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Il sentiero del Buddha è fondato sull esperienza della realtà

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Academic year: 2022

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Il sentiero del Buddha è fondato

sull’esperienza della realtà

Il seguente articolo è il riassunto di una conferenza tenuta da S.N. Goenka a Bangkok, Tailandia, nel settembre del 1989.

Il sollievo temporaneo - L'esplorazione della realtà - Come praticare Vipassana - Dalla verità apparente alla verità ultima

La scoperta del Buddha - L'impermanenza di ogni sensazione Infrangere la barriera - L'origine della sofferenza

Tutti desiderano evitare la sofferenza e vivere in pace ed armonia, ma non sanno come realizzare questo obiettivo. Fu l’illuminazione di Siddhatta Gotama a scoprire la verità: dove risiede la sofferenza, come ha origine e come può essere sradicata. Come accade oggi, esistevano molte tecniche di meditazione in quei tempi. Il futuro Buddha le sperimentò tutte senza esserne soddisfatto, perché nessuna di esse riusciva a liberarlo completamente dalla sofferenza.

Perciò iniziò la sua ricerca personale e, attraverso la sua esperienza, scoprì la tecnica di meditazione Vipassana, che estirpò la sofferenza dalla sua vita e fece di lui una persona pienamente illuminata.

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Il sollievo temporaneo

Esistono molte tecniche che procurano un sol- lievo temporaneo. Quando ci si sente infelici, si può trasferire la propria attenzione su qualcos’altro; così si ha l’impressione di essere sfuggiti alla sofferenza, senza peraltro sentirsi completamente liberati da essa.

Quando nella vita succede qualcosa di sgrade- vole, ci si dibatte nel tentativo di sfuggirlo. Si va al cinema o a teatro, o ci si dà al bere o si indulge in altre sensazioni sensuali, e così via. Ma cercare di schivare la sofferenza non risolve il problema, anzi moltiplica l’infelicità.

Il Buddha comprese che la realtà va affrontata.

Invece di sottrarsi al problema, bisogna guardarlo in faccia. Egli si rese conto che tutte le pratiche di meditazione del suo tempo non facevano altro che sviare la mente dall’infelicità del momento per portarla su un altro oggetto. Ma egli capì che in questo modo soltanto una piccola parte della mente viene distolta dalla sofferenza. Nel profondo del proprio essere, si continua a reagire ed a generare reazioni di bramosia, di avversione o di ignoranza e si continua a soffrire.

L’oggetto della meditazione non dovrebbe essere un oggetto immaginario, dovrebbe essere la realtà – la realtà così com’è. Si deve lavorare con la realtà che si manifesta nel momento presente, con qualunque cosa si sperimenti all’interno della struttura del proprio corpo.

L’esplorazione della realtà

Nella pratica di Vipassana occorre esplorare la

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realtà di noi stessi – la struttura materiale e quella mentale, la cui combinazione siamo soliti identificare con “io, me, mio”. Generiamo un incredibile attaccamento verso questa struttura fisiopsichica, con il risultato di diventate infelici. Per praticare il cammino del Buddha dobbiamo osservare la realtà di mente e materia. Il meditatore dovrebbe sperimentare le caratteristiche fondamentali direttamente, ed il risultato è la saggezza. La saggezza può essere di tre tipi: la saggezza acquisita ascoltando gli altri, quella che si ottiene con l’analisi intellettuale, e quella che si sviluppa attraverso l’esperienza diretta e personale. Precedentemente ed anche ai tempi del Buddha, vi erano maestri che insegnavano l’etica e la concentrazione, e che quantomeno parlavano di saggezza. Ma si trattava di saggezza recepita da altri o intellettualizzata, non di saggezza acquisita attraverso la propria esperienza.

Il Buddha si rese conto che anche applicandosi a livello intellettuale o devozionale, nessuno si sarebbe liberato senza l’esperienza diretta delle verità e senza acquistare la saggezza attraverso la propria diretta percezione. Vipassana è saggezza sperimentata direttamente.

Si possono ascoltare discorsi o leggere le scrittu- re, si può con l’intelletto riuscire a capire che l’inse- gnamento del Buddha, la saggezza che egli insegna sono meravigliosi; ma così facendo non si sperimen- ta direttamente la saggezza.

I campi di investigazione

L’intero campo della mente e della materia – i sei sensi ed i loro rispettivi oggetti – hanno fonda- mentalmente la caratteristica di anicca (l’imperma-

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nenza), dukkha, (la sofferenza) ed anattā (l’assen- za di un io). Per scrutare la verità all’interno della struttura del corpo, egli indicò due campi. Uno è la struttura fisica, il nostro corpo. L’altro è la struttura mentale, suddivisa in quattro elementi: la coscien- za, la percezione, la parte delle mente che percepisce le sensazioni e la parte che rea gisce. Come si fa ad osservare il corpo con la propria esperienza diretta se non lo si sente? Dev’esserci qualcosa che avviene nel corpo che io posso sentire e comprendere, solo allora posso dire di aver praticato l’osservazione del corpo (kāyānupassanā). Il meditatore deve percepire le sensazioni del proprio corpo: questo esercizio si chiama vedanānupassanā (osservazioni delle sensa- zioni fisiche). Lo stesso avviene per l’osservazione della mente (cittānupassanā). Non si può percepi- re direttamente la mente se in questa non avviene qualcosa. Ciò che si manifesta nella mente si chiama Dhamma (contenuti mentali). Perciò perché ci sia cittānupassanā, bisogna praticare dhammānupassanā (osservazione dei contenuti mentali).

Il Buddha ha suddiviso queste pratiche in questo modo: kāyānupassanā e vedanānupassanā riguardano la struttura fisica cittānupassanā e dhammānupassanā si riferiscono alla struttura mentale. Si tratta di capire, attraverso l’esperienza personale, la relazione che c’è tra la mente e il corpo. Credere di poter capire il proprio corpo e la propria mente senza averne una percezione diretta, è pura illusione. Soltanto la diretta esperienza ci farà capire la realtà di mente e corpo, e questo è quanto Vipassana ci aiuta a fare.

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Come praticare Vipassana

Questo è, in breve, il modo in cui pratichiamo Vipassana. Cominciamo con Ānāpāna, che è la con- sapevolezza del respiro, il respiro naturale. Non ne facciamo un esercizio di respirazione, né regoliamo il respiro come si fa con prānayāma. Osserviamo il respiro all’entrata delle narici. Se il meditatore lavora con continuità in un’atmosfera congeniale senza es- sere disturbato, nel giro di due o tre giorni percepirà il manifestarsi di una sottile realtà in questa parte del corpo: e cioè delle sensazioni – sensazioni fisiche normali e naturali – quali caldo o freddo, battito o pulsazione, o altre ancora. Quando il meditatore giunge al quarto o al quinto giorno di pratica, egli scoprirà che vi sono sensazioni in tutto il corpo dalla testa ai piedi. Gli viene chiesto di sperimentare quel- le sensazioni senza reagire ad esse. Occorre sempli- cemente osservarle, osservarle oggettivamente, senza identificarsi con esse. Quando si giunge al settimo od ottavo giorno, si penetra sempre più profonda- mente nella realtà. Qui il Dhamma (la legge natura- le) viene in aiuto. Si osserva l’intera struttura fisica, quella che all’inizio appariva così solida, dal punto di vista delle sensazioni. Continuando ad osservare, si arriva al punto in cui tutto il corpo fisico viene percepito semplicemente come particelle subatomi- che: in tutto il corpo non vi sono altro che queste kalāpa. E queste stesse particelle subatomiche non hanno alcuna solidità, ma sono semplicemente vi- brazioni, piccole onde.

Con l’esperienza, si capisce ciò che il Buddha ha inteso dire: L’universo intero non è altro che combustione e vibrazione.

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Attraverso la sperimentazione diretta - del cor- po e delle sensazioni che vi si manifestano costante- mente – si giunge a toccare con mano che l’intero mondo fisico non è altro che vibrazione. A questo punto diventa molto facile praticare l'osservazione della mente e dei suoi contenuti.

Dalla verità apparente alla verità ultima

L’insegnamento del Buddha ci fa andare dalla verità superficiale ed apparente alla verità profonda ed ultima. La verità apparente crea illusione e confusione nella mente. Dividendo e sezionando la realtà apparente, si giunge alla realtà ultima.

Verificando che la realtà della materia è vibrazione, si inizia a sperimentare la realtà della mente: viññáóa (coscienza), saññā (percezione), vedanā (sensazione) e saòkhára (reazione). Se, per mezzo di Vipassana, si sperimenta correttamente questa realtà, si comprende chiaramente come funzionano queste facoltà. Supponiamo che abbiate raggiunto lo stadio in cui si percepisce l’intero corpo semplicemente come vibrazione. Se un suono entra in contatto con le vostre orecchie, noterete che questo suono non è nient’altro che vibrazione.

La prima parte della mente, la coscienza, ha funzionato correttamente: la coscienza uditiva ha riconosciuto che all’entrata del senso dell’udito, qualcosa è avvenuto.

Come un gong che, colpito in un determinato punto inizia a vibrare in tutta la sua struttura, il contatto con uno qualsiasi dei sensi dà inizio ad una vibrazione che si diffonde in tutto il corpo.

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Dapprima si tratta semplicemente di una vibrazione neutra, che non è né piacevole né spiacevole. Poi la percezione riconosce e valuta il suono. “E’ una parola – quale parola? Elogio! Splendido, ottimo!”.

La sensazione che ne risulta diverrà molto piacevole.

Analogamente, se le parole sono insultanti, la vibrazione o sensazione – risulterà molto spiacevole.

La vibrazione cambia a seconda della valutazio- ne data dalla parte percettiva della mente. Successi- vamente è la terza parte della mente che comincia a sentire la sensazione piacevole o spiacevole.

Dopo di che entra in funzione la quarta parte del- la mente. Si tratta della reazione, ed il suo compito è quello di reagire. Se nasce una sensazione piacevole, reagirà con bramosia, se ne sorge una spiacevole rea- girà con avversione. Sensazione piacevole: “Mi piace.

Ottima! Ne voglio ancora, ancora di più!”. Sensazio- ne spiacevole: “Non mi piace. Non la voglio!”.

Il ruolo della quarta parte della mente, la reazione, è quello di generare bramosia ed avversione. Rendetevi conto che questo processo va avanti ininterrottamente all’accesso di uno o l’altro dei sensi. In ogni istante qualcosa accade ad uno degli accessi sensoriali: in ogni istante la rispettiva coscienza ne diviene consapevole, la percezione riconosce, la parte sensitiva della mente sente e la parte reattiva reagisce, sia con bramosia che con avversione. Questo accade continuamente nella vita. Apparentemente, ad un livello superficiale, sembra che io reagisca sia con bramosia che con avversione ad uno stimolo esterno. Ma in realtà non è così. Il Buddha scoprì che noi reagiamo alle nostre sensazioni, e questa scoperta lo portò all’illuminazione.

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La scoperta del Buddha

Egli disse:

Avviene un contatto a partire dai sei sensi; sulla base del contatto, sorge la sensazione; a seguito della sensazione, sorge l’attaccamento o la repulsione.

Il Buddha vide chiaramente che quando i sei organi dei sensi vengono in contatto con gli oggetti esterni, nel corpo nasce una sensazione che, nella maggior parte dei casi, è piacevole o spiacevole. Dopo che è sorta la sensazione piacevole o spiacevole, ha inizio la bramosia o l’avversione, mai prima. Questa comprensione fu resa possibile dal fatto che il Buddha si osservò in profondità e sperimentò la cosa egli stesso. Egli andò alla radice del problema e scoprì come estirpare la sofferenza alla sua radice. Noi cerchiamo di capire la bramosia e l’avversione a livello intellettuale, ma il più delle volte le reprimiamo semplicemente. Consciamente o incosciamente siamo costantemente in balìa di bramosia ed avversione, senza alcuna via d’uscita. Il Buddha scoprì questa via d’uscita: ogni volta che, per qualsiasi ragione, si sperimenta una sensazione, occorre semplicemente osservarla.

(Il meditatore) rimane ad osservare il fenomeno del sorgere (delle sensazioni) nel corpo, ed il fenomeno del loro passare. Egli rimane ad osservare il fenomeno del contemporaneo sorgere e passare (delle sensazioni) nel corpo.

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L’impermanenza di ogni sensazione

Ogni sensazione passa e se ne va. Non vi è nulla di eterno. Quando si pratica Vipassana si inizia a sperimentare questa verità. Si noterà che per quanto piacevole possa essere, una sensazione non è che vibrazione – che nasce e se ne va. Che si tratti di una sensazione piacevole, spiacevole o neutra, la caratteristica è unica, quella dell’impermanenza. Si sta sperimentando la realtà di anicca (la parola pali che corrisponde a impermanenza n.d.r), e non se ne è convinti perché l’ha detto il Buddha, o perché l’afferma una scrittura o una tradizione, o perché ce lo dice l’intelletto. Si accetta la verità dell'impermanenza perché la si sperimenta direttamente. E’ a questo modo che la vostra saggezza recepita e la vostra comprensione intellettuale si trasformano in saggezza scaturita dall’esperienza personale. E’ soltanto questa esperienza che cambierà i vostri schemi mentali:

quando percepirete una sensazione fisica rendendovi conto che tutto è impermanente, non reagirete con avidità od avversione, ma rimarrete equanimi. Per chi pratica così in continuazione, cambia a livello più profondo l’abitudine a reagire. E quando non si generano nuovi condizionamenti di bramosia ed avversione, i vecchi condizionamenti vengono in superficie e svaniscono. Osservando la realtà così com’è ci si libera da tutti i condizionamenti di bramosia ed avversione.

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Infrangere la barriera

Gli psicologi occidentali parlano di “mente conscia”.

Il Buddha chiamò paritta citta (una parte

‘minima’ della mente) questa sezione della mente. La mente conscia ignora ciò che avviene nell’inconscio o semi-inconscio. Esiste uno spesso muro tra paritta citta e le profondità della mente. Vipassana infrange questo muro, portandovi dalla superficie della mente ai suoi livelli più profondi, mettendo in luce gli anusaya kilesa (le impurità mentali nascoste) che vi giacciono. La cosiddetta mente inconscia non è affatto tale. E’ sempre cosciente delle sensazioni fisiche e continua a reagire ad esse, con avversione se si tratta di sensazioni spiacevoli, con avidità se si tratta di quelle piacevoli.

Questo è infatti lo schema di comportamento dell’inconscio.

Facciamo un esempio. State dormendo profon- damente; una zanzara vi punge e provoca una sensa- zione spiacevole. La mente conscia non sa che cosa è successo, ma l’inconscio sa immediatamente che vi è una sensazione spiacevole, e reagisce con avversione.

Sebbene la mente conscia sia profondamente addor- mentata, voi scacciate la zanzara o l’ammazzate. Ma la sensazione spiacevole sussiste, così cominciate a grattarvi.

Quando vi svegliate, se qualcuno dovesse chiedervi quante punture di zanzare vi siano state durante la notte, non lo sapreste. La mente conscia non ha registrato, ma l’inconscio se ne è reso conto, ed ha reagito di conseguenza. Un altro esempio.

Dopo essere rimasti seduti per circa mezz’ora, sorge una tensione da qualche parte, e l’inconscio reagisce:

“C’è una tensione, non mi piace!”; e cambiate

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posizione. L’inconscio è sempre in contatto con le sensazioni fisiche. Fate dunque un piccolo movimento, e dopo un po’ vi muovete di nuovo.

Osservate una persona seduta per quindici o venti minuti. Noterete che si agita, si sposta di qua e di là.

Certo, a livello conscio quella persona non sa quello che sta facendo. Infatti, non essendo consapevole delle sensazioni, non sa di reagire con avversione a queste sensazioni. L’ostacolo è l’ignoranza. Vipassana abbatte l’ostacolo, disperde l’ignoranza. Allora si inizia a comprendere come sorgono le sensazioni e come esse diano luogo, a loro volta, a bramosia ed avversione. Quando c’è una sensazione piacevole, c’è bramosia. Quando la sensazione è spiacevole c’è avversione. E ogni volta che c’è bramosia o avversione, c’è l’infelicità.

Fin quando non si spezza questo schema di comportamento, ci sarà ininterrottamente bramosia e avversione. Il Buddha insegnò il modo di andare alle profondità dove sorge la sofferenza, determinata delle reazioni di bramosia ed avversione.

L’origine della sofferenza

Occorre scoprire l’origine di bramosia ed av- versione e cambiare il proprio schema di compor- tamento a quel livello. Il Buddha ci ha insegnato ad osservare la sofferenza ed il sorgere della sofferenza.

Senza l’osservazione di questi due elementi, non arriveremo mai al cessare della sofferenza. La soffe- renza nasce con le sensazioni. Se reagiamo a queste sensazioni, ecco c’è sofferenza. Non reagendo, non soffriamo. Per quanto sgradevole possa essere una sensazione, se non reagite con avversione potete ri- manere equanimi e sorridere.

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Vi rendete conto che tutto ciò è, impermanente, e l’intero modello di comportamento mentale cambia al livello più profondo. Tramite la pratica di Vipassana, le persone iniziano a liberarsi di ogni sorta di impurità, rabbia, passione, paura, egoismo e così via.

Nel giro di qualche mese o di qualche anno, il cambiamento delle persone diventa molto evidente.

Il frutto di Vipassana è immediato, lo si sperimenta già in questa vita. Sfruttate l’insegnamento del Buddha in tutta la sua profondità, non fermatevi alla superficie. Andate ai livelli più profondi dove sorgono bramosia ed avversione.

Le sensazioni producono il desiderio incontrollato.

Se quelle cessano, cessa anche questo. Quando si estingue il desiderio, cessa la sofferenza.

Quando si sperimenta la realtà del Nibbāna – uno stadio che è al di là del mondo sensibile – tutti i sei organi dei sensi smettono di funzionare.

Poiché non vi è alcun contatto con gli oggetti esterni, non vi è più sensazione. A questo punto si è liberi da ogni sofferenza.

Occorre prima di tutto raggiungere il livello di meditazione in cui si percepiscono le sensazioni.

Soltanto allora è possibile cambiare il proprio modello di comportamento.

Lavorate con questa tecnica, con questo procedimento, ai livelli più profondi. Se lavorate alla superficie della mente, modificate soltanto la parte cosciente della mente, il vostro intelletto, non giungete fino alla causa, all’origine, al livello mentale più inconscio; e non vi liberate degli anusaya kilesa – le impurità profondamente radicate, di bramosia ed avversione, che sono come vulcani temporaneamente

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inattivi che possono entrare in eruzione in qualsiasi momento.

Avvaletevi di questa tecnica meravigliosa e liberatevi della vostra sofferenza, delle vostre schiavitù, in modo da godere di una pace vera, di una vera armonia, di una reale felicità. Possiate tutti godere veramente di pace, armonia, felicità.

Revisionata da Biblioteca Vipassana, 2015

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