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LA BONIFICA DEL COMPRENSORIO SIPONTINO

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Academic year: 2022

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A BONIFICA DEL COMPRENSORIO SIPONTINO

Negli anni fra le due guerre mondiali, il Consorzio di bonifica foggiano è di particolare rilievo sia per l’estensione del comprensorio di sua pertinenza sia per il ruolo strategico produttivo che ricopre nell’economia nazionale. È di recente istituzione (R.D. 12 gennaio 1933, n. 257), coordina ed orienta i preesistenti nove consorzi di bacino (Fortore, Lesina, Varano, San Severo-Torremaggiore, Alto Tavoliere, Cervaro-Candelaro, Tavoliere Centrale, Cerignola, Ofanto);il comprensorio di bonifica si colloca interamente in provincia di Foggia, ne occupa tutto il Tavoliere, rappresentando circa il 70% dell’intero territorio provinciale (G.

Colacicco;A. Merendi).

Al momento della nomina di Rosario Labadessa (2 settembre 1936), come Regio Commissario Governativo al Consorzio foggiano, gli scenari della bonifica sono in fase di mutamento sia sul versante degli orientamenti politico-sociali e delle soluzioni economiche sia sul versante, per così dire, degli “attori” della bonifica. A livello nazionale, da un lato per l’allontanamento dal governo di Arrigo Serpieri, uno dei motori della bonifica integrale, dall’altro sia per il clima economico di stagnazione, effetto della Grande Crisi, sia per l’assorbimento di risorse a sostegno della guerra di Etiopia, la politica di bonifica del regime, dopo l’iniziale slancio nel corso degli Anni Venti, attraversa un periodo di rallentamento (R.

De Felice). Questi fattori si riflettono, inevitabilmente, a livello periferico.

A Foggia, qual è lo scenario? Da quando è sorto il Consorzio Generale, la bonifica, secondo la linea di compromesso fra regime e ceti agrari, inaugurata negli Anni Venti, è stata condotta, secondo l’espressione usata dallo storico Renzo De Felice, all’insegna della

“autonomia nell’obbedienza”, prima dall’ingegnere lucerino Roberto Curato, agronomo e rappresentante autorevole dei ceti agrari locali, nonché autore del primo Piano di trasformazioni agrarie (Piano generale per la bonifica del comprensorio), Regio Commissario Governativo dal gennaio 1933 al settembre 1935, anno in cui muore, e dopo da Arturo Maugini (dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Bonifica), dall’ottobre 1935 all’agosto dell’anno successivo.

Quando entra in scena Labadessa, la scomparsa improvvisa e prematura, nel dicembre 1935, di Gaetano Postiglione, fautore e fervido sostenitore della bonifica come fulcro dei piani di modernizzazione territoriali, le ridotte erogazioni di fondi per la bonifica, le inadempienze e le elusioni rispetto alle direttive del Piano Curato stesso e la resistenza passiva dei grandi proprietari che hanno in Gabriele Canelli, neosottosegretario alla bonifica succeduto a Serpieri, un punto di riferimento non concorrono certo a delineare un quadro confortante per il nuovo Commissario. Labadessa è orientato a favore della piccola proprietà contadina, in ciò sintonizzato con quei settori fascisti e della cultura tecnica ed agronomica che considerano la questione del latifondo e l’intervento colonizzatore elementi fra loro inscindibili e indispensabili nei programmi di ristrutturazione agraria del territorio e nelle politiche di sbracciantizzazione (G. Parlato).

Labadessa, in buona sostanza, consapevole della necessità di una profonda svolta nell’organizzazione produttiva delle campagne, propone una prospettiva di sviluppo da affidare a un processo di formazione e di espansione della piccola proprietà contadina, sia come forma di alleggerimento della conflittualità sociale nelle campagne sia come superamento degli assetti latifondistici e sia, infine, come avvio di nuovi sistemi produttivi capaci di incidere e dinamizzare l’insieme della società.

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Una delle aree su cui si appunta l’intervento prioritario del Consorzio, durante la gestione di Labadessa, per reinserirla nel contesto produttivo provinciale, è quella sipontina, un tratto di territorio “asfissiato da secoli dalla presenza degli stagni e degli acquitrini” (A.

Pompa), collocato tra il mare, il torrente Candelaro, la strada Manfredonia-Cerignola, e costituisce l’estrema propaggine nord-orientale di quella vasta zona denominata Pantano di Lago Salso, il “basso pantano litoraneo, fomite di malaria” (M. Viterbo). La palude sipontina, estesa per oltre 400 ettari, si è venuta formando perché lo sbarramento costituito dal cordone dunale impedisce lo scolo dei terreni e il deflusso dell’acqua delle numerose sorgenti carsiche, presenti nell’area, provocandone il ristagno. La zona, ai primi del ‘900, è stata oggetto di bonifica idraulica da parte del Genio Civile (rete di canali e impianto idrovoro con pompe a vapore) che, tuttavia, non hanno raggiunto risultati soddisfacenti sia per l’inefficienza degli impianti sia per le carenze manutentive dei canali, invasi da nuova vegetazione palustre (G. Colacicco; A. Pompa).

Ecco, in una descrizione, breve ma efficace, dello stesso Commissario Labadessa, come si presenta la zona prima della bonifica: “A chi viene da Foggia, dopo aver percorso per chilometri un’immensa pianura eguale e monotona, la Palude Sipontina appare improvvisa nella sua triste desolazione.

Il cielo sembra che diventi anch’esso plumbeo sull’acquitrino grigio. Tra le pozzanghere che si aprono, come piaghe, isolotti di giunchi altissimi, e chiazze piatte di vegetazione rossastra.

Le poche strade sono deserte e solo si vedono nel cielo e sull’acqua voli di anitre e squittii di uccelli, tristi, come se evocati da un augure profeta di sciagure.

In mezzo alla Palude, appare sola, quadrata e luminosa, come un’ara la Chiesa di S.

Maria di Siponto.

La tradizione e la storia addensano la tragicità della squallida palude, che seppellisce una città antica e illustre, che fu, secondo l’espressione di Federico di Svevia, ad cantum promptum molle Sipontum”.

Il recupero dell’area di Siponto dall’abbandono e dal degrado rientra in un quadro strategico complessivo di sviluppo, anche per la sua vicinanza alla città di Manfredonia, che ne subisce gli effetti malarici, per il cui porto le forze locali del regime nutrono ambiziosi progetti industriali (che, però, non avranno sbocco alcuno). È in questa prospettiva che il neo-commissario ritenendo indispensabile e prioritario “di intraprendere la trasformazione agraria del fondo Sipontino […] per sviluppare più adeguatamente e con forme più appropriate l’attività colonizzatrice del Consorzio” decide di acquistare dal Comune di Manfredonia l’intero fondo dell’estensione di ettari 341.64,85 “pur tenuto conto dello stato paludoso e di salsedine in cui esso fondo trovasi per la mancata esecuzione delle opere di scolo necessarie alla redenzione idraulica del terreno stesso”.

L’iniziativa consortile di concentrare l’intervento di bonifica nelle paludi sipontine, risponde sostanzialmente al criterio di recupero produttivo in quella parte del litorale adriatico, fondato sulla definitiva soluzione del problema igienico-ambientale, sul riassetto dei terreni e sull’avviamento della colonizzazione con unità poderali autonome, a garanzia dello sviluppo complessivo dell’intero comprensorio sipontino.

Annota lo stesso Labadessa: “Il 20 settembre 1936-XIV, il Consorzio di Bonifica di Capitanata, dopo un rapido e completo studio del problema, ha iniziato decisamente i lavori, per completare la bonifica idraulica e per iniziare quella agraria, e li ha condotti con tale rapidità da guadagnare l’anno agrario che si iniziava”. Si sostituiscono le obsolete

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idrovore a vapore con moderne elettropompe centrifughe per liberare la zona dalle acque stagnanti; si libera il terreno dalle folte erbe lacustri, rompendo e rivoltando il terreno con arature profonde, ceppaie di giunchi e sterpaglie acquatiche, accatastate, sono sistematicamente bruciate; oltre alla messa in efficienza dei canali principali e secondari, si aprono 12 chilometri di canali nuovi e si costruisce la strada lungo il collettore delle acque alte; si sistemano gli accessi sulla strada nazionale e sulla Siponto – Zapponeta, provvedendo anche all’alberatura di viali e strade.

Al risanamento segue la fase di costruzione di due borghi Tavernola, distante da Foggia circa 11 chilometri, e Siponto, a 33 chilometri circa dal Capoluogo, con i servizi necessari alla vita della popolazione dislocata nei poderi circostanti (scuola, ufficio postale, ambulatorio medico, chiesa, ecc., edifici pubblici che saranno completati nel 1939). Sul versante della distribuzione delle terre, vengono assegnati poderi autonomi, di grandezza variabile fra i quattro e i dodici ettari, dotati di abitazione con relativi accessori, per dare residenza stabile alle famiglie coloniche: 34 poderi irrigui a Siponto, 18 poderi di 8 ettari ciascuno a Tavernola (G. Colacicco).

Tavernola – La piazza con la chiesa del SS. Rosario

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Siponto – Piazza del daino (particolare)

Per Siponto, però, presentandosi in alcuni tratti una tipologia di terreno poco produttiva e difficile da emendare, si opta verso soluzioni alternative, puntando a utilizzare la zona in chiave vacanziero-balneare, agevolando la nascita di un villaggio turistico destinato, negli anni, a diventare un centro di villeggiatura particolarmente frequentato dai foggiani. Con l’incoraggiamento del Consorzio, che provvede alle infrastrutture (dall’approvvigionamento idrico alla fornitura di elettricità, dalla costruzione della stazione ferroviaria a quella di strade alberate), sorge così la Siponto turistica e balneare. Anni più tardi, così testimonierà l’ingegner Giuseppe Colacicco, all’epoca giovane funzionario del Consorzio, nel secondo dopoguerra ne sarà il direttore generale: “Può essere interessante accennare al particolare aspetto che ha assunto la Borgata di Siponto che, iniziatasi per la bonifica delle paludi sipontine, ha finito col diventare la spiaggia ed il centro di villeggiatura di Foggia. […] vi era qualche ettaro di terreno in prossimità della ferrovia, verso Manfredonia, ove la roccia affiorava e non vi era quindi, per quel terreno, la possibilità di un impiego agricolo, si pensò di quotizzarlo in lotti di circa 1000 mq., da assegnare gratuitamente a chiunque si fosse impegnato di costruire una villetta, e ciò al fine di dare corpo al borgo di bonifica.

L’iniziativa ebbe molto successo e sono sorti così una trentina di villini privati, un albergo, un ristorante, molti stabilimenti balneari, perché vi è una spiaggia magnifica di finissima sabbia asciutta. Ciò ovviamente ha dato vita al borgo di bonifica, ed ha realizzato la spiaggia ed un centro turistico, ove di estate si riversano migliaia di persone, sia con automezzi che con la ferrovia”.

Ma, come se non bastasse, altri sono gli aspetti collegati alle attività di bonifica, da prendere in considerazione. È Labadessa stesso a ricordarli: “Durante i lavori della bonifica, sotto l’aratro ed il piccone affiorano continuamente colonne, capitelli e ruderi dell’antica Siponto; alcuni scavi hanno rimesso in luce il piano dell’antica basilica di S. Lorenzo, e magnifici mosaici bizantini”.

Con il concorso del Consorzio, e con la costituzione dell’Ente Fascista Dauno per i Monumenti e per l’Arte, da lui stesso presieduto, il 20 ottobre 1936 Labadessa avvia e dirige

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gli scavi nell’area sipontina. C’è una prima esplorazione in una cisterna nelle immediate vicinanze della Chiesa romanica di Santa Maria Maggiore, per assodare la presenza di un tempio dedicato a Diana. I risultati della ricognizione furono negativi, nel senso che, contrariamente a quanto sostenuto da altri studiosi, non furono rinvenute tracce che potessero attestare la presenza del tempio romano. Più produttivi, invece, si rivelano gli scavi effettuati sempre nei pressi della chiesa di Santa Maria, che portano alla luce una basilica paleocristiana “una tra le più interessanti scoperte archeologiche del Foggiano” (C.

D’Angela), numerose tombe altomedievali, e consistenti reperti di vario genere.

Le motivazioni di questa attività supplementare vanno ricercate, in Labadessa, nella sua formazione e nei suoi interessi culturali. Fin da giovane, il cooperatore pugliese ha coltivato una profonda passione per le lettere e per l’arte (egli stesso si cimenta con risultati anche apprezzabili nelle arti figurative, dal disegno alla pittura), impegnandosi su tali versanti come attento osservatore e commentatore critico dei fatti della vita artistica di Napoli, città in cui ha compiuto gli studi universitari. È, altresì, appassionato cultore delle memorie storico- artistiche della sua terra pugliese, e, nel secondo dopoguerra, accetterà di essere iscritto come socio corrispondente della foggiana Società Dauna di Cultura, fondata da Pasquale Soccio e Mario Simone, su invito di quest’ultimo e di Luigi Schingo. L’impegno culturale giovanile di Labadessa è documentato dai suoi articoli e dalle sue recensioni su riviste e periodici, anche di alto profilo (Apulia; Rassegna pugliese di scienze lettere e arti; Rassegna d’arte antica e moderna; Napoli nobilissima – Rivista di topografia ed arte napoletana; Il Secolo XX°). Per il giovane Labadessa tuttavia la cultura non è mero intellettualismo ma impegno concreto, peraltro attestato dalla sua iniziativa di fondare, negli anni che precedono la Grande Guerra, la sezione di Capitanata dell’Associazione per la cultura artistica nazionale.

Come egli stesso sottolinea, l’Associazione si prefigge di “togliere i monumenti della nostra provincia dall’abbandono in cui si trovano, richiamando su di essi l’attenzione del pubblico e delle Autorità; ricollegare il nostro paese al suo glorioso passato artistico; promuovere conferenze d’arte e corsi di lezioni; far circolare nelle scuole della provincia libri e riproduzioni d’arte, ecc.”

Per questi motivi, quando nel corso delle opere di bonifica nella piana di Siponto, emergono tracce e reperti di epoche passate, Labadessa che non ignora l’importanza della Chiesa di Santa Maria di Siponto nel quadro dell’architettura romanico-pugliese e i problemi insoluti che essa pone, essendo il sito ancora inesplorato, e avendo egli in mano le redini del Consorzio di Bonifica e dell’Ente Dauno appositamente creato, non tralascia l’occasione per avviare una campagna di scavi, i cui ritrovamenti permettono di cominciare a far luce su tematiche importanti (C. D’Angela). Incoraggiato dal successo dei ritrovamenti, Labadessa accarezza pure l’idea di costruire in loco un piccolo museo dove adunare ed esporre i reperti, progetto rimasto inattuato.

La campagna di scavi cessa quando il Commissario Labadessa lascia il Consorzio, occorre altresì aggiungere che fino ad allora nessuna ricerca sistematica era stata condotta in zona e solo a partire da quegli anni l’area sipontina ha cominciato ad essere sottoposta a indagini. Rosario Labadessa – ciò gli dovrebbe essere riconosciuto – seppure per un periodo limitato, per primo affrontò il problema, ottenendo risultati apprezzabili, alla base degli scavi successivi, ripresi negli anni 1953-’54 i cui “lavori si limitarono per lo più a «riscoprire»

quanto già era venuto alla luce nel 1936-37”, e dunque, non apporteranno modifiche sostanziali al quadro delle ricerche (R. Mola).

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L’opera di bonifica nella piana di Siponto, oltre ai risultati non sottovalutabili – “la palude è stata domata, afferma Labadessa, ed intorno son tornati gli uomini con le loro opere e le loro cose” – è interessante sostanzialmente per due motivi: il primo, perché rappresenta un esperimento, fino ad allora inedito nel Tavoliere, di attuazione di un piano di trasformazione complessivo che, oltre il recupero e la valorizzazione territoriali, include l’insediamento e la stabilizzazione di poderi autonomi; il secondo, perché, pur riguardando un’area limitata, indica l’emergere, nel regime, di una nuova linea nelle politiche territoriali relative alla pianura foggiana. Il Commissario stesso afferma che la bonifica di Siponto

“vuole essere un monito ed un esempio: segna un indirizzo. Quello che si sta facendo sulla Palude Sipontina, con difficoltà infinitamente minori, con maggiore sicurezza, con spesa molto minore, può essere fatto su varie centinaia di migliaia di ettari del Tavoliere.”

Siponto. Canale di bonifica e casa colonica.

È necessario, per valutare gli elementi di discontinuità introdotti con la bonifica di Siponto, fare il raffronto con un esperimento insediativo di qualche anno prima: Borgo Laserpe (così chiamato per ricordare un fascista cerignolano, nel secondo dopoguerra sarà denominato Borgo Mezzanone), inaugurato da Mussolini l’otto settembre 1934. Il borgo, situato sulla Foggia-Trinitapoli, nasce secondo le linee dettate dal Piano Curato: costruire borgate rurali per ripopolare le campagne, e portare i braccianti in prossimità delle aziende cerealicole della zona, onde favorirne l’ingaggio durante le attività stagionali. È un insediamento che risponde sostanzialmente a criteri produttivistici e di lotta alla disoccupazione, lasciando immutati i rapporti sociali nelle campagne, dal momento che non prevede la formazione di poderi autonomi, ma solo l’assegnazione di piccoli lotti di terreno da coltivare nei periodi di disoccupazione. L’esperimento del “Laserpe”, già all’arrivo di Labadessa, mostra insufficienze tanto che i contadini insediati nel borgo, per il mancato ingaggio nelle aziende agricole della zona, lavorano per lo più alle dipendenze del Consorzio di bonifica; per perfezionare e sviluppare la formazione di poderi autonomi, Labadessa delibera di acquistare altri terreni (oltre 100 ettari) nella stessa contrada. Il cooperatore pugliese è critico rispetto ai principi e alle modalità organizzative del Borgo Laserpe giacché i coloni coinvolti non erano stati “i soggetti di una trasformazione agraria, ma lo strumento salariato della trasformazione che le grosse aziende circostanti avrebbero dovuto fare e che non hanno fatto, pur essendo trascorsi i termini fissati”.

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Da qui la decisione di adottare “nuovi criteri di colonizzazione che mirano a fare dei coloni i trasformatori e i futuri proprietari dei poderi”. Gli insediamenti di Tavernola e Siponto, infatti, sorgono con un’organizzazione inedita nel Tavoliere – borghi di servizio e poderi autonomi sparsi – rifacendosi a quegli orientamenti che mirano a sbracciantizzare e stabilizzare i contadini sulla terra. A sostegno di queste scelte Labadessa riporta l’esempio di Tavernola, dove i coloni pur non essendo ancora ultimata la costruzione della casa, venendo dal Comune di San Ferdinando, lontano 45 chilometri, dormendo la notte sotto il loro carretto, hanno in sei mesi già effettuato il programma di trasformazione che avrebbero dovuto svolgere in due anni.”

Dal suo osservatorio consortile, e con la mente rivolta all’iniziativa di Siponto e Tavernola, Labadessa rafforza il proprio convincimento della necessità di una svolta nei processi di trasformazione del Tavoliere, che includano la soluzione di questioni sociali non più differibili. Egli aderisce a quella linea di pensiero che intende la bonifica come intervento globale sul territorio dal risanamento idraulico fino alla trasformazione agraria, per eliminare le forme più vistose di arretratezza nell’esercizio dell’agricoltura. Fondamentale, nell’ambito degli interventi, la ridistribuzione e colonizzazione delle terre, da affidare alle famiglie contadine, come la risposta più adeguata al mantenimento della stabilità sociale nelle campagne e come risposta non più procrastinabile rispetto alle aspettative sociali ed economiche maturate negli anni della Grande Guerra tra le classi lavoratrici agricole.

Quello che si può dire sulla permanenza di Rosario Labadessa al Consorzio di Capitanata, è che se da un lato la sua gestione del Consorzio risponde a criteri di mediazione con i ceti agrari (derivanti in parte dalla sua formazione di cooperatore, in parte dai condizionamenti della proprietà agraria tradizionale, che ha un forte peso politico nella realtà foggiana), da un altro lato la sua nomina a Commissario di uno dei più importanti consorzi di bonifica del tempo, si presta ad essere letta come un avviso di cambio di rotta del regime sul versante dei consorzi, in pratica nei rapporti con i ceti agrari del Tavoliere.

Il periodo della gestione consortile di Labadessa è un capitolo all’interno del processo di bonifica e delle trasformazioni territoriali sviluppatosi nel Tavoliere pugliese, negli anni fra le due guerre mondiali. Si inserisce tra la pianificazione privatistica del territorio che ha la sua espressione più alta e qualificata nel Piano Curato, e il deciso intervento della mano pubblica che trova nel Piano Carrante - Medici - Perdisa il proprio fondamento teorico e nell’Opera Combattenti lo strumento operativo, e si sviluppa secondo un percorso al tempo stesso di svolta e di continuità. L’intervento per sanare e mettere a frutto il comprensorio sipontino, l’ampliamento di Borgo Laserpe e l’insediamento di Tavernola rispondono, nel complesso, al disegno non secondario della bonifica di creare categorie di piccoli proprietari per trasformare gli ordinamenti estensivi del Tavoliere, e di introdurre nelle campagne elementi di maggiore stabilità sociale. Ma, contengono ancora, per le modalità di realizzazione, riferimenti alle precedenti esperienze: entrambi i progetti, per esempio, si fondano, per l’applicazione, su terreni dei quali il Consorzio entra in possesso tramite l’acquisto, non perché rivenienti da espropri a privati.

L’insediamento di Labadessa, quindi, va colto come un primo segnale di mutamento nel complesso contesto dei rapporti fra regime e ceti agrari circa la politica agraria nella pianura foggiana, sostanzialmente rappresenta il prodromo a misure e metodi più marcatamente interventisti che di lì a poco saranno affidati dal Ministero dell’Agricoltura all’Opera Nazionale per i Combattenti (ONC).

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In altre parole, la nomina di Labadessa ha il significato politico di preavviso di revoca della delega ai ceti agrari sulla bonifica, la quale, coincidendo, a Foggia, con la gestione del territorio – che è la risorsa primaria locale – nell’ottica degli orientamenti di interventismo decisionista emergenti nel regime, peraltro preoccupato dell’endemica disoccupazione in Capitanata, alla quale neanche i numerosi lavori pubblici sembrano dare sollievo, non può essere affidata esclusivamente alle mani dei ceti agrari. È la fine della “autonomia nell’obbedienza”. Ma è anche l’inizio, nella realtà locale, dello sfilacciamento del consenso di parti non trascurabili di quei settori fiancheggiatori che hanno avuto parte attiva nella stabilizzazione del regime. In ultima analisi, pur considerando gli aspetti di continuità con la fase precedente, l’esperienza di Labadessa avvia una svolta nei processi di trasformazione del territorio, inaugurando un piano di trasformazione complessivo che include anche la sbracciantizzazione, con l’insediamento e la stabilizzazione di poderi autonomi sulla terra. Si tratta, in definitiva, di un passaggio di quel processo di riordino territoriale e di riequilibrio demografico e sociale che troverà negli anni seguenti (1938-1943) un maggior consolidamento con l’indirizzo colonizzatore dell’Opera Nazionale per i Combattenti.

Marcello Ariano

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Planimetria della piana di Siponto dopo la bonifica

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