’estrazione di gas, ammoniaca e petrolio sintetico.

Litantrace: suddivisa in litantrace sub-bituminosa e litantrace bituminosa, è il carbone più diffuso e più usato, rappresenta il combustibile solido naturale per eccellenza. Il suo aspetto è caratterizzato da lucentezza metallica e non presenta traccia della struttura lignea. E' un carbone di buon pregio ed è ampiamente adoperato industrialmente. Ha un contenuto di umidità non superiore al 7-8% e di ceneri di circa il 2-10%; la sua composizione chimica è: C% 75-95, H% 2.5-6, O%

3-15, N% 3-0.2, S% 0.3-1.5. Ha un potere calorifico di circa 7500 kcal/kg. Viene utilizzata come combustibile nelle caldaie e nei forni, viene invece distillata ad alta temperatura nelle cokerie e nelle officine da gas. Il carbone coke metallurgico, utilizzato nelle fonderie, si ottiene come residuato secco della litantrace.

Antracite: è un carbone pregiato, praticamente carbonio puro; ogni chilogrammo di minerale ha un potere calorifico di circa 8500 kcal. Di colore nero, dotato di riflessi metallici, è duro e compatto. Brucia lentamente, con fiamma corta e poco luminosa, non fuma e non lascia alcun residuo durante la combustione. Ha un contenuto di umidità inferiore al 4-5% ed è caratterizzato dalla seguente composizione chimica:

C% 93-95, H% 2-4, O% 2-2.7, N% 0.2-0.3, S% 0.6-1.1.

Viene usato come combustibile nei processi industriali, che debbano evitare la presenza di fumo, e per il riscaldamento domestico.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.9 InFigura B3 sono riportati alcuni esempi di combustibili solidi naturali.

Fig. B3. Esempi di livelli di carbonizzazione di carboni fossili. Da sinistra in senso orario: lignite, torba, antracite, litantrace.

Nella Tabella B1 viene riportata una sintesi delle caratteristiche medie dei combustibili naturali solidi.

Combustibili solidi artificiali

La distillazione dei combustibili naturali (carbonizzazione industriale) porta alla decomposizione del combustibile originario con produzione di gas, di liquidi acquosi ed oleosi e di un residuo solido che è tanto più ricco in carbonio quanto più è elevata la temperatura a cui si forma. I vari tipi di residuo della distillazione costituiscono i combustibili artificiali e prendono nomi diversi a seconda del combustibile di partenza o delle caratteristiche termiche del processo di trasformazione.

Carbone di legna: è il residuo solido ottenuto dalla carbonizzazione della legna, cioè dal riscaldamento, a 500-600°C, fuori dal contatto con l’aria. Tale processo diminuisce l’uso domestico della legna, ma ne aumenta l’uso metallurgico, per il basso contenuto di zolfo, per l’elevata porosità e per la grande superficie.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.10 E’ idoneo come mezzo adsorbente per gas, vapori e sostanze colloidali disperse nei liquidi.

Tab. B1 Caratteristiche medie dei combustibili naturali solidi (riferite al combustibile puro) secondo Cassan

Combustibile

Analisi elementare

% pond

Potere calorifico kcal/kg

Indice di materie volatili

% pond

C% H% O% superiore inferiore

Legno 50 6.1 43.9 4750 4450 80

Torbe nere 59.3 5.7 35 5700 5400 67

Legni fossili, ligniti xiloidi

63.4 5.6 31 6050 5750 61

Ligniti picee 70 5.5 24.5 6750 6450 54

Carboni lignitosi

76.5 5.5 18 7450 7150 48

Carboni propriamente detti secchi a lunga

fiamma

82.3 5.7 12 8050 7800 42

grassi a lunga fiamma

88.2 5.3 6.5 8600 8400 30

grassi a corta fiamma

92.4 4.4 3.2 8700 8500 17

antracitosi 93.5 3.8 2.7 8650 8450 9

Antraciti 95.5 2.5 2 8400 8300 3

Coke: è il residuo solido della distillazione ad alta temperatura (800-1000°C) dei litantraci. Può essere fragile o resistente, poroso o compatto, grosso o minuto, inerte o reattivo, a seconda del tipo di carbone, umidità e ceneri, temperatura e durata della carbonizzazione, dimensioni del forno.

Il coke metallurgico è utilizzato negli alto forni per fondere i minerali da ferro e deve essere meccanicamente resistente e sufficientemente reattivo; il coke per la fabbricazione del carburo di calcio richiede un’elevata reattività; quello per la gassificazione richiede reattività, compattezza e ceneri ad elevato punto di fusione;

infine, quello per il riscaldamento domestico ed industriale richiede solamente un contenuto limitato di ceneri ed umidità.

Alcune informazioni sono riportate nella Tabella B2.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.11 Tab. B2 Caratteristiche del coke.

Semicoke: è il residuo solido della carbonizzazione a bassa temperatura (500-700°C) dei combustibili fossili, in generale ligniti. Si accende facilmente e brucia con pochissimo eccesso d’aria, inoltre, poiché i componenti volatili sono costituiti essenzialmente da idrogeno e non da idrocarburi, brucia senza fumo. Viene utilizzato come combustibile nel riscaldamento e nella massificazione e come mezzo riducente nella preparazione del ferro al forno elettrico.

3.2 Combustibili liquidi

I combustibili liquidi sono generalmente prodotti attraverso distillazione frazionata del petrolio greggio per ottenere “tagli” di diverse caratteristiche. A questi processi di lavorazione si associano spesso operazioni di desolforazione, idrogenazione e cracking, per ottenere prodotti di maggior valore commerciale.

Esistono anche combustibili liquidi di origine vegetale, quali il biodiesel.

3.2.1 Combustibili liquidi derivati dal petrolio

I petroli sono miscele complesse di idrocarburi comprendenti quattro importanti serie di composti: paraffine, nafteni, olefine e aromatici. Differiscono fra loro per il contenuto di idrogeno. Oltre agli idrocarburi, sono presenti quantità variabili di composti solforati, ossigenati e azotati e composti metallorganici.

La determinazione dei composti effettivamente presenti è pressoché impossibile; si può invece eseguire l’analisi elementare, determinando carbonio, idrogeno, azoto e zolfo come per il carbone.

Il petrolio greggio (crude oil) presenta la seguente composizione elementare media:

C% 83-87, H% 11.4-11.8, S% 0.05-8, O% 0.05-3, N% 0.02-1.3, vanadio e nickel (ppm).

Criteri di classificazione -dei greggi. In generale si classifica un greggio in base a determinate proprietà fisiche di facile determinazione, come l’intervallo di distillazione o di ebollizione, la densità specifica e la viscosità.

L’esame di un greggio viene condotto nel modo seguente:

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.12 - determinazione della base (paraffinica, naftenica, aromatica) del greggio e

delle caratteristiche generali;

- determinazione dello zolfo, dei sali e di acqua e sedimenti in sospensione;

- determinazione della curva di distillazione, con apparecchi e procedure normalizzati;

- determinazione di alcune caratteristiche analitiche fondamentali delle frazioni di distillazione;

- valutazione delle rese delle singole frazioni.

Un criterio largamente adottato è quello della densità a 60°F (15.6°C), espressa per lo più come “densità API”, la quale, assieme al tenore di zolfo, è un’indicazione fondamentale della qualità di un greggio. E’ definita dal rapporto tra il peso di un dato volume di prodotto a 15°C e il peso di un uguale volume di acqua distillata a 4°C; si indica con

d

154 (in inglese è definita allo stesso modo ma le temperature sono entrambe 60°F, per cui si indica con

d

6060). La scala di densità API è convenzionale ed è data dalla formula:

4 15

141.5

131.5 grado API

d

Accanto al criterio della densità, la classificazione più diffusa si basa sulla distillazione analitica, che consiste nel distillare in laboratorio una certa quantità di greggio e misurare i volumi di distillato a regolari intervalli di temperatura dei vapori. Il risultato della prova di distillazione si può esprimere graficamente come una curva (curva di distillazione) in un diagramma cartesiano, nel quale si riporta in ascissa il % di volume distillato e in ordinata la temperatura; in testa vengono riportate le perdite e in coda il residuo.

Il metodo di valutazione del greggio più largamente diffuso si basa sulla separazione, mediante distillazione, di due frazioni chiave e sulla determinazione della loro densità. Poiché, a parità di intervallo di distillazione, vi è una correlazione fra densità e struttura chimica, è possibile classificare il greggio di origine in modo razionale.

Si distilla il greggio in un apparecchio normalizzato, prima a pressione atmosferica fino a 275°C e successivamente a 40 mmHg di pressione residua. Si raccolgono le frazioni bollenti entro intervalli di 25° e si determina la densità di due frazioni: quella che distilla tra 250 e 275° a pressione atmosferica e quella che distilla fra 275 e 300°

a 40 mmHg. La prima frazione è al limite fra cherosene e gasolio, la seconda è nel campo degli oli lubrificanti medi. Con questo metodo di valutazione è possibile definire nove classi di greggi.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.13 Un altro metodo di classificazione si basa sulla determinazione del fattore di caratterizzazione U.O.P. (altrimenti detto fattore K di Watson), la cui definizione deriva dall’osservazione che, se un petrolio grezzo di caratteristiche uniformi viene frazionato, il peso specifico di ciascuna frazione è all’incirca proporzionale alla radice cubica del suo punto di ebollizione assoluto ad 1 atm di pressione. Il fattore di proporzionalità può perciò essere assunto quale indice della paraffinicità del grezzo considerato. Si ha:

3

TB

KG in cui K è il fattore di caratterizzazione U.O.P.,

TB è il punto di ebollizione medio, °R, alla pressione di 1 atm, G è la densità relativa a 15°C.

Il valore Km di una miscela è uguale alla somma dei singoli valori di Ki determinabili sui singoli componenti o frazioni della miscela, ciascuno moltiplicato per la frazione di peso del componente o frazione:

1 1 2 2 3 3

...

K

m

K   K   K  

Si può anche determinare Km dalla somma delle frazioni in volume per le radici cubiche del punto di ebollizione, diviso per la densità della miscela.

Si ha:

12 < K < 13 a base paraffinica 11.5 < K < 12 a base intermedia 10.5 < K < 11.5 a base naftenica 9.5 < K < 10.5 a base aromatica.

Il fattore K gode della proprietà additiva ed è applicabile anche alle singole frazioni ottenute per distillazione di un greggio; si può quindi, per semplice analisi fisica, determinare la natura della fase separata.

Componenti secondari dei greggi. La determinazione del contenuto di acqua in un greggio è molto importante poiché essa, se presente in sensibile quantità, può dare luogo ad inconvenienti. Viene determinato per centrifugazione, in tubi graduati, o meglio per distillazione con un solvente che formi un azeotropo con l’acqua.

I sedimenti presenti vengono determinati per centrifugazione assieme all’acqua.

I greggi ad alti contenuti di ceneri danno luogo a seri inconvenienti durante la fase di raffinazione, per le incrostazioni che lasciano nelle apparecchiature.

Infine è utile conoscere il residuo carbonioso dei prodotti petroliferi, poiché può creare inconvenienti durante la lavorazione. Viene determinato mediante evaporazione dell’olio, per riscaldamento a 550°C fuori dal contatto con l’aria.

In Tabella B3 viene riportato un esempio di diverse tipologie di olio combustibile di origine petrolifera.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.14 Tab. B3. Esempio di classificazione di oli combustibili [CEH8th]

tipo Composizione

% pond

1 41.5 °API

2 33 °API

4 23.2 °API

BTZ-6 12.6°API

ATZ-6 15.5 °API

Carbonio 86.4 87.3 86.47 87.26 84.64

Idrogeno 13.6 12.6 11.65 10.49 11.02

Ossigeno 0.01 0.04 0.27 0.64 0.38

Azoto 0.003 0.006 0.24 0.28 0.18

Zolfo 0.09 0.22 1.35 0.84 3.97

Ceneri <0.01 <0.01 0.02 0.04 0.02

C/H 6.35 6.93 7.42 8.31 7.62

BTZ=basso tenore di zolfo; ATZ=alto tenore di zolfo

3.2.1.1 Distillazione del petrolio: i tagli petroliferi

I principali “tagli petroliferi” vengono ottenuti dalla distillazione frazionata del petrolio, che tipicamente avviene prima in una colonna a pressione atmosferica (“Topping”) seguita da un processo sotto vuoto (“vacuum”). Un esempio è riportato in figura B4, in cui si evidenziano i contenuti di carbonio ed i rispettivi intervalli di ebollizione delle varie componenti.

Si distinguono:

gas incondensabili (H2, CH4 e miscele di C2), usato come combustibile per gli usi nella raffineria

GPL (Gas Petrolio Liquefatti) (C3 e C4)

Benzine (virgin nafta leggera) (C5 e C6), bollenti a pressione atmosferica a circa 70°C

Benzine e virgin nafta pesante (C6 – C12), bollenti a pressione atmosferica a 70 - 180°C

Cherosene (C9 - C14), bollenti a pressione atmosferica a 180 - 230°C

gasoli atmosferici (C14 - C25), bollenti a pressione atmosferica a 230 - 370°C residuo atmosferico (> C26), bollenti a pressione atmosferica oltre 370°C In tabella B4 e B5 vengono riportate alcune informazioni sulle caratteristiche dei tagli petroliferi.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.15 Fig. B4. Distillazione frazionata del petrolio

Tab. B4. Composizione elementare, Potere calorifico inferiore a 25°C, intervallo di temperatura di ebollizione normale e densità di alcuni tagli petroliferi.

Tab. B5. Potere calorifico inferiore di petrolio e derivati (valori medi, kcal/kg)

greggio 10 000

distillati leggeri 10 400

benzine 10 500

gasolio 10 200

olio combustibile 9 800

GPL 11 000

T o p p i n g

Vacuum Greggio

Teste

Residuo Olio comb

Gasolio

Lubrificanti

Asfalto Gas incondensabili (H2, CH4, C2)

GPL (C3 - C4)

Benzine + nafta (C5 - C12)

B. leggere 30-80°C B. pesanti 70-150°C Nafta 100-180°C

Cherosene (C9 - C16) 160-230°C Gasolio (C15 – C25) 250-350°C Olio comb

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.16 3.2.2 Il biodiesel

Il biodiesel è un tipo di gasolio derivante da prodotti agricoli, in particolare prodotto con olio di colza e di girasole, perciò biodegradabile e sicuro per l’ambiente. La caratteristica più importante è la totale assenza di zolfo, che lo rende interessante dal punto di vista ambientale.

Questo prodotto permette di ridurre le emissioni inquinanti nell'atmosfera, in particolare la mancanza di zolfo permette la graduale eliminazione di questa sostanza quale principale causa della formazione di piogge acide.

Inoltre, va puntualizzato che la quantità di anidride carbonica che il Biodiesel rilascia durante la combustione è esattamente quella assorbita dalle piante durante la loro crescita, consentendo quindi di evitare l'accumulo di anidride carbonica, causa principale dell'effetto serra. E’ ormai utilizzato nei motori di autobus, trattori, camion e impianti di riscaldamento.

Il biodiesel si produce da oli vegetali derivanti dalla soia, girasole o colza, che vengono trasformati in biodiesel con modalità di produzione diverse da cui, in tutti i casi, si ottiene una miscela di esteri metilici degli acidi grassi.

Il procedimento chimico che li trasforma in Biodiesel viene chiamato transesterificazione, processo in cui gli oli reagiscono con metanolo, in presenza di catalizzatori alcalini, per formare l'estere metilico e, come prodotto secondario, glicerina grezza.

Per fare una tonnellata di Biodiesel in media è necessaria una superficie di un ettaro, coltivata a colza o girasole, da cui si ottengono 2,5 tonnellate di semi da spremere che rendono una tonnellata di olio che fornisce circa una tonnellata di Biodiesel.

In tali condizioni, il costo di produzione è più alto di quello dei corrispondenti combustibili di origine fossile; ad esempio in Italia il costo di produzione del biodiesel è circa due volte superiore a quello del gasolio.

Tuttavia, il biodiesel gode di una agevolazione fiscale, limitatamente ad un contingente prefissato, sotto forma di esenzione dall'accisa (circa 0,36 €/l) , agevolazione che è stata introdotta nel 1993 (Decreto Legge n. 331 del 30 agosto 1993, Legge n. 427 del 29/10/1993, DM 31/12/1993), e più volte reiterata e parzialmente rivista dalla normativa seguente (in particolare il Decreto Legislativo n. 504 del 26/10/95 e il DM 219 del 22/05/1998).

Recentemente si è provveduto a modificare il contingente annuo che beneficia della esenzione, che è stato portato da 125.000 a 300.000 t/anno dall'art. 21 della Legge n.

388 del 23/12/2000 (Legge Finanziaria 2001). In questo caso, il biodiesel non è soggetto alla accisa cui è sottoposto il gasolio, e l'intervento permette che il prezzo finale sia inferiore a quello del gasolio stesso.

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.17 Dal punto di vista merceologico, il Biodiesel è visto come il sostituto naturale del gasolio minerale e trova quindi le sue applicazioni principali come combustibile negli impianti di riscaldamento o come carburante nei motori diesel; può far parte di alcune tipologie di oli lubrificanti. E’ spesso utilizzato anche come additivo per gasoli e kerosene.

Il biodiesel è stato testato in varie percentuali di miscelazione con gasolio, a partire dal 5% passando per il 20 ed il 30% ad arrivare al biodiesel puro.

Rispetto alle altre energie non fossili, aumenta la sicurezza in quanto viene stoccato a temperature e pressione ambiente, ha un flash point più alto, presenta una più bassa pressione di vapore, si manipola come il gasolio, non è tossico (in forma pura) ed è biodegradabile.

In Tabella B6 è riportato un semplice confronto fra biodiesel e gasolio.

Tab. B6. Biodiesel e gasolio

Unità Biodiesel Gasolio

PCI MJ/kg 37-38 42.0

densità kg/dm3 0.874 0.852

3.3 Combustibili gassosi

I gas combustibili sono costituiti da miscele complesse di idrocarburi saturi ed insaturi. In base alla loro origine possono essere divisi in:

naturali: provengono da giacimenti petroliferi o da giacimenti di solo gas.

Il costituente principale è il metano (CH4), in tracce sono presenti CO2 e H2S.

Il potere calorifico è elevatissimo , pari a circa 50 MJ/kg, ovvero circa 35 MJ/Nm3 GPL: gas petrolio liquefatti (propano, propilene, butano, isobutano e butilene) recuperati dalla lavorazione del petrolio. Sono gas in condizioni normali e vengono stoccati a pressione moderata (10-20 atm). Il potere calorifico è prossimo a 20000 kcal/m3.

gas tecnici: contengono prevalentemente H2 e CO in rapporto variabile. Sono ottenuti da processi industriali (reforming di CH4, ossidazione parziale di oli combustibili, cracking termico di idrocarburi, ecc.). Sono miscele di interesse industriale per la sintesi organica e solo in casi particolari vengono usati come combustibili (ad es. in correnti di spurgo).

Il potere calorifico è intorno a 4500 kcal/m3.

idrogeno: nonostante rappresenti oggigiorno una delle possibili fonti energetiche di maggior interesse ambientale (celle a combustibile), non è presente in natura in grandi quantità, se non combinato con ossigeno come acqua, dalla quale può essere

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.18 prodotto per elettrolisi. Un’altra tecnica di produzione dell’idrogeno è attraverso il reforming di CH4 con vapor d’acqua, in cui si ottiene combinato con CO.

biogas: è una miscela di CH4 (50-60% pond) + CO2 (30-40%) + H2S (10-20%), risultato della digestione anaerobica, spesso operata su rifiuti urbani ed industriali.

Tab. B7. Esempio di gas naturale [CEH8th]

A B

%vol

Metano 86.3 95.2

Etano 2.5 8.1

Propano 0.6 2.8

Butani 0.13 0.66

Pentani 0 0.44

Esani e maggiori 0 0.09

CO2 0 1.1

N2 0.31 2.47

He 0.01 0.06

PCI (MJ/Nm3)

38 41

3.3.1 Trattamenti dei gas naturali

Quando il gas naturale è costituito da metano accompagnato da poche unità percentuali di inerti non è necessario sottoporlo ad altri trattamenti che non siano una decompressione dalle condizioni di bocca di pozzo (la pressione può superare le 200 atm) e un’eventuale filtrazione prima di distribuirlo mediante reti di condutture (metanodotti) a media e a bassa pressione fino all’utente.

Negli altri casi il gas deve essere trattato, per eliminare acqua, idrocarburi superiori liquefacibili, composti solforati (tipicamente H2S) e spesso anche anidride carbonica (CO2).

Nel caso di gas naturale, il problema più frequente, quando non esistano pipelines, è il trasporto. Si procede a liquefazione a bassa temperatura del gas per trasportarlo sulle navi come liquido e poi si riprocede alla gassificazione a destinazione. Nel processo di liquefazione bisogna evitare la condensazione di acqua e di composti corrosivi a base di zolfo e si operano gli opportuni trattamenti.

I processi relativi sono i seguenti.

disidratazione: nei giacimenti di petrolio e di gas naturale è sempre presente dell’acqua, quindi il gas prodotto è sempre saturo di umidità, la cui eventuale

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.19 condensazione può causare inconvenienti nell’esercizio dei metanodotti, quali ristagno di acqua liquida o formazione di composti idrati degli idrocarburi accanto a fenomeni di corrosione.

I procedimenti più utilizzati sono adsorbimento delle umidità su un letto adsorbente solido (allumina o gel di silice) e assorbimento con soluzioni concentrate di glicole di- e tri-etilenico.

degasolinaggio: recupero degli idrocarburi liquidi e liquefacibili del gas naturale. Il processo comunemente usato è assorbimento in olio minerale.

desolforazione e decarbonatazione: servono per eliminare i costituenti non idrocarburici del gas naturale di natura acida, generalmente H2S e CO2. Per eliminarli si ricorre ad assorbimento con soluzioni alcaline rigenerabili (alcanolammine). Nel caso di H2S contenuto nel gas naturale, si può procedere alla sua ossidazione catalitica con produzione di zolfo liquido attraverso il processo Claus. Tale processo può essere applicato anche dopo desolforazione catalitica di combustibili solidi o tagli petroliferi, ad esempio.

4. Confronto combustibili

In Tabella B8 viene riportato un confronto fra i combustibili più usati in termini di potere calorifico inferiore, da cui è possibile evidenziare come il tenore di carbonio e di idrogeno siano gli elementi che caratterizzano il pregio del combustibile nella sua capacità di produrre energia termica.

Tab. B8. Confronto fra combustibili: il potere calorifico inferiore

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.20 5. Cenni alla normativa italiana (da aggiornare)

Secondo il DPCM del 08/03/02 “Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione”, i combustibili consentiti per uso industriale sono:

- gas naturale;

- gas di petrolio liquefatto;

- gas di raffineria e petrolchimici;

- gas d'alto forno, di cokeria, e d'acciaieria;

- gasolio, kerosene ed altri distillati leggeri e medi di petrolio con contenuto di zolfo non superiore allo 0,2% in peso;

- biodiesel avente le caratteristiche di cui all'allegato al decreto ministeriale 31 dicembre 1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 5 gennaio 1994;

- olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso, con residuo carbonioso non superiore al 15% in peso e con contenuto di nichel e vanadio, come somma, non superiore a 230 ppm;

- legna tal quale e carbone di legna;

- carbone da vapore con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso e di materie volatili non superiore al 35% in peso;

- koche metallurgico e da gas con contenuto di zolfo non superiore all'1%in peso e di materie volatili non superiore al 2% in peso;

- antracite, prodotti antricitosi e loro miscele con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso e di materie volatili non superiore al 13% in peso.

I combustibili consentiti per uso civile invece sono:

- gas naturale;

- gas di citta';

- gas di petrolio liquefatto;

- gasolio, kerosene ed altri distillati di petrolio con contenuto di zolfo non superiore allo 0,2% in peso;

- biodiesel avente caratteristiche di cui all'allegato al decreto ministeriale del 31 dicembre 1993, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.3 del 5 gennaio 1994;

- residui di origine vegetale di cui all'art. 4, comma 1, alle condizioni previste dal decreto del Ministro dell'ambiente del 6 gennaio 1995;

- olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore allo 0,3% in peso, con residuo carbonioso non superiore al 10% in peso e con contenuto di nichel e vanadio, come somma, non superiore a 230 ppm;

- legna tal quale e carbone di legna;

- agglomerati di lignite con contenuto di zolfo non superiore allo 0,5% in peso e di materie volatili non superiore al 40% i peso;

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FAIP_T (materiale riservato studenti A.A. 2016/17) Pagina B.21 - coke metallurgico e da gas con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso e di materie volatili non superiore al 2% in peso;

- antracite, prodotti antracitosi e loro miscele con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso e di materie volatili non superiore al 13% in peso;

- carbone di vapore con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso e di materie volatili non superiore al 35%.

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