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LA FORMAZIONE INIZIALE DEGLI INSEGNANTI

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Academic year: 2022

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LA FORMAZIONE INIZIALE DEGLI INSEGNANTI

RIFLESSIONE SULLA ESPERIENZA MATURATA NELLE SSIS E CONSIDERAZIONI SUGLI SVILUPPI FUTURI

Sergio Torrazza

Direttore della SSIS Sardegna, sezione di Cagliari

Premessa

La formazione degli insegnanti dovrebbe costituire in ogni società civile una delle architravi su cui poggiare le possibilità di sviluppo delle conoscenze, competenze e capacità delle generazioni future del Paese. In tal senso ci si dovrebbe aspettare che il dibattito in merito ad ogni cambiamento delle sue finalità, dei suoi obiettivi e della sua collocazione istituzionale fosse appassionato e partecipato.

Spesso si ha invece la sensazione che tale argomento venga recepito come una nicchia riservata per gli addetti ai lavori e che in tale ambito possa costituire non un nodo centrale, ma uno strumento di interessi corporativi e di logiche compromissorie spinte fino al punto di snaturarne il filo logico portante che ne deve contrassegnare la credibilità.

Le riflessioni seguenti hanno lo scopo di riportare in evidenza tale filo logico, attraverso una riconsiderazione dei principi ispiratori originari e dei mutamenti che essi potrebbero subire al mutare della normativa che ne regola la attuazione.

La formazione iniziale degli insegnanti in Italia: principi ispiratori e finalità

La formazione iniziale degli insegnanti di ogni livello scolastico si è basata finora su due provvedimenti normativi, la Legge 341 del 1990 e il D.M. 26/05/98.

La legge 341 ha costituito per un verso il punto di arrivo di una lunga fase di elaborazione progettuale, iniziata già a metà degli anni ’50, strettamente connessa con la puntualizzazione dei processi di insegnamento/apprendimento ed al conse- guente ripensamento del profilo professionale dell’insegnante e, per un altro verso il punto di partenza per la definizione di nuove modalità di formazione e di reclutamento degli insegnanti del nostro Paese, tenendo anche conto delle innovazioni che si andavano affermando anche in altri Stati europei.

Tra i principi ispiratori della Legge 341 figuravano rilevanti novità:

a) il passaggio dalla logica rigida della istruzione, intesa come un insieme codificato di conoscenze da trasmettere, alla logica flessibile della formazione, basata sulla misura del risultato in termini di effettivo apprendimento dello studente, attraverso un suo attivo coinvolgimento;

b) il carattere professionalizzante di tale formazione iniziale, sancito dal valore abilitante del titolo finale;

c) l’affidamento statutario della formazione iniziale degli insegnanti alle Università, attraverso la istituzione del corso di laurea in Scienze della formazione primaria e di nuove strutture di Ateneo, le Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (S.S.I.S.), di durata biennale.

Quest’ultimo aspetto era particolarmente significativo, perché in precedenza la formazione iniziale degli insegnanti della Scuola Primaria si svolgeva a livello pre-universitario, mentre per gli insegnanti della Scuola Secondaria non si svolgeva affatto (essendo sufficiente, per l’accesso all’insegnamento, la laurea disciplinare).

Sono poi dovuti trascorrere 8 anni per passare dalla fase dichiarativa enunciata dalla Legge 341 a quella operativa, sancita dal D.M. 26/05/98, che dettava i criteri generali entro i quali le strutture didattiche citate dovevano costruire la loro offerta formativa.

Questo lungo intervallo temporale in parte è dipeso dalla complessità concettuale, organizzativa e funzionale delle nuove strutture, in parte è stata frutto di un tentativo (ahimè non riuscito) del ministro della Pubblica Istruzione dell’epoca di trovare soluzione, tramite concorso e corsi abilitanti riservati, al problema rappresentato dalla ingente massa di precariato accumulatasi negli anni nel sistema scolastico nazionale, al fine di consentire una partenza tranquilla delle nuove modalità di reclutamento degli insegnanti prefigurate dalla Legge 341.

Il D.M., oltre ad elencare i criteri generali per la disciplina delle SSIS, era corredato di alcuni allegati qualificanti del punto formativo concernenti:

a) la elencazione degli obiettivi formativi della SSIS, che consentiva la individuazione di un profilo professionale ben focalizzato dell’insegnante;

b) la articolazione dei contenuti minimi qualificanti in 4 aree distinte (l’area trasversale attinente alle Scienze del- l’Educazione ed altri aspetti peculiari della funzione docente, l’area finalizzata alla acquisizione di competenze storico–epistemologiche e didattico-disciplinari, l’ area attinente al laboratorio didattico e quella inerente al tiro- cinio professionale);

c) il raccordo tra gli indirizzi formativi delle SSIS e le classi di abilitazione previste dalla legislazione scolastica);

d) le forme di interazione e raccordo con il sistema scolastico, con particolare riferimento alle attività di laboratorio didattico e di tirocinio.

A. L’esperienza maturata dalle SSIS : luci ed ombre (1,2)

Diversi sono stati a mio avviso gli aspetti positivi connessi con la elaborazione progettuale che ha costituito il retroterra

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culturale delle SSIS e sperimentati nel corso di un quinquennio.

Tra di essi mi sembrano particolarmente rilevanti i seguenti 3 punti:

1. Per la prima volta si è formalmente dato vita ad una struttura formativa degli insegnanti esplicitamente intesa come momento di un processo. Contro una lunghissima tradizione italiana di formazione superiore una tantum , da portarsi in dote per il resto della vita lavorativa, si è affermata la visione di un processo a stadi di formazione continua, corredato di un sistema di crediti e debiti formativi.

2. La struttura della SSIS ha introdotto un elemento di forte originalità e specificità nel rapporto Università/

Scuola.

Va innanzi tutto sottolineato il carattere di partnership attribuito ai due soggetti: ciò da un lato consente il ruolo responsabile dell’università nel processo di formazione degli insegnanti, adeguandolo alla realtà già operante nelle altre nazioni europee, d’altro canto consente la possibilità di conciliare ed integrare la cultura disciplinare di impostazione accademica con la cultura professionale specifica del personale docente della scuola.

3. Un’altra importante connotazione potenzialmente positiva insita nella SSIS è costituita dal carattere di trasversalità ed interdisciplinarità che viene introdotto nel sistema universitario.

In particolare, l’esigenza e l’utilità di un rapporto tra l’area della educazione e quelle disciplinari, tradizional- mente debole nel sistema universitario italiano, la valorizzazione delle didattiche disciplinari fortemente focalizzate sui problemi di apprendimento degli allievi in relazione ai contenuti trattati, il collegamento delle didattiche disciplinari con il laboratorio didattico ed il tirocinio costituiscono elementi caratterizzanti essen- ziali non solo per il buon funzionamento delle SSIS, ma anche per riprendere il filo di un dialogo da troppo tempo interrotto tra le diverse anime della cultura nazionale.

Per contro, sono emersi nel corso della esperienza quinquennale delle SSIS anche diverse situazioni problematiche, attinen- ti sia al versante universitario che a quello scolastico coinvolti.

1. Per quanto concerne l’ambito universitario, il primo problema emerso riguarda, soprattutto in alcuni indirizzi della SSIS tradizionalmente meno attenti alla dimensione epistemologica disciplinare, l’effettiva competenza di- dattica della componente universitaria coinvolta nella docenza all’interno delle SSIS, conseguente ad una “stori- ca” sottovalutazione della ricerca in didattica.

Ciò costituisce tuttora un freno notevole al coinvolgimento di giovani ricercatori in questo settore; questo fatto, a sua volta, costituisce un ostacolo importante al suo sviluppo anche in tempi come questi, in cui si notano segnali confortanti in termini di maggiore attenzione della comunità scientifica a tutto ciò che concerne la formazione degli insegnanti e delle future generazioni.

Il radicamento nella nostra struttura accademica di questo ambito di ricerca non è tanto un problema di fondi, ma di riconoscimento di pari dignità e di creazione di opportunità, se si vuole evitare di identificarlo con una sorta di

“cimitero degli elefanti” per docenti a fine carriera o una “riserva indiana” di pochi studiosi, sia pure determinati.

Un’altra difficoltà riscontrata riguarda la gestione del rapporto tra l’area delle scienze dell’educazione e le aree disciplinari. Il dialogo e la effettiva collaborazione tra le due componenti si sviluppa a rilento, non solo per la disabitudine che comporta difficoltà culturali ma anche comunicative e lessicali tra i docenti coinvolti, ma anche per ostacoli di natura organizzativa e per l’elevato numero di specializzandi a carico dei corsi di area comune, che limitano la disponibilità di tali docenti all’interno dei corsi di area disciplinare.

Un altro aspetto che deve essere chiarito meglio riguarda il rapporto tra la natura formativa professionalizzante delle SSIS e l’accertamento delle conoscenze disciplinari degli specializzandi richiesto dall’esame finale con valore abilitante previsto dal decreto ministeriale.

A mio avviso, la caratterizzazione professionale della scuola di specializzazione deve essere assolutamente salva- guardata: peraltro il problema della verifica di un doveroso e soddisfacente livello di padronanza dei contenuti disciplinari in uscita dalle SSIS, soprattutto nel caso di specializzandi che conseguono diverse abilitazioni o co- munque abilitazioni in classi comprensive di numerose discipline, è una esigenza reale che non deve essere sotto- valutata.

Personalmente ritengo che il problema debba essere affrontato tramite una selezione più rigorosa in ingresso, che preveda anche punteggi minimi da superare nelle prove di selezione e la utilizzazione più diffusa dei debiti forma- tivi attribuibili agli specializzandi ammessi, in modo che possano rapidamente colmare le lacune contenutistiche disciplinari più rilevanti, prima di affrontare la formazione specifica professionale fornita dalle SSIS.

Ritengo poi che vada perseguita una più efficace valorizzazione delle competenze di ricerca di ciascuna delle componenti operanti all’interno di tali strutture ed una progressiva riduzione del peso delle tradizionali lezioni accademiche frontali, a vantaggio delle attività di gruppo, dei laboratori didattici e delle iniziative di ricerca – azione.

Infine, è necessario migliorare e rendere più collaborativo il rapporto con le Facoltà, le quali peraltro spesso oscillano tra l’ignorare le SSIS o il tollerare poco la loro autonomia didattica ed il rapporto privilegiato con la Scuola e, di riflesso, con il mondo del lavoro.

2. Sul versante scolastico, l’azione delle strutture universitarie che si occupano di formazione iniziale degli inse- gnanti deve tendere ad una migliore focalizzazione della figura professionale del supervisore delle attività di tirocinio: un adeguato riconoscimento normativo di tale figura si tradurrebbe in un incentivo all’acquisizione di una dimensione professionale che inciderebbe positivamente nella gestione di tali strutture e potrebbe dar luogo a benefiche ricadute nell’ambito scolastico da cui il supervisore proviene.

Per ragioni analoghe, sarebbe altrettanto importante un esplicito riconoscimento, nella normativa, della figura del

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tutor di classe.

La valorizzazione di tale ruolo consentirebbe certamente una migliore sinergia tra la struttura universitaria di riferimento e gli istituti scolastici ospitanti le attività di tirocinio, con importanti conseguenze non soltanto in termini di dimensione professionale degli specializzandi, ma anche in termini di ricaduta nelle scuole ospitanti e di concreta possibilità di avviare ricerche didattiche comuni in collaborazione tra le Scuole e l’Università.

In questo modo si porrebbero basi più solide per la realizzazione di una partnership effettiva tra l’Università ed il sistema scolastico nella progettazione e nella conduzione delle attività di formazione iniziale degli insegnanti, recuperando in tal modo un livello minimo di permeabilità tra i due sistemi e superando diffidenze ed incomprensioni accumulatesi nel tempo.

Da questo punto di vista, troverei giusto rafforzare la componente scolastica all’interno delle commissioni per l’esame di Stato finale abilitante: ciò sarebbe non solo logico, perché consentirebbe alla committenza una migliore valutazione del prodotto della formazione operata dalle strutture universitarie, ma anche utile per tutti, perché ne verrebbe favorita una verifica condivisa del lavoro svolto.

A tal fine è assolutamente indispensabile creare un sistema di monitoraggio nazionale e locale efficiente, tramite il quale possano emergere indicazioni preziose per un miglioramento qualitativo dell’offerta formativa e della articolazione operativa: in tal senso si potrebbe pensare ad una collaborazione organica con gli Istituti Regionali di Ricerca Educativa (I.R.R.E.).

B. Le modifiche conseguenti ai cambiamenti normativi nell’ordinamento didattico universitario e della Scuola A breve distanza di tempo dall’inizio delle attività delle strutture didattiche di formazione iniziale degli insegnanti, sia della Scuola primaria che della Secondaria, sono intervenute modifiche legislative che hanno cambiato sia l’assetto generale della organizzazione didattica universitaria (D.M. n. 509 del 1999 e successivi decreti del 4/8 e 28/11 del 2000, attualmente in fase di ulteriore revisione) che quello scolastico (Legge 30/2000 sulla riforma dei cicli scolastici, poi abrogata e sostituita dalla Legge delega 53/2003).

Tali cambiamenti non potevano non avere conseguenze in termini di formazione iniziale degli insegnanti: in effetti, la Legge delega 53/2003, nell’art. 5, si occupa esplicitamente del problema e definisce o, data la vaghezza e per alcuni versi la ambiguità della delega stessa, lascia nell’indefinito fino all’approvazione dei decreti delegati la nuova regolamentazione del settore.

I punti definiti sono:

a) il modello (3 + 2 + x), per tutti i gradi scolastici.

Successivamente alla laurea (3), sono previsti corsi di laurea specialistica (+2) ad accesso programmato sulla base dei posti disponibili nelle istituzioni scolastiche; tali lauree specialistiche sono finalizzate anche alla formazione degli insegnanti, hanno valore abilitante ed hanno preminenti finalità di approfondimento disciplinare;

b) gli abilitati, ai fini dell’accesso nei ruoli organici del personale docente svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione – lavoro, specifiche attività di tirocinio (+ x);

c) a tal fine, e per la gestione delle lauree specialistiche, sono istituite apposite strutture di ateneo o di interateneo, le quali curano altresì i rapporti con le istituzioni scolastiche.

Dai punti indicati emerge immediatamente il grado di ambiguità e, talvolta, di contraddizione interna esistente nel testo dell’art. 5 citato.

Infatti restano per ora indefinite le risposte ai seguenti interrogativi, acutamente lucidamente posti da Luzzatto: (3) 1. Quale ventaglio di finalizzazioni ulteriori possono avere corsi destinati anche alla formazione degli insegnanti, i

cui accessi sono peraltro definiti sulla base di un preciso riferimento numerico solo ai posti disponibili per gli insegnanti?

2. Come è realizzabile per tali lauree specialistiche il carattere professionalizzante necessario per il previsto valore abilitante, se esse hanno anche finalizzazioni di altro tipo e se sono centrate soprattutto sul mero approfondimento dei contenuti disciplinari?

3. Come è possibile che una abilitazione professionalizzante preceda, anziché seguire, le specifiche attività di tiroci- nio?

4. Come è conciliabile la prevalenza disciplinare dei contenuti didattici dei corsi con la loro attribuzione gestionale a strutture di ateneo o di interateneo?

5. La acquisizione del contratto di formazione lavoro costituisce un diritto di ciascun abilitato e quale è la sua durata?

6. Al termine del contratto, con quali procedure viene determinato l’accesso ai ruoli?

Dal numero e dalla natura degli interrogativi posti si può facilmente desumere come l’assetto del futuro sistema di forma- zione degli insegnanti risulti ancora largamente imprecisato e che solo la stesura dei decreti delegati potrà sciogliere i nodi evidenziati dai quesiti.

Qualunque saranno le scelte operate dai decreti delegati, non si può non evidenziare che il testo della legge delega comporta alcuni passi indietro di notevole peso rispetto alla normativa precedente ed alla prospettiva europea peraltro richiamata nelle premesse della Legge stessa.

Infatti manca completamente qualunque riferimento al profilo professionale dell’insegnante e all’esigenza di costruire un curriculum formativo in funzione delle competenze che l’insegnante dovrà possedere; inoltre, anziché configurare una

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equilibrata partnership tra Università e Scuola, viene sottratta a quest’ultima la presenza nell’iter formativo iniziale dei futuri insegnanti, mentre alle Università viene attribuito un ruolo sovraordinato per la formazione in servizio degli stessi.

Al contempo, aumentano ulteriormente gli elementi di incertezza relativi al nesso tra formazione e reclutamento, che invece appare sempre ben in rilievo nella normativa degli altri stati europei.

C. La distribuzione dei crediti nella laurea specialistica per l’insegnamento: una proposta operativa

Ferme restando tutte le perplessità enunciate in riferimento alla nebulosità ed alle contraddizioni interne dell’art.5 della Legge 53, nonché le differenti opinioni registrate sul merito nel corso del dibattito da essa suscitato, si pone ora l’esigenza di trovare, almeno all’interno della componente universitaria, una via di uscita che non pregiudichi la qualità del curriculum formativo dei futuri docenti e costituisca una proposta soddisfacente in merito alla stesura dei decreti delegati.

Alcuni autorevoli consessi, quali la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Lettere e quella dei Presidi delle Facoltà di Scienze, nonché la Conferenza dei Direttori delle SSIS, hanno già presentato documenti ufficiali con osservazioni e propo- ste nel quadro della legge delega approvata dal Parlamento, sia pure con taglio e posizioni nettamente differenziate.

Le considerazioni che seguiranno e l’ipotesi illustrata vogliono rappresentare un contributo ad una discussione che possa consentire una soluzione ragionevole per le diverse componenti universitarie interessate al problema, senza che la ricerca di un consenso generalizzato si traduca in una perdita di significato del valore professionalizzante della laurea specialistica introdotta dalla Legge 53.

Considerazioni di carattere generale

1. A mio avviso, le considerazioni e le indicazioni riportate nei due articoli sulla Struttura di Ateneo e sui crediti e le interconnessioni pubblicati nel volume “ Università e formazione degli insegnanti: non si parte da zero” (4,5) restano tuttora valide nelle linee generali.

In particolare mi sembrano del tutto condivisibili la salvaguardia degli aspetti positivi maturati all’interno della esperienza quinquennale delle SSIS e le modalità di accesso al biennio specialistico riportate nell’articolo di Curti già citato.

2. I compiti attribuiti alla struttura di Ateneo o InterAteneo dall’articolo 5 della Legge 53 sono molteplici e di peso rilevante (a cominciare dalla gestione dei corsi di laurea specialistica, come indicato nel comma 1e); non mi pare funzionale, da un punto di vista gestionale e relazionale con le altre strutture coinvolte (Direzioni scolastiche regionali, scuole, organismi delle Regioni coinvolti con competenza primaria), ma anche da un punto di vista strettamente formativo (unitarietà del- l’ambiente di apprendimento, coordinamento didattico dei docenti, caratteristiche sistemiche della formazione) pensare a soluzioni di gestione segmentaria affidate a differenti strutture (Struttura di Ateneo e Facoltà).

3. Da questo punto di vista, i documenti presentati dalle Conferenze dei Presidi si differenziano nettamente.

Personalmente ritengo non condivisibile la collocazione all’interno delle Facoltà ipotizzata dal documento delle Facoltà di Lettere, così come la limitazione di compiti attribuita alla Struttura di Ateneo , nonché l’auspicio di realizzare la laurea specialistica abilitante come curricolo interno a classi di laurea specialistica già esistenti.

Mi pare anche che tale documento risenta della mancanza di una cornice complessiva che evidenzi il profilo professionale che si intende perseguire; le indicazioni in esso riportate sono riferite esclusivamente alla Scuola secondaria.

Nel documento dei Presidi delle Facoltà di Scienze, una serie di punti appaiono largamente condivisibili, quali:

o Il ruolo fondamentale della scuola in termini di diffusione della conoscenza scientifica;

o Il carattere di criticità associato alle conoscenze disciplinari;

o Il riferimento preciso alle competenze didattiche da acquisire (obiettivi di apprendimento, metodologie, laborato- ri didattici, misura degli apprendimenti);

o L’attenzione alle tecniche di comunicazione e di insegnamento delle discipline;

o La durata massima di 5 anni per il conseguimento dei 300 crediti nelle abilitazioni monodisciplinari o, in subordine, l’utilizzazione del periodo di tirocinio e formazione – lavoro per un eventuale completamento della preparazione didattica;

o L’impegno delle facoltà di Scienze alla attivazione nei propri corsi di studio del triennio di opportuni percorsi per gli studenti che intendano successivamente dedicarsi all’insegnamento;

o La presenza di attività di tirocinio nel biennio di formazione specialistica (come del resto già previsto anche nel rapporto iniziale del gruppo Bertagna);

o La disponibilità a contribuire alla costituzione della struttura di Ateneo per la gestione dei corsi di laurea specia- listica per l’insegnamento;

o Il riconoscimento, ai fini della carriera di insegnante, del conseguimento di una laurea specialistica disciplinare;

o La necessità di un curriculum formativo per gli insegnanti della scuola primaria e dell’infanzia con un numero sufficiente di crediti da destinare alla preparazione matematico – scientifica e linguistico – umanistica di base (rispetto a quanto previsto dalla attuale classe 18, ritenuto insufficiente).

Proposta operativa di distribuzione di CFU nella laurea specialistica per l’insegnamento (6)

La approvazione della Legge delega n.53, ed in particolare la formulazione dell’articolo 5, nonché le norme previste dal Regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei (D.M.n.509) non ostacolano la salvaguardia degli aspetti positivi deri- vanti dalla esperienza quinquennale delle SSIS.

Infatti è possibile ipotizzare una distribuzione dei Crediti formativi universitari (CFU) nella istituendo laurea specialistica per l’insegnamento che sia in linea con il D.M. 509 (per quanto concerne la tipologia dei crediti), senza stravolgere quella attualmente in opera nelle SSIS, con particolare riferimento alle quattro aree indicate nel D.M. del 26/05/98.

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IPOTESI DI DISTRIBUZIONE DEI CREDITI NELLA LAUREA SPECIALISTICA

NOTA – Criteri stabiliti dall’art.10, comma 2 del d.m. 3/11/99, n° 509

a, b, c = 10% a + b + c = 50%

d, e, f = 5% d + e + f = 20%

(l’art. 5 prevede esplicitamente la possibilità di deroga) La ipotesi presenta a mio avviso alcuni aspetti positivi:

o viene sostanzialmente salvaguardata l’indicazione, comune ai documenti delle Conferenze dei Presidi citate, di un monte di crediti di area trasversale non inferiore a 30 (i 24 attribuiti alla tipologia a , più i 6 crediti attinenti rispettiva- mente alle tipologie f1 e f2 ,anch’esse a carattere trasversale e già presenti in diverse SSIS;

o prevede un monte di 30 crediti da attribuire alla didattica disciplinare (come proposto dai Presidi di Scienze) ed altri 24 crediti per il completamento disciplinare; questi ultimi possono essere utilizzati, in ambito monodisciplinare, per i laboratori didattici, ma possono essere anche particolarmente utili nel caso di abilitazioni pluridisciplinari;

o vengono poi individuati (voce f3) , quali attività formative utili per il lavoro, 15 crediti da destinare ad attività di tirocinio interne al biennio di laurea specialistica: tale monte orario appare significativo e trova la sua naturale conti- nuazione nel periodo di tirocinio assoggettato al contratto di formazione – lavoro post specialistico;

o la distribuzione dei crediti ipotizzata contravviene in una certa misura ai criteri stabiliti dall’art. 10, comma 2 del D.M.

3/11/99 n. 509 (ma la stessa legge n. 53 ne prevede espressamente la deroga), ma consente di salvaguardare un ammontare di CFU adeguato per le attività trasversali, per i laboratori didattici e per il tirocinio, tutti elementi essen- ziali per un curriculum formativo veramente professionalizzante.

A. Considerazioni finali

La recentissima divulgazione della bozza di decreto delegato sull’art. 5 della Legge 53 (stesura del 15/07/04), alimenta ancor di più la preoccupazione principale che emerge dall’analisi della situazione (7) , rappresentata dal significato da attribuire alla formazione professionale dei docenti: la sensazione che si ricava dalla analisi degli atti ministeriali e parla- mentari e dai documenti prodotti è che essa venga intesa come qualificazione specialistica in un dato ambito disciplina- re, piuttosto che come formazione alle pratiche professionali all’interno della organizzazione scolastica, come a mio avviso andrebbe correttamente interpretata.

La scelta poi operata nel dispositivo legislativo di far conseguire tale formazione attraverso una laurea specialistica, soppri- mendo le scuole di specializzazione universitarie già esistenti (peraltro senza procedere neppure ad una valutazione della loro attività) sembra confermare questo timore, aggravato dalla formulazione della bozza in questione, che apre la porta alla eliminazione di un ambiente unitario formativo e disattende completamente il nodo cruciale della unicità della futura strut- tura di gestione, a livello di ateneo o di interateneo.

Il recente scorporo dal biennio specialistico universitario della formazione iniziale per gli indirizzi artistico e musicale sottrae competenze e responsabilità al sistema universitario e trasferisce ad altri la valutazione finale professionalizzante

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del percorso formativo; è del tutto evidente, in termini di coerenza progettuale e di coordinamento gestionale, il danno creato da tale dicotomia.

Alla luce di quanto prospettato nella bozza, si prefigura una situazione del tutto ingovernabile, data la parcellizzazione del percorso formativo attraverso gestioni disciplinari separate, a livello di singole Facoltà, che configura il docente in forma- zione alla stregua di un solista disciplinare, piuttosto che come professionista formato per essere proficuamente inse- rito in una organizzazione complessa, quale quella scolastica.

E’ del tutto discutibile poi la collocazione del tirocinio, previsto in serie ed esterno rispetto al biennio specialistico univer- sitario. Questa scelta, motivata con considerazioni di carattere professionale, non tiene nel dovuto conto l’esigenza che il tirocinio mantenga un raccordo organico stretto con le aree disciplinari e metodologiche e segna una deprecabile inversione di tendenza rispetto alla creazione di una partnership tra le componenti universitaria e scolastica nella gestione della formazione degli insegnanti, perseguita con grande impegno dalle SSIS ed indispensabile per la qualità ed efficacia del percorso formativo.

Appare anche negativa la eccessiva durata che assume tale percorso: non meno di sette anni e quindi di durata superiore a quella indicata negli ordinamenti degli altri Paesi europei, a meno di rendere il periodo di tirocinio ancora più ridotto, svuotandolo conseguentemente di significato.

Dietro a questo aspetto si nasconde, a mio giudizio, la resistenza a concepire la formazione come un processo continuo, che accompagni ciascuno di noi per l’intera vita lavorativa: da qui la pervicacia del nostro sistema ad attribuire alla formazione iniziale un carattere di “tutta e subito”, laddove sarebbe molto più proficuo prevedere una gradualità processuale, ricono- scibile e gratificabile in itinere, all’interno dell’ambiente di lavoro.

Un cenno particolare merita poi il tentativo sistematicamente operato dal ministero per coinvolgere la Università in un meccanismo perverso di sanatorie tendenti ad una “soluzione finale” del problema sociale e politico costituito dai cosid- detti “diritti acquisiti” di un vasto arcipelago di precariato esistente all’interno del sistema scolastico.

La filosofia seguita dal Ministero e gli atti conseguenti denotano una grossolana tendenza alla omogeneizzazione, in termi- ni di punteggio e di reclutamento, di situazioni fortemente differenziate sia in base alla differente qualità del percorso formativo già svolto che in riferimento alla sua durata.

A conforto della mia valutazione negativa, ritengo giusto evidenziare che anche la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) ha espresso preoccupazioni e riserve, di natura funzionale ed organizzativa, in merito al sistema di formazione degli insegnanti prefigurato, tanto da creare al suo interno un apposito gruppo di lavoro per seguirne da vicino l’iter parlamentare e tentare di incidere sulla qualità del suo assetto definitivo.

Tenendo conto di ciò, mi pare assolutamente necessario che tutte le componenti universitarie davvero interessate al proble- ma della formazione degli insegnanti operino un serio tentativo di arrivare in tempi molto brevi alla formulazione di una proposta univoca, ma non incoerente, da concordare con la CRUI, in modo che tale organismo possa farsene portavoce con tutto il peso della propria autorevolezza.

Non va infatti dimenticato l’iter che la bozza di decreto deve ancora compiere: una prima approvazione da parte del Consi- glio dei Ministri, il parere obbligatorio delle commissioni parlamentari competenti e quello della Conferenza Stato – Regio- ni, infine l’approvazione definitiva del Consiglio dei Ministri: un iter dunque di alcuni mesi.

Da questo punto di vista, si devono anche registrare le prime reazioni negative ufficiali da parte del sistema scolastico nel suo complesso (associazioni di insegnanti, sindacati del settore, istituzioni scolastiche..) sulla bozza di decreto delegato, contrarie soprattutto sulle modifiche del meccanismo di reclutamento ipotizzato dal decreto, che prefigura chiamate dirette dei docenti al posto dell’attuale meccanismo a graduatoria.

Infine, mi pare del tutto evidente che il nodo decisivo rappresentato dai compiti attribuiti alla struttura di ateneo prevista dall’art. 5 della Legge 53 (2) venga avviato a soluzione nel modo peggiore: essa infatti viene prefigurata in termini di struttura di servizio, invece che in termini di una struttura rappresentativa di tutte le componenti coinvolte al processo di formazione (compresa la componente scolastica) che punti a salvaguardare la organicità della formazione stessa, l’unitarietà del processo formativo ed una interazione tra le diverse componenti finalizzata a garantirne la qualità, nel rispetto di tutte le competenze coinvolte. Con la scelta indicata nella bozza di decreto ci si avvierebbe invece verso una irreversibile rinuncia a qualsiasi percorso di formazione integrata dei futuri insegnanti.

Riferimenti bibliografici

1. Sergio Torrazza - “Le scuole di specializzazione per la formazione degli insegnanti: luci ed ombre”, Atti del Seminario nazionale di Didattica dell’Astronomia, Cagliari, gennaio 2001

2. Luca Curti - “Esperienze da confermare, novità da promuovere”, Atti del Convegno nazionale sulla formazione degli insegnanti , Messina, aprile 2004, in stampa

3. Giunio Luzzatto - “Formazione iniziale: riforme fatte, riforme da fare”, Rassegna dell’Istituto Pedagogico di Bolzano, aprile 2003

4. Sergio Torrazza - “La struttura di Ateneo per la formazione degli insegnanti”, in “Università e formazione degli insegnanti:non si parte da zero”, Forum, Editrice Universitaria Udinese, giugno 2002

5. Luca Curti - “Una struttura didattica per la formazione all’insegnamento: i crediti, le interconnessioni”, in “Università e formazione degli insegnanti:non si parte da zero”, Forum, Editrice Universitaria Udinese, giugno 2002

6. Sergio Torrazza - “Ipotesi di distribuzione dei crediti nella laurea specialistica per l’insegnamento” , Atti del Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana, Torino, giugno 2003

7. Sergio Torrazza - “ La formazione degli insegnanti: prospettive future”, Atti del seminario “Formazione ed aggiorna- mento dell’insegnante di Italiano”, Dipartimento di Italianistica, Firenze, novembre 2002, in stampa

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