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Anna Maroni 1. I Rettiliani

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Academic year: 2022

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Anna Maroni1

I Rettiliani

Nostra Signora degli insonni, custodisci queste vene che furono marea, voce spartita in assemblea e inchiostro, polvere di una gioia colpita ad altezza d’uomo, mentre la sostanza attraversa oscuramente la camicia, muove il parabrezza, scatena la magia di un'altra età.

Milo De Angelis

È una rettiliana. Non ci sono dubbi.

Nel vestitino di voile stanco, a stampe floreali minute e confuse, solleva i polsi, ruota i palmi, lancia verso l’alto pollice e indice che stringono, a destra, il programma di filosofia, a sinistra, quello di storia.

«Io vedo qua, dunque. Sì, qui è scritto».

I fogli si posano. E le punte delle dita cominciano una simmetrica danza lenta, scandita dal silenzio, sul piano prospiciente.

Il candidato prende tempo: ripete i termini della domanda con l’intonazione mutata, adesso è, per così dire, assertiva. Ma manca la fine del periodo, resta nel vago.

«Ma avete trattato di questo, vero? C’è nel vostro programma di storia!».

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Il discorso dall’altra parte gira un po’ su se stesso. Procede per qualche tempo. Si blocca in sospensione.

«No. Non ci siamo, non va bene. Suona bene – è una stoccata al collega di Arte, non rettiliano, che poco prima aveva invocato la possibilità di una solare libertà di espressione dei giovani, senza argini troppo marcati, ma ampia e viva come le rive del mare nostrum –, suona bene, ma non ci siamo per nulla».

Un’altra vittima, ora.

«E, dunque, l’avete fatto? ».

«Ma… Non proprio… ».

«No? Non l’avete fatto? … no! Non l’avete fatto! Ma è gravissimo! È, davvero, gravissimo!».

Un altro seduto al cospetto.

Sta parlando. Risponde. Articola frasi.

«Finito? Anche questa ricostruzione non è esatta».

Penso a quale tema natale possa avere. A una Vergine resa isterica da qualche transito. Un Mercurio in sofferenza. Un Marte in opposizione.

Rettiliana, comunque, lo rimane.

Predica l’obiettività. Si aggrappa disperata a una gabbia di certezze, che la filosofia contemporanea le fa crollare addosso – ma lei la ignora, la confonde con la molteplicità interpretativa dei sofisti e dichiara entusiasta: “Ma Socrate! c’è stato Socrate!”.

Va a casa con il collega di matematica. O meglio, lo accompagna al treno.

Anche lui, rettiliano.

(3)

Entro nell’aula della commissione accanto. Porto timbro e ceralacca. La presidente, ridente tagliatellosa, trionfante al pc e sta dicendo: «Eh, dai! Vi siete già sparati due 100 … !». Uovo sorridente.

Esco e penso: noi ce ne siamo fottuti almeno tre. Di 100. Ma si sa, i rettiliani.

Quando ti imbatti nelle loro vocine, sottiline e sibilantine, non c’è gioco. Solo solitudini da era glaciale - il ritorno dello pterodattilo blu -. Alternanze a squarci sporisiaci. Non c’è rimedio. Il cortisone, peraltro, funziona sul momento. Poi, il trauma riemerge.

Il rettile di mate è grigio. Chiaro. Ha occhi azzurrati. Risiede in una circonferenza di cono iscritto in un cilindro. Le dita tonde sorreggono a mezz’aria gli occhiali.

«No. No. Qui cosa manca?».

«No. No. Non è così» scuote la testa. Desolato.

«Mah! devo dire … non sapeva di che cosa si parlasse … Il vuoto totale»

commenta, poi, in assenza del candidato. La testa sempre scossa. La voce bassa.

Un sussurro da confessione. E la fede di Coulomb è sacra.

Il rettiliano fisicomatematico ha un clone. Il presidente. Quadratura mattonica. Sguardo indagatore. A lui non la si fa. Certo.

Per il latino ha il mito della pagina intonsa.

Dopo un’interrogazione, peraltro, buona, ha carpito il libro del candidato, se ne è andato alla finestra: sfogliava le pagine in controluce, verso il cielo.

Sfingico, al ritorno.

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Ho fatto scrivere uno schema metrico più semplice del mondo, il candidato ne ha dimostrato l’applicazione su un verso virgiliano – programma di quarta, incipe, parve puer, risu cognoscere matrem –. La sfinge, silente.

A fine giornata, fra l’altro, le sfingi elaborano un guscio ventoso e perdono lo sguardo alla ricerca di orizzonti non detti. E vani.

Non salutano, insomma.

Gli scritti.

La correzione degli scritti è collegiale. Sì. Certo.

La correzione dello scritto di italiano “è”, di fatto, collegiale. Di solito, il

collega di storia/filo, in quel mentre, non ha niente da fare e, allora, ecco, pronta la sottocommissione umanistica! Se qualche altro ha tempo, ecco, perché non dire la propria su un testo scritto giustappunto in italiano – no? – e questo lo capiscono e anche parlano ben tutti – no? –.

Risultati:

1. «Ma guarda! Ma questo ragazzo l’avete proprio sottovalutato! Ma com’è possibile?».

2. «Ma no! Proprio no! Ma questo ha sbagliato tutto! Ma cosa vuol dire? Non si capisce proprio! No! Ha sbagliato tema! E’ fuori tema!».

Di cui, il caso 1. è applicabile a studente cui è mancato poco, nell’arco della carriera scolastica, di ricorrere alla minaccia a mano armata a fine di estorsione nei confronti del docente; il caso 2. ad alunno degnissimo, intelligente, amante della lettura, con buona propensione alla scrittura.

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Naturalmente, secondo perfetto criterio uguale e contrario, matematica è corretta dal docente di matematica. Scienze da scienze. Storia o filo da storia o filo. Storia dell’arte da storia dell’arte. Inglese da inglese.

Poi, ovvio, a posteriori le firme si fanno onnipresenti.

Scienze. Scienze è similrettiliana. Ma, va detto, nel corso dell’Esame di Stato, ha subito una ben augurante metamorfosi. In cespuglio al vento/schiuma di moscato saltellante.

«E, dimmi, ma tu, quando guardi la luna, cosa pensi?».

Il giovane/la giovane è appena un poco interdetto/-a. Le domande precedenti erano incalzanti, questo rigurgito poetico l’ha bloccato/-a.

«Va bene, va bene. Passiamo alle rocce effusive, allora. E ai moti della terra».

«Ma l’altra classe … quelli dell’altra classe erano molto più precisi!». Ma era prima dell’avvenuta metamorfosi. Una volta dissuasa a fronte di riscontro esibito, ha abbandonato il giro di boa del paragone di plastica e anche il dogma degli assenti colleghi (di materia) che hanno sempre torto.

Bella, invece, e splendente è la ceralacca.

Fugace. Provocante. Stilosa. Reticolare. Sapiente. Luminosa. Sciolto sorriso di ciliegia. Occhi di fragola. Anche lamponosa. Sentieri bui di mirtillo. Trasparenze al fondente.

Si scioglie lenta. Come una principessa russa.

Si ferma in stiletti d’aria e di papavero.

Ritorna presto ai suoi arcani.

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Un altro tempo è andato.

p.s.

Quasi dimenticavo! A tratti, spuntano i “La Normativa dice”. Rettiliani e non.

Non sanno e non vogliono decidere. Anelano all’anonima gabbia

strutturante. Al percorso ferrato. Che garantisce. Protegge. Ogni Insipienza – ma non della Normativa, eh! –, ogni indeterminazione. Arroccati, consolati. Nel loro guscio d’etica finta e asfittica.

Antigone è, davvero, lontana. E la radice luminosa delle sue leggi senza parole è scivolata fuori dal piano armato dell’universo euclideo – mai, davvero, morto –.

«Mio Dio, questo so: il mio colesterolo è alto!» certificato, a norma d’interpretazione.

Nessun dubbio. È Ufficiale.

Che, poi, il livello/il limen/il criterio di ciò che è “fuori” legge e “dentro” legge sia definito da pura opinabilità non li sfiora.

Che la legge, per determinarsi, viva/si nutra, indispensabilmente, proprio di ciò che chiama “fuori” da se stessa non è cosa a loro nota.

Che la statistica costruisca la realtà e non viceversa non fa parte del loro bagaglio pensante - o troppo pesante? -.

Sono gli - altrimenti detti - “poche idee, ma chiare”. Si specchiano con soddisfazione nelle quattro gambe dei loro tavoli da cucina o nelle travi che garantiscono che il loro tetto è dritto.

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Indiscutibili. E satolli.

E violenti. Guardali leccarsi i baffi di nascosto, ma neanche molto, con i loro occhietti a capocchia di spillo, contenti perché anche loro sono forti. Oh, sì.

Incredibilmente, forti. Hanno unghie. Eccome.

… la faccia anonima, che rimanda lo specchio del bagno al mattino? No. No.

Solo un errore d’interpretazione, uno strascico di sonno. Loro, loro sono ben altro!

… o … no?

Si muore chiusi in barattoli di vetro. Deformante.

Ah! Ma non lo sapevo!

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Riferimenti

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