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1. L’ARTO SUPERIORE UMANO

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Academic year: 2021

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1.1 Il muscolo scheletrico

1.1.1 Struttura del muscolo scheletrico

Il tessuto muscolare scheletrico è costituito da unità sovra-cellulari chiamate fibre muscolari striate, ognuna di queste è composta da un’unica entità citoplasmatica contenente vari nuclei e molti mitocondri [1]. Queste unità hanno forma cilindrica e dimensioni variabili in relazione al tipo di muscolo; nell’uomo possono arrivare ad una lunghezza nell’ordine dei centimetri e diametro nell’ordine dei micron. Ogni fibra è ricoperta da un involucro connettivale, chiamato sarcolemma, che si interrompe solo in corrispondenza dell’innervazione. La terminazione nervosa e la fibra muscolare sono in comunicazione tramite la giunzione neuromuscolare e il loro insieme costituisce la placca motoria.

Figura 1.1 Struttura del muscolo scheletrico

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Miofibrille: queste hanno diametri dell'ordine del µm ed all'indagine

microscopica con l'uso di appositi coloranti e sotto luce polarizzata, appaiono striate, per questo motivo il nome di tessuto muscolare striato. Questa caratteristica è dovuta al fatto che all'interno della miofibrilla vi sono sostanze che interagiscono col piano di polarizzazione della luce e che delimitano due bande distinte: quella isotropa I e quella anisotropa A, le quali sono bisecate rispettivamente da altre due bande più sottili, che vanno sotto il nome di Z ed H (ci si aiuti con la Figura 1.2). Grazie a queste è possibile operare un'ulteriore suddivisione all'interno delle miofibrille evidenziando i:

Sarcomeri: costituiscono l'unità contrattile di base del muscolo scheletrico e sono delimitati da due bande Z successive. All'interno di essi si hanno i miofilamenti actina e miosina, complessi proteici la cui disposizione spaziale è ben regolare ed è evidenziata in Figura 1.2, in cui sono rappresentate le due forme assumibili dal sarcomero: a riposo e contratto. La lunghezza a riposo del sarcomero è di circa 2,5µm ed è variabile a seconda dell'attività del muscolo.

Figura 1.2 Rappresentazione schematica del sarcomero

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1.1.2 Meccanica del sistema contrattile

In condizioni fisiologiche i muscoli scheletrici vengono attivati dai motoneuroni ef-ferenti dal sistema nervoso volontario, ma possono anche essere stimolati in modo artificiale con impulsi elettrici o chimici. La singola stimolazione sopra soglia del muscolo scheletrico produce un evento meccanico di tipo contrattile che va sotto il nome di twitch della durata di una frazione di secondo (circa 150 ms). Sperimentalmente si osserva che l'ampiezza della forza contrattile sviluppata è funzione della frequenza della stimolazione. Dalla Figura 1.3 si nota, infatti, che stimolazioni con frequenza inferiore a 6,6 Hz (una ogni 150 ms) producono una serie di twitch identici, mentre aumentando la frequenza si osserva un fenomeno di sommazione e di fusione dei singoli twitch, con relativo aumento della forza contrattile, fino ad un limite al di sopra di cui ulteriori aumenti della frequenza di stimolazione non producono un incremento della forza contrattile, la quale si stabilizza ad un valore massimo. Questa condizione di funzionamento va sotto il nome di regime tetanico e la corrispondente frequenza critica è, nei mammiferi, dell'ordine dei 50-60 Hz [2][3].

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Lo studio della meccanica muscolare prende in considerazione tre varabili numeriche in grado di descrivere da sole il comportamento del sistema contrattile: la forza, la lun-ghezza e la velocità di contrazione. Mantenendo costante una delle tre si ottengono le relazioni che correlano le altre due.

Gli studi fondamentali della meccanica muscolare risalgono al 1967 anno in cui Fung per primo eseguì esperimenti specifici volti alla caratterizzazione delle proprietà meccaniche del muscolo, dimostrando, tramite l’utilizzo di apposite strumentazioni la natura elastica del tessuto muscolare, che era stata solo supposta fino a quel momento. Tale proprietà elastica è alla base della capacità di generare forza del muscolo, il quale ha due azioni distinte attribuibili a due componenti distinte:

- La tensione muscolare attiva, responsabile della contrazione

- La tensione muscolare passiva, legata alle componenti elastiche passive, si oppone alla contrazione

In Figura 1.4 sono riportate le curve tensione-allungamento, calcolate per tre muscoli diversi, caratterizzati da una differente quantità di tessuto connettivo. Oltre alla curva finale sono isolate le sue due componenti, quella attiva, in blu e quella passiva in verde. La tensione passiva ha un andamento non lineare monotono crescente, che può essere approssimato matematicamente con un polinomio del secondo ordine. Infatti, è dimo-strato sperimentalmente che la derivata della tensione in funzione dell’allungamento ha valore costante.

Se consideriamo il muscolo tetanizzato si ottiene in genere una tensione complessiva monotona crescente, in alcuni casi, tuttavia, si verifica un massimo locale, che può essere più o meno pronunciato, come nei diagrammi al centro e a destra di Figura 1.4. Questo comportamento è determinato dalla tensione passiva, che può variare in funzione della quantità di tessuto connettivo, e quindi dipende dalla geometria del muscolo. Ad esempio i muscoli pennati, che contengono più connettivo, hanno maggiore tensione passiva e quindi una caratteristica complessiva monotona, mentre i muscoli paralleli hanno caratteristica passiva inferiore e quindi mostrano un massimo locale.

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Figura 1.4 Curve tensione lunghezza sviluppate da muscoli caratterizzati da una diversa quantità di tessuto connettivo. La tensione attiva rimane costante, la tensione passiva decresce con la decrescita

della quantità di tessuto connettivo.

La tensione attiva è massima quando la lunghezza del muscolo coincide con quella ideale, ovvero quella di riposo. Con il termine lunghezza a riposo si intende quella del muscolo “in vivo”, che differisce da quella del muscolo estratto poiché all’interno del corpo è soggetto ad un certo precarico. Lo sforzo massimo applicato dal muscolo scheletrico equivale a 3 Kg/cm2, questo valore è costante per tutti i muscoli e per diversi animali, indice del fatto che la composizione interna rimane costante entro certi limiti. Le curve finora descritte (Figura 1.4) considerano tutte una contrazione muscolare isometrica, ovvero ottenuta mantenendo il muscolo a velocità nulla e misurando la forza in funzione della lunghezza; ulteriori informazioni sulla meccanica muscolare possono essere ottenute eseguendo contrazioni in cui il carico è a mantenuto costante, un tipico esempio è l’esperimento di Quck-Release, illustrato in Figura 1.5. Il muscolo viene caricato e portato alla lunghezza ottimale mediante un apposito apparato, dopodiché è stimolato in regime tetanico e lasciato libero di muoversi togliendo il fermo elettromec-canico, in modo che il rilascio sia istantaneo, e si misurano la forza direttamente e la velocità di contrazione come derivata del diagramma di Forza-allungamento.

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Figura 1.5 Caratterizzazione isotonica mediante esperimento di Qick-Release. Setup sperimentale (A), forza e allungamento in funzione del tempo (B), curva Velocità / forza (C).

1.1.3 Modello meccanico di Hill

In base alle curve sperimentali ottenute in condizioni isometriche ed isotoniche è possi-bile schematizzare il muscolo con tre elementi meccanici che ne descrivono le componenti principali (Figura 1.6):

1. Elemento contrattile: è composta da un generatore di forza istantaneo (poi-ché il sarcomero segue la legge tutto o nulla) accoppiato in parallelo ad uno smorzatore, per giustificare il ritardo di tipo viscoso osservato sperimental-mente.

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2. Elemento elastico in serie è responsabile della risposta istantanea all’applicazione del carico e rappresenta il palco tendineo.

3. Elemento elastico parallelo rappresenta la risposta elastica non lineare del tessuto connettivo e di interazioni residue tra i filamenti.

Figura 1.6 Modello di Hill

Il modello illustrato in Figura 1.6 fu proposto per la prima volta da Hill (1968) e pertanto porta il suo nome. La presenza dell’elemento elastico in sere è dimostrata inequivoca-bilmente dagli esperimenti di Quick-Release. Infatti, il gradino di tensione è accompagnato da un rapido cambiamento di lunghezza, questo comportamento è coeren-te con la meccanica di una molla la cui caratcoeren-teristica è indipendencoeren-te dalla velocità.

La componente elastica parallela fu inizialmente attribuita al sarcolemma, ma dopo l’introduzione della teoria degli sliding filaments come spiegazione della contrazione si è dimostrato che è legata allo scorrimento reciproco dei microfilamenti. L’elemento contrattile è il responsabile della forza attiva, la sua azione viene schematizzata da un elemento attivo che genera la forza e un elemento dissipativo in parallelo con esso. Analizzando i grafici di Figura 1.7, si nota che dopo l’accorciamento istantaneo (∆X1),

da attribuire alla molla in serie, segue una fase di recupero della nuova posizione (∆X2)

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Figura 1.7 Risultati grafici dell’esperimento di Qick-Release e modello di Hill.

In definitiva il modello matematico proposto da Hill coincide con un’iperbole:

(

T+a

)(

v b+

) (

=T0+a b

)

Equazione 1

in cui a e b sono costanti empiriche, v è la velocità e T è la tensione isometrica. Tale 0 equazione è utilizzata con successo per descrivere il comportamento di quasi tutte le tipologie di tessuto muscolare esaminate in letteratura. Inoltre è di uso comune modifica-re l’equazione 1in modo da ottenemodifica-re una forma normalizzata in velocità e tensione:

1 1 T v T k ′ − = Equazione 2 in cui: 0 max a b k T v = = , 0 max b T v a ⋅ , 0 T T T ′ = , max v v v ′ =

attraverso l’equazione 2 è possibile esplicitare la potenza espressa dal muscolo:

(

0

)

b bT av W Tv v b − = = + Equazione 3

In Figura 1.8 sono illustrate le curve ottenute mediante il modello di Hill che descrivono la forza e la potenza in funzione della velocità di contrazione. Dal punto di vista

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energe-tico la relazione di Hill impone che il prodotto tra forza e spostamento sia costante ovvero che la potenza espressa dal muscolo durante la contrazione, coincidente con il tasso di conversione di energia metabolica in meccanica, sia costante.

Figura 1.8 Curve Forza–velocità e Potenza-velocità del modello di Hill.

1.2 Anatomia dell’arto superiore umano

Ciascuno dei due arti superiori è formato da quattro parti che si trovano in successione prossimodistale; esse sono la spalla, il braccio, l’avambraccio e la mano. La spalla è il dispositivo di attacco dell’arto superiore al tronco, il suo scheletro forma nell’insieme la cintura toracica (cingolo toracico) che si unisce alla parte superiore del torace e dà attacco alle restanti parti dell’arto che formano la cosiddetta parte libera. La seguente descrizione anatomica dell’arto superiore prenderà in considerazione in successione: lo scheletro, le articolazioni ed i muscoli [4][5][6].

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1.2.1 Struttura scheletrica ed articolazioni

Lo scheletro della cintura toracica è formato da due ossa: la scapola e la clavicola; nella parte libera dell’arto si trovano, in direzione prossimo-distale, l’omero, che forma lo scheletro del braccio, il radio e l’ulna, in corrispondenza dell’avambraccio, e lo scheletro della mano. Quest’ultimo risulta formato da numerose parti che si raggruppano nel carpo, nel metacarpo e nelle falangi, ma di questo non si dirà altro nel seguito perché di scarso interesse per i nostri scopi.

Figura 1.9 Cingolo toracico e parte libera dell’arto superiore

Clavicola: è un osso allungato e con doppia curva a forma di una esse. Giace in un piano orizzontale, con un’estremità che si articola con il manubrio dello sterno e l’altra con la scapola. Nonostante la forma, la clavicola non può considerarsi come un osso lungo;

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infatti, presenta la conformazione interna e le modalità di ossificazione proprie delle ossa piatte.

Figura 1.10 Scapola, Clavicola ed Omero, vista anteriore

Scapola: è un osso piatto, applicato alla superficie posteriore e superiore per ogni lato della gabbia toracica. La sua faccia anteriore (costale), a contatto delle coste, è concava e si adatta alla superficie convessa della gabbia toracica formando una vera fossa detta fossa sottoscapolare. La sua forma è triangolare e dei tre angoli quello superiore è sottile ed ottuso; quello inferiore è molto arrotondato e pure sottile, mentre l’angolo laterale porta una protuberanza ossea.

Omero: è un osso lungo che forma lo scheletro del braccio. Si articola superiormente con la scapola ed inferiormente con le due ossa dell’avambraccio, radio e ulna. E’ formato da un corpo a due estremità, prossimale e distale. Il corpo dell’omero ha forma quasi cilindrica in alto e prismatica triangolare in basso. L’estremità prossimale è ingrossata e presenta un’ampia superficie articolare quasi emisferica, rivestita di cartilagine, chiamata testa dell’omero. L’estremità distale è slargata ed appiattita, dall’avanti in dietro; su ciascuno dei lati di questa estremità si trovano due rilievi rugosi, l’epitroclea e l’epicondilo.

Omero Scapola

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Figura 1.11 Ulna e Radio, vista anteriore

Radio: è un osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce lo scheletro dell’avambraccio, dove occupa una posizione laterale. Si articola in alto con l’omero ed in basso con le ossa del carpo; tanto in alto che in basso si pone poi in giunzione con l’ulna. Ha un corpo di forma prismatica triangolare e leggermente incurvato in avanti e medialmente, e due estremità; di queste quella superiore è rotondeggiante e viene chiamata testa, mentre quelle inferiore ha la forma di una piramide a base triangolare, e presenta sulla faccia mediale una fossetta in cui si inserisce la testa dell’ulna.

Ulna: è un osso lungo situato medialmente al radio. È più voluminoso nella parte pros-simale che in quella distale. Si articola in alto con l’omero, mentre in basso si connette indirettamente con il carpo; si mette inoltre in giunzione con il radio a livello delle sue estremità. Il corpo è prismatico triangolare, l’estremità superiore è ingrossata e termina con un rilievo rugoso, mentre l’estremità inferiore è molto più piccola e arrotondata.

Articolazioni dell’arto

Articolazione scapolo-omerale: prende il nome di articolazione della spalla ed è una enartrosi, in altre parole è capace di movimenti traslatori e rotatori in tutte le direzioni.

Ulna Radio

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Le superfici articolari sono date dalla testa dell’omero e dalla cavità glenoidea della scapola. I movimenti di flessione ed estensione sono piuttosto limitati, ma vengono resi più ampi dallo spostamento dell’intera struttura toracica.

Articolazione del gomito: è un complesso articolare costituito da tre diverse giunzioni: l’articolazione omero-ulnare, l’articolazione omero-radiale e l’articolazione radio-ulnare prossimale. Tutti i capi articolari di queste tre giunzioni sono compresi entro una capsula comune. L’articolazione del gomito consente i movimenti dell’avambraccio sul braccio ed i movimenti del radio sull’ulna. I principali movimenti dell’avambraccio sono quelli di flessione ed estensione, mentre lo spostamento del radio rispetto all’ulna con modifi-cazione nei rapporti negli assi longitudinali è denominato movimento di prono-supinazione.

1.2.2 Apparato muscolare

I muscoli dell’arto superiore si distinguono in intrinseci ed estrinseci. I muscoli estrinse-ci prendono inserzione sullo scheletro dell’arto superiore, ma hanno la loro origine al di fuori di esso; i muscoli intrinseci presentano sia l’origine sia l’inserzione sullo scheletro dell’arto.

1.2.2.1 Muscoli della spalla

I Muscoli della spalla hanno tutti l'origine sulle ossa della cintura toracica e prendono l’inserzione sull’omero. Sono il muscolo deltoide, il muscolo sovraspinato, il muscolo piccolo rotondo, il muscolo grande rotondo ed il muscolo sottoscapolare.

Deltoide: ricopre la parte laterale dell’articolazione della spalla e si presenta triangolare ed appiattito, con la base in alto e l’apice in basso. Prende origine dal terzo laterale del margine anteriore della clavicola, dal margine laterale dell’acromion e dal labbro inferio-re del margine posterioinferio-re della spina della scapola. I suoi fasci si inseriscono tramite un robusto tendine nella tuberosità deltoidea dell’omero. Il deltoide presenta una faccia superficiale in rapporto con il foglietto superficiale della fascia deltoidea ed una faccia profonda rivestita dal foglietto profondo della fascia deltoidea. Risulta innervato dal nervo ascellare (C4-C6). Con la sua azione abduce il braccio di 90°.

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Figura 1.12 Deltoide

Sovraspinato: si trova nella fossa sovraspinata della scapola e ha forma prismatica triangolare. Ha origine dai due terzi mediali della fossa sovraspinata e dalla fascia omonima. I suoi fasci decorrono lateralmente sino ad inserirsi alla faccetta superiore della grande tuberosità dell’omero. La faccia superiore del muscolo è in rapporto con i muscoli trapezio e deltoide; la faccia profonda appoggia nella fossa sovraspinata e si mette in relazione con la capsula dell’articolazione della spalla. Il muscolo sovraspinato è innervato dal nervo sovrascapolare (C5). Contraendosi abduce e ruota all’esterno il

braccio, inoltre ha un’azione stabilizzatrice sull’articolazione del braccio.

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Piccolo rotondo: è allungato, appiattito e corrisponde al margine inferiore del muscolo infraspinato. Origina dalla fossa infraspinata e si porta in alto e lateralmente per inserirsi, con un breve tendine, alla faccetta inferiore della grande tuberosità dell’omero. Il suo tendine di inserzione aderisce alla capsula fibrosa dell’articolazione della spalla. La faccia posteriore del piccolo rotondo è in rapporto con i muscoli deltoide e grande rotondo, mentre la faccia anteriore entra in contatto con il muscolo sottoscapolare, con il tricipite e con la capsula dell’articolazione della spalla. È innervato dal nervo ascellare (C5). Contraendosi ruota all’esterno il braccio e fornisce un’azione stabilizzatrice durante

la flessione dello stesso.

Figura 1.14 Muscolo piccolo rotondo

Grande rotondo: si trova inferiormente al piccolo rotondo ed è anch’esso allungato ed appiattito. Origina dalla faccia dorsale dell’angolo inferiore della scapola, al di sotto del piccolo rotondo, e si reca in alto e lateralmente inserendosi al labbro posteriore del solco bicipitale dell’omero. La faccia posteriore è in rapporto con il muscolo grande dorsale e con il tricipite; la faccia anteriore si mette in rapporto con i muscoli sottoscapolare, coracobrachiale e grande dorsale. Il grande rotondo, insieme al grande dorsale, forma la parete posteriore della cavità ascellare, mentre assieme all’omero ed al piccolo rotondo delimita il triangolo dei muscoli rotondi. È innervato dal sottoscapolare inferiore (C5-C7)

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Figura 1.15 Muscolo grande rotondo

Gran pettorale: è situato anteriormente nel torace e forma gran parte della parete anterio-re del cavo ascellaanterio-re. Si distinguono una parte clavicolaanterio-re, una sternocostale ed una addominale. I fasci delle tre parti convergono in un tendine appiattito, inserendosi al labbro laterale del solco bicipitale dell’omero. La faccia superiore del muscolo è in rapporto con la ghiandola mammaria, la faccia profonda copre lo sterno, il piccolo pettorale e gli intercostali esterni. La sua azione adduce e ruota l’omero, oltre ad essere coinvolto nella flesso-estensione dell’arto.

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1.2.2.2 Muscoli del braccio

Muscoli del braccio: si possono distinguono anteriori e posteriori. Sono anteriori i muscoli bicipite brachiale, coracobrachiale e brachiale; posteriormente si trova il musco-lo tricipite brachiale.

Bicipite brachiale: è formato da due capi, lungo e breve, che inferiormente confluiscono in un ventre muscolare unico. Il capo lungo origina dalla tuberosità sovraglenoidea della scapola, mediante un tendine lungo e cilindrico che si inserisce nel solco bicipitale dell’omero. Il capo breve, mediale rispetto al capo lungo, origina dall’apice del processo coracoideo, e si porta in basso unendosi al capo lungo in un robusto tendine di inserzio-ne; quest’ultimo si va a fissare alla tuberosità bicipitale del radio. Il bicipite brachiale è in rapporto, in alto, con i muscoli deltoide e grande pettorale, e profondamente con il muscolo brachiale anteriore. Il tendine di inserzione inferiore si fa profondo nell’avambraccio, tra i muscoli brachioradiale e pronatore rotondo. Il muscolo bicipite brachiale è innervato dal nervo muscolocutaneo (C5-C6); con la sua azione supina e flette

l’avambraccio sul braccio e questo sulla spalla.

Figura 1.17 Muscolo bicipite brachiale

Coracobrachiale: si trova medialmente e profondamente al capo breve del bicipite. Origina dall’apice del processo coracoideo della scapola e si porta in basso per inserirsi al terzo medio della faccia anteromediale dell’omero. Si mette anteriormente in rapporto

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con il deltoide, con la parte laterale del grande pettorale e con il capo breve del bicipite; posteriormente è in relazione con i tendini del grande dorsale, del grande rotondo e del sottoscapolare; lateralmente entra in contatto con il capo breve del bicipite e medialmen-te con il fascio vascolonervoso dell’ascella e del braccio. Riceve l’innervazione attraverso il nervo muscolocutaneo (C6-C7). Contraendosi flette e adduce il braccio.

Figura 1.18 Muscolo coracobrachiale

Brachiale: è allungato, appiattito e si trova dietro al muscolo bicipite. Origina subito al di sotto del muscolo deltoide, dalle facce anteromediale e anterolaterale dell’omero, fino al livello dell’articolazione del gomito e si porta in basso per inserirsi sulla tuberosità dell’ulna. Il muscolo si mette in rapporto anteriormente con il bicipite, il brachioradiale e il pronatore rotondo. Posteriormente è in rapporto con il piano osseo e con l’articolazione del gomito. È innervato dal nervo muscolocutaneo (C5-C6) e,

contraendo-si, flette l’avambraccio.

Tricipite brachiale: è formato di tre parti denominate capo lungo, capo laterale e capo mediale. Il capo lungo sorge dalla tuberosità sottoglenoidea della scapola e dal labbro glenoideo; il capo laterale e il capo mediale nascono dalla faccia posteriore dell’omero, sopra e sotto, rispettivamente, al solco del nervo radiale. Entrambi i tre capi si portano in basso convergendo su un robusto tendine che va ad inserirsi sull’olecrano. Il tricipite è in rapporto posteriormente con il deltoide e con la fascia brachiale; anteriormente con

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l’omero e con l’articolazione del gomito. È innervato dal nervo radiale (C6-C8); la sua

azione estende l’avambraccio e adduce il braccio.

Figura 1.19 Muscolo brachiale

Figura 1.20 Muscolo tricipite brchiale

1.2.2.3 Muscoli dell’avanbraccio

I Muscoli dell’avambraccio si distinguono in anteriori, laterali e posteriori. Sono muscoli anteriori il pronatore rotondo e il pronatore quadrato; è laterale il muscolo brachioradia-le, mentre è posteriore il muscolo supinatore.

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Pronatore rotondo: è il muscolo più laterale dello strato superficiale ed attraversa obliquamente la metà superiore dell’avambraccio, dall’alto in basso e dall’interno all’esterno. Origina con due fasci: il capo omerale ed il capo ulnare. Il muscolo è rico-perto in superficie dalla fascia antibrachiale e dal lacerto fibroso del bicipite; profondamente esso si pone in rapporto con i muscoli brachiale anteriore e flessore superficiale delle dita e con il radio. Il muscolo pronatore rotondo è innervato dal nervo mediano (C6-C7). Con la sua azione ruota il radio all’interno (pronazione) e flette

l’avambraccio.

Pronatore quadrato: si trova profondamente nella parte inferiore ed anteriore dell’avambraccio e ha forma quadrilatera. Origina dal quarto inferiore della faccia anteriore e dal margine anteriore dell’ulna. I suoi fasci hanno decorso trasversale e si inseriscono al quarto inferiore della faccia anteriore e del margine anteriore del radio. Profondamente il muscolo ricopre la faccia anteriore del radio, dell’ulna e della mem-brana interossea. È innervato dal nervo mediano (C6-T1) e contraendosi ruota

medialmente l’avambraccio (pronazione).

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Figura 1.22 Muscolo Pronatore Quadrato

Supinatore: si dispone ad avvolgere il terzo superiore del radio. Origina dall’epicondilo, dal legamento collaterale radiale del gomito, dal legamento anulare del radio e dalla cresta del muscolo supinatore dell’ulna. I suoi fasci si portano in basso, in fuori ed in avanti per inserirsi alle facce anteriore e laterale del radio. La faccia superficiale è coperta dai muscoli posteriori del primo strato; la faccia profonda si pone in rapporto con la parte laterale dell’articolazione del gomito, con la membrana interossea e con il radio. È innervato dal nervo radiale (C5-C6); agisce ruotando in fuori l’avambraccio

(supinazione).

Brachioradiale: origina dal margine laterale dell’omero, al di sotto del solco del nervo radiale e dal setto intermuscolare laterale; il suo ventre si porta in basso occupando una posizione superficiale e prosegue in un lungo tendine che si inserisce al processo stiloi-deo del radio. La parte superiore del muscolo si trova fra il brachiale ed il tricipite; il tendine di inserzione è incrociato da quelli dei muscoli abduttore lungo ed estensore breve del pollice. Il muscolo brachioradiale è innervato dal nervo radiale (C5-C6),

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Figura 1.23 Muscolo Supinatore

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1.2.3 Neuroni del movimento e recettori sensoriali

I neuroni coinvolti nel movimento si organizzano in due fasce principali:

1. Neuroni di primo ordine del movimento: collegano la corteccia al midollo spinale, l’assone di questi neuroni fa parte del sistema nervoso centrale e in caso di lesione non rigenera. L’insieme di questi assoni costituisce il fascio piramidale.

2. Neuroni di secondo ordine di movimento: collegano il midollo spinale ai muscoli, si dividono a loro volta in due categorie, motoneuroni alpha, che innervano i muscoli scheletrici e assieme ad essi formano l’unità motoria, e i motoneuroni gamma che innervano i fusi neuromuscolari. L’assone del neu-rone di secondo ordine entra a far parte della radice anteriore, quindi del nervo spinale, dei plessi e dei nervi periferici. Questo assone appartiene al sistema nervoso periferico e in caso di lesione è in grado di rigenerare. I recettori sensoriali presenti nei muscoli sono di due tipi:

Fusi neuro-muscolari: sono recettori di allungamento del muscolo, la contrazione delle fibre del fuso attiva il riflesso propriocettivo e stimola il potenziamento della contrazione delle fibre muscolari, attraverso i motoneuroni alpha.

Organi tendinei del Golgi: sono posti in serie rispetto alle fibre muscolari, per cui sono recettori di tensione muscolare.

1.3 Il controllo motorio

Con il termine controllo motorio si indica la capacità del sistema nervoso di regolare il movimento corporeo. Tale capacità non può prescindere dalla percezione sensoriale, ovvero dall’integrazione dei dati sensoriali in informazioni cognitive utilizzabili dal sistema nervoso centrale; il meccanismo di percezione deve quindi essere considerato come un mezzo attivo mediante cui si fondono in modo coerente informazioni sensoriali, che descrivono lo stato del corpo e l’ambiente esterni in cui si trova, e comandi motori. Questo concetto esprime la natura ecologica del controllo motorio, ovvero l’interazione sinergica tra i processi cerebrali e la dinamica dell’ambiente. Infatti, i comandi motori da

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fattori di una più complessa “equazione” dove la dinamica dell’ambiente ha un’influenza determinante [7][8].

Il processo computazionale necessario per la generazione di un piano motorio è uno dei principali argomenti di studio della robotica, e in genere viene affrontato scomponendolo in 5 sottoproblemi come schematizzato in Figura 1.25:

1. Pianificazione della traiettoria 2. Formazione della traiettoria

3. Risoluzione della cinematica inversa 4. Risoluzione della dinamica inversa 5. Attivazione muscolare

L’approccio tradizionale prevede che ognuno dei blocchi venga risolto in sequenza, generando una catena di calcolo a cui si aggiunge un anello di controllo in feed-back.

Figura 1.25 Processo computazionale necessario alla generazione di un piano motorio

L’utilizzo di questo schema di controllo riesce molto difficilmente a spiegare il funzio-namento del controllo motorio umano. In particolare si evidenziano due discrepanze:

1. Un approccio di questo tipo può garantire la stabilità del movimento soltanto nel caso in cui i ritardi nell’anello sono trascurabili, cosa che non accade nel si-stema nervoso, in cui i ritardi sono praticamente del solito ordine di grandezza della durata del movimento.

Pianificazione Formazione di traiettorie Cinematica inversa

Dinamica inversa Controllo muscolare Traiettoria desiderata Traiettoria reale

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2. La risuscita di un controllo di tipo sequenziale ha successo solo se il tempo di calcolo dell’unità elementare è molto veloce, questo requisito non concorda con quello che avviene nel cervello in cui si sviluppa un’elaborazione parallela proprio per ovviare alla lentezza intrinseca della connessione sinaptica.

Nelle principali applicazioni di robotica, invece, l’approccio tradizionale funziona bene, a patto però di risolvere la dinamica inversa del robot, ovvero di conoscere il modello dinamico del manipolatore da controllare. Questo punto è particolarmente critico, e sarebbe auspicabile evitarlo. A tale proposito una possibile soluzione può essere trovata ispirandosi al comportamento biologico e traendo dal comportamento umano la massima bioispirazione funzionale. I muscoli, che sono, di fatto, gli attuatori del corpo umano hanno particolari proprietà viscoelastiche che possono contribuire alla semplificazione del problema dinamico inverso in modo significativo. Inoltre, la visco-elasticità degli attuatori è alla base della capacità del braccio umano di manipolare oggetti. Infatti, affinché la manipolazione sia stabile occorre che il manipolatore appaia all’interfaccia con l’ambiente esterno come un dispositivo passivo, ovvero come dissipatore netto di energia. Questa condizione è garantita nel caso biologico grazie agli attuatori muscolari. Inoltre, la proprietà visco-elastica del muscolo rappresenta un sistema di controllo a feed-back implicito istantaneo che contrasta l’effetto dei disturbi esterni o interni. L’importanza funzionale di questo meccanismo di controllo è un punto cruciale nella comprensione del controllo motorio, infatti, in letteratura si scontrano teorie che propon-gono la stiffness del braccio come unico meccanismo di reiezione dei disturbi ad altre che vedono nelle proprietà visco-elastiche del braccio una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire la stabilità del movimento in ambienti non strutturati. Le teorie che prevedono la centralità delle proprietà meccaniche del muscolo vanno sotto il nome di Equilibium Point Hypothesis [9], poiché sostengono che la postura sia la diretta conseguenza del campo di forze convergente generato dalla sovrapposizione delle forze muscolari. Tale forza dipende dal punto di riposo del muscolo ovvero dalla lunghezza naturale in assenza di carico, quindi il parametro di controllo del sistema è la posizione di riposo dei muscoli, determinata a livello sovra spinale. In definitiva il cervello ha il compito di selezionare il punto di riposo di ogni muscolo a cui coinciderà una certa posizione di equilibrio del braccio, quindi per effettuare il movimento il cervello

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sele-zionerà una sequenza di punti di riposo, ovvero una traiettoria desiderata e le proprietà elastiche del muscolo penseranno a realizzarla, senza bisogno di ulteriori interventi. In Figura 1.26 è riassunto schematicamente il funzionamento di questo paradigma di controllo. Il cervello può inoltre avvantaggiarsi di altri due fattori, oltre a quelli già citati:

1. La ridondanza di attuazione, poiché il numero di attuatori è ridondante rispetto ai gradi di libertà del braccio

2. La caratteristica forza-allungamento del muscolo è di tipo esponenziale

Quest’ultimo punto è di particolare importanza poiché introduce la possibilità di control-lare un altro fattore determinante ai fini della stabilità del movimento ovvero la rigidezza del giunto, grazie ad un comando di coattivazione muscolare.

Figura 1.26 Equilibrium point hypothesis, lambda model

Riassumendo, le proprietà viscoelastiche del muscolo generano un meccanismo implici-to di feed-back istantaneo che contrasta l’azione dei disturbi, esterni o interni. L’importanza di questo feed-back è tuttora argomento di dibattito in neuroscienze, per cui alcune correnti di pensiero lo reputano non sufficiente alla stabilità del movimento

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[10][11] e, per questo, suppongono l’esistenza di un modello dinamico interno utilizzato del CNS per il controllo motorio.

Figura 1.27 Schemi di controllo alternativi. In alto feed-forward basato su modello interno della dinamica; al centro controllo in feed-back con ritardo; in basso controllo a feed-back con

osservato-re dello stato i cui ingessi sono le riaffeosservato-renze sensoriali e la copia effeosservato-rente.

Un controllo di tipo feed-forward [12] basato sulla presenza di un modello interno per la risoluzione della dinamica inversa, Figura 1.27 in alto, è veloce e non corre il rischio di instabilità, ma presenta l’inconveniente di essere molto sensibile ai disturbi dinamici, sia che vengano dall’esterno che dall’interno (modifiche del corpo o degli attuatori). Pertan-to uno schema di controllo di quesPertan-to tipo necessita di avere caratteristiche adattive, che lo rendano in grado di modificare il modello interno su cui si basa, in funzione dell’errore verificato nel compimento della traiettoria; è comunque da sottolineare che un approccio di questo tipo non converge nel caso di disturbo instabile. Un controllo a feed-back, Figura 1.27 al centro, come già detto in precedenza, presenta dal punto di vista teorico la possibilità di modificare il comando motorio in corso di movimento in

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l’informazione sensoriale giunge con un ritardo che rende instabile il sistema anche nel compimento di task molto semplici. Una possibile risoluzione di questo problema consiste nell’applicazione di uno stimatore dello stato attuale che si basi sia su informa-zioni presenti, ovvero sulla copia efferente dei comandi motori, che su informainforma-zioni passate, ovvero sulle riafferenze, Figura 1.27 in basso. Tale paradigma risolverebbe i problemi di instabilità del modello a feed-back classico, e rappresenterebbe quindi una combinazione ottima dei controlli feed-forward e feed-back. In questo senso la coesi-stenza delle due modalità di controllo può essere spiegata con una differenza nei tempi di adattamento ovvero il controllo in feed-back tende ad adattarsi più rapidamente del controllo in feed-forward. Questa ultima considerazione può essere spiegata consideran-do ad esempio il movimento del braccio in un piano orizzontale in cui è presente un campo di forza divergente che lo assoggetta da un disturbo instabile, i metodi con cui il braccio può adattarsi sono due:

1. Regolazione fine della stiffness.

2. Controllo anticipativo basato su modello interno.

Nel primo caso avviene una modulazione dell’impedenza meccanica del braccio, questa regolazione fa si che ellisse di stiffness ruoti, disponendosi in modo perpendicolare alla traiettoria del braccio nel piano cartesiano, incrementando la capacità di reiettare i disturbi esterni. Questa strategia implica comunque la necessità di elaborazione cerebrale del pattern di attivazione, poiché una semplice coattivazione di tutti i muscoli implicati non porterebbe a tale modifica ma piuttosto ad un semplice aumento della dimensione complessiva dell’ellisse di stiffness, con risultati peggiori in termini di stabilità e di costo metabolico. Nel secondo caso invece avviene una generazione di forza netta, senza coattivazione che corrisponde alla soluzione del modello dinamico inverso interno allo stesso sistema nervoso. Queste due strategie di regolazione coesistono contemporanea-mente con un’importanza reciproca che varia in funzione della natura del disturbo, ovvero del tempo di risposta necessario per garantire la stabilità del braccio. Il tempo necessario alle riafferenze sensoriali al fine di generare comandi anticipativi funzional-mente efficaci sono nell’ordine dei 100ms, pertanto un controllo anticipativo sarà fatto solo per disturbi con intervalli il cui tempo critico sia ben oltre i 100ms, mentre la

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coattivazione muscolare e quindi la regolazione della stiffness avviene in modo istanta-neo ovvero per tutte le regolazioni al di sotto dei 100ms.

Figura

Figura 1.1 Struttura del muscolo scheletrico
Figura 1.2 Rappresentazione schematica del sarcomero
Figura 1.4 Curve tensione lunghezza sviluppate da muscoli caratterizzati da una diversa quantità di  tessuto connettivo
Figura 1.5 Caratterizzazione isotonica mediante esperimento di Qick-Release. Setup sperimentale  (A),  forza e allungamento in funzione del tempo (B),  curva Velocità / forza (C)
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Riferimenti

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