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I VANTAGGI ANATOMO-FUNZIONALI DELLA VIA DI ACCESSO ANTERO-SUPERIORE DI SPALLA NELLA PROTESI INVERSA SU ARTROPATIA DA CUFFIA

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INDICE

1. Riassunto 2

2. Anatomia funzionale della cuffia dei rotatori e del deltoide 3

3. Biomeccanica della spalla patologica:evoluzione verso l’artropatia da cuffia 8

4. Indicazioni chirurgiche nell’artropatia da cuffia:la protesi inversa di spalla 14

5. Vie chirurgiche di accesso per la protesi inversa di spalla 16

6. Materiali e metodi 21

7. Risultati 25

8. Discussione e conclusioni 27

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1. RIASSUNTO

Lo scopo di questo studio è stato di analizzare i risultati ottenuti con la via di accesso antero-superiore di spalla nella protesi inversa in termini di recupero funzionale, dolore e stabilità dell'impianto. La via di accesso più comunemente utilizzata per questo tipo di chirurgia della spalla è la deltoideo-pettorale; questa via rispettosa dell’anatomia superficiale prevede la sezione del sottoscapolare e non garantisce un’esposizione frontale della glena. La via d’accesso antero-superiore descritta da Molè et al. e da noi utilizzata per la protesi inversa di spalla permette una migliore visualizzazione della glena e il rispetto del tendine del sottoscapolare che è il maggior stabilizzatore anteriore.

La lussazione della protesi inversa resta tutt’oggi la complicanza più temibile e frequente di questo tipo di impianto. I dati in letteratura sull’instabilità post-operatoria mostrano percentuali attorno al 5 % per quanto riguarda la via deltoideo-pettorale e dello 0,8% per la via antero-superiore. Le percentuali di scapular notching e i risultati clinico-funzionali sono invece sovrapponibili tra le due metodiche.

Nella nostra clinica sono state impiantate consecutivamente 36 protesi inverse di spalla su 33 pazienti con artropatia della cuffia dei rotatori utilizzando l'approccio antero-superiore e preservando il tendine del sottoscapolare. Abbiamo rivalutato tutti i nostri pazienti con un follow up medio di 37 mesi e non abbiamo avuto nessun caso di instabilità , nessun caso di deficit del deltoide , il punteggio del Constant score ha mostrato un incremento significativo della funzionalità con una media post-operatoria di 68,3. Le radiografie di controllo mostrano una percentuale di scapular notching del 41%. I buoni risultati funzionali osservati con un follow-up di circa 3 anni senza dubbio risultano dalla corretta tecnica chirurgica sulla componente glenoidea e dalla conservazione del muro anteriore composto da tendine del sottoscapolare e dalla fascia anteriore.

Prendendo in analisi la letteratura e la nostra casistica discutiamo i vantaggi dell’approccio antero-superiore di spalla rispetto alla via classica deltoideo-pettorale nell’artropatia da cuffia.

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2. ANATOMIA FUNZIONALE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI E DEL DELTOIDE

La cuffia dei rotatori rappresenta lo stabilizzatore principale della spalla. E’ costituito dai tendini dei muscoli: sopraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo, sottoscapolare e capo lungo del bicipite (Figura 1).

Figura 1. Anatomia della spalla.

I primi tre (extrarotatori) si inseriscono sul trochite, il sottoscapolare (intrarotatore) sul trochine. A circa 15 mm dall’inserzione sull’omero i tendini extrarotatori si fondono tra loro; a tale livello la loro separazione è impossibile. Il sopra e il sottospinoso sono formati da cinque strati.

I tendini della cuffia ruotano l’omero rispetto alla scapola stabilizzando la testa (compressione) contro la glena e sono coinvolti nel meccanismo di “bilanciamento muscolare”. Infatti i muscoli della spalla per la loro vasta inserzione e reciproca connessione, generano movimenti rotazionali. Se si vuole compiere un movimento senza

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rotazione, occorre una parziale neutralizzazione di alcuni muscoli. Ad esempio se si vuol compiere un movimento di intra-rotazione, il muscolo grande dorsale deve essere neutralizzato dalla cuffia e dal deltoide perché altrimenti genererebbe anche un movimento di adduzione.

- Il sopraspinoso: è un muscolo fusiforme che origina dalla scapola in una fossa superiore alla spina della scapola e si inserisce alla grande tuberosità dell’omero. Il muscolo è formato da fibre superficiali e profonde. Le prime decorrono longitudinalmente, le altre obliquamente. Il sopraspinoso ha numerose funzioni cinematiche; a causa della sua posizione vicino alla testa omerale, ha un piccolo braccio di momento. Agisce spingendo in basso e centralizzando la testa omerale e contribuisce all’elevazione omerale insieme con il deltoide ed altri muscoli. Esso gioca un ruolo chiave nella stabilizzazione della testa all’inizio dell’elevazione e dell’abduzione. Inoltre poiché il sopraspinoso può tensionare il complesso cuffia-capsula superiore, resiste alla sub-lussazione inferiore dell’omero, contribuendo alla compressione della testa omerale nella cavità glenoidea, garantendo la stabilità dell’articolazione.

- Il sottospinoso: emerge dalla fossa scapolare inferiore alla spina della scapola e si inserisce sulla grande tuberosità dell’omero, posteriormente al sopraspinoso. E’ un muscolo bipennato. L’azione primaria del sottospinoso è di ruotare esternamente l’omero. Contribuisce inoltre alla stabilità articolare formando una barriera alla traslazione posteriore e comprimendo la testa omerale nella cavità glenoidea.

- Il piccolo rotondo è il più piccolo ed origina dal margine laterale della scapola e dalla fascia del m. sottospinoso e si inserisce sulla faccia postero-inferiore del trochite. Agisce come rotatore esterno dell’omero e si oppone, insieme al sottospinoso, alla lussazione anteriore.

- Il sottoscapolare è il più grande e potente dei muscoli della cuffia e costituisce la porzione anteriore della cuffia dei rotatori; origina dalla fossa sottoscapolare, che comprende quasi tutta la scapola anteriore e si inserisce sulla piccola tuberosità dell’omero. E’ un muscolo multipennato, ricco di fibre collagene disposte parallelamente nello strato superficiale e

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disordinatamente nello strato profondo. Per gli intimi rapporti che contrae con l’articolazione gleno-omerale, il sottoscapolare è considerato uno stabilizzatore passivo dell’articolazione, nel caso di sollecitazioni sub-lussanti anteriormente la testa omerale. E’ prevalentemente un’intrarotatore ma contribuisce, insieme al muscolo deltoide, all’elevazione della scapola.

- Il muscolo deltoide è di forma conica ed è il più largo dei muscoli scapolo-omerali; origina con tre fasci:

 anteriore, dal bordo anteriore del terzo laterale della clavicola;  medio, dall’acromion;

 posteriore, dal margine inferiore della spina della scapola. Si inserisce sulla tuberosità deltoidea dell’omero.

Morfologicamente il fascio medio ha struttura bipennata e i due fasci posteriore e anteriore sono fusiformi.

La principale azione del muscolo deltoide è l’abduzione dell’omero effettuata da tutti e tre i fasci dove il medio dà la direzione e il massimo della forza, l’anteriore e il posteriore sono fra loro antagonisti avendo funzione prevalentemente fissatrice.

Il fascio anteriore partecipa alla flessione e alla intrarotazione della diafisi omerale; il posteriore partecipa invece all’estensione e alla rotazione esterna. In entrambi i casi la testa omerale si presenta, rispettivamente, retro-posta o ante-posta.

Importante risulta anche l’azione statica di sinergismo agonista dei fasci superiore e traverso del muscolo trapezio con il muscolo medio del muscolo deltoide nell’evitare lo slittamento verso il basso dell’omero quando si sostengono pesi elevati o medi per tempi lunghi. Secondo un’antica classificazione di Fick, il muscolo deltoide, che è da considerarsi primo abduttore (in termini di forza) presenta in sezione trasversale una disposizione a raggiera, dove fra i fasci che originano dalla spina della scapola, i più mediali avrebbero, sempre, funzione abduttrice mentre gli altri agirebbero, prevalentemente da adduttori e flessori. Analizziamo ora più approfonditamente il movimento di abduzione, che classicamente si può dividerebbe in tre fasi:

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Prima fase, da 0° a 90°. I muscoli motori sono, in questa fase: il muscolo sopraspinato, il muscolo deltoide e il capo lungo del muscolo bicipite. In questa fase il muscolo deltoide è al primo posto, tuttavia da un punto di vista temporale si è sempre sostenuto che l’abduzione della spalla viene sempre iniziata del muscolo sopraspinato e infatti gli anglosassoni lo chiamano abductor starter; subito dopo segue l’azione del muscolo deltoide. Il motivo di questa sequenza temporale è dovuto al fatto che l’inizio dell’abduzione da parte del muscolo deltoide produrrebbe un movimento lussante della testa omerale verso l’alto e, pertanto, sarebbe compito del muscolo sopraspinato porvi rimedio, prevenendo tale dislocazione, grazie alla sua inserzione che favorisce, contemporaneamente, un movimento abduttorio e alloggiamento della testa omerale nella glenoide. Entrambi i muscoli sono temporalmente sinergici nel dare origine all’abduzione correggendo a vicenda la direzione a salvaguardia del movimento e della sua stabilizzazione.

Seconda fase, da 90° a 150°. I muscoli motori sono il muscolo trapezio (fasci superiori) e il muscolo gran dentato che insieme formano una coppia di forze.

Se si considera la spalla vista posteriormente, il lavoro prodotto dal muscolo gran dentato sposta, con movimento di rotazione anti-oraria, la scapola, facendo si che la cavità glenoidea si rivolga verso l’alto.

Questo permette al trochite omerale di muoversi liberamente e quindi di far eseguire all’arto superiore un movimento di elevazione laterale fino a 150°. Inoltre la rotazione della scapola, allontanando le inserzioni prossimali del muscolo deltoide, gli consente di esplicare maggior forza.

Terza fase, da 150° a 180°. I muscoli motori sono sempre il muscolo deltoide, muscolo sopraspinato, muscolo trapezio e il muscolo gran dentato. L’elevazione latero-mediale, per essere possibile, deve produrre uno spostamento del busto. Nell’elevazione di un solo arto intervengono i muscoli flessori contro-laterali del rachide che, allontanando ulteriormente le inserzioni dei muscoli motori, consente loro di operare gli ultimi 30°. Nell’elevazione di entrambi gli arti si ha l’intervento della muscolatura paravertebrale lombare che producendo un’iperlordosi lombare, sposta il busto realizzando una distensione delle fibre elevatrici.

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Il muscolo deltoide interviene anche nel movimento di flessione, soprattutto nella prima fase (tra 0° e 60°) con il suo fascio anteriore; nel movimento di estensione (o retroposizione), nel quale il muscolo deltoide vi partecipa con i suoi fasci spinali e parte di quelli acromiali; nel movimento di rotazione sul piano traverso, cioè un movimento che avviene sul piano orizzontale attorno all’asse longitudinale (o verticale) della spalla.

Infine il muscolo deltoide partecipa con i suoi fasci posteriori anche alla rotazione assiale, cioè a quel movimento che avviene attorno all’asse della diafisi omerale, sul piano orizzontale.

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3. BIOMECCANICA DELLA SPALLA PATOLOGICA: EVOLUZIONE VERSO L’ARTROPATIA DA CUFFIA

La mobilità della spalla è superiore a quella delle altre articolazioni. Studi cinesiologici hanno rilevato che l’arco di movimento in flessione è compreso tra 0° e 180°; quello di intra/extrarotazione è di circa 155° e quello di rotazione sul piano orizzontale è di circa 170°. La possibilità di un così ampio range di movimenti è data dalla sincronia dell’articolazione gleno-omerale e scapolo-toracica.

Il movimento del cingolo scapolare implica una reciproca coordinazione tra le articolazioni, sterno-clavicolare, acromion-clavicolare, gleno-omerale e scapolo-toracica, gestita dall’azione di circa trenta muscoli.

Il gruppo di Inman et coll. [1] è stato uno dei primi a misurare il ruolo della cuffia dei rotatori nella funzione della spalla. Avendo trovato che i muscoli della cuffia sono tutti attivi durante la maggior parte dei movimenti della spalla, hanno rafforzato il concetto delle coppie di forze attorno all’articolazione gleno-omerale. Utilizzando questo concetto, i gruppi di muscoli lavorano insieme per bilanciare l’un l’altro le azioni non necessarie per produrre l’effetto desiderato. Per esempio, i muscoli della cuffia deprimono e stabilizzano la testa omerale nel momento in cui il deltoide agisce per elevare il braccio. Quando una di queste forze è eliminata da una lesione o paralisi, viene perso questo accoppiamento e ne risulta una meccanica anormale.

Per studiare questi concetti sono stati utilizzati dei modelli di spalla matematici, analitici o da cadavere.

Questi studi suggeriscono che a livello della spalla possono essere generate forze molto significative, dell’ordine del peso corporeo, a causa del lungo braccio di leva dell’estremità superiore. Anche se variano le tecniche di simulazione, i risultati trovati tra questi modelli sono simili. Viene confermata l’importanza del sopraspinoso all’inizio dell’abduzione. Se ad es. viene simulata una lesione del sopraspinoso (con la cuffia ancora intatta) la forza richiesta dalla porzione centrale del deltoide per abdurre il braccio nel piano scapolare,

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aumenta del 100% all’inizio dell’abduzione, ma non è affatto aumentata oltre i 90° di abduzione.

La muscolatura della cuffia dei rotatori conferisce stabilità dinamica dell'articolazione gleno-omerale che è intrinsecamente instabile.

Esistono oltre agli stabilizzatori dinamici anche stabilizzatori statici che riducono lo scivolamento superiore della testa omerale i principali sono l’arco coraco-acromiale, il complesso capsulo-ligamentoso e l’architettura ossea. Il capo lungo del bicipite è considerato uno stabilizzatore minore in particolare agisce in posizione di abduzione ed extrarotazione [2,3].

Ci sono due tipi di “coppie di forze” stabilizzatrici dinamiche : una coppia coronale ed una trasversa.

La coppia di forza coronale è formata da deltoide e sovraspinato che contribuiscono entrambi all’abduzione durante la quale la risultante delle forze è diretta verso la glenoide con un meccanismo di compressione della testa nella glena che garantisce stabilità.

La coppia di forza trasversale è formata dall’infraspinato , dal piccolo rotondo e dal sottoscapolare , l’equilibrio tra questi muscoli è fondamentale per la compressione e la rotazione concentrica della testa omerale; questa coppia di forze diviene lo stabilizzatore principale in presenza di lesioni della cuffia superiore.

La normale funzione della spalla di fronte a una rottura della cuffia superiore non riparata può avvenire solo se vi è un equilibrio delle due coppie di forze, uno sul piano coronale e l'altra nel piano trasversale. Questo equilibrio dipende dall'integrità funzionale della cuffia anteriore (sottoscapolare), di quella posteriore (infraspinato) e del deltoide.

Finché la coppia trasversale funziona l’articolazione rimane centrata, evitando lo scivolamento superiore della testa omerale, questo spiega perché individui con rotture anche massive della cuffia dei rotatori mantengono un abduzione attiva della spalla [4,5,6]. Questo concetto è stato esteso al trattamento chirurgico, infatti, la tecnica di riparazione parziale delle lesioni massive prevede la riparazione dei margini della lesione per ripristinare

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le coppie di forze ed il "ponte sospeso" in modo da garantire una sistema di trasmissione delle forze nella spalla.

Quindi la copertura completa del difetto tendineo diviene non più essenziale fino a quando sono stati ripristinati il pilastro anteriore e posteriore e la lesione della cuffia è stata convertita in un "una lesione funzionale della cuffia" ( rotator cuff tear converted to a “functional cuff tear” Burkhart SS ).

Questa tecnica di riparazione parziale può essere preferibile ad altre tecniche ricostruttive, come trasposizione tendine, che a discapito della copertura del difetto tendineo alterano l’anatomia e la biomeccanica normale della spalla [7].

Quando c’è un’insufficienza della coppia trasversale si ha una conseguente risalita della testa omerale (Figura 2) [8].

Questa situazione evolve verso un’incapacità funzionale della spalla ad abdurre e assieme alle alterazioni radiografiche configura il quadro di artropatia da cuffia.

Figura 2. Risalita testa omerale.

Il termine “artropatia da cuffia” è stato utilizzato per la prima volta da Neer (Cuff Arthropathy) nel 1983 per definire una patologia correlata alla degenerazione dell’articolazione gleno-omerale, associata a lesione massiva della cuffia dei rotatori [9].

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Questa patologia si differenzia da altre patologie degenerative e distruttive dell’articolazione gleno-omerale e sia la sua diagnosi che il trattamento, rimangono molto difficili [10]. E’ stato stimato che circa il 4% delle lesioni della cuffia dei rotatori conduce a questa patologia.

Ne sono affette più frequentemente le donne in età medio - avanzata e spesso il quadro è bilaterale.

Per quanto riguarda la sua eziologia, Neer et coll., hanno descritto sia fattori meccanici che nutrizionali.

I fattori meccanici includono patologie come l’instabilità di spalla associata a lesione massiva della cuffia dei rotatori, che porta a una migrazione verso l’alto della testa omerale con successiva erosione dell’acromion, dell’articolazione acromion-claveare e della clavicola. E’ stato ipotizzato che anche l’instabilità antero-posteriore possa causare alcune delle deformità che si riscontrano in tale patologia.

La diminuzione di movimento che si ha nei pazienti affetti da artropatia da lesione della cuffia causa inoltre un’osteopenia da disuso cronico. Si pensa che il restringimento dell’articolazione e la perdita di una ben definita cavità articolare, comporti una diminuzione nella quantità e qualità del liquido sinoviale che, a sua volta, può comportare un inadeguato processo di diffusione di sostanze nutrienti.

Da un punto di vista clinico, i pazienti con artropatia da cuffia si presentano con dolore che compare con le attività quotidiane, di notte o a riposo e si accentua con l’elevazione in avanti e la rotazione esterna. I pazienti presentano spesso un versamento articolare, voluminose borsiti sub acromion-deltoidee e la diminuzione dell’escursione articolare. Può essere presente anche instabilità in aggiunta alla dolorabilità e agli scrosci articolari.

I segni radiografici includono:

 il restringimento articolare con diffusa osteopenia,

 una risalita verso l’alto della testa dell’omero rispetto alla glenoide

 la successiva erosione sulla superficie inferiore dell’acromion con osso sclerotico reattivo.

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Questi segni possono progredire fino al coinvolgimento dell’articolazione acromion-claveare e alla parte distale della clavicola.

I pazienti svilupperanno a livello superiore della testa dell’omero una sclerosi subcondrale a “snow cap” (cappello da neve), spesso con modificazioni cistiche sulla grande tuberosità. Quest’ultima arrotondata assume un aspetto di “femoralizzazione” della testa dell’omero, con susseguente “acetabolarizzazione” dell’arco coraco-acromiale. Con un ulteriore collasso e distruzione la testa spesso si medializza appoggiandosi e usurando posteriormente il processo coracoideo.

In base a questi segni radiografici, Hamada [11], ha classificato gli stadi radiografici della lesione massiva di cuffia e dell’artropatia da cuffia in cinque classi (Figura 3). Le varie classi si differenziano in base al tipo e alla gravità di lesione sul versante osseo, e sono:

CLASSE I: distanza acromion-omerale (AHD) maggiore di 6 mm CLASSE II: distanza acromion-omerale (AHD) minore/uguale a 6 mm

CLASSE III: detta anche “acetabolizzazione”, caratterizzata da erosione dell’acromion secondario ad una migrazione della testa omerale;

CLASSE IV: presenza di artrosi della gleno-omerale CLASSE V: presenza di osteonecrosi della testa omerale.

I pazienti che rientrano nelle classi IV o V, con evidenze radiografiche di cambiamenti a livello gleno-omerale, sono quelli da considerare come un’artropatia da cuffia in accordo con la definizione data da NEER et coll.

I pazienti, invece, nelle classi I, II, III di Hamada, hanno una rottura massiva della cuffia dei rotatori ma senza artrosi gleno-omerale.

Questa classificazione permette di differenziare l’artropatia da cuffia dei rotatori da una massiva rottura della stessa, ma senza artrosi.

Alcuni autori suddividono il grado IV in IV(a) senza acetabolizzazione e IV (b) con acetabolizzazione.

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Il tipo di artrosi che si sviluppa in questi pazienti è definito omoartrosi eccentrica o superiore.

Secondo molti autori è un quadro che sconfina nelle artropatie distruttive da porre in diagnosi differenziale anche da altre patologie che presentano un quadro simile che includono l’artrite reumatoide, infezioni, artrite post-traumatica, alterazioni metaboliche che includono osteonecrosi e artropatia da microcristalli e neuropatie articolari . A questo proposito può non essere sufficiente solo lo studio radiografico.

Possono infatti rendersi utili se necessari altre indagini quali esami ematochimici , l’aspirazione del liquido sinoviale e la coltura , esame TC e frequentemente la RMN.

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4. INDICAZIONI CHIRURGICHE NELL’ARTROPATIA DA CUFFIA: LA PROTESI INVERSA DI SPALLA

Per quanto riguarda i principi di trattamento dell’artropatia da cuffia, lo scopo principale è quello di risolvere il dolore e recuperare una funzionalità articolare accettabile.

Il trattamento conservativo è indicato agli stadi iniziali, nei quadri avanzati in quei pazienti che per motivi di carattere anestesiologico non possono sottoporsi all’intervento o in quelli che rifiutano l’ipotesi chirurgica.

Lo scopo principale del trattamento conservativo è quello di ridurre la sintomatologia dolorosa, in secondo luogo di mantenere un articolarità della spalla e del gomito tali da rendere il più possibile il paziente autosufficiente. Questi pazienti possono trarre qualche beneficio dall’assunzione di farmaci antinfiammatori, dal potenziamento del muscolo deltoide e dei rotatori e da infiltrazioni intra-articolari di corticosteroidi.

Definiamo con artropatia da cuffia una spalla non più funzionale e che radiograficamente appartiene più spesso ai gradi III, IV e V della classificazione di Hamada (Fig.4)

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L’unica opzione chirurgica che ricerca oltre alla risoluzione del dolore un recupero del movimento anche nei quadri avanzati di artropatia è la sostituzione protesica con un impianto di protesi inversa.

La caratteristica della protesi inversa è che l’anatomia dell’articolazione gleno-omerale viene “invertita”.

In questo modo il centro si rotazione viene spostato medialmente e distalmente [12,13,14]. La medializzazione del centro di rotazione crea un vantaggio meccanico per il muscolo deltoide, aumentando il suo braccio di leva e aumentando il reclutamento delle sue fibre

durante il movimento attivo.

La distalizzazione aumenta ulteriormente l'efficienza del deltoide della spalla durante il movimento tramite l’allungamento e l’associato incremento di tensione delle fibre a riposo (Figura 5).

Figura 5. La protesi inversa di spalla.

I vantaggi biomeccanici del nuovo centro di rotazione consentono così al deltoide di agire più efficacemente come sostituto della cuffia dei rotatori superiore [15,16].

L’impianto di protesi di rivestimento o protesi anatomiche non consentono di ripristinare il movimento della spalla e non sono quindi indicate.

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5. VIE CHIRURGICHE DI ACCESSO PER LA PROTESI INVERSA DI SPALLA

L'anestesia utilizzata è spesso di tipo generale integrata da un blocco interscalenico assicurando un'analgesia post-operatoria .

Il paziente è posizionato in posizione semiseduta lasciando l'intero arto superiore completamente libero sul campo operatorio.

La testa è fissata al reggitesta per evitare movimenti del capo. Il corpo deve essere posizionato sul bordo del letto operatorio in modo che l’arto superiore debordi completamente dal letto per consentire l’estensione del braccio.

Le principali vie chirurgiche di accesso per questo impianto sono la via deltoideo pettorale e la via antero-superiore.

La via d’accesso più comunemente utilizzata per la chirurgia protesica e non della spalla è la deltoideo-pettorale.

L’incisione viene eseguita dal processo coracoideo distalmente seguendo il solco deltoideo-pettorale. Questa via si fa largo in un piano di clivaggio tra il deltoide e il pettorale rispettando il piano internervoso. Dopo aver sezionato la fascia clavipettorale si isola il tendine congiunto e si carica medialmente. Per giungere a livello articolare si esegue la tenotomia del sottoscapolare o un’ostetomia della piccola tuberosità .

L’esposizione della glena non è agevole perché si trova su un piano perpendicolare alla via di accesso. Per contrasto appare facile dominare il margine anteriore e inferiore della glena, mentre è difficile gestire quello posteriore.

L’altro approccio chirurgico quello antero-superiore che descriveremo più nel dettaglio è la via da noi utilizzata.

Ispirato da Neviaser [17], Mackenzie [18, 19] descrive nel 1993 un nuovo approccio chirurgico alla spalla per la chirurgia protesica , ma anche questa via chirurgica prevede la tenotomia del sottoscapolare.

La via d’accesso antero-superiore descritta da Molè et al. [20] e da noi utilizzata per la protesi inversa di spalla è un approccio chirurgico diverso dall’approccio trans-acromiale

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originariamente descritto da Grammont e Baulot [21] e dall'approccio antero superiore descritto da Mackenzie [18].

Il posizionamento del paziente è simile, ma il gomito deve essere privo di qualsiasi sostegno per consentire all'assistente di applicare una forza in direzione prossimale al gomito per permettere la sublussazione prossimale della testa omerale.

Il chirurgo si posiziona lateralmente alla spalla in corrispondenza dell'asse della scapola. L'incisione cutanea parte dalla porzione postero-laterale dell’articolazione acromion-claveare e si continua in direzione delle fibre del deltoide , rimanendo distanti dal nervo ascellare che attraversa orizzontalmente l'acromion a 5 cm. Il chirurgo divide le fibre del muscolo deltoide ed espone la borsa subacromiale (Figura 6)

Figura 6. Reperi anatomici pre-operatori.

La dissezione della struttura muscolare attraverso avviene tramite splitting (diastasi longitudinale) delle sue fibre in modo da non comprometterne la funzionalità.

L’acromioplastica deve essere evitata in modo che non si indebolisca l'acromion.

Dopo l’escissione della borsa, il chirurgo esplora la cuffia che generalmente è assente nella sua porzione superiore . Il tendine sottoscapolare è ben visibile e viene preservato. Si esplora anche la cuffia posteriore ed il piccolo rotondo. Se il tendine del capo lungo del bicipite brachiale è ancora presente nella porzione intrarticolare ,viene eseguita la tenotomia

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all’ancora bicipitale. Con una forza diretta prossimalmente sul gomito mentre il braccio è in estensione si esegue la sublussazione della testa omerale, che grazie alla risalita della testa omerale presente nei pazienti con artropatia da cuffia risulta agevole. Inserendo la guida midollare si procede a preparazione della porzione omerale eseguendo un’osteotomia del collo anatomico con l’accortezza di preservare l’inserzione dei rotatori anteriore e posteriore (sottoscapolare e piccolo rotondo). L'osteotomia testa omerale dovrebbe essere generosa per consentire l'esposizione ottimale della glenoide e liberarla da qualsiasi ostacolo (Figura 7)

Figura 7. Osteotomia della testa omerale

Il chirurgo quindi completa l’esposizione glenoidea, esegue la resezione del labbro glenoideo ed il release capsulare. Il labbro inferiore viene accuratamente rimosso con un bisturi a lama mantenendo il contatto con il profilo osseo ed evitando bisturi elettrico, considerata la vicinanza del nervo ascellare.

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Successivamente dopo aver protetto l’ostetomia omerale grazie al posizionamento del retrattore omerale (Fukuda) si espone la glena (Figura 8)

Figura 8. Visualizzazione glena.

L'esposizione completa della glenoide consente la libera scelta del punto d’ingresso della guida di perforazione e la direzione del foro centrale per il fissaggio della piastra di base, inoltre la possibilità di palpare il margine anteriore e posteriore della glena permette di orientare correttamente le viti .

L'obiettivo di una completa visualizzazione della glenoide si ottiene con un'osteotomia omerale adeguata che consente il corretto posizionamento della glenosfera al bordo inferiore osseo glenoideo e con una lieve inclinazione inferiore per ottimizzare la

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biomeccanica della impianto e limitare lo scapular notching. Per limitare questa problematica si utilizzano ormai di routine glenosfere eccentriche che consento di distalizzare ancora di più il centro di rotazione. Una volta che l'impianto glenoideo è in posizione, il chirurgo esegue le prove di stabilità con gli impianti di prova. Il chirurgo determina lo spessore dell'inserto dalla stabilità in adduzione e valutando la tensione del tendine congiunto e del deltoide laterale [22]. Poi viene impiantata la componente omerale definitiva, con o senza cemento, riproducendo l'angolo retroversione dato dalle componenti di prova.

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6. MATERIALI E METODI

I pazienti sottoposti a intervento di protesi inversa di spalla su artropatia da cuffia nella nostra Clinica Universitaria eseguendo la via di accesso antero-superiore dall'anno 2007 all'anno 2012 sono risultati essere in numero di 39.

A seguito di tale procedura occorre rimuovere dal campione di partenza:  3 Pazienti che sono risultati deceduti;

 3 Pazienti che sono risultati irreperibili.

Pertanto il campione analizzato risulta essere composto di 33 pazienti.

I pazienti al momento dell'intervento presentavano un’età media di 75 anni con un minimo di 61 anni ed un massimo di 88 anni. Il totale degli impianti è 36 (3 casi di bilaterale). Di questi 4 sono uomini e 29 sono donne. Le spalle operate erano 22 destra e 14 sinistra. La media di Follow Up è di 37 mesi ( minimo 9 - massimo 68 ).

Tutti i 33 pazienti sono stati rivalutati a Gennaio 2013 mediante :

 Questionario Constant Score

 Radiografia della spalla (Valutazione incidenza scapular notching)  Valutazione incidenza episodi di lussazione

Tabella riassuntiva

_____________________________________ No. di spalle operate 36

No. di pazienti 33 Genere

Maschi 4 (12%) Femmine 29 (87%) Età media ( anni ) 75 (61-88) Follow up medio ( mesi ) 37 (9-68) Lato operato

Destro 22 (61%) Sinistro 14 (39 %)

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Il Constant score [23] rimane la scheda di valutazione più utilizzata, ed è il sistema consigliato dalla Società Europea di Chirurgia della Spalla e del Gomito (SECEC / ESSE). A suo sfavore resta la parte che analizza la forza muscolare per questo tipo di pazienti prevede sforzi muscolari eccessivi. (Figura 9)

Figura 9. Constant Score.

La radiografia di spalla in antero-posteriore e ascellare valuta il posizionamento dell’impianto , la presenza di calcificazioni eterotopiche , eventuali linee di radiolucenza o segni di chiare mobilizzazioni e la presenza o meno di notching scapolare.

Il notching scapolare descrive l'erosione e la lisi dell'osso a livello del collo della scapola causato dello sfregamento meccanico dell'impianto omerale quando l'arto è in adduzione , questo porta ad usura del polietilene . La risposta biologica seguente determina una flogosi

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articolare cronica, la capsula articolare si ispessisce e mostra un evidenza istologica di reazione infiammatoria cronica da corpo estraneo con reperto di macrofagi e cellule giganti multinucleate attorno a frammenti ossei e di polietilene [24], questo processo nel suo insieme potrebbe essere un potenziale fattore di mobilizzazione dell’impianto anche se non esistono al momento evidenze scientifiche che supportino in pieno tale tesi.

Per valutare la presenza o meno di notching si utilizza una radiografia in antero-posteriore della spalla senza sovrapposizione dell’omero sulla scapola.

Sirveaux e altri autori [25] stabilirono un metodo per descrivere la misura dell'erosione del collo della scapola. Nella classificazione di Nerot-Sirveaux esistono quattro gradi (Figura 10):

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 Grado 1: difetto contenuto all'interno del pilastro inferiore del collo scapolare.  Grado 2: erosione del collo scapolare a livello della vite di fissaggio inferiore.  Grado 3: estensione della perdita di massa ossea al di sopra della vite di fissaggio

inferiore.

 Grado 4: difetto osseo esteso alla superficie inferiore del piatto glenoideo.

L'evidenza radiografica di erosione del collo scapolare compare generalmente tra 6 settimane e 14 mesi dopo l'operazione con un incidenza che oscilla tra il 44% ed il 96 % [24,26].

La progressione radiologica e le sue correlazioni cliniche restano ancora controverse e dibattute in letteratura.

Non essendo un parametro incluso nella scheda di valutazione abbiamo aggiunto al questionario del paziente la valutazione degli eventuali episodi di lussazione dell’impianto. La lussazione della protesi inversa resta tutt’oggi la complicanza più temibile e frequente di questo tipo di impianto e che si verifica nella quasi totalità dei casi descritti in letteratura entro 6 mesi dall’intervento [27].

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7. RISULTATI

Dalla rivalutazione dei pazienti in nessun caso sono emersi episodi d’instabilità con lussazione dell’impianto. Non abbiamo avuto alcun caso di deficit del deltoide.

C’è stato un caso di frattura intraoperatoria dell’acromion senza alcuna conseguenza. Un caso di infezione. Un caso di formazione di ossificazioni eterotopiche. Nessuna revisione. L’analisi dei dati della scheda Constant ha mostrato un incremento netto dei punteggi. Il valore medio del punteggio pre-operatorio era di 30,4 punti (min 18 - max 50). Il valore medio post-operatorio è 68,3 punti. (min 45 - max 85) .

Per tutti i dati la differenza tra il preoperatorio ed il postoperatorio è statisticamente significativa con p < 0.001. (Figura 11)

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Tabella riassuntiva:

Dalla rivalutazione radiografica non sono emersi evidenti segni di mobilizzazione degli impianti mentre lo scapular notching è presente nel 41,66%.

Di questa percentuale l’86% appartiene ai gradi I e II della Grado classificazione Nerot-Sirveaux (Figura 12).

Figura 12. Grafico distribuzione scapular notching.

Scapular Notching

Grado I Grado II Grado III

PRE OPERATORIO

POST OPERATORIO

Attività Quotidiane

3,8 (2 – 6; 4,2)

8,6 (2 – 10; 2,2)

Dolore

4,7 (0 – 10; 5,3)

12 (5 – 15; 2,8)

Posizione Mano

4,4 (2 – 8; 4,7)

8,7 (6 – 15; 1,6)

Extrarotazione

4,1 (2 – 6; 4,3)

8,6 (2 – 10;2,9)

Intrarotazione

3,3 (2 – 6; 3,6)

6 (2 – 10; 4,1)

Elevazione Anteriore

3,7 (2 – 6; 3,9)

8,8 (4 – 10; 2,1)

Abduzione

3,8 (2 – 6; 3,9)

8,7 (2 – 10; 2,8)

Forza

2,7 (0 – 5; 3)

6,6 (4 – 12; 3,6)

Totale Constant

30,4 (18 – 50; 7,6)

68,3 (45 – 85; 10,6)

media (min – max; SD)

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8. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Partendo dal presupposto che la complicanza più temibile di questo tipo di protesi è l’instabilità dell’impianto [27] a nostro avviso la via chirurgica che garantisce maggiore stabilità e maggiore preservazione anatomica dovrebbe essere la più adottata.

Al momento non è così perché la via deltoideo-pettorale continua ad essere la più utilizzata [13] e la nostra Clinica è forse una delle poche in Italia ad utilizzare di routine nelle artropatie da cuffia questo tipo di approccio chirurgico.

Già in termini di visualizzazione glenoidea e di facilità di preparazione assiale dell’omero la via d’accesso antero-superiore descritta da Mackenzie [18] nel 1993 fornisce indubbi vantaggi. Ma la differenza sostanziale tra la via chirurgica descritta da Molè [20] e da noi utilizzata rispetto alla deltoideo-pettorale ed alla antero-superiore di Mackenzie è il mantenimento dell’integrità del sottoscapolare .

Innanzitutto bisogna sottolineare che la scelta tra l'approccio antero-superiore e deltoideo-pettorale dipende soprattutto dall’ esperienza del chirurgo. Secondariamente, è guidata dall’indicazione e analisi dei vantaggi e degli svantaggi di entrambe le tecniche.

Dobbiamo considerare che in caso di revisioni di impianti , tumori e fratture la via deltoideo-pettorale per la possibilità di estensione distale dell’accesso rimane la via d’accesso più indicata anche se in letteratura alcuni autori descrivono l’utilizzo della via antero-superiore combinata con una della via deltoideo-pettorale bassa per controllare la porzione omerale distale.

Secondo i sostenitori dell'approccio deltoideo-pettorale, il possibile posizionamento alto della glenoide rimane il rischio principale nell'approccio antero-superiore con conseguente possibile aumento delle percentuali di notching scapolare [28, 29].

Altri indubbi vantaggi della via deltoideo-pettorale sono la conservazione del deltoide e la possibilità di estensione inferiore dell’accesso a controllare l'omero distale.

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Nella via antero-superiore se si esegue un’osteotomia ampia omerale a nostro avviso pensiamo di poter ben visualizzare anche il bordo inferiore della glena posizionando la base glenoidea in posizione corretta .

Un'altra accortezza da utilizzare per ridurre al minimo i rischi di mobilizzazione e notching è quello di utilizzare un glenosfera eccentrica portando così il centro di rotazione in basso. Per quanto riguarda il rischio di indebolimento del deltoide anteriore (meccanico o da un danno neurologico ai rami distali del nervo ascellare) nella nostra casistica non ne abbiamo mai riportati e se la tecnica è condotta in modo preciso ci sono le distanze per lavorare in sicurezza e non danneggiare il muscolo.

Al contrario con l'approccio deltoideo-pettorale, l'osteotomia omerale deve essere minima per consentire la corretta tensione e ridurre al minimo i rischi d’instabilità [14,20]. Questo rende ancora più difficile lavorare sulla glena che si trova su un piano perpendicolare alla via d’accesso, in particolare appare difficile governare il margine posteriore che invece secondo noi è fondamentale per orientare correttamente le viti di fissaggio.

A nostro avviso comunque l’inconveniente principale della via deltoideo-pettorale rimane la tenotomia del tendine sottoscapolare che è il principale stabilizzatore anteriore; tenendo inoltre in considerazione che questo atto chirurgico è eseguito su un paziente anziano mediamente sui 70 anni affetto da artropatia da cuffia con un sottoscapolare degenerato è indubbio che la sua sezione rappresenta un possibile fattore negativo che può incidere sulla stabilità dell’impianto.

Zumstein et al. nel 2011 in una recente review sistematica di 782 protesi inverse ha rilevato che l’instabilità è la più frequente complicanza post-operatoria di questo tipo di impianto con una media di incidenza del 4,7 % [27], di queste 782 nel 97,3% era stato utilizzato l’approccio deltoideo-pettorale.

Gallo et al. nel 2011 riportano una casistica del New York Hospital for Special Surgery con 57 di impianti con un 15 % di lussazioni [30].

Edwards et al. [31] ha rivalutato 138 protesi inverse eseguite con la via deltoideo-pettorale, tutti casi che hanno avuto un episodio di lussazione (5,1%) sono pazienti con un tendine

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del sottoscapolare irreparabile o insufficiente. Questi dati confermano che il tendine del sottoscapolare è un elemento stabilizzatore importante e che un tentativo di riparazione dello stesso deve sempre esser eseguito quando si utilizza la via deltoideo-pettorale anche in caso di infiltrazione adiposa .

Durante il test intraoperatorio funzionale con inserto di prova utilizzando la via deltoideo-pettorale non si ha una sensazione di stabilità reale per l'assenza del tendine sottoscapolare. Un altro fattore importante a favore dell’approccio antero-superiore sono i tempi di riabilitazione decisamente più veloci in quanto non dobbiamo rispettare i tempi biologici della sutura eseguita sul tendine del sottoscapolare o come utilizzato da alcuni autori di un eventuale ostetomia della piccola tuberosità.

Come già sottolineato nel capitolo dei risultati non abbiamo mai avuto casi di debolezza o paralisi del muscolo deltoide e nessun caso di instabilità del sistema, e questo è il punto chiave per noi. I nostri risultati sono in linea con quelli riportati in letteratura.

Ad esempio osservando i dati riportati nello studio multicentrico di Molè et al. [20] della French Society of Trauma and Orthopaedic Surgery su 11 centri specialistici Europei che analizza 527 protesi inverse di primo impianto per artropatia da cuffia con follow- up di più di 2 anni comparando la via deltoideo pettorale con la via antero-superiore vediamo che il rischio di instabilità nella via deltoideo pettorale è del 5,1 % mentre nella via antero-superiore è attorno allo 0,8% e tale differenza risulta statisticamente significativa. Mentre l’incidenza del notching e delle neuroaprassie dell’ascellare sono sovrapponibili tra le due metodiche (Figura 13).

Come sottolinea G. Walch (2012), nella letteratura attuale non è stata stabilita in modo definitivo nessuna relazione tra il notching scapolare e la mobilizzazione glenoidea e il notching è considerato un segno radiologico molto inquietante ma che per il momento non influenza il follow up a lungo termine (> 10 anni) delle protesi inverse di spalla.

I risultati a lungo termine della protesi inversa per artropatia da cuffia danno un tasso di sopravvivenza dell’89% a 10 anni con minimo deterioramento funzionale fino a 8 anni. I segni radiografici invece iniziano a dare preoccupazione dopo 5 anni con progressione del

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notching ma senza un'influenza importante sul punteggio Constant-Murley . Mediamente la funzione del paziente si deteriora progressivamente dopo l'ottavo anno dunque dobbiamo avere molta cautela a riguardo delle indicazioni, specialmente nei pazienti più giovani [32].

Figura 13. Tabella estratta da articolo Molè et al. (2011)

Prendendo in analisi la letteratura e la nostra casistica possiamo affermare che la via antero-superiore presenta indubbi vantaggi , questo approccio sfrutta l’assenza della parte superiore della cuffia dei rotatori per facilitare l’esposizione dell’articolazione e questo la rende indicata in particolare nelle artropatie da cuffia.

Come con altri approcci richiede il posizionamento corretto del paziente e la conoscenza dei requisiti tecnici per sottolinearne i vantaggi e ridurre al minimo i rischi .

Concludendo l'approccio antero-superiore ha il vantaggio della semplicità, di un un'esposizione migliore dell'omero e della glenoide e dalla preservazione del tendine del sottoscapolare. Queste condizioni garantiscono un miglior impianto in termini di stabilità a livello sia glenoideo che globale del sistema.

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Figura

Figura 1. Anatomia della spalla.
Figura 2. Risalita testa omerale.
Figura 3. Classificazione di Hamada.
Figura 4. Artropatia da cuffia.
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