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TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Sezione Lavoro

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N. 2429/2019 R.G.

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Sezione Lavoro

Il Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva assunta in data 17.2.2021, in merito al ricorso ex art. 1, co. 48 e ss. l. n. 92/2012 proposto dal lavoratore Borgianni David contro la società ex datrice Pam Panorama S.p.a. (d’ora in poi anche solo “Pam”), osserva quanto segue.

Nel presente giudizio Borgianni David ha impugnato il licenziamento intimatogli dall’odierna convenuta con lettera del 22.5.2019 (all. 8 fasc. ric.), recante la seguente motivazione: “Con la presente le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro in corso con PAM Panorama s.p.a.. Il motivo del licenziamento è costituito dalla circostanza che Lei ha superato il periodo di comporto per infortunio, stabilito in 180 giorni in un anno solare dagli artt. 175 e 177 CCNL della Distribuzione Moderna Organizzata. Infatti Lei è rimasto assente per infortunio: nel precedente anno 2018: 9 giorni a maggio; 5 giorni a giugno; 31 giorni a luglio; 31 giorni ad agosto; nel corrente anno 2019: 8 giorni a gennaio; 28 giorni a febbraio; 31 giorni a marzo; 30 giorni ad aprile e l’assenza perdura a tutt’oggi. Alla luce di tutto quanto precede, in assenza di espressa e preventiva richiesta di aspettativa ex art. 182 del citato CCNL, visto anche l’art. 2110, 2° comma, del codice civile ed i citati artt. 175 e 177 del CCNL, Le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro con effetto immediato, con corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso”.

A fondamento dell’impugnazione proposta, il ricorrente ha dedotto di essere affetto da malattia professionale riconosciuta dall’I.N.A.I.L. come “M. da sovraccarico biomeccanico rachide L/S”, con grado di invalidità del 6% (all. 10 fasc. ric.) e da ulteriore menomazione causata da infortunio sul lavoro, con danno complessivo accertato nella misura del 7% (all. 11 fasc. ric.), e di aver subito un infortunio sul lavoro in data 30.4.2018, altro infortunio sul lavoro in data 28.6.2018 e un infortunio in itinere in data 23.1.2019.

Ha asserito, quindi, che tali eventi infortunistici sarebbero tutti da imputare alla responsabilità del datore di lavoro, e che, di conseguenza, le relative assenze dal lavoro non sarebbero computabili ai fini del comporto, poiché sarebbero state causate da gravi violazioni da parte della società datrice delle norme in materia di tutela della salute fisica e psichica del lavoratore e di obbligo di adibizione del medesimo a mansioni proprie della qualifica posseduta.

In particolare, infatti, il lavoratore ha eccepito che, benché nella lettera di trasferimento del 15.11.2017 (all. 4 fasc. ric.) il datore di lavoro gli avesse comunicato che “dal giorno 2 gennaio 2018 Lei sarà trasferito presso l’ipermercato Panorama di Pontedera, dove continuerà a svolgere la mansione di caporeparto scatolame”, in realtà, egli sarebbe stato illegittimamente impiegato, peraltro già da epoca antecedente al trasferimento, in mansioni di addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita (v. all.ti 5 e 7 fasc. ric.), mansioni che il C.C.N.L. prevede specificamente per i lavoratori del 5° livello, e cioè di tre livelli inferiori a quello posseduto dal ricorrente, e ciò, sia, in spregio all’art. 2103 c.c., sia, in violazione dell’art. 2087 c.c.

Sotto tale ultimo profilo, Borgianni ha allegato, infatti, che tali mansioni consistevano nel rifornimento quotidiano della merce nel reparto assegnato, con prelievo dal magazzino e collocazione negli scaffali e comportavano continuo sollevamento e trasporto manuale di pesi di notevole entità, anche superiori a 30 kg., che una o due volte a settimana doveva provvedere alla chiusura del negozio, in occasione della quale poco prima della chiusura delle vendite, doveva togliere la verdura in foglie esposta in area vendita e collocarla nelle casse verdi, che doveva accatastare su un pancale e poi trasportare nella cella frigorifera del reparto, con conseguente violazione delle limitazioni accertate nella visita di idoneità del medico competente del 5.9.2018 (all. 7 fasc. ric.), che formulava il seguente giudizio: “Idoneo. Limitare la movimentazione manuale di carichi pesanti ed impiegare in mansioni con limite sollevamento <1. Evitare ambienti con microclima freddo umido”.

Il ricorrente ha, quindi, chiesto al Tribunale adito, in applicazione dell’art. 18, co. 7 l. n. 300/1970, di dichiarare la nullità del licenziamento intimatogli, ordinando la sua reintegrazione nel posto di lavoro, e condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura di 12 mensilità di retribuzione globale di fatto, nella misura mensile di € 3.456,94, come da conteggio in atti (all. 61 fasc. ric.), nonché alla regolarizzazione della posizione assicurativa e contributiva.

La società convenuta si è ritualmente costituita in giudizio contestando tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito e, in tesi, chiedendo il rigetto del ricorso, in ipotesi e salvo gravame, nella denegata e non creduta ipotesi in cui ritenesse illegittimo il licenziamento comminato al ricorrente, di considerare in sede di quantificazione del risarcimento del danno l’aliunde perceptum e come retribuzione globale di fatto la somma mensile di € 2.959,35.

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Il giudicante, all’esito del compimento degli atti istruttori indispensabili, ritiene, sia pure nei limiti della sommarietà della cognizione propria della presente fase, che la domanda proposta sia fondata nei termini di seguito esposti e che, pertanto, in detti termini debba trovare accoglimento.

Assume, in primo luogo, il ricorrente che l’infortunio del 30.4.2018 ebbe a verificarsi proprio nel corso dello svolgimento di mansioni di addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita. Più specificamente, egli asserisce in giudizio che nella tarda mattinata era impegnato, su ordine del direttore Gerardo Maria Toscano, nella realizzazione, nell’area 1 del negozio, reparto profumeria, di un’isola di espositori, e che, nel movimentare, con un muletto, il bancale (o pallet) che conteneva gli espositori, al cui interno era già contenuta la merce da esporre, del peso di oltre 100 Kg. per ciascun espositore, uno dei colli trasportati, o a causa dell’errata collocazione sul muletto, o a causa di un’errata manovra del muletto, perse l’equilibrio e stava per rovinare addosso al ricorrente, che nel tentativo di trattenerlo in equilibrio subì un trauma contusivo distorsivo del 4° dito della mano sinistra.

Innanzitutto, deve rilevarsi che la dinamica del sinistro riferita dal ricorrente, peraltro non specificamente contestata dall’azienda all’atto di costituirsi in giudizio, ha, comunque, trovato conferma nella deposizione del teste Gerardo Maria Toscano (direttore del punto vendita di Pontedera da febbraio 2018 a maggio 2020), il quale ha riferito che Lucia Bellagamba, capo reparto casse, il giorno dei fatti gli telefonò attorno alle ore 13.30/13.40 per comunicargli che Borgianni si era fatto male sul luogo e nell’orario di lavoro movimentando degli espositori.

Ciò posto, ritiene il giudicante che la deposizione del teste Traversa Vito, dipendente della convenuta dal 2003, con mansioni, fino alla fine di ottobre 2019, di capo reparto scatolame e food presso il punto vendita di Pontedera, rispetto al quale non sono emersi elementi che ne inficino l’attendibilità e la credibilità, abbia comprovato come fosse in prevalenza il ricorrente ad occuparsi di rifornire quotidianamente il reparto profumeria, e come fosse rimessa alla sua discrezionalità la valutazione in ordine alla necessità/opportunità, alla luce del giudizio di idoneità con prescrizioni ricevuto, di farsi aiutare dal collaboratore di reparto Massimo Bracaloni (3° livello), addetto anche ai corridoi dei detersivi e della carta.

In particolare, Traversa ha riferito che Borgianni (oppure, comunque sempre su richiesta del ricorrente, lo stesso Bracaloni o altro ragazzo del reparto o un collega di pari livello del ricorrente) movimentava la merce dal magazzino al reparto e/o all’interno del reparto utilizzando un transpallet meccanico o elettrico, per poi collocare manualmente la merce sugli scaffali prelevando il collo dal roll o dalla pedana posizionati sul muletto.

Ancora, il teste Traversa ha confermato che Borgianni era inserito, allo stesso modo di tutti gli altri capi reparto, in un calendario di regia in base al quale, quando era incaricato del turno della chiusura, doveva, di regola, fra l’altro, sollevare manualmente dai banchi, sui quali erano esposte, le cassette della verdura in foglia e posizionarle sulla pedana, la quale poi, sempre tramite transpallet meccanico o elettrico, veniva portata all’interno della cella frigorifera.

Pertanto, a parere del giudicante, deve, in primo luogo, ritenersi provato che, in violazione dell’art. 2103 c.c., Borgianni, formalmente inquadrato al 2° livello del C.C.N.L. di settore (all.ti 2-3 fasc. ric.), con qualifica di caporeparto scatolame, presso il punto vendita di Pontedera sia stato in realtà ordinariamente adibito a mansioni concretamente riconducibili a quelle proprie dell’addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita, che il C.C.N.L. di settore inquadra al 5° livello, circostanza che, per quanto rilevar possa, trova perfino un riscontro documentale nei certificati del medico competente (all.ti 5 e 7 fasc. ric.), nei quali Borgianni è espressamente qualificato come “addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita”, qualifica, deve evincersi, rispetto alla quale è stato espresso il parere di idoneità succitato.

Come risulta per tabulas dalla relativa declaratoria contrattuale (v. art. 100 C.C.N.L. sub doc. 3 fasc. ric.), infatti, i lavoratori inquadrati al 2° livello devono essere adibiti a mansioni di concetto, per lo svolgimento di compiti operativamente autonomi e/o con funzioni di coordinamento e controllo, laddove, invece, l’addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita nelle aziende ad integrale libero servizio (grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati ed esercizi similari), come la convenuta, provvede all'esercizio promiscuo delle funzioni di incasso e relativa registrazione, di preparazione delle confezioni, di prezzatura, di marcatura, di segnalazione dello scoperto dei banchi, di rifornimento degli stessi, di movimentazione fisica delle merci.

Rispetto al sinistro del 30.4.2018, dunque, ribadito che è da ritenersi provata la illecita abituale adibizione di Borgianni a mansioni - inferiori a quelle della qualifica di appartenenza - di rifornimento banchi e movimentazione fisica merci, e considerato che Traversa ha confermato che gli espositori pesanti venivano movimentati, ai fini dell’allestimento delle aree promozionali (compito pacificamente rientrante nelle mansioni degli addetti alle operazioni ausiliarie alla vendita), a mezzo di transpallet meccanico o elettrico, così come fatto da Borgianni in occasione dell’infortunio de quo, risulta del tutto smentita la tesi dell’azienda

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secondo cui il ricorrente si sarebbe determinato di propria spontanea volontà e contravvenendo alle disposizioni datoriali all’implementazione della merce nell’area vendita.

Precisato, dunque, che non è in contestazione fra le parti la dipendenza dal sinistro del 30.4.2018 dell’assenza del ricorrente protrattasi fino al 2 giugno 2018 (all.ti 29-31 fasc. ric.), ritenendosi che l’infortunio de quo sia avvenuto nello svolgimento delle mansioni cui la convenuta ha illegittimamente adibito il ricorrente e che, pertanto, esso sia da imputare alla condotta antigiuridica del datore di lavoro che ne ha costituito l’occasione, la conseguente assenza dal servizio per malattia non è computabile ai fini dell’addotto superamento del periodo di comporto fissato dalla disciplina collettiva nazionale di settore (v., fra le tante, Cass. n. 2527/2020).

Venendo a trattare del successivo infortunio del 28.6.2018, deve premettersi che sempre il teste Traversa ha, altresì, dichiarato che il summenzionato Toscano aveva disposto in svariate riunioni che Borgianni aveva l’obbligo di non effettuare nessuna operazione che andasse oltre la sua limitazione, ossia che gli creasse danno in relazione alla sua limitazione, dovendo in tali casi astenersi dal compierla o chiedere aiuto.

La testimonianza di Traversa comprova, dunque, come la società ex datrice convenuta abbia illegittimamente rimesso alla discrezionale valutazione dello stesso lavoratore il giudizio in ordine alla concreta compatibilità con la limitazione prescrittagli, di ogni singola operazione da svolgere nell’ambito delle mansioni affidategli (lo si rammenta, di contenuto professionale inferiore al suo livello di inquadramento), e, quindi, la concreta scelta in ordine al se eseguire da solo un determinato compito o rinunciarvi o chiedere aiuto a colleghi, comunque, già assegnatari di loro mansioni da espletare.

Ancora, Traversa ha affermato che il medesimo Toscano, nelle circostanze predette, aveva disposto che Borgianni poteva effettuare il caricamento manuale degli scaffali, purché rispettasse la prescrizione di non sollevare più di 1 Kg.

Anche in questo caso, dunque, deve rilevarsi, da un lato, come la prescrizione impartita dal medico competente fosse di impiegare Borgianni in mansioni con limite sollevamento < 1 e non di non sollevare carichi di peso maggiore di 1 Kg.; dall’altro, come, di nuovo, l’azienda abbia illegittimamente demandato allo stesso lavoratore la concreta verifica della conformità delle operazioni di sollevamento, cui era abitualmente chiamato (v. testimonianza Traversa supra richiamata), con la prescrizione impartitagli, senza che, però, fra l’altro, sia dato comprendere come Borgianni potesse per ogni oggetto o collo da sollevare concretamente accertare se fosse o meno rispettato il limite sollevamento < 1.

Non attendibile e non credibile, a parere del giudicante, è, dunque, la deposizione del teste Toscano, a detta del quale egli avrebbe esentato Borgianni dalla movimentazione di qualunque collo, e ciò in ragione della difformità delle sue dichiarazioni dalla deposizione del teste (indifferente) Traversa, valutata alla luce del suo evidente interesse a fornire una versione dei fatti che lo esoneri da qualunque possibile responsabilità in relazione alla vicenda di causa.

A giudizio del Tribunale, deve, dunque, ritenersi che il sinistro occorso al ricorrente sul luogo e in orario di lavoro in data 28.6.2018, allorquando, nel mentre scaricava dal roll alcuni scatoloni di piatti di plastica, lo stesso avvertì dolore al rachide cervicale e lombare, sia da imputare alla responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Premesso, infatti, che anche in questo caso la resistente all’atto di costituirsi in giudizio non ha specificamente contestato la dinamica del sinistro e che, comunque, il summenzionato Toscano ha confermato di aver ricevuto il giorno dei fatti una telefonata nella quale lo si avvertiva che Borgianni si era fatto male prendendo un cartone di bicchieri di plastica (irrilevante ai fini del decidere è che si trattasse di piatti o bicchieri, così come irrilevante è il fatto che la merce non appartenesse al reparto profumeria), il datore di lavoro risulta aver violato l’art. 2087 c.c. per aver ordinariamente adibito il lavoratore al rifornimento banchi e alla movimentazione fisica merci senza adottare misure organizzative idonee a garantire che le mansioni in concreto affidate al ricorrente (comunque già di per sé contrarie al divieto di cui all’art. 2103 c.c.) rispettassero il limite sollevamento < 1, avendo, viceversa, demandato allo stesso lavoratore la quotidiana valutazione su quali azioni fossero o meno consentite dalle sue condizioni fisiche.

Ad abundantiam, si rileva che l’azienda, mentre ha prodotto sub doc. 2 lettera di contestazione disciplinare del 18.4.2016, giustificazioni scritte del ricorrente e provvedimento disciplinare adottato per aver il Borgianni, presso il punto vendita di Barberino, movimentato un bancale di birra in violazione della prescrizione del 18.3.2016 e senza delegare tale attività ai suoi collaboratori, non ha allegato né documentato l’adozione di alcuna contestazione né sanzione disciplinare in relazione alle condotte poste in essere da Borgianni in occasione dei due infortuni sin qui esaminati.

Precisato, dunque, che non è in contestazione fra le parti l’imputabilità, sotto il profilo del nesso causale, al sinistro del 28.6.2018 dell’assenza del ricorrente protrattasi fino al 31 agosto 2018 (all.ti 37-41 fasc. ric.), alla luce della ritenuta sussistenza della responsabilità datoriale rispetto al verificarsi di detto infortunio, la

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conseguente assenza dal servizio per malattia non è computabile ai fini del calcolo del superamento del periodo di comporto stabilito dal C.C.N.L. di settore (v., fra le tante, Cass. n. 2527/2020).

Quanto, invece, all’infortunio in itinere del 23.1.2019, la carenza di qualunque specifica allegazione in ordine alla dinamica del sinistro stradale, alle condizioni del fondo stradale, allo stato di manutenzione dell’autovettura, alle condizioni di visibilità etc., preclude già al giudicante qualunque possibile accertamento in ordine alla eventuale sussistenza del nesso di causalità fra detto incidente e il lamentato fatto che il datore di lavoro imponesse “costantemente, e anche nel giorno in questione, allo stesso lavoratore di osservare un orario di lavoro, dalle 7.00 alle 11.00 e dalle 16.00 alle 20.00, gravosissimo anche a causa della stagione invernale in corso, della distanza tra il luogo del domicilio del lavoratore e quello di lavoro, che rendeva indispensabile l’utilizzo del mezzo di trasporto privato.”, risultando assorbita, di conseguenza, ogni valutazione sulla effettiva sussistenza della dedotta condotta datoriale e, nel caso, sulla sua eccepita illiceità.

Pertanto, la ritenuta illegittimità dell’inclusione nel computo dei giorni di assenza, ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto, dei periodi di assenza per malattia seguiti agli infortuni del 30.4.2018 e/o del 28.6.2018, determina la nullità del licenziamento intimato al ricorrente per l’insussistenza del superamento del periodo di comporto stabilito in 180 giorni in un anno solare dagli artt. 175 e 177 C.C.N.L. della Distribuzione Moderna Organizzata. Come è noto, infatti, il superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso dal rapporto di lavoro distinta da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o di giustificato motivo. Il mero protrarsi di assenze oltre un determinato limite stabilito dalla contrattazione collettiva – o, in difetto, dagli usi o secondo equità – di per sé non costituisce inadempimento alcuno, trattandosi di assenze pur sempre giustificate. Ne deriva che laddove il licenziamento sia stato intimato prima ancora che il periodo di comporto sia effettivamente scaduto è nullo per violazione dell’art. 2110 cod. civ., da considerarsi norma imperativa e quindi inderogabile dal contratto collettivo o da quello individuale.

Pacifico tra le parti il requisito dimensionale necessario per l’applicazione dell’art. 18 l. n. 300/70, l’art. 18, co. 7 l. n. 300/70, dispone che “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti … che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile” (art. 18, co. 7 l. n. 300/70).

E, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, co. 4 l. n. 300/70, “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. …”.

Quanto all’aliunde perceptum, premesso che il ricorrente ha documentato di essere in stato di disoccupazione dal 22.5.2019, data del licenziamento oggetto di causa, che ha dato la propria disponibilità in data 4.6.2019 allo svolgimento e alla ricerca di una attività lavorativa e che, in tale ambito, ha svolto colloqui di prima informazione e orientamento dal 4.6.2019 al 18.6.2019, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (v., fra le tante, Cass. n. 11989 del 16.05.2018), l'indennità di disoccupazione non è detraibile come aliunde perceptum dal risarcimento riconosciuto al dipendente illegittimamente licenziato, posto che la stessa difetta del requisito della definitività, consentendo all’Istituto previdenziale di ripetere tutte le somme corrisposte al lavoratore.

Per quanto concerne, infine, l’ammontare dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante al ricorrente, ritiene il Tribunale che essa debba essere quantificata in € 2.959,35, parendo corretto escludere da essa i ratei mensili delle ferie e dei permessi non goduti (€ 293,17) e dell’accantonamento del T.F.R. (€ 204,41), atteso

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che presupposto della esigibilità di tali voci di credito è l’estinzione del rapporto, non sussistente nel caso di specie in ragione della declaratoria di nullità del licenziamento e del conseguente ordine di reintegra.

Il regolamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue il criterio legale della soccombenza di parte convenuta.

P.Q.M.

1. accerta e dichiara la nullità, per violazione dell’art. 2110, co. 2 c.c., del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato dalla società convenuta al ricorrente in data 22.5.2019;

2. per l’effetto, ex art. 18, co. 4 e 7 l. n. 300/70, condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento in suo favore di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, ammontante alla somma lorda di € 2.959,35 mensili, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione; fermo restando che, in ogni caso, la misura dell'indennità risarcitoria, spettante per il periodo dal licenziamento alla presente pronuncia di reintegrazione, non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;

3. per l’effetto, ex art. 18, co. 4 e 7 l. n. 300/70, condanna, altresì, il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione;

4. condanna il datore di lavoro a rifondere al ricorrente le spese di lite che, ex D.M. n. 55/14 e n. 37/18, liquida in complessivi € 4.766,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A.

come per legge, da distrarsi in favore del difensore del ricorrente dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c.

Si comunichi.

Firenze, 28 febbraio 2021 Il Giudice del Lavoro Carlotta Consani

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