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Servizio Emergenze Ambientali in Mare Servizio Misure Radiometriche

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Academic year: 2022

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Servizio Misure Radiometriche

LINEE GUIDA E CAUTELE AMBIENTALI PER LA RIMOZIONE DI ROTTAMI METALLICI DAI

FONDALI PROSSIMI AL POLIGONO SPERIMENTALE E DI ADDESTRAMENTO

INTERFORZE SALTO DI QUIRRA (PISQ)

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Autori:

ISPRA - Servizio Emergenze Ambientali in Mare:

Luigi Alcaro Ezio Amato

Pierpaolo Giordano Michela Mannozzi

ISPRA - Servizio Misure Radiometriche:

Giancarlo Torri Valeria Innocenzi Piera Innocenzi

Nota

L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le persone che agiscono per conto dell’Istituto non sono responsabili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in questo documento.

ISPRA - Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale Via Vitaliano Brancati, 48 – 00144 Roma

www.isprambiente.gov.it

Riproduzione autorizzata citando la fonte

Roma, luglio 2014

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INDICE

Premessa ... 4

Introduzione ... 5

Cautele Ambientali ... 6

Individuazione dei rottami sui fondali ... 9

Caratterizzazione dei bersagli individuati mediante operatori subacquei ... 12

Rimozione di rottami tramite operatori subacquei ... 13

Criteri per la rimozione ... 17

Indagini Radiometriche ... 21

Sedimenti: prelievo, trattamento e conservazione dei campioni ... 21

Indagine su praterie di Posidonia/biocenosi ... 22

Riferimenti citati nel testo ... 23

Allegato 1: ... 24

Nota sulla gestione dei materiali recuperati ... 24

Depositi temporanei dei rottami recuperati ... 24

Allegato 2: ... i

Buone pratiche per la minimizzazione delle conseguenze ambientali della deflagrazione di ordigni esplosivi in mare ... i

Premessa ... iii

Effetti negativi di esplosioni subacquee sugli ecosistemi marini ... v

Minimizzazione delle conseguenze ambientali di esplosioni provocate in mare .... ix

Letteratura citata ... xi

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Figura 1. Batimetria in prossimità dello scoglio di Murtas (Istituto Idrografico M.M., elaborazione di Raffaele Proietti, ISPRA)

PREMESSA

Il Servizio Emergenze Ambientali in Mare e il Servizio Misure Radiometriche dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) hanno elaborato queste linee guida in seguito alla partecipazione dell’Istituto alla Conferenza dei Servizi e conseguenti Tavoli Tecnici per la definizione di un programma avente oggetto il recupero dei “… materiali metallici derivanti, o meno, dalle attività svolte presso il poligono e depositatisi su una determinata area dei fondali marini circostanti l’isola di Quirra …”.

Le indicazioni e raccomandazioni espresse in queste linee guida sono basate su considerazioni derivanti da esperienze precedenti e su dati e informazioni rese disponibili in sede

di Conferenza dei Servizi e acquisite autonomamente in letteratura. Nelle intenzioni degli autori, l’applicazione di queste linee guida permette di minimizzare il disturbo agli ecosistemi marini che saranno interessati dalle attività di localizzazione, caratterizzazione e rimozione di rottami metallici di origine militare.

Figura 2. Aree di esercitazione in mare adiacenti alla Sardegna

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INTRODUZIONE

Il Distaccamento di Capo San Lorenzo, la “parte a mare” del Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze Salto di Quirra (PISQ), occupa una superficie di circa 1100 ettari e si estende lungo il tratto sud orientale della costa sarda. La baia di Capo San Lorenzo è caratterizzata dall’isola di Quirra (anche detto scoglio di Murtas) e il tratto di mare antistante alla costa include gli alti fondali del canyon sottomarino detto di San Lorenzo (Figure da 1 a 4).

Grazie anche alle attività condotte dai sommozzatori del Nucleo Aerosoccorritori dell’Aeronautica Militare, si è accertato che sui bassi fondali prossimi alla parte a mare del PISQ sono presenti rottami metallici derivanti dall’utilizzo di armamenti di diverso tipo, principalmente parti di missili, razzi, radiobersagli e resti di bombe d’aereo (CTE, 2011; Mannino

et al., 2014).

Il controllo dei rottami recuperati dagli operatori di detto Nucleo dai fondali delle aree denominate “Alfa” e “RDB” nel periodo estivo-autunnale 2013 ha escluso anomalie radiometriche (CISAM, 2014) ma per quanto a nostra conoscenza, non è possibile escludere che tra i rottami tuttora dispersi sul fondale ve ne siano di contaminati o contenenti elementi radioattivi1. Le conseguenze operative di questa constatazione comportano la necessità dell’intervento di un Esperto Qualificato che valuti l’opportunità di adottare misure di radioprotezione per gli operatori impiegati nel recupero.

Accertato che tra i residuati non vi siano ordigni esplosivi2 ed eventualmente stabilite le opportune misure per escludere gli operatori da rischi derivanti dall’esposizione a

1 Documento redatto dal 2° Reparto Manutenzione Missili di Padova (Padova, 11 febbraio 2013, Prot.

RMM2-020/011/A.04.01) allegato alla lettera inviata dall’A.M. – Comando Logistico - a ISPRA (Prot. ISPRA 010470, 10 Marzo 2014), in risposta alla nota ISPRA presentata nella CdS decisoria del 04/12/13.

2 A seguito della conduzione di apposita attività di ricerca e neutralizzazione.

Figura 3. Prossimità dello scoglio di Murtas

(stralcio cartografia geologica 1:50.000 Muravera CARG su Ortofoto PCN anno 2000 (elaborazione di Raffaele Proietti, ISPRA)

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sorgenti radioattive, in ottemperanza ai disposti delle autorità competenti si dovrà provvedere alla rimozione e allo smaltimento di detti rottami (vedi Allegato 1: "Nota sulla gestione dei materiali recuperati”).

Nel caso in cui gli accertamenti da condursi sui rottami rivelassero la possibilità che siano stati rilasciati in mare o nei sedimenti inquinanti e contaminanti persistenti, si procederà all’elaborazione e quindi all’implementazione di un piano di controllo su matrici ambientali volto alla ricerca di specifici inquinanti e/o contaminanti. Al pari, qualora venissero registrate delle anomalie radiologiche sui rottami, tenuto conto anche dei risultati dell’indagine radiometrica di screening sui sedimenti (vedi paragrafo Indagini radiometriche) si valuterà la opportunità di procedere ad un approfondimento delle indagini.

Si è pertanto ritenuto proficuo elaborare e rendere disponibili le linee guida qui illustrate, volte a informare sulle metodologie e tecniche più adeguate a localizzare, caratterizzare e rimuovere i rottami senza ulteriore pregiudizio per l’ambiente.

Nelle presenti linee guida si considera di operare entro i limiti di profondità dettati dalle capacità tecniche degli operatori subacquei da impiegarsi nelle attività di caratterizzazione e rimozione dei rottami, in aree di fondale già sgombre da ordigni esplosivi. Nel caso nel corso delle prospezioni se ne rinvengano, l’evento dovrà essere segnalato nel più breve tempo possibile alle Autorità Marittime competenti.

CAUTELE AMBIENTALI

Tra le emergenze naturalistiche che caratterizzano il piano infralitorale del tratto di mare prospiciente il PISQ, i posidonieti (la pianta marina Posidonia oceanica - Figura 4 - supporta una grande varietà di specie animali e vegetali che vivono sulle e tra le foglie e gli apparati radicali, i rizomi) ad esempio, ne occupano una superficie significativa e la conduzione delle attività di ricognizione, caratterizzazione e rimozione dei rottami sui fondali dove è presente questa pianta, necessita le particolari cautele qui indicate dove il caso ricorre.

In considerazione del fatto che i fondali antistanti alla parte a mare del PISQ ospitano anche ecosistemi e specie sottoposte a particolari vincoli di protezione (cfr. “Criteri per la rimozione”), le cautele da adottarsi nella conduzione delle attività di localizzazione sul fondale, caratterizzazione e rimozione dei rottami, devono essere adeguate a minimizzare, per quanto possibile, ogni disturbo che la preparazione ed esecuzione di queste attività possa arrecare agli habitat interessati e alle specie che li popolano. In particolare, si deve evitare che dette operazioni possano causare più danni che benefici agli ambienti marini.

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Figura 4. Fondali con Posidonia oceanica e roccia (©E. Amato)

La messa in pratica di misure di minimizzazione efficaci si esplica generalmente in condotte attuate nel rispetto delle norme vigenti. In un contesto ambientale come quello in esame, si dovrà operare anche applicando buone pratiche marinaresche e cautele specifiche. Ad esempio, la messa in opera di ancoraggi dovrà tener conto dell’esigenza di non danneggiare il posidonieto e si dovrà evitare, per la stessa ragione, l’impiego di attrezzi al traino sul fondale.

Si deve inoltre considerare che se le fasi di prospezione e di caratterizzazione, con le emissioni dei mezzi nautici di supporto, quelle acustiche degli strumenti e le interazioni con il fondale, inclusi i movimenti dei sommozzatori, determinano sugli ambienti marini impatti accettabili ai fini del perseguimento dell’obiettivo finale, la rimozione dei rottami, questa medesima attività potrebbe causare danni significativi come estese rotture degli apparati radicali della pianta marina o la distruzione di habitat stabilitisi con il concrezionamento di organismi sessili.

Nella generalità dei casi, la valutazione della possibilità di recuperare il rottame individuato senza arrecare ulteriori danni all’ambiente, sarà determinata seguendo i criteri e lo schema decisionale proposti nel seguito.

I popolamenti che colonizzano i rottami metallici, considerati in letteratura tra i

“popolamenti fouling”, sono caratterizzati dalla temporaneità della sussistenza del substrato che hanno colonizzato. I fenomeni corrosivi che agiscono sul metallo, in un certo arco temporale, ne determineranno la disgregazione. Le successioni seriali che mutano la composizione specifica dei popolamenti nel tempo sono influenzate dai

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fenomeni di corrosione e con il disgregarsi del manufatto i popolamenti animali e vegetali che lo colonizzano sono quindi destinati scomparire.

Purtuttavia, il rottame potrebbe trovarsi in condizioni d’integrazione con i popolamenti bentonici che ne sconsigliano la manipolazione e la rimozione. È questo il caso quando, ad esempio, i rizomi della Posidonia hanno “inglobato” il rottame o quando alghe rosse incrostanti, Briozoi, Poriferi e altri bentonti sessili hanno costituito un substrato organogeno che incorpora il rottame.

In queste linee guida si esprimono pertanto raccomandazioni riguardanti le tecniche e metodologie di ricerca e localizzazione che ci paiono meglio adeguate al caso in esame e indicazioni volte a permettere di individuare i potenziali rischi per l’ambiente che potrebbero derivare dalla manipolazione e rimozione dei rottami. Una volta individuata l’occorrenza delle condizioni, più avanti specificate, la valutazione delle azioni conseguenti, in particolare della decisione di rimuovere o lasciare in situ l’oggetto rinvenuto, deve essere affidata al giudizio, secondo scienza e coscienza, di un esperto o di un team di espertidi provata capacità specifica.

Tale figura ha il compito di valutare il danno che la rimozione di un dato rottame in determinate condizioni di giacitura potrebbe comportare all’ambiente, in altre parole quello di stimare se gli impatti conseguenti all’intervento possano avere una valenza negativa superiore a quelli che continuerebbero a prodursi lasciando intatto e in loco l’oggetto. Un caso potenzialmente riscontrabile è quello già citato di un oggetto inglobato tra i rizomi della Posidonia oceanica, il cui allontanamento comporterebbe la loro inevitabile rottura.

L’esperto naturalista o il team di professionisti incaricati, di documentata capacità in tutela di ecosistemi marini costieri, dovrà essere reclutato per tempo da chi incaricato della localizzazione, caratterizzazione e rimozione dei rottami ed essere sempre disponibile sui luoghi delle attività. L’esperto naturalista o il team, dovrà effettuare autonome valutazioni e conformemente ai criteri indicati in queste linee guida, esprimere pareri circa le azioni conseguenti nei casi in cui la puntuale caratterizzazione e/o la rimozione del rottame potrebbero causare nocumento più che benefici all’ambiente. L’esperto naturalista dovrà inoltre poter operare sulla scorta di ispezioni condotte personalmente in immersione e di documenti acquisiti sia direttamente sia per il tramite dei diversi sistemi impiegati, inclusi i rapporti e le immagini fornite dagli operatori subacquei e le immagini riprese tramite R.O.V. (Remotely Operated Vehicle).

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INDIVIDUAZIONE DEI ROTTAMI SUI FONDALI

Per localizzare sui fondali indagati i rottami metallici da rimuovere è necessario condurre prospezioni elettroacustiche e magnetometriche seguite da verifiche visive per mezzo di robot filoguidati e operatori subacquei.

La pianificazione dell’impiego dei sistemi qui citati dovrà considerare fattori quali le condizioni meteo-marine, le caratteristiche idrologiche dell’area nonché specifiche esigenze logistiche.

Le prospezioni devono essere realizzate conducendo, lungo rotte prefissate (pre-plot), sensori elettroacustici al traino di natanti oppure installati a bordo di veicoli filoguidati (es. R.O.V.) o autonomi (es. Autonomous Underwater Vehicle - A.U.V.). L’equipaggiamento impiegato e le modalità operative dovranno essere idonee all’ottenimento della risoluzione necessaria all’individuazione sul fondale dei rottami di minori dimensioni tra quelli d’interesse (AA.VV., 20133). A questo proposito, si segnala che tanto maggiore sarà la risoluzione richiesta, ovvero minori le dimensioni degli oggetti da localizzare, tanto maggiore sarà, proporzionalmente, la numerosità dei percorsi da compiere nell’area da esplorare con i sensori al traino.

I dati batimetrici dovranno essere rilevati con la correzione degli effetti di marea e pressione atmosferica e resi disponibili in formato ASCII. Come per i rilievi batimetrici, il principale prodotto della campagna di prospezioni saranno file digitali, quali shape file e raster georeferenziato, idonei all’elaborazione GIS. Dai file digitali sarà possibile produrre cartografia di dettaglio.

I bersagli che saranno stati individuati grazie ai rilievi elettroacustici e magnetometrici dovranno essere organizzati in un archivio contenente le loro posizioni georeferenziate, le tipologie presunte (ipotesi da verificare visivamente) e le caratteristiche rilevabili strumentalmente. Sulla scorta di queste informazioni, una volta portate a termine le prime verifiche visive mediante R.O.V. e sommozzatori, sarà facilitato il compito di discriminare, tra i molti target individuati sul fondale, quali possano essere quelli d’interesse prioritario. Durante le fasi di verifica visiva e magnetometrica mediante R.O.V. e sommozzatori, questo data base sarà quindi arricchito con immagini e informazioni riguardanti ciascuno dei bersagli individuati sul fondale costituendo la summa delle conoscenze acquisite con le prospezioni.

La strumentazione necessaria alla conduzione delle prospezioni può indicarsi nei sistemi di seguito elencati o combinazioni di essi:

Sistema di navigazione basato sul posizionamento satellitare Digital Global Positioning System (DGPS) servito da correzione Real Time Kinetic (RTK) da

3 Secondo la nota redatta a seguito delle attività ricognitive condotte dalla 672^ Squadriglia Coll. e Recupero Bersagli – Nucleo Aerosoccorritori Operatori Subacquei, le dimensioni degli oggetti ritrovati nei quadranti variano dai 50 cm agli oltre 200 cm di lunghezza.

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interfacciare con i sensori atti ai rilievi per georeferenziare con la precisione necessaria le posizioni dei bersagli rilevati sul fondale.

Sistema ecoscandaglio multifascio (multibeam) per il rilievo morfologico della superficie del fondale. In aree di fondale caratterizzate da significative variazioni batimetriche e morfologiche, è proficuo far precedere l’impiego dei sistemi sotto citati da una prospezione a mezzo ecoscandaglio multifascio. Questo consente, infatti, di restituire una cartografia tridimensionale delle aree percorse con il natante cui è connesso il sensore. Si compie una copertura totale dell’area con sovrapposizione dei dati acquisiti da due linee adiacenti pari ad almeno il 30% del corridoio indagato.

Sistema sonar a scansione laterale (Side Scan Sonar – S.S.S.) che trainato da bordo di natanti o installato su A.U.V. o R.O.V., abbia capacità di restituire, con sufficiente dettaglio e completa copertura spaziale, le “ombre” acustiche di oggetti adagiati sul fondale di dimensioni minime pari alle dimensioni del più piccolo rottame individuato sui fondali indagati dai sommozzatori del

Nucleo Aerosoccorritori dell’Aeronautica (circa 50 cm,

Mannino et al., 2014).

Sistema per rilievi magnetometrici. Integrato con il sistema sonar a scansione laterale o installato a bordo di R.O.V., curando di contenere la segnatura magnetica del mezzo utilizzato, individua anomalie magnetiche sul fondale permettendo di distinguere la presenza di manufatti metallici. Una coppia di magnetometri ad alta risoluzione ai vapori di cesio integrata con un S.S.S. con tecnologia CHIRP e un magnetometro installato sul R.O.V. di verifica sono stati impiegati con successo in indagini analoghe.

Figura 5. SONAR a scansione laterale Compressed High-Intensity Radiated Pulse (CHIRP) accoppiato a magnetometro (©E. Amato)

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Sistema profilatore di subsuperficie (Sub Bottom Profiler - S.B.P.) per la ricognizione subsuperficiale. Può vantaggiosamente essere integrato con il S.S.S. così da ottenere indicazioni sulla possibile presenza di rottami coperti dalla coltre sedimentaria o dai rizomi di Posidonia lungo la rotta imposta al S.S.S.. Pur tuttavia, la copertura spaziale offerta dal S.B.P. è estremamente limitata se comparata con le capacità del S.S.S., pertanto per ottenere una restituzione ottimale degli oggetti non rilevabili dal S.S.S. perché sepolti, il S.B.P. deve essere condotto lungo rotte molto più ravvicinate di quelle necessarie a “coprire” con il S.S.S. la stessa area di fondale.

Remotely Operated Vehicle (R.O.V.) atto a ispezionare visivamente i bersagli individuati sul fondale. Ottenuta mediante i sistemi sopra elencati una cartografia di dettaglio dei fondali indagati, completa della posizione presunta di “bersagli”

d’interesse, sarà necessario condurre ispezioni visive di alcuni di questi al fine di verificarne la natura e ottimizzare quindi l’interpretazione dei risultati ottenuti per via elettroacustica e magnetometrica. Tutti i bersagli osservati mediante R.O.V.

dovranno essere ripresi in formato digitale e le immagini, accompagnate da note circa le caratteristiche del rottame, le sue condizioni di giacitura e la sua posizione geografica, dovranno essere riportate in una scheda descrittiva in un data base costituito ad hoc. La prospezione mediante R.O.V. potrà avvenire anche contemporaneamente alla verifica con operatori subacquei che completerà l’indagine controllando ciascun bersaglio mediante osservazione diretta. Come anticipato, nella fase di caratterizzazione dei rottami individuati mediante la prospezione elettroacustica e magnetometrica, l’impiego di un magnetometro Figura 6. Sonogramma di un fondale caratterizzato da un esteso posidonieto inframezzato da tratti dove appaiono substrati mobili e duri

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accoppiato al R.O.V. permette l’individuazione di rottami metallici nascosti dai sedimenti o dalla Posidonia o che possono non essere stati già individuati mediante gli altri sistemi.

CARATTERIZZAZIONE DEI BERSAGLI INDIVIDUATI MEDIANTE OPERATORI SUBACQUEI

I bersagli individuati con le indagini elettroacustiche e magnetometriche e visualizzati mediante R.O.V., saranno ispezionati ed eventualmente recuperati da operatori subacquei. Il personale subacqueo, munito di equipaggiamento e supporto adatto alla tipologia di immersioni da effettuare (ARA, miscele, saturazione), condurrà un’ispezione sistematica dei bersagli, compresi quelli rilevati nella coltre sedimentaria e nei posidonieti.

Giacché le aree da investigare dovranno già essere state sgomberate da ordigni esplosivi, nel caso tra i bersagli individuati ve ne fossero, come già indicato, l’evento dovrà essere segnalato immediatamente alle Autorità Marittime competenti. Di norma, i marinai dello SDAI (Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi) della Marina Militare intervengono con la rimozione e il brillamento in mare dell’ordigno. In questo caso, al fine di minimizzare i disturbi che le deflagrazioni possono causare agli ecosistemi marini, si propone che gli addetti al brillamento adottino le misure indicate in Allegato 2, “Buone pratiche per la minimizzazione delle conseguenze ambientali della deflagrazione di ordigni esplosivi in mare”.

Le attività condotte dai sommozzatori dovranno consentire di identificare tipologia, condizioni di giacitura e stato di eventuale concrezionamento e colonizzazione dei rottami.

I bersagli ispezionati saranno marcati con pedagni che ne permettano la localizzazione dalla superficie, individuati mediante un codice da usarsi in un repertorio digitalizzato che raccolga tutte le informazioni rese disponibili per ciascuno dei rottami ispezionati, fotografati e filmati.

Laddove le indagini elettroacustica e magnetometrica evidenzino la presenza in una determinata area di fondale di una particolare concentrazione di bersagli, gli operatori subacquei dovranno eseguire un’ispezione sistematica dell’area, visiva e magnetometrica, applicando la metodologia del cosiddetto “tracciato a traversino” Tale metodologia prevede la stesura di due cime parallele (dette “longheroni”), usualmente lunghe 100 m, unite da un “traversino” costituito da una cima piombata lunga circa 30 m. Gli operatori subacquei, partendo da un’estremità delle cime stese per 100 m, devono procedere lungo il traversino, tra un longherone e l’altro, ispezionando in modo sistematico il fondale sottostante. Giunto al termine del percorso, il traversino viene spostato di circa 2 metri e l’ispezione prosegue sino a raggiungere l’altra estremità dei longheroni.

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Per quanto concerne gli eventuali bersagli localizzati sepolti o semisepolti nella coltre sedimentaria, campionato il sedimento mediante le tecniche illustrate più avanti (vedi

“Indagini ambientali e radiometriche”), è necessario prevedere l’impiego di un sistema dragante o soffiante, tipo sorbona, che elimini lo strato di sedimento sovrastante e ne permetta l’ispezione e la rimozione. Tali sistemi saranno dotati di accorgimenti atti a evitare o minimizzare, per quanto possibile, la dispersione dei materiali movimentati e il loro deposito sugli organismi marini presenti nell'area circostante.

Per quanto riguarda i bersagli rinvenuti nelle adiacenze o all’interno dei posidonieti o di biocostruzioni, anche nella fase della loro caratterizzazione si dovrà operare con le cautele particolari dettate dall’esigenza di preservare l’integrità e la funzionalità degli ecosistemi bentonici. In particolare, i comandanti dei mezzi in superficie come gli operatori subacquei, dovranno prestare attenzione nel minimizzare le possibilità che nell’operare si causino danni fisici quali rottura dei rizomi o estesa asportazione di ciuffi foliari o distruzione di habitat di substrato duro. Per questo motivo, sarà necessario che ancore e corpi morti siano selezionati e utilizzati tenendo conto dei diversi tipi di fondale nel quale si opera (sabbioso, roccioso, fangoso, ecc.) e dei popolamenti vegetali e animali che insistono sugli stessi4.

RIMOZIONE DI ROTTAMI TRAMITE OPERATORI SUBACQUEI

Al termine o contemporaneamente alla fase di verifica, adottate le cautele sopra indicate per la fase di caratterizzazione e seguiti i criteri illustrati più avanti, gli operatori subacquei procederanno alla rimozione dei rottami avvalendosi di mezzi e tecniche come sommariamente indicato nel seguito.

Mezzi nautici:

• imbarcazione idonea all’impiego di strumentazione elettroacustica (es., gli apparati di bordo non devono causare interferenze con i segnali da acquisire, ecc.);

• pontone munito di verricello e di gru di portata superiore a quella del peso atteso del carico (rottami) da sollevare;

• battello pneumatico per assistenza agli operatori subacquei.

Strumentazione per il posizionamento e la navigazione:

• sistema satellitare D.G.P.S.;

• pedagni, gavitelli muniti di vessillo, cima galleggiante, boe per la delimitazione della zona di operazioni (i sistemi di ancoraggio saranno scelti in funzione dei diversi tipi di fondale nel quale si opera e dei popolamenti vegetali e animali che insistono sugli stessi analogamente a quanto indicato per i mezzi di superficie) .

4 Al riguardo, si segnala la Deliberazione della Regione Autonoma della Sardegna n. 27/7 del 13.05.2008 avente oggetto: indirizzi urgenti per la gestione della fascia costiera.

(http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_73_20080626184255.pdf)

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• attrezzatura marinaresca di vario tipo.

Strumentazione per la ricerca sul fondo:

• rilevatore cerca mine a induzione magnetica.

Strumentazione per l’identificazione dei bersagli:

• strumentazione individuale per registrazione digitale di immagini ad alta definizione (video- o foto- camera digitale subacquea ad alta definizione (es. GoPro™).

Strumenti e materiali di cantiere:

• locale/container per logistica;

• sistema di posizionamento D.G.P.S.;

• motopompe;

• compressore alta pressione per ricarica A.R.A.;

• compressore bassa pressione per le sorbone;

• gruppi elettrogeni;

• apparati radio V.H.F..

Attrezzatura subacquea:

• attrezzature individuali per immersioni subacquee;

• sorbone;

• palloni sollevamento;

• sistemi di comunicazione subacquea;

• ceste/contenitori per rottami;

• pedagni di segnalazione.

Personale:

• responsabile delle operazioni subacquee;

• esperto B.C.M.;

• operatori subacquei B.C.M.;

• sommozzatori;

• personale per la conduzione delle imbarcazioni e dei mezzi di recupero.

Per l’ottimizzazione dei tempi di lavoro sarà necessario avvalersi di almeno due squadre di sommozzatori composte ciascuna da un operatore subacqueo B.C.M. (Bonifica Campi Minati) e un sommozzatore in grado di alternarsi durante l’arco della giornata. Il cantiere di lavoro sarà diretto da un responsabile delle operazioni subacquee che avrà il compito di coordinare l’alternarsi delle squadre, gli uomini alla guida delle imbarcazioni,

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i mezzi di superficie che assisteranno gli operatori in immersione e di assicurare che tutte le operazioni siano effettuate in sicurezza. Il responsabile delle operazioni subacquee agirà in stretta collaborazione con un esperto B.C.M. e opererà con la supervisione dell’esperto naturalista o con il team di esperti.

Tra quelli localizzati, i rottami da recuperare saranno stati individuati sulla scorta di criteri che contemplino le caratteristiche naturalistiche del sito di reperimento come le condizioni di giacitura e lo stato di colonizzazione del rottame da parte di epibionti.

Quando il rottame si presenta adagiato su P. oceanica o posato sul fondale, sia questo costituito da sedimenti sia da roccia, la sua rimozione può avvenire senza dover rinviare l’operazione a ulteriori valutazioni. Nell’evenienza di rottami sepolti o parzialmente sepolti nei sedimenti, la loro rimozione potrebbe comportare l’impiego di sorbona e gli operatori dovranno curare che i sedimenti siano movimentati con cautela, onde evitare per quanto possibile la creazione di discontinuità artificiali del fondale, il verificarsi di fenomeni di intorbidamento persistente delle acque e che nel ridepositarsi, i sedimenti possano ricoprire organismi sessili.

Diverso è il caso quando il rottame interagisce con il substrato biologico. I rizomi della Posidonia oceanica come gli organismi del benthos sessile possono accrescersi inglobando in tutto o in parte il rottame. Qualora gli operatori subacquei incontrino queste evenienze, si limiteranno, una volta individuato l’oggetto, a una verifica visiva e alla documentazione video-fotografica evitando di muoverlo se quest’azione appare possibile causa di danno ai rizomi, alle foglie e agli epibionti che li colonizzano. Il sommozzatore dovrà redigere una nota specifica che accompagni l’identificazione, la localizzazione e le immagini dell’oggetto individuato, atta a sottoporre il caso al giudizio dell’esperto naturalista o del team di esperti (vedi Introduzione).

Questi dovrà eseguire, caso per caso, una valutazione costi/benefici ambientali, tenuto conto delle indicazioni riportate nella presente linea guida, considerando la possibile natura dell’oggetto, il suo stato di conservazione e di aggregazione con il substrato e i danni che potrebbero derivare dalla sua movimentazione, inclusi i disturbi che potrebbero causarsi nell’area circostante la zona delle operazioni di rimozione.

Un ulteriore criterio da adottarsi nell’approccio al rottame riguarda la possibilità che questo rappresenti una sorgente sommersa di inquinamento significativa e/o di rischio per gli operatori. Allo scopo di minimizzare questi rischi, durante la fase di caratterizzazione del rottame si dovrà prioritariamente stabilire in quale delle seguenti categorie possa rientrare il rottame esaminato:

• materiali inerti;

• materiali inquinanti o potenzialmente inquinanti;

• ordigni bellici attivi o potenzialmente tali.

Per i primi si procederà con le normali tecniche di salpamento. Evidentemente, al variare delle dimensioni e della densità di rottami nel tratto di fondale in esame, varierà

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anche la complessità delle attività di recupero. Laddove ritenuto maggiormente a tutela dell’ambiente, sicuro per gli operatori e proficuo ai fini della speditezza dei lavori, la rimozione dai fondali dei rottami potrà essere effettuata avvalendosi di contenitori idonei a portare in superficie più rottami in un’unica operazione di sollevamento. Detti contenitori dovranno essere posizionati su un’area di fondale sgombra da ciuffi di Posidonia o popolamenti macrobentonici.

Per i rottami inquinanti o sospetti tali, ad esempio resti di contenitori solo parzialmente aperti e parti meccaniche assemblate, si dovrà prevederne il recupero minimizzando la possibile diffusione di inquinanti nella colonna d’acqua e nei sedimenti mediante l’impiego di un contenitore a tenuta.

Le operazioni di recupero verranno effettuate contemporaneamente o al termine delle campagne di prospezione e di caratterizzazione. I bersagli localizzati sul fondale dovranno essere identificati, assicurati a un pedagno e registrati in digitale per permettere anche la loro successiva identificazione e localizzazione dalla superficie.

Al termine delle operazioni di recupero dei rottami si procederà con una nuova indagine elettroacustica per verificare che tutti i bersagli siano stati recuperati o, nel caso fossero lasciati sul posto per valutazioni di natura ambientale, correttamente identificati e registrati (vedi paragrafo “Criteri per la rimozione”). Se l’indagine dovesse restituire nuove informazioni circa bersagli non già rilevati, si procederà ripetendo le operazioni di caratterizzazione e recupero.

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CRITERI PER LA RIMOZIONE

In ragione dell’esigenza di evitare, con la rimozione di un rottame dal fondale, di causare un nocumento all’ambiente più grave di quello che potrebbe continuare a prodursi lasciando il rottame in situ, di seguito si descrivono i principali criteri che dovranno essere adottati per individuare la scelta più rispettosa degli equilibri ambientali.

Inoltre, la raccolta e l’esame degli elementi descrittivi qui indicati, potranno concorrere alla formulazione di detta scelta permettendo all’esperto naturalista o al team di esperti, di operare sulla scorta di evidenze oggettive.

Dalla documentazione e informazioni a disposizione si evince che le attività operative hanno avuto inizio dagli anni 60/70. L’area d’interesse, infatti, è di proprietà dell’Amministrazione Difesa – Ramo Aeronautica dai primi anni del ‘960, anche se la documentazione relativa alle attività condotte è disponibile solo a partire dagli anni ’70.

È evidente quindi come i rottami nel corso di questi 40/50 anni abbiano potuto subire una naturale, costante attività di colonizzazione (epibiosi) da parte di micro e macro organismi marini (epibionti), tale da renderli, in alcuni casi, irriconoscibili e in stretta relazione fisica ed ecologica con il substrato che li ospita.

Tra questi organismi particolare attenzione va posta alla possibile presenza di specie protette dalle direttive internazionali:

• la Direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), approvata il 21 maggio 1992 dalla Commissione Europea, ha lo scopo di promuovere il mantenimento della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali nel territorio europeo.

• La convenzione internazionale CITES (Convention on International Trade of Endangered Species) del 1973 ha lo scopo di disciplinare il commercio di fauna e flora in pericolo di estinzione. In Italia la Convenzione è in vigore dal 1980. La sua applicazione è a carico dei ministeri dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dell’Economia e delle Finanze, del Commercio con l'Estero (oggi Ministero dello Sviluppo Economico), e delle Politiche Agricole e Forestali. Operativamente esso è gestito da un'istituzione detta Servizio CITES, del Corpo Forestale dello Stato.

Il CITES territoriale della Regione Autonoma di Sardegna ha il suo ufficio incardinato nel Servizio Vigilanza e coordinamento tecnico della Direzione generale del CFVA (Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale).

Allo scopo di soddisfare le prescrizioni delle suddette direttive, si è scelto di individuare negli elenchi delle specie da proteggere una specie target particolarmente significativa sia dal punto di vista ecologico che commerciale, il Corallium rubrum (Linnaeus, 1758) che rientra tra le specie protette a tutela delle quali è necessario porre ogni cautela nella conduzione di attività sui fondali.

Sono state individuate altre tre specie protette (secondarie) da considerarsi per avere un quadro più completo nella scelta delle opzioni riguardanti la rimozione. Esemplari

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appartenenti a queste specie, seppur vagili e/o non fisicamente solidali con le strutture sommerse, potrebbero comunque avere con il rottame una stretta interazione (Figura 7). Si specifica, tuttavia, che sarà compito dell'esperto naturalista incaricato verificare, durante le fasi di prospezione, la presenza di altre specie inserite negli elenchi delle specie protette della Direttiva Habitat e della Convenzione Cites.

Specie Phylum Dir.

HABITAT Conv.

CITES Foto

SPECIE TARGET

Corallium rubrum (L. 1758) Cnidaria X X

SPECIE SECONDARIE

Pinna nobilis (L. 1758) Mollusca X X

Hippocampus sp. Chordata X

Scyllarides latus

(Latreille, 1802) Arthropoda X

Figura 7. Specie protette rinvenibili nell’area d’interesse

Oltre alla presenza/assenza delle specie indicate dall’esperto naturalista, per ogni rottame si valuterà lo stato di epibiosi per includerlo, nel citato data base, in una delle seguenti tre categorie:

• epibiosi assente: sui rottami sono del tutto o quasi del tutto assenti segni di colonizzazione da parte di macro organismi;

• epibiosi moderata: i rottami sono ricoperti da epibionti ma il profilo del rottame è ancora riconoscibile nelle sue componenti principali;

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• epibiosi elevata: i rottami sono ricoperti da epibionti e il profilo del rottame non è più distinguibile;

• concrezionato: il rottame è inglobato nel substrato duro.

Un altro elemento di valutazione sarà il tipo di substrato sul quale insiste il rottame:

• fondo duro. Fondale marino di natura rocciosa (fondo duro primario), o consolidato da organismi grazie allo sviluppo di concrezioni organogene, o artificiale (fondi duri secondari);

• fondo mobile. Fondali di natura sedimentaria costituiti principalmente da sedimenti sciolti di granulometria da fine (limo e fango) a grossolana (sabbia).

• Posidonieto. Praterie di Posidonia oceanica o chiazze di P. oceanica su roccia.

Dovrà inoltre essere valutato lo stato di “aggregazione” dei rottami con il substrato. Si è considerato, anche con l’ausilio di fotografie effettuate nell’area d’interesse, che questi possano trovarsi nelle seguenti condizioni:

• sommitale: nel caso in cui il rottame sia adagiato sul substrato, indifferentemente dalla sua natura;

• solidale: nel caso in cui il rottame sia in tutto o in parte incluso in concrezioni adese al substrato;

• affiorante: nel caso in cui il rottame affiori da un fondo mobile o tra le fronde di Posidonia;

• inglobato: nel caso in cui il rottame sia all’interno del sistema radicale (rizomi) della Posidonia oceanica e/o anche da esso solo parzialmente ricoperto.

Si riporta di seguito uno schema sintetico delle valutazioni da compiere preliminarmente alle attività di rimozione. La validazione finale dell’opportunità di rimozione di ogni oggetto sarà comunque a cura dall’esperto naturalista o dal team di valutazione.

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INDAGINI RADIOMETRICHE

Dall’analisi della documentazione disponibile circa le attività condotte durante tutto il periodo di vita del PISQ non è stato possibile escludere con certezza la presenza sui fondali di residui contaminati o contenenti dispositivi con presenza di radionuclidi.

Indagini radiometriche effettuate in passato sulle principali matrici ambientali hanno preso in considerazione la presenza di uranio e torio (SGS, 2011; ARPAS, 2012). Si ritiene pertanto opportuno effettuare un’indagine radiometrica sui sedimenti (primo strato di circa 10 cm, frazione inferiore a 2 mm) prevedendo campionamenti nelle immediate vicinanze dei rottami da eseguirsi prima della loro ispezione e rimozione e in punti distribuiti all’interno dell’area in esame

La numerosità dei campioni da prelevarsi è funzione della dimensione dell’area interessata e della numerosità dei rottami presenti: nella fattispecie può prevedersi nell’ordine di alcune decine, inclusi i campioni del fondo.

Tale indagine è da intendersi come screening e solo a seguito di un’analisi dei risultati sarà possibile decidere sulla necessità di un approfondimento. In tal caso, potranno essere definite anche altre matrici d’interesse quali, ad esempio, Posidonia oceanica, colonna d’acqua, ecc..

Al fine di disporre di elementi di riferimento, analoghi campioni dovranno essere prelevati in aree distanti dal poligono a nord e a sud, ove possibile su litologie simili a quelle di interesse.

In merito agli analiti, dovranno essere misurati i radionuclidi gamma emettitori tramite spettrometria gamma ad alta risoluzione e il beta totale / beta residuo.

Le attività di recupero dei rottami possono essere effettuate contestualmente alle attività di campionamento e misura, stante il controllo radiometrico dei rottami recuperati.

Come riportato nell’introduzione, qualora venissero registrate delle anomalie radiologiche sui materiali recuperati, tenuto conto anche dei risultati dell’indagine di screening sui sedimenti si valuterà la opportunità di procedere ad un approfondimento delle indagini.

I campioni di sedimento, prelevati e conservati come descritto nel seguito, previa verifica dell’EQ-RI, saranno avviati alle analisi presso un laboratorio qualificato e di provata esperienza per ricercare gli analiti richiesti nei sedimenti marini.

SEDIMENTI: PRELIEVO, TRATTAMENTO E CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI I campioni di sedimento saranno prelevati manualmente tramite operatori subacquei mediante carotatore cilindrico di 10 cm di altezza e 10 cm di diametro (vedi figura 8).

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Saranno necessari 1-2 kg in totale per campione. In alternativa all’utilizzo di operatori subacquei, il campionamento potrà avvenire tramite R.O.V. dotato di braccetto campionatore o tramite benna operata da natante. Dopo il campionamento, il sedimento dovrà essere conservato in un contenitore di plastica a collo largo e sigillato. Non vi sono particolari accorgimenti per la conservazione del campione prima dell’analisi di laboratorio, che comunque si raccomanda di eseguire nel più breve tempo possibile.

Figura 8. Campionamento di sedimenti marini tramite operatori subacquei per l’esecuzione di indagini radiometriche (Foto ISPRA)

Nel caso la coltre sedimentaria nella quale è adagiato il rottame metallico non consentisse l’operazione di prelievo subsuperficiale, si procederà solamente con il prelievo superficiale, documentando e motivando tale campionamento.

INDAGINE SU PRATERIE DI POSIDONIA/BIOCENOSI

Con l’obiettivo di una verifica qualitativa dell’eventuale danno arrecato dalla presenza di rottami metallici nel posidonieto, nell’ambito delle operazioni di ispezione e rimozione e mediante ROV e/o operatori subacquei, si dovrà acquisire documentazione video- fotografica georeferita volta a evidenziare e descrivere eventuali alterazioni alla macrostruttura della prateria.

Le immagini acquisite dovranno poi essere utilizzate per restituire un’elaborazione grafica che consenta di apprezzare l’incidenza del fenomeno.

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RIFERIMENTI CITATI NEL TESTO

ARPAS, 2012. Programma di monitoraggio ambientale del Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ). Stato di avanzamento delle attività dell’ARPAS nella supervisione del programma di monitoraggio ambientale del PISQ. pp 131. Febbraio 2012.

AA.VV., 2013. Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di “Salto Di Quirra” - Ufficio Operazioni - 672^ Squadriglia Coll. e Recupero Bersagli Nucleo Aerosoccorritori Operatori Subacquei. “Caratterizzazione Dei Fondali Adiacenti Lo Scoglio Di Quirra”.

AA.VV., 2004. Convenzione tra il Ministero della Difesa ed il Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti” dell’Università di Siena per lo studio geochimico-ambientale dell’area della Sardegna sud-orientale su cui insistono i Poligoni Militari di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo. Relazione finale. Siena, 15 Giugno 2004.

http://www.difesa.it/SMD_/approfondimenti/poligonoperdasdefogu/Pagine/default.aspx CISAM, 2014. Esperto Qualificato Centro Interforze Studi Applicazioni Militari. Relazione di radioprotezione. RRD 007/2014/DPA, 20 marzo 2013

CTE, 2011. Commissione Tecnica Mista di Esperti. Progetto di caratterizzazione ambientale e sanitaria nelle aree adiacenti il Poligono Interforze del Salto di Quirra.

(D.M. Difesa 28/4/2008) Relazione finale. 14 giugno 2011. pp 164.

http://www.iss.it/binary/epam/cont/CTE_PISQ_rid.pdf

Mannino et al., 2014. Introduzione generale al Piano di rimozione dei rottami presenti sui fondali circostanti lo scoglio di Quirra. Relazione tecnica, bozza dell’8 aprile 2014.

SGS, 2011. RT n.1109/2011/TO. Analisi degli elementi chimici in matrici ambientali e biologiche presso il poligono interforze di Salto di Quirra (PISQ)-Lotto3

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ALLEGATO 1:

NOTA SULLA GESTIONE DEI MATERIALI RECUPERATI

Per il recupero dal fondale e lo stoccaggio temporaneo a bordo del pontone dovrà essere prevista una specifica logistica, in considerazione delle dimensioni e della classificazione degli elementi stessi. L’imbarcazione di appoggio (pontone) dovrà avere specifiche dotazioni di contenimento degli inquinanti e dovrà avere le dimensioni necessarie per ospitare i suddetti elementi in numero congruo con le tempistiche e le quantità giornaliere di recupero.

Sarà necessario predisporre a terra uno spazio sulla banchina di riferimento per il successivo trasbordo, al fine di permettere al materiale recuperato di essere definitivamente conferito nell’area che sarà individuata come idonea per lo stoccaggio conforme a quanto previsto dal DM 22 ottobre 2009.

DEPOSITI TEMPORANEI DEI ROTTAMI RECUPERATI

I materiali rinvenuti dovranno essere classificati in funzione della potenziale pericolosità per gli operatori e l’ambiente (ordigni bellici attivi o potenzialmente tali).

In funzione di tale classificazione i materiali recuperati seguiranno destini differenti:

• gli ordigni bellici attivi o potenzialmente tali, ove presenti, saranno trattati come da disposizioni dello SDAI - Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi della Marina Militare;

• il materiale ferroso diverso da ordigni bellici attivi o potenzialmente tali sarà avviato ai depositi di rifiuti pericolosi o non pericolosi:

o materiali inerti, avviati al deposito rifiuti non pericolosi;

o materiali inquinanti o potenzialmente inquinanti, da custodire presso un idoneo deposito rifiuti pericolosi.

Il deposito rifiuti per i materiali inerti (non pericolosi) potrà essere realizzato mediante idonea area di stoccaggio, recintata e realizzata in modo tale che i materiali non siano allocati a contatto diretto con il terreno e che sia garantito che non vi sia rischio di rilascio di sostanze di qualsiasi natura nel terreno stesso.

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ALLEGATO 2:

BUONE PRATICHE PER LA MINIMIZZAZIONE DELLE

CONSEGUENZE AMBIENTALI DELLA DEFLAGRAZIONE DI ORDIGNI ESPLOSIVI IN MARE

Servizio Emergenze Ambientali in Mare

i

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INDICE

Premessa ... iii Effetti negativi di esplosioni subacquee sugli ecosistemi marini ... v Minimizzazione delle conseguenze ambientali di esplosioni provocate in mare .... ix Letteratura citata ... xi

Nota

L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le persone che agiscono per conto dell’Istituto non sono responsabili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in questo documento.

Riproduzione autorizzata citando la fonte

Luigi Alcaro, Ezio Amato, Buone pratiche per la minimizzazione delle conseguenze ambientali della deflagrazione di ordigni esplosivi in mare. ISPRA, aprile 2014 ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale

Servizio Emergenze Ambientali in Mare Via V. Brancati, 60 00144 Roma

http://www.isprambiente.gov.it

Riproduzione autorizzata citando la fonte

Roma, maggio 2014

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PREMESSA

I rischi associati alle munizioni affondate derivano dal pericolo di esplosione in caso di contatto e dal rilascio delle sostanze contenute nell’ordigno, tra cui contaminanti persistenti in ambiente marino.

Dal bagnasciuga sino al limite delle acque territoriali italiane i Nuclei S.D.A.I.

(Sminamento e Difesa Antimezzi Insidiosi) della Marina Militare, dislocati presso ciascun Comando Marittimo, concorrono alla bonifica degli ordigni esplosivi rinvenuti.

Questi militari subacquei eseguono interventi di bonifica occasionale a carattere di urgenza in risposta a specifica segnalazione o richiesta dalla Prefettura competente e quando ordinato dallo Stato Maggiore della Marina Militare, interventi di bonifica sistematica sulla scorta di appositi accordi e/o protocolli d’intesa stipulati con le Autorità civiche competenti per territorio (Regioni – Comuni).

In applicazione delle procedure adottate dai nuclei S.D.A.I. della Marina Militare, gli ordigni a caricamento ordinario (H.E.) localizzati e identificati, sono distrutti in mare mentre quelli a caricamento speciale (es. fosforo bianco, diversi aggressivi chimici) sono prima trasferiti in “zona di sicurezza” e poi recuperati e consegnati al corrispondente personale dell’Esercito Italiano per la successiva inutilizzazione a terra (in cava per il fosforo o presso centri appositamente attrezzati per gli aggressivi chimici).

Gli obiettivi primari perseguiti nell’ambito delle citate bonifiche sono, in ordine di priorità:

• la salvaguardia della pubblica incolumità;

• la sicurezza degli addetti ai lavori (subacquei, assistenti di superficie e personale addetto allo sgombero dell’area pericolosa);

• la salvaguardia di opere, strutture e beni pubblici o privati.

Quando mobilitato, la prima azione attuata dal Nucleo S.D.A.I. è la realizzazione di un’adeguata cornice di sicurezza che in caso di accidentale attivazione del “presunto ordigno”, possa scongiurare danni a persone o cose. Una volta localizzato e identificato certamente come ordigno esplosivo, dette misure vengono adeguate e proporzionate al suo potenziale distruttivo.

Applicate le misure di sicurezza a tutela della pubblica incolumità, il “Responsabile delle Operazioni”, posto a capo della Squadra di intervento S.D.A.I., è quindi obbligato a scegliere la procedura per la bonifica meno rischiosa per gli operatori.

Se a causa della sussistenza di condizioni contingenti, quali l’estrema vicinanza alla costa, l’affollamento sul litorale e la presenza di abitazioni o altre strutture, non sia possibile procedere alla distruzione dell’ordigno sul posto di rinvenimento, valutato

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accettabile il “grado di rischio previsto”, questo potrà essere rimosso, trasportato in zona idonea e lì distrutto.

Frutto anche dell’analisi delle informazioni acquisite attraverso la ricognizione bibliografica di letteratura tecnico-scientifica, con queste buone pratiche si intendono indicare, per linee generali, raccomandazioni volte a contribuire a minimizzare gli effetti sugli ecosistemi marini dell’esplosione in mare, nel corso di operazioni di bonifica, di ordigni a caricamento ordinario (H.E.). Si auspica la loro applicazione ogni qualvolta le procedure di sicurezza per il personale lo permettano.

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EFFETTI NEGATIVI DI ESPLOSIONI SUBACQUEE SUGLI ECOSISTEMI MARINI

La nocività di esplosioni subacquee sugli organismi marini è primariamente causata da un’onda di compressione che si genera dal punto dell’esplosione e che determina una repentina variazione di pressione. A causa del passaggio dei composti esplosivi dallo stato solido a quello gassoso e della vaporizzazione dell’acqua circostante, nell’arco di alcuni millisecondi la pressione dell’acqua subisce variazioni estreme. All’onda di compressione segue un altrettanto rapida diminuzione della pressione ambientale che determina un aumento di volume delle bolle di gas prodottesi con l’esplosione e quindi un nuovo, rapidissimo, aumento di pressione. Queste variazioni alternobariche si ripetono con ampiezza decrescente sino ad annullarsi nell’arco di 100 millisecondi (figura 1) (Continental Shelf Associates Inc., 2004).

Figura 1: sviluppo di un’onda di pressione a seguito di un’esplosione subacquea (Continental Shelf Associates Inc., 2004)

La variazione repentina di pressione può essere causa della rottura dei tessuti biologici e quindi dell’immediata morte degli organismi. Il fenomeno interessa un limitato volume d’acqua, entro il raggio di pochi metri dall’esplosione, noto con il nome di “immediate kill zone”. Esternamente a tale zona, e più estesa di questa, si individua la cosiddetta “remote damage zone” in cui i danni agli organismi sono soprattutto causati dalla repentina compressione ed espansione di sistemi di vascolarizzazione (vasi sanguigni degli

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animali, vasi conduttori delle fanerogame) e di spazi deputati a contenere gas (vescica natatoria, polmoni) (O’Keeffe, 1984; Goertner et al., 1994; Lewis, 1996; Ketten, 1995).

Per quanto concerne gli organismi vegetali, le alghe di qualsiasi tipo sono particolarmente resistenti alle onde di compressione, data l’assenza di sistemi di vascolarizzazione. Al contrario, le fanerogame marine (piante superiori) quali Posidonia oceanica (L.) Delile, 1813, che presentano un sistema vascolarizzato di conduzione, particolarmente sviluppato nei rizomi, sono sensibili al fenomeno (Ludwig, 1977).

Esperimenti condotti in mare immergendo, in prossimità di punti di esplosione, gabbie contenenti diversi tipi di invertebrati, quali crostacei e molluschi bivalvi, hanno evidenziato come questi organismi siano relativamente resistenti a tali eventi traumatici, a condizione che la detonazione avvenga a una distanza maggiore di una decina di metri (O’Keeffe e Young, 1984).

I pesci sembrano essere gli organismi marini più sensibili agli eventi esplosivi sottomarini, per la presenza di sistemi vascolari e nella maggior parte delle specie, di una vescica natatoria. Questa, atta principalmente a regolare l’assetto idrostatico dell’animale, è una sacca ripiena di gas posta in posizione dorsale all’interno della cavità viscerale, tra il canale digerente e i reni; il suo volume può subire variazioni volontarie per permettere al pesce di mantenere un assetto stabile alle diverse batimetriche con un basso dispendio di energia.

I danni anatomici osservati in pesci morti in seguito a esplosioni subacquee sono:

• vescica natatoria rotta con presenza di grumi di sangue al suo interno;

• colonna vertebrale fratturata;

• rottura di vasi sanguigni con localizzate emorragie in corrispondenza delle parti danneggiate;

• membrane delle cavità del corpo diversamente danneggiate, (es. peritoneo parietale);

• danni soprattutto a carico dei reni e del fegato.

Si osserva come il volume di acqua entro cui un’esplosione causa la morte di specie ittiche non abbia forma sferica ma asimmetrica, infatti i pesci che si trovano verso la superficie del mare sono più vulnerabili rispetto a quelli che si trovano più in profondità.

Tale evidenza può essere parzialmente spiegata con la constatazione che i pesci con abitudini di vita bentoniche, vale a dire in stretta relazione con il fondale, hanno la vescica natatoria meno sviluppata o assente e che comunque gli individui che nuotano in superficie hanno la vescica più dilatata rispetto ai cospecifici che si trovano a maggiori profondità (Coker e Hollis, 1950; Tiller e Coker, 1955; Christian, 1973). Inoltre, è stato osservato che la disposizione spaziale dei pesci rispetto all’esplosione può significativamente determinare la gravità del danno. Un’esposizione al punto di esplosione del lato ventrale del pesce, piuttosto che quello dorsale, può causare danni

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significativamente maggiori (Sakaguchi et al., 1976). La forma del pesce può anche determinare nelle diverse specie una diversa suscettibilità alle esplosioni subacquee:

pesci con corpo cilindrico e vescica natatoria spessa (es. barracuda) sono più resistenti rispetto a pesci compressi lateralmente con una vescica dalle pareti sottili (es. orata) (Fitch e Young, 1948; Hubbs et al., 1960). Sembra inoltre che i pesci fisostomi (in cui la vescica natatoria è connessa al tratto gastrointestinale come nelle alici) siano più resistenti dei pesci fisoclisti (in cui la vescica natatoria non è connessa al tratto gastrointestinale) (Simenstad, 1974). Si osserva infine come pesci di taglia più piccola siano più vulnerabili agli effetti delle esplosioni (Yelverton et al., 1975), come illustrato in figura 2.

Figura 2: risposta dei pesci alle esplosioni subacquee in funzione della loro taglia (peso). I pesci più piccoli mostrano effetti gravi (mortalità del 50% degli individui) anche a seguito di esplosioni di bassa potenza (Yelverton et al., 1975)

I mammiferi marini subiscono anch’essi gli effetti nocivi di esplosioni sottomarine. In termini generali:

• cambiamento del comportamento e difficoltà di orientamento;

• riduzione temporanea della capacità uditiva;

• danni permanenti all’apparato uditivo;

• altri danni, soprattutto a carico dei polmoni e del tratto gastrointestinale;

• morte dell’individuo.

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I primi tre sintomi sono anche riscontrabili anche in caso di esposizione del mammifero ad altre sorgenti di rumore di natura antropica. L’ampiezza delle aree entro cui possono manifestarsi tali sintomi dipende principalmente dall’intensità dell’esplosione (figura 3).

Figura 3: rappresentazione schematica delle aree di potenziale influenza di rumori di natura antropogenica sui mammiferi marini (Richardson et al., 1995)

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MINIMIZZAZIONE DELLE CONSEGUENZE AMBIENTALI DI ESPLOSIONI PROVOCATE IN MARE

Fatta eccezione per particolari casi (ordigni in precario stato di conservazione; ordigni ad influenza acustica, magnetica e barica; ordigni muniti di dispositivi antirimozione;

ordigni resi solidali al fondo per via di concrezioni, ecc.), la procedura d’intervento privilegiata dagli specialisti dei Nuclei S.D.A.I. è la rimozione dell’ordigno dalla zona di ritrovamento (quasi sempre rinvenuto sotto costa, in aree portuali o stabilimenti balneari) e la successiva distruzione in aree prescelte, a distanze e a profondità tali da coniugare il primario obiettivo della salvaguardia dell’incolumità pubblica con la necessità di limitare all’indispensabile il tempo di esposizione al rischio per gli operatori.

Ben sapendo che gli effetti negativi a carico degli ecosistemi marini di esplosioni subacquee possono comunque essere solo minimizzati e non annullati, le operazioni consigliate nel seguito sono volte soprattutto a far sì che l’esplosione avvenga in presenza del minor numero possibile di organismi viventi.

Le misure indicate nel seguito, volte a minimizzare le conseguenze di esplosioni sottomarine sugli ecosistemi marini, in gran parte già contemplate nella prassi operativa dei Nuclei S.D.A.I., sono di ordine generale potendosi incontrare circostanze particolari che richiedono l’adozione di procedure specifiche. Per la loro ottimale messa in pratica e per la scelta dei tratti di mare ritenuti più idonei per l’esecuzione di esplosioni in mare, si raccomanda di ricorrere a idonea cartografia di supporto, elaborata con la collaborazione di esperti in ecosistemi bentonici marini.

Ove le considerazioni di salvaguardia per la pubblica incolumità e per la sicurezza degli operatori lo consentano, le prescrizioni da adottare sono:

• l’esplosione deve avvenire su fondali superiori almeno a 50 metri, privi di praterie di fanerogame e/o ad almeno un miglio dalla costa. Nelle acque con fondali più bassi e più prossime al litorale sono spesso presenti specie ed ecosistemi particolarmente sensibili alle esplosioni subacquee (es. praterie di fanerogame) così come zone di riproduzione e deposizione (spawning) e di accrescimento di giovanili (nursery), più sensibili degli adulti anche perché di taglia più piccola.

• Le esplosioni devono essere precedute da ispezioni volte ad assicurare l’assenza, nel tratto di mare interessato, in particolare di specie sensibili e/o protette come cetacei e tartarughe marine. Tale attività, eseguita con l’ausilio di un binocolo, è volta a individuare segni specifici della presenza di organismi in prossimità della superficie, in particolare mammiferi e rettili marini. L’impiego di ecoscandagli idonei a rilevare anche eventuali banchi di pesci e di idrofoni atti a individuare anche la presenza di mammiferi marini, permette un rilevamento più accurato ed esteso anche alla colonna d’acqua. L’operazione dovrebbe avere avvio almeno trenta minuti, un’ora prima della deflagrazione. Nel caso di avvistamento o rilievo di organismi

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particolarmente sensibili alle deflagrazioni sottomarine, bisogna attendere il loro allontanamento dalla zona delle operazioni di almeno 400 metri.

• L’esplosione deve avvenire nella colonna d’acqua5 intorno a 10 metri di profondità. È necessario evitare che l’esplosione avvenga in prossimità del fondale dove si produrrebbero significativi danni di natura fisica a biocostruzioni e organismi bentonici e bentonectonici. Con l’adozione di questa precauzione si riduce la distanza tra la deflagrazione e la superficie marina e quindi il volume d’acqua in cui si rileva la maggiore mortalità di specie ittiche.

• Il fondale del tratto di mare prescelto deve essere di tipo fangoso o sabbioso (fondo

“molle” incoerente), in grado quindi di assorbire l’onda d’urto prodotta da un’esplosione meglio di quelli “duri” (rocciosi). Da evitare la prossimità al luogo di deflagrazione di biocostruzioni che si sollevino dal fondale sabbioso o fangoso.

• La deflagrazione deve avvenire nelle ore centrali della giornata. Come molti organismi marini, i pesci hanno un proprio ritmo circadiano. Generalizzando, nelle ore centrali della giornata normalmente le specie ittiche sono meno attive e non svolgono attività quali la caccia o la riproduzione.

• Evitare l’occorrenza di due deflagrazioni nella stessa area in meno di 48 ore. E’ stato osservato che la mortalità di pesci riscontrata a seguito della seconda esplosione può essere superiore e che comunque le specie ittiche colpite sono diverse da quelle rilevate dopo la prima esplosione. L’analisi dei contenuti stomacali ha permesso di rilevare che i pesci uccisi nella seconda esplosione sono attratti nell’area per nutrirsi dei pesci morti con il primo evento (Fitch e Young, 1948). Si ritiene che possano essere eseguite due deflagrazioni entro le 48 ore a una distanza minima tra i siti di tre miglia.

• Le deflagrazioni devono avvenire in periodi dell’anno in cui non si osservino consistenti aggregazioni locali di organismi marini (es. periodi riproduttivi, migratori). Si deve fare riferimento sia alle specie di interesse alieutico sia a specie marine protette e/o particolarmente sensibili, quali la tartaruga marina (Caretta caretta, Linneo 1758) che nidifica su litorali sabbiosi nel periodo estivo.

• Particolarmente nel caso di esplosioni ripetute da doversi effettuare in un medesimo tratto di mare, si raccomanda di circoscrivere l’area con una rete a circuizione chiusa di dimensioni proporzionate all’entità delle esplosioni da eseguire. La messa in opera di una struttura da circuizione, tipo sacco da rete a strascico con maglia da 16 mm,

5 Tra il mesozooplancton che vive nella colonna d’acqua, è possibile rilevare l’eventuale presenza, nel tratto di mare individuato per la deflagrazione, di uova, larve o giovanili di specie ittiche. Un esperto planctonologo, da bordo di un mezzo nautico opportunamente armato, avvalendosi di una rete standard WP2 con vuoto di maglia di 350-500 µm e di uno stereomicroscopio, può determinare, nell’arco di un’ora dal prelievo di campioni, se la presenza consistente di specie di interesse ambientale o alieutico raccomandi il rinvio della deflagrazione (Govoni et al., 2008).

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allestita ad hoc utilizzando materiale visibile e resistente, impedisce agli organismi marini dotati di autonoma capacità di nuoto di entrare nella “remote damage zone”.

LETTERATURA CITATA

Christian E.A., 1973. The effects of underwater explosions on swimbladder fish. Technical Report NOLTR 73-103. White Oak, MD: Naval Ordnance Laboratory.

Coker C.M., Hollis E.H., 1950. Fish mortality caused by a series of heavy explosions in Chesapeake Bay. Journal of Wildlife Management, 14: 435-444.

Continental Shelf Associates, Inc. 2004. Explosive removal of offshore structures - information synthesis report. U.S. Department of the Interior, Minerals Management Service, Gulf of Mexico OCS Region, New Orleans, LA. OCS Study MMS 2003-070. 181 pp.

+ app.

Fitch J.E., Young P.H., 1948. Use and effect of explosions in Californian coastal waters.

California Fish and Game, 34: 53-70.

Govoni J.J., West M.A., Settle L.R., Lynch R.T., and Greene M.D., 2008. Effects of Underwater Explosions on Larval Fish: Implications for a Coastal Engineering Project.

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