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Capitolo 6 Il caso spagnolo nella programmazione 2007-2013

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Capitolo 6

Il caso spagnolo nella programmazione 2007-2013

6.1. Premessa

Si passa adesso all'analisi del processo di programmazione strutturale attuato in Spagna, che ad oggi è il secondo Paese beneficiario della politica di coesione in termini di risorse ricevute, dopo la Polonia: infatti dal 1986, anno dell'ingresso spagnolo nella Comunità europea, fino all'allargamento ai dieci Paesi dell'Europa centro-orientale, è stata proprio la Spagna a godere dei maggiori contributi europei.

Si pensi che, dal 1986 ad oggi, questo Paese ha ricevuto 165.000 milioni di euro e che molte regioni hanno visto un significativo sviluppo; un esempio è il Principado de Asturias che, nel periodo 2007-2013, rientra nell'obiettivo Convergenza a titolo transitorio1, e che da solo ha ricevuto in questi venti anni 4.700 milioni di euro grazie al Fondo di coesione ed ai fondi strutturali, da sommare ai 200 milioni derivanti dalla partecipazione alle Iniziative comunitarie: evidentemente gli aiuti comunitari hanno permesso di sviluppare i settori chiave dell'economia regionale (settore navale e siderurgico), tanto che oggi le Asturie stanno uscendo gradualmente dall'obiettivo che contraddistingue le regioni con più marcati problemi strutturali.

In generale la politica regionale europea ha contribuito decisamente ad aumentare il reddito pro capite spagnolo, portandolo ad uguagliare la media comunitaria: infatti nel 1995 questo era circa l'87% della media Ue-25, mentre nel 2005 si attestava al 99%, cosa che delinea un'esperienza di convergenza spettacolare, secondo la Commissione.

Non è solo la questione della quantità di risorse comunitarie ricevute a rendere interessante un confronto tra il nostro Paese e quello spagnolo, ma è soprattutto la “connessione istituzionale” tra i due Stati a dare valore a questo tipo di analisi. Si tratta infatti di due Paesi che hanno una stessa forma di Stato, quella regionale, indirizzati entrambi verso il decentramento d'ispirazione federalista: ci si chiede dunque se sia anche di pari livello il decentramento decisionale realizzato a proposito della programmazione dei fondi strutturali.

Ciò che ci si propone di fare è riscontrare, nel decision making strutturale, il tratto comune alle due realtà nazionali, che propongono entrambe un sistema fortemente decentrato. “E' noto – infatti – che tra l'Italia e la Spagna esiste un fecondo rapporto di reciproco condizionamento nella costruzione dell'assetto istituzionale: la Costituzione italiana del 1948 si è largamente

1 Nel 2007-2013 rientrano nell'obiettivo Convergenza a titolo transitorio oltre che il Principado de Asturias anche la Region de Murcia, la Ciudad Autonoma de Ceuta e la Ciudad Autonoma de Melilla.

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ispirata alla Costituzione della repubblica spagnola del 1931, mentre la Costituzione della Spagna democratica del 1978 ha guardato all'esperienza istituzionale italiana”2.

Di fronte a questa comune esigenza di decentramento, i due Stati si sono attivati contemporaneamente, l'Italia attraverso una riforma costituzionale (del 2001), e la Spagna affidandosi alla riforma degli Statuti autonomici, dimostrando così grande cautela nel mettere mano alla Costituzione3.

6.2. Le Comunità Autonome nel contesto nazionale

La Costituzione spagnola del 1978 racchiude in sé i valori dell'epoca post-franchista, che vedono nel pluralismo sociale ed istituzionale la radice della democrazia, realizzando così il passaggio da un Stato dittatoriale fortemente accentratore ad un assetto caratterizzato da un ampio decentramento. Infatti viene sancito, nel testo costituzionale, il diritto all'autonomia di cui le nazionalità e le regioni che compongono la Spagna sono titolari, nel rispetto dell'unitarietà nazionale (si parla per questo di autonomia e non di indipendenza), come disposto dall'articolo 24.

Quello che più interessa ora è ricostruire la forma di Stato, che rappresenta la relazione tra il potere ed il territorio, in un Paese dove, in seguito al regime di Franco che ebbe fine nel 1975, l'idea radicata è che senza decentramento non si può avere un vero assetto democratico. Per ricostruire l'ordinamento interno nazionale occorre riferirsi non solo alla Costituzione, che è ambigua a proposito della definizione della forma di Stato, ma anche agli Statuti delle 17 Comunità Autonome (CCAA) che presero forma autonomamente, in base alle prescrizioni costituzionali, che riconoscevano una sorta di diritto di “autodeterminazione” regionale, sia nella struttura che nei confini geografici.

Ciò che si è venuto a determinare oggi in Spagna è un assetto autonomico in cui esistono CCAA che, seppur attraverso processi diversi, sono tutte giunte a perfezionare uno stesso modello istituzionale e che dispongono di competenze diverse, ma destinate col tempo ad equipararsi.

La Costituzione contiene regole ben precise a proposito del processo di formazione delle CCAA e dei loro Statuti, ma non prevede norme dettagliate a riguardo dell'organizzazione politica delle Comunità e circa le competenze che queste devono esercitare: al contrario, le

2 Pag.1179, “Il regionalismo spagnolo tra riforma costituzionale e riforma statutaria”, di Tomàs Font i Llovet e Francesco Merloni, in Le Regioni, anno XXXIII, n.6, dicembre 2005.

3 Del resto il sistema delle fonti italiano è diverso da quello spagnolo, che completa le disposizioni costituzionali con quelle dei vari Statuti, per cui vedi infra.

4 Art.2 Costituzione spagnola: “La Constituciòn se fundamenta en la indisoluble unidad de la Naciòn española, patria comùn e indivisible de todos los españoles, y reconoce y garantiza el derecho a la autonomìa de las nacionalidades y regiones que la integran y la solidaridad entre todas ellas”.

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disposizioni costituzionali definiscono quelle possibilità e quei limiti entro cui gli enti preposti eserciteranno il loro diritto all'autonomia. Ecco perché il contenuto degli Statuti è complementare a quello della Costituzione nella definizione della struttura e del funzionamento dello Stato5.

Nel 1978 si previdero due tipi di CCAA, e cioè quelle che si costituivano a partire dall'art.143 e quelle che avrebbero seguito la via dell'art.151: si trattava di due procedure diverse, di cui la seconda era quella “più veloce”, che attribuiva nell'immediato maggiori competenze a quelle regioni riconosciute tradizionalmente come nazionalità. Secondo la modalità definita dall'art.143 le regioni invece potevano acquisire minori competenze, ma successivamente, nel giro di cinque anni, avrebbero potuto equiparare le prime6: la Costituzione, in sintesi, prevede uno stesso modello autonomico, ma con una sequenza temporale diversa per i Paesi Baschi, la Catalogna e la Galizia, a cui si riconosce un'identità nazionale storica, rispetto a tutte le altre CCAA. La differenza dunque posta in essere dalla Costituzione si riassume come segue:

“Las Comunidades Autònomas del art.151 CE pueden asumir competencias dentro del listado del art.148 y también del listado del art.149 desde el mismo momento de su constituciòn en Comunidad Autònoma, en tanto que las Comunidades del art.143 sòlo pueden asumir competencias inicialmente dentro del listado del artìculo 148 y tienen que esperar cinco años y reformar sus Estatutos de Autonomìa, para poder asumir competencias dentro del listado del art.149 CE”7.

La Costituzione ha in realtà lasciato degli spazi aperti, entro cui ciascuna Comunità autonoma, rispettando i limiti definiti, sceglie di acquisire le proprie competenze che, dunque, non sono uguali per tutte le autonomie per un duplice motivo: da una parte è definita una via “rapida” ed una più lenta, dall'altra ognuna Comunità ha il diritto di commisurare le proprie funzioni alla propria capacità e necessità di gestire tali competenze (è dunque un diritto all'autonomia e non un dovere). Certo è che sin dagli anni '90, con i Pactos Autonòmicos

5 “Hasta el final (de los procesos estatuyentes) no se podìa saber cuàntas CCAA habìa y si todas tendrìan o no la misma naturaleza y, en consecuencia, no se podìa conocer la estructura del Estado. Pero una vez analizado los procesos estatuyentes se ha comprobado que el resultado de los mismos habìa sido uniforme”, pag.734, Curso de derecho constitucional, Perez Royo J., Marcial Pons, Madrid, 2005

6 Anche se per le due categorie di regioni era previsto uno Statuto diverso (per le une era disposto l'art.147 per le altre l'art.152), in definitiva tutti gli Statuti ebbero un contenuto afferente a entrambi gli articoli, uguagliandosi. Tutti gli Statuti contengono una struttura simile, contenendo: la denominazione della CCAA, la delimitazione del suo territorio, l'organizzazione e le sedi delle istituzioni. Sebbene solo per le CCAA che avevano seguito l'art.151 fosse disposto un assetto includente un'Assemblea legislativa, un Consiglio di Governo, un Presidente eletto dall'Assemblea ed un Tribunale superiore di Giustizia, questa diventò l'organizzazione tipica di tutte le CCAA.

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(1992) con cui si accordò un allineamento nel riparto delle competenze, è in atto un procedimento di revisione statutaria che nel tempo livellerà lo status di tutte le CCAA8: la prima a portare a termine un nuovo Statuto è stata la Catalogna che, come spesso accade in tema di rivendicazioni autonomiche, si è confermata una vera e propria “apripista”, soprattutto a proposito della questione finanziaria e fiscale9. Lo statuto catalano fa una elencazione di ciascuna delle materie non riservate allo Stato, precisando dettagliatamente le sotto-materie ricomprese: questo dovrebbe evitare che lo Stato continui a sfruttare le aporie lasciate nel sistema, sottraendo alla Comunità Autonoma le proprie competenze (si tratta di spazi lasciati vuoti, tra i contenuti della Costituzione e quelli dell'Estatut).

A proposito del sistema finanziario, le CCAA dispongono di un assetto misto, poiché le risorse derivano sia dal bilancio statale10 (trasferimenti) che da un finanziamento autonomo (entrate tributarie); la prima fonte ha avuto finora un peso assai maggiore, coprendo circa l'86% delle risorse utilizzate dalle Comunità, anche se progressivamente la situazione si sta ribaltando. Le CCAA hanno dunque la potestà di introdurre tasse regionali, con il solo limite di non colpire nuovamente ciò su cui già grava un'imposta statale: in realtà, la difficoltà di identificare nuove tassazioni ha fatto sì che le CCAA siano poco ricorse a questa possibilità. Si contrappone al regime finanziario comune, fin qui descritto, il regimen foral, che protegge i diritti storici finanziari riconosciuti al Paìs Vasco ed a Navarra; in base a questo regime, le regioni si avvalgono della maggior parte dei contributi riscossi nei propri confini, concertando con lo Stato il gettito dovuto alle autorità centrali. Ciò fa sì che le risorse proprie abbiano un peso maggiore rispetto a quelle derivanti dallo Stato, coprendo circa l'85% delle spese autonomiche (al contrario di ciò che avviene nelle CCAA a regime comune).

Visto il grande ruolo regionale in Spagna, va detto che la Costituzione, proprio come quella

8 La revisione statutaria influisce su tutte le leggi ordinarie prodotte poiché la Costituzione insieme a ciascuno Statuto crea un bloque de constitucionalidad, per cui il Tribunal Constitucional deve giudicare l'azione del legislatore in base ai parametri del nuovo Statuto. L'esigenza, che in Spagna ed in molti altri Paesi oggi si avverte, è riassunta da questa frase: “In tal modo e a fronte di concetti e principi tradizionali, sempre più formali e rigidi, occorre prenderne in considerazione di nuovi, a carattere più ampio e sociologico, quali quelli di democrazia, comunità, interdipendenza, pluralismo, policentrismo, multilateralismo, multi-livello, governabilità, in sintesi, federalismo”, pag.67, “La riforma in senso federalista del modello spagnolo delle autonomie. Il miglioramento delle relazioni intergovernative”, di Argimiro Rojo Salgado, in Le Istituzioni del Federalismo, 1.2006.

9 Il Congresso in sessione plenaria approvò l'Estatut il 30 marzo 2006 e, dopo di ciò, si passò al referendum che confermò il consenso verso il nuovo documento, anche se la scarsa affluenza alle urne dimostrò un generale acquietato senso patriottico catalano, data la natura fortemente decentratrice del testo. Nell'Estatut si legge, all'art.203 sulle risorse della Generalitat, che la Catalogna dispone di finanze autonome e delle risorse finanziarie sufficienti per far fronte all'adeguato esercizio del suo auto-governo; inoltre dispone della piena autonomia di spesa d'accordo con le direttrici politiche e sociali determinate dalle istituzioni di auto-governo. 10 Nel finanziamento statale troviamo due componenti: quella “incondcionada” di cui la CA dispone

liberamente e la “condicionada” cioè subordinata all'esecuzione di un determinato progetto, tra cui rientra il

Fondo de Compensaciòn Interterritorial, legato alla realizzazione di specifici progetti volti alla riduzione dei

disequilibri territoriali. Infatti i criteri di distribuzione del fondo sono: l'inverso del reddito pro capite nella regione, il tasso di emigrazione negli ultimi dieci anni, la percentuale di disoccupati, la superficie territoriale, l'insularità. Ogni cinque anni si rivedono i criteri e si attribuisce loro, con legge, un peso per la ponderazione.

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italiana, prevede clausole generali che assicurano la prevalenza della legislazione statale, con la definizione di materie trasversali che consentono allo Stato, data la loro scarsa definizione, di legiferare anche in materie di competenza regionale: basti pensare all'art.149, comma 1 punto primo, in cui si dispone che lo Stato ha competenza esclusiva nella “regulaciòn de las

condiciones bàsicas que garanticen la igualdad de todos los españoles en el ejercicio de los derechos y en el cumplimiento de los deberes constitucionales”, clausola considerata dai

costituzionalisti addirittura ben più ampia della riserva di cui all'art.117 comma 2 lettera m) della Costituzione italiana in cui si dice che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Per quanto riguarda la rappresentazione regionale in sede legislativa, l'articolo 69 della Costituzione parla di una camara de representaciòn territorial (il Senato), che in realtà gode di scarsa influenza nel sistema istituzionale. Inoltre è costituito per i 4/5 da senatori eletti a suffragio universale diretto, e solo 1/5 designati dagli organi legislativi delle CCAA: ciò fa sì che in realtà sia scarsa la potenzialità del Senato di rappresentare le autonomie e così è ormai da molto tempo che si parla di riformarlo in un vero e proprio Senato federale11.

In tema di forma di Stato, è interessante notare come a differenza dell'Italia, la Spagna non ha dato rango costituzionale al principio di sussidiarietà, che serve a far scorrere in modo flessibile il “potere” verticalmente, dallo Stato alle CCAA (potrebbe forse aiutare a risolvere il problema della distribuzione territoriale del potere, ossia la forma di Stato), anche se dichiara di essere a questo vincolata in seguito all'ingresso nell'Unione europea.

Nonostante ciò, nel Paese, si avverte oggi la necessità di connettere in modo più forte i vari livelli istituzionali e, per questo, da una parte si è ripresa la questione della riforma del Senato e dall'altra si approfondisce sempre di più il ruolo delle Conferenze settoriali e delle Conferenze dei Presidenti, ancora deboli nel sistema spagnolo12. Infatti, nel 2004 e poi nel 2005, sono nate due Conferenze dei Presidenti delle CCAA con il Presidente del Governo, che forniscono il luogo di un incontro multilaterale e volontario delle Comunità, al fine di rafforzare le relazioni inter-governamentali (tra le CCAA e lo Stato).

Dalla breve ricostruzione, sembra valere l'affermazione secondo cui in Spagna “si ha formalmente ed ufficialmente una forma di Stato regionale, però si utilizza e si pone in pratica uno Stato quasi federale”13, confermando la tendenza decentratrice registrata in molti altri Paesi europei. Il percorso federale è ragionevole per uno Stato come la Spagna, in cui vi sono forti nazionalismi ed asimmetrie che, se rispettati, possono far tacere le forze disgreganti

11 Ormai da molto si discute su una possibile riforma del Senato, ma il governo Aznar si è sempre rifiutato categoricamente di mettere mano alla Costituzione; il governo Zapatero ha invece riaperto la discussione, anche se è generalizzato un atteggiamento di cautela.

12 Per approfondimenti, vedi infra. 13 Pag.67, Argimiro Rojo Salgado, op. cit.

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e centrifughe oggi in atto.

E' vero però che è diffuso un atteggiamento di grande timore nei confronti del federalismo, a proposito del quale si creano pregiudizi sia tra le classi politiche che presso l'opinione pubblica, a causa dell'esperienza passata:

“la storia continua a condizionarci in tal senso, e dal fallimento della Prima Repubblica (1931) e del suo progetto federale, il federalismo rimane presente nella memoria storica del popolo spagnolo come sinonimo di disordine, anarchia, eccesso regionalista e di pericolo di disintegrazione dello Stato”14.

Non è però soltanto una reminiscenza storica a frenare il percorso federale, ma esiste anche una motivazione politica concreta: i nazionalismi periferici, incuneati in molte delle CCAA, che dovrebbero essere i più favorevoli all'opzione del massimo decentramento, in realtà osteggiano questo percorso in atto per timore che, creando una Federazione di Autonomie, le Comunità siano tutte equiparate ed eguagliate; infatti attualmente è noto come esistano Autonomie con una forza politica superiore, capaci di disporre di un contatto privilegiato con il Governo centrale, una peculiarità che le regioni più forti non hanno incentivo a perdere. Data l'avversione nei confronti del modello federale e la debole “costruzione” dell'identità nazionale, conosciuta come il fenomeno di “de-spagnolizzazione”, il pericolo che oggi si avverte è quello di un “riarmo dello Stato”, e cioè un rafforzamento dell'autorità centrale volta a scongiurare una frantumazione dello Stato spagnolo. L'ipotesi di una sorta di ri-nazionalizzazione, per retrocedere dalle posizioni di decentramento raggiunte, è ritenuta possibile ed anzi è confermata, secondo alcuni studiosi, dal far ricadere sulle CCAA il costo del passaggio di molte competenze dallo Stato all'Unione europea. Di seguito dunque si analizzerà sinteticamente l'evoluzione della partecipazione autonomica al policy making europeo (si parlerà della c.d. fase ascendente), per giungere poi a riflettere più puntualmente sul decision making a proposito della programmazione dei fondi strutturali: del resto è così che si tenterà di rispondere al quesito originario sulla multi-level governance in fase decisionale.

6.3. Le Comunità Autonome e l'Unione europea

Il problema della partecipazione delle CCAA alla formazione della volontà dello Stato si è acuito ancor di più in seguito all'adesione della Spagna alla Comunità europea nel 1986, quando addirittura si dovette far fronte all'insoddisfazione di alcune regioni, intimorite da un'ipotetica ricaduta dell'integrazione europea sulle proprie competenze.

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Come visto in precedenza, la soluzione ha coinciso con l'ipotizzare una riforma del Senato15 e con il ricercare nuovi meccanismi per le relazioni inter-governamentali, che finora però hanno dato risultati di cooperazione tra livelli, più che di vera e propria partecipazione16 del livello sub-nazionale alle decisioni nazionali: per quanto riguarda la partecipazione agli affari comunitari si è avuta una svolta nel 2004, in seguito ad un controverso percorso evolutivo. In effetti la Spagna è passata da un regime di decentramento fondato sul principio di cooperazione, che si serviva del sistema conferenziale (rappresentanza indiretta, di cui si parlerà) ad un assetto partecipativo che prevede la presenza diretta di una rappresentanza regionale nel Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, grazie allo sforzo di alcune CCAA, dotate di una notevole forza politica.

Per molto tempo, le competenze autonomiche sono rimaste schiacciate dall'esistenza del livello sovranazionale, la cui espansione ha prodotto l'effetto di una certa ri-nazionalizzazione delle politiche, essendo lo Stato centrale il diretto interlocutore delle istituzioni europee, inoltre detentore della responsabilità in ambito internazionale e quindi comunitario. In un certo senso lo Stato spagnolo, secondo molti, si è approfittato di queste dinamiche per riequilibrare una situazione che la Costituzione del '78, con le sue “ampie” opzioni, aveva contribuito a squilibrare. Infatti, in riferimento all'ingresso nell'Unione europea,

“persiste asì una situaciòn que potencial y realmente restringe el margen de actuaciòn del legislador autonòmico y, consiguientemente, el proceso de libre discusiòn que le permita definir su propria orientaciòn polìtica conforme a la voluntad popular representada en las càmaras autonòmicas (...). Es decir, nos mantenemos todavìa en un ordenamiento que, salvo en los escasos espacios de actuaciòn verdaderamente esclusiva de las CCAA, responde a la concepciòn y a los intereses de los òrganos centrales del Estado”17.

Al di là della struttura istituzionale, sono stati i gruppi parlamentari nazionalisti, presenti nel

15 Prima che si concretizzi la riforma del Senato territoriale, un primo passo a Costituzione invariata è stato introdurre la Comisiòn General de las Comunidades Autònomas, rivedendo il regolamento del Senato, nel 1994.

16 Murillo De la Cueva E.L. traccia infatti una linea di demarcazione tra cooperazione e partecipazione: il primo si tratterebbe di un principio deducibile dalla Costituzione spagnola, ma non inscritto, secondo cui le regioni hanno il dovere di apportare il proprio contributo al lavoro degli organi centrali per l'interesse nazionale, mentre per partecipazione si intende una co-responsabilità nella decisione presa nel rispetto dell'interesse nazionale, ma anche delle singole CCAA. Il primo può essere la base per lo sviluppo della seconda, ma i risultati prodotti fino ad oggi (tra cui le Conferencias Sectoriales) non sono soddisfacenti.

17 Pag.47, “Comunidades Autonomas y polìtica europea”, di Murillo De la Cueva E. L., Civitas Ediciones, 2000, Madrid.

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Congreso de los Diputados18, a portare avanti la causa autonomica, dando una forte spinta, dall'interno del Parlamento, all'evoluzione della partecipazione delle Autonomia alle decisioni nazionali, soprattutto in tematiche di loro competenza: in particolare il partito basco e quello catalano hanno contribuito molto a tale “lotta” politica, essendo per loro natura partiti molto vincolati al territorio. La loro azione è stata particolarmente incisiva nelle legislature in cui mancava una maggioranza assoluta, cosa che ha fatto sì che il partito di maggioranza necessitasse di un aggiuntivo appoggio politico e, per questo, scendesse a compromessi con i potenziali alleati. Anche se la Spagna dispone di quest'arma politica aggiuntiva nell'affermare le richieste regionali, a differenza ad esempio dell'Italia, va detto che si tratta, in realtà, di un meccanismo di natura congiunturale, che non può sostituire le vie istituzionali.

Inoltre è ampiamente riconosciuto che, anche se il principio autonomico è stato rinforzato nel tempo dalle forze nazionaliste, paradossalmente sono state proprio queste ad alimentare le tendenze ri-centralizzatrici, per evitare che le loro singole posizioni si diluissero in un contesto regionale uniforme.

Nonostante le difficoltà, sono nati alcuni strumenti cooperativi tra cui le Conferencias

Sectoriales, la cui configurazione multilaterale determina una cooperazione esclusivamente

verticale (tra Stato e CCAA), al fine di rendere le decisioni statali meno conflittuali, riducendo il numero di impugnazioni delle leggi statali da parte delle CCAA di fronte al tribunale costituzionale.

In queste sedi si dà luogo ad un dialogo tra Stato e Comunità, sulla base del principio di lealtà istituzionale, che non sembra però aver sedato le rivendicazioni. Affinché ciascuna conferenza funzioni efficacemente, occorre la volontà politica di convocare continuamente degli incontri in cui i livelli istituzionali condividano tutte le informazioni disponibili; in verità, il processo informativo e di concertazione ha un'inevitabile componente di informalità, che mette nelle mani dei singoli funzionari partecipanti l'effettivo risultato degli incontri previsti. Inoltre questa natura “imprecisa” del meccanismo fa emergere la mancanza di obbligatorietà degli accordi a cui si perviene in questa sede:

“todo depende de la buena voluntad de los actores y de la posibilidad de dar un mìnimo de transparencia y formalizaciòn a los acuerdos que se alcancen”19.

18 Il Congreso e il Senado compongono le Cortes Generales che corrisponde al Parlamento nazionale; il

Congreso è composto da 300/400 membri eletti a suffragio universale diretto, mentre il Senado è composto

da 4 senatori per Provincia, 3 Senatori per le isole maggiori, 1 per le isole minori o raggruppamenti di queste, 4 senatori per Ceuta e Melilla e senatori eletti dai parlamenti autonomici. Le Cortes Generales hanno la potestà legislativa, approvano il bilancio, controllano l'azione del Governo e detengono tutte le facoltà che la Costituzione attribuisce loro.

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Con ciò si dimostra come questo sistema non sia sufficiente a colmare la mancanza di partecipazione regionale; ecco perché nel 198820 fu creata una nuova struttura per rispondere alle problematiche connesse all'appartenenza all'Unione europea, chiamata Conferencia para

asuntos relacionados con las Comunidade Europeas (CARCE)21, nata per cercare di risolvere le disfunzioni della rete “dispersa ed eterogenea” delle Conferencias Sectoriales22.

La CARCE rappresenta un sistema di partecipazione alla formazione della volontà dello Stato di fronte all'Ue: originariamente si aveva così un coinvolgimento esclusivamente indiretto, poiché esisteva una costante mediazione del Governo, che si interponeva tra le istituzioni europee e le CCAA, anche nelle materie in cui queste ultime erano le sole competenti. In questa conferenza dunque avveniva la concertazione, tra esecutivo centrale ed Autonomie, sulla posizione iniziale che le delegazioni spagnole avrebbero sostenuto di fronte all'Unione. Il ruolo della CARCE fu rafforzato con la legge n.2/1997, con cui veniva messa a capo di tutta la rete di conferenze, al fine di sottolineare l'importanza del contributo autonomico nella dimensione europea: questa legge fu il frutto delle richieste che Convergencia i Uniò incluse nell'Acuerdo de Investidura y Governabilidad, sottoscritto dal PP (il Partido Popular di Aznar) nel 1996. In tale accordo si imponeva che il CARCE fosse considerato “òrgano de

cooperaciòn, de consulta y deliberaciòn entre el Estado y las Comunidades Autonomas”23, occupandosi, tra l'altro, dell'informazione delle CCAA e della messa a punto dei meccanismi che rendono effettiva la partecipazione delle CCAA alla formazione della volontà statale di fronte all'Unione.

Nel 1997, dunque, la CARCE perde la connotazione di normale Conferenza settoriale e diventa il “motore” di tutto il sistema di cooperazione: essa porta avanti la discussione sul processo di integrazione europea e sui riflessi di questo sulla Spagna, occupandosi anche delle materie non assegnate alle altre conferenze.

La CARCE è composta da rappresentanti statali e regionali: per lo Stato sono presenti il Ministro della Pubblica Amministrazione, che presiede le sedute, il Segretario statale per gli affari europei, il Segretario di Stato che si occupa dell'organizzazione territoriale; per ciascuna CA invece siede un Consigliere che si occupi degli affari comunitari. Inoltre assiste con regolarità alle riunioni del CARCE anche il Consigliere per gli affari autonomici della

20 La CARCE fu istituzionalizzato con un Accordo del 28 ottobre 1992 e furono definite nuove regole per questa con la L.n.2/1997.

21 “Ahora bien, si no es asì, si la pretensiòn es utilizarla como un recurso de ingenierìa constitucional que sirva de alternativa al Senado, tanto a efectos de polìtica interior, como hacia la Uniòn Europea, creo que fracasarà”, pag. 71, op. cit. Infatti, secondo l'autore, tutto sarebbe risolto con la riforma del Senato volta a rendere questo organo una vera Camera di rappresentanza territoriale, diversamente da quello che è oggi. 22 Queste sono 19 e si occupano di tutte le materie di interesse comune allo Stato ed alle Regioni per un

confronto verticale tra questi due livelli di governo; dunque si occupano ciascuna di una o più politiche comunitarie. In base alle materie di competenza hanno una diversa struttura.

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Rappresentanza Permanente della Spagna presso l'Ue, un alto funzionario di Stato che determina una connessione diretta tra l'Unione e le CCAA, a fini informativi24; vale la pena sottolineare come il fatto che il Consigliere sia nominato dallo Stato centrale (Ministero per gli Affari esteri) è frutto di un compromesso tra il PP e il CiU, in cui il primo riuscì ad evitare che le regioni avessero un reale contatto diretto, attraverso il REPER, con le istituzioni comunitarie.

La situazione è cambiata solo nel dicembre 2004, quando si è pervenuti ad un accordo Stato-CCAA con cui, tra l'altro, si è disposto che il Consigliere, sopra menzionato, sia accompagnato da due ufficiali nominati su proposta delle Comunità.

Dal punto di vista del funzionamento, gli accordi sono presi per votazione e il quorum è raggiunto qualora siano presenti in aula la rappresentanza statale ed almeno 14 CCAA; in ogni caso l'accordo a cui si perviene è valido solo per le istituzioni che abbiano votato a favore.

Il CARCE nasce per discutere verticalmente le questioni comunitarie e dunque per includere l'opinione delle Comunità Autonome nella posizione negoziatrice spagnola di fronte all'Unione europea; inizialmente si trattava esclusivamente di concertare la posizione iniziale, lasciando ampi margini di flessibilità ai delegati di Stato che, in prima persona, negoziavano con le istituzioni comunitarie; solo in seguito al 2004, con la partecipazione regionale alle delegazioni inviate a Bruxelles, si può ritenere che la volontà autonomica continui ad essere rappresentata anche successivamente.

Comunque sia, il valore della posizione iniziale, determinata nel CARCE e in tutte le

Conferencias Sectoriales, dipende dalle competenza di cui i due livelli istituzionali

dispongono: se si tratta di una materia di competenza esclusiva dello Stato e se le CCAA manifestano interesse, l'autorità centrale ha solo un dovere informativo, motivato dal generico principio di collaborazione, ma non si può parlare in questo caso né di partecipazione né di vera e propria cooperazione; infatti la posizione è definita dallo Stato che, qualora lo ritenga opportuno, prende in considerazione le osservazioni regionali. Se, invece, la materia è di competenza esclusiva delle CCAA, la posizione da portare davanti all'Ue scaturisce da un accordo Stato-Autonomie, necessariamente tenuto di conto e definito in base ad una posizione comune autonomica; se non si dovesse pervenire a tale accordo, lo Stato deciderà come comportarsi in sede comunitaria, considerando le argomentazioni regionali emerse e informando le Autonomie dei motivi che eventualmente abbiano spinto a distaccarsi dalla posizione maggioritaria manifestatasi. Nel caso che si tratti di competenze concorrenti, è

24 La figura del Consejero para Asuntos Autonòmicos en el REPER nasce con il Decreto Reale n.2015 del 20 settembre 1996.

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necessario un accordo tra Stato e Comunità, che sia la sintesi delle due posizioni, poiché nessuna delle due volontà prevale, diversamente dal caso delle competenze esclusive delle Comunità, in cui la posizione comune regionale ha la precedenza.

Come sopra accennato, prima del 2004, il fatto che fosse inevitabile riconoscere spazi di manovra alla delegazione negoziatrice, in nome della preservazione dell'interesse nazionale, faceva sì che in definitiva ci fossero le basi per discostarsi anche significativamente dalla posizione iniziale concertata, il rispetto della quale oggi è garantito dalla pluralità di rappresentanza in delegazione.

Nel modello appena descritto, composto da un reticolo di Conferenze settoriali, in cui è stato inserito il CARCE, si lamenta una certa “atomizzazione”, per cui ogni questione comunitaria viene trattata settorialmente; ciò complica il flusso informativo, necessario invece al fine di garantire una reale partecipazione, e rende difficile la visione integrata di certe politiche, ritenuta invece fondamentale per produrre le sinergie che l'Unione europea tenta di valorizzare (si pensi alle connessioni tra la politica strutturale e la strategia per l'occupazione, la politica agricola e lo sviluppo rurale ed, infine, i vari programmi per il rilancio della competitività).

Inoltre, in passato, è mancata anche la previsione di sedi e modalità con cui pervenire alla posizione comune delle CCAA, a prescindere dalla presenza delle autorità centrali, e rendere effettiva la cooperazione orizzontale; si tratta di una grave carenza del sistema spagnolo, che secondo alcuni dimostra come, in realtà, non si sia mai arrivati a definire una vera e propria volontà comune delle regioni25.

In considerazione di ciò, nel 2004, è nata la Conferenza dei Presidenti delle Comunidades

Autònomas, che però include la presenza del Presidente di Governo; seppur priva di base

legale, è già servita a definire importanti accordi nell'ambito delle competenze regionali. Tra l'altro “si dibatte ancora sul tipo di formalizzazione o di regolazione da stabilire per la Conferenza, se attraverso una norma dello Stato o, come sarebbe preferibile, attraverso l'auto-organizzazione, con accordo multilaterale”26.

Data la recente nascita di questo strumento, è difficile attualmente decifrare l'impatto effettivo in termini di incremento di cooperazione orizzontale; in generale, poi, il ricorso che le Comunità hanno finora fatto a questo foro di discussione è abbastanza limitato: ad esempio, nel processo di programmazione dei fondi strutturali, dove è elevata la necessità di un assetto

25 “No hay previsiòn, tampoco, sobre la forma en que se obtiene la posiciòn comùn ni acerca del foro donde lograr el acuerdo. Aflora asì una de las carencias ya comentadas de la cooperaciòn en el ordenamiento español: la falta de mecanismos para calizar y hacer efectiva la cooperaciòn horizontal”, pag.90, Murillo De la Cueva E. L., op.cit.

26 Pag.1189, Il regionalismo spagnolo tra riforma costituzionale e riforma statutaria”, Font i Llovet T. e Merloni F., in Le Regioni, anno XXXIII, n.6, dicembre 2005.

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multi-level, che la Conferenza può per sua natura favorire, non ha avuto una specifica

funzione.

Un altro importante strumento di confronto tra Stato e CCAA è la Comisiòn Bilateral (L.2/1997), dove si ricercano soluzioni a problematiche che riguardano la singola Comunità Autonoma: vi si fa ricorso in particolar modo per le questioni comunitarie, poiché ciascuna Comunità ha una “vocazione” europea diversa e quindi una differente volontà di partecipazione. Tale diversità è dovuta soprattutto alla disparità di capacità politica ed amministrativa che determina la predisposizione regionale al coinvolgimento, sia nella fase ascendente (di presa di decisioni) che in quella discendente (esecutiva): il sistema regionale spagnolo è evidentemente caratterizzato da una diversa “velocità” di sviluppo autonomico, che coinvolge anche gli aspetti comunitari.

Così Comunità, come la Catalogna e il Paìs Vasco, che hanno sviluppato più delle altre il proprio modello di autogoverno, richiedono logicamente di poterlo mantenere nella dimensione europea. Non si tratta però di una discriminazione delle altre CCAA che, per loro scelta o necessità lasciano che lo Stato sia più presente nei propri affari ma, al contrario, di un forte stimolo nel mostrare quali sono le potenzialità della singola Autonomia; per altro è una visione perfettamente in linea con lo spirito della Costituzione del '7827.

Il passo importante da fare era realizzare il passaggio da una partecipazione indiretta, in cui il Governo ha il monopolio della rappresentanza di fronte all'Ue, ad un modello di partecipazione diretta delle CCAA nelle sedi decisionali comunitarie. Fu un'ipotesi molto avversata dallo Stato centrale che, per motivi essenzialmente politici e di governabilità, dovette concedere la presenza di rappresentanti autonomici all'interno dei Comitati e dei gruppi di lavoro della Commissione, nel 1997, con l'Acuerdo de Investidura y

Governabilidad, sottoscritto dal PP e dal CiU28; tale forma di apertura ha dato luogo alla partecipazione regionale in soli 55 Comitati dei 400 che operano nella Commissione, lasciando inoltre perplessi sulle modalità di selezione di questi29.

La tappa successiva dell'affannosa rivendicazione autonomica ha consistito poi nella richiesta

27 Il riferimento è alla “doppia velocità” con cui sono state costituite le CCAA, per cui vedi retro (in questo capitolo).

28 In tale accordo si legge che: “se articularà la presencia de representantes autonòmicos en las delegaciones españolas ante los comités y grupos de trabajo en el seno de la Comissiòn, cuando se trate de materias de interés especìfico o singular para las correspondientes CCAA”.

29 Si parla, a tal proposito, di insoddisfazione per il numero di volte in cui le regioni hanno partecipato e per le materie trattate; inoltre si lamenta la mancanza di meccanismi di consultazione interregionale, capaci di produrre accordi da presentare al Comitato, tanto che alcuni ufficiali sono stati accusati di agire solo per la propria Comunità Autonoma, inficiando il risultato dello strumento partecipativo. Ciò ha creato un clima di sfiducia reciproca, che ha influito negativamente anche sulle possibilità di trovare un accordo sulla partecipazione delle CCAA ai lavori dl Consiglio. Per approfondimenti si veda “Procedures for local and regional authority participation in European policy making in the Member States”, Comitato delle Regioni, 2005, Bruxelles.

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di rappresentanza regionale presso il Consiglio, la vera sede delle principali decisioni comunitarie; infatti quest'organo condiziona l'operato della Commissione, poiché è il luogo dell'espressione della volontà politica dei singoli Stati membri. Proprio per questo motivo ottenere tale risultato è stato particolarmente difficoltoso, dato il forte contrasto da parte dello Stato centrale. Nel 2000, i partiti regionali Basco e Catalano proposero congiuntamente un disegno di legge, supportato anche dal PSOE (il Partito socialista spagnolo): il sistema di partecipazione al Consiglio proposto seguiva il modello belga, in cui la rappresentanza si divide tra lo Stato e le CCAA e varia nelle diverse formazioni del Consiglio, in funzione dell'articolazione interna delle competenza; inoltre in caso di materie rientranti nella sfera competenziale regionale in via esclusiva, lo Stato avrebbe dovuto passare tutti i poteri esercitati alle Comunità, che avrebbero posto in essere una rappresentanza di rango ministeriale, come richiesto dal Trattato sull'Ue. Tale proposta fu rifiutata dal Congresso dei Deputati, in cui la maggioranza era data dal PP, che ovviamente votò contro.

Solo nel dicembre 2004, il CARCE arrivò ad un accordo sulla partecipazione delle regioni spagnole al Consiglio dei Ministri (Acuerdo sobre el sistema de Representaciòn Autonòmica

en las formaciones del Consejo de la Uniòn Europea) ; si sono poste così le regole per la

rappresentanza diretta delle CCAA in alcune configurazioni del Consiglio, escludendone quindi una partecipazione generalizzata.

Si tratta di una partecipazione che in nessun caso può mettere in crisi la posizione unitaria dello Stato spagnolo e che è finalizzata a supportare la forza negoziatrice della Spagna, in base ad un legame inter-istituzionale di fiducia reciproca e mutua lealtà, ferma restando la responsabilità dello Stato di fronte all'Unione. Le Autonomie saranno presenti in Consiglio in occasione della presa in esame di vari temi, quali il lavoro, le politiche sociali, la tutela della salute e dei consumatori, l'agricoltura e la pesca, l'ambiente, l'educazione, le politiche giovanili e la cultura: da notare come resti esclusa la politica regionale e la definizione dei rispettivi regolamenti, che a rigor di logica avrebbe dovuto interessare da vicino le CCAA. Il rappresentante regionale viene eletto dalla Conferenza settoriale che si occupa della relativa materia trattata in Consiglio e starà in carica per sei mesi, al fine di dare una certa continuità al sistema di rotazione definito; questa figura viene scelta tra i membri dei governi regionali ed è incaricata del coordinamento regionale per raggiungere una posizione autonomica comune. Poi, in base a questa, si perverrà ad un accordo col governo centrale, completando con tale confronto la posizione spagnola. Inoltre il rappresentante regionale, in certi gruppi di lavoro del Consiglio, può richiedere la partecipazione di un esperto che segua gli incontri. Tale rappresentante è un membro della delegazione spagnola a pieno titolo ed esprime la posizione delle Comunità al capo delegazione, che normalmente coincide con un Ministro del

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governo centrale. In questo modo, la posizione delle Comunità è tenuta di conto durante l'intero percorso di negoziazione e non soltanto inizialmente, come succedeva in precedenza. Senz'altro questo nuovo sistema rappresenta un buon risultato, ma è pur vero che necessita di essere migliorato, anche chiarendo il valore aggiunto della partecipazione regionale, in termini di una maggiore forza e chiarezza della posizione spagnola raggiunta.

I problemi, emersi a distanza di due anni, riguardano la necessità di migliorare la rete delle Conferenze settoriali, attraverso cui attualmente le regioni devono pervenire ad una posizione comune, e sottolineano il bisogno di un'apertura del Governo centrale verso questo nuovo sistema così da poter modificare il metodo di lavoro.

Piuttosto incoraggiante invece il numero di volte che, in questi due anni, le CCAA hanno manifestato l'interesse a far partecipare il proprio rappresentante alla delegazione statale, cosa che si rende necessaria per attivare il meccanismo30: infatti, tra il 2005 e il 2006, ben 36 sono state le volte in cui le regioni spagnole hanno partecipato alle riunioni del Consiglio, a fronte delle 199 del Belgio, 69 del Regno Unito e 34 della Germania, registrate invece nell'arco di sette anni (1999-2006)31.

Infine è d'obbligo menzionare gli uffici che le CCAA hanno tenuto ad attivare a Bruxelles, al fine di instaurare un contatto diretto con le istituzioni europee, sin dal 1986 quando la Spagna entrò a far parte della Comunità. Le prime regioni ad instaurarsi nella capitale europea furono la Catalogna, il Paìs Vasco e la Galizia che, per non contravvenire al divieto di legge, aprirono uffici delle Camere di Commercio o sedi di agenzie di sviluppo regionale. Nel '94 il Governo Basco sollevò di fronte al Tribunal Constitucional la questione di liceità della comunicazione diretta tra le regioni e l'Unione europea: la Corte sancì il principio per cui gli atti, con cui le Comunità Autonome e l'Ue entravano in contatto, dovevano comunque essere trasmessi allo Stato centrale, in modo che questo potesse svolgere una sorta di controllo sulle connessioni tra il livello sovranazionale e sub-nazionale.

Da questo momento, se non altro, le CCAA poterono cominciare ad aprire veri e propri uffici regionali di “rappresentanza” a Bruxelles: il primo fu quello basco, ma si susseguirono tutte le altre Comunità rapidamente, a cui va aggiunta la sede europea della città di Barcellona. La forma scelta è generalmente quella di un ufficio che sia emanazione diretta dei governi

30 Art.4 paragrafo 1 dell'Accordo del 14 dicembre 2004: “En cada una de las Conferencias Sectoriales concernidas, al inicio de cada presidencia semestral del Consejo de la Unión Europea y a partir del Programa de presidencia, las Comunidades Autónomas que manifiesten su interés determinarán, en relación con la respectiva formación del Consejo de la Unión Europea y a la vista de los asuntos incluidos en el orden del día previsto para las reuniones programadas, aquellos asuntos en que debe aplicarse la representación autonómica directa. Coordinada dicha determinación por el representante autonómico designado, éste asumirá la concertación con la Administración del Estado de tales asuntos y del tratamiento que deban tener según lo establecido en el punto tercero del Acuerdo de Participación Interna de 1994”.

31 Dati presentati nel seminario “The role of European Regions in the Legislative Process of the EU”, di Ignacio Corrales Romoro (Presidente della Regione Extremadura), 4/10/2006, Bruxelles.

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regionali, eccetto il Patronat Català pro Europa32 della Catalogna e la Fundaciòn Galicia Europa, a cui partecipano non solo la regione, ma anche vari attori regionali privati (tali uffici

sono detti Partnership Office), che rappresentano il settore economico-finanziario, le Università, le autorità locali, col fine di diffondere la conoscenza delle politiche comunitarie. La misura del rilievo di tali uffici è direttamente proporzionale alle loro dimensioni, in termini di numero di funzionari operanti: negli uffici delle tre CCAA “storiche” lavorano quasi tanti dipendenti quanti operano negli uffici dei Lander tedeschi a Bruxelles (va ricordato che, ad esempio, l'ufficio della Baviera per la posizione dell'edificio, tra i palazzi delle istituzioni, per influenza e per numero di funzionari è di certo assimilabile ad una vera e propria ambasciata). L'importanza che, in Spagna, si è data ai regional office è del tutto pari a quella che è stata attribuita dagli Stati federali, dove la realizzazione di “mini-ambasciate” è perfettamente in linea con la struttura governativa regionale33.

Le funzioni svolte sono prevalentemente informative, di promozione, di supporto ai governi regionali, ma va detto che gli uffici più grandi, normalmente provenienti dalle regioni più ricche (che sono poi quelle che meno beneficiano dagli apporti finanziari delle politiche comunitarie), svolgono anche azione di lobbying, per influenzare la Commissione, ma anche il Parlamento europeo stabilendo forti contatti, soprattutto informali, con gli eurodeputati34. E' evidente dunque che l'instaurarsi di uffici regionali a Bruxelles è un chiaro segnale della necessità di partecipazione agli affari comunitari e che le CCAA, trovando ostacoli nel fare ciò dall'interno del proprio Paese, hanno puntato tutto sulla via diretta esterna, riponendo molte aspettative in essa, che si sono tradotte in un notevole sforzo economico; non si sono però mai persi di vista gli obiettivi di riconoscimento interno del proprio ruolo.

Resta però, nei confronti dell'ufficializzazione di queste entità, una certa avversione dello Stato, che si è concretizzata nel tempo cercando di permetterne l'esistenza ma solo ad un livello totalmente informale: queste strutture non sono quindi assimilabili a vere e proprie rappresentanze regionali. Va considerato però che, lo scorso agosto, la Generalitat catalana ha dato al suo ufficio a Bruxelles il rango ufficiale di Delegaciòn del Gobierno de la

Generalitat ante la Uniòn Europea, per mezzo di un decreto in attuazione del nuovo Estatut35. Si tratta per il momento di un semplice cambio di denominazione, visto che le

32 La sede di Bruxelles rappresenta il “braccio” europea di un network che si estende su più centri, e cioè la sede centrale di Barcellona e le altre decentrate di Girona, Tarragona e Lleida.

33 Per una trattazione generale del fenomeno dei regional office si veda “A Regional Representation in Brussels: the rigth idea for influencing EU policy Making?”, Heichlinger A., Current European Issues, 1999, Bruxelles.

34 E' significativo che il motto della lobbying sia che l'importante non è “What you know, but Who you know”. 35 Art.192 dell'Estatut: “la Generalitat puede establecer una delegaciòn para la mejor defensa de sus intereses

ante las instituciones de la Uniòn Europea”. In effetti la Catalogna diventa così la prima Comunità Autonoma a disporre di una delegazione ufficiale prevista espressamente nel suo Statuto.

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funzioni svolte restano le stesse; è vero però che nel decreto attuativo si dice che le funzioni della rappresentanza verranno progressivamente ampliate per mezzo di ulteriori decreti, in attuazione delle disposizioni statutarie a proposito delle relazioni della Catalogna con l'Ue. Se si tratta di un semplice gesto simbolico o invece di un effettivo risultato, si vedrà in futuro, dipendendo ciò dalla posizione che lo Stato centrale acquisirà di fronte ai cambiamenti nelle funzioni di tale “delegazione”.

6.4. Un excursus storico sulla politica regionale in Spagna

Prima del 1986 la politica di sviluppo regionale nazionale si basava sul solo Fondo de

Compensaciòn Interterritorial (FCI), che era il principale strumento disponibile per ridurre le

disparità regionali; nacque nel 1984 in attuazione di disposizioni costituzionali (articolo 158, comma 2) e costituiva il 30% del budget statale di investimento. Finanziò da subito i programmi di sviluppo regionali, che già seguivano i principi comunitari (tra cui appunto quello di programmazione), in vista dell'adesione che sarebbe seguita a breve.

Nel 1989 il Fondo fu riformato in modo che, seppur destinato a tutte le regioni, mirasse più concretamente alla riduzione delle disparità poiché, fino a quel momento, le regioni meno prospere continuavano a vedere quote di finanziamento ogni anno inferiori.

Seguendo la metodologia comunitaria, si definì una mappa di eleggibilità al FCI, in base al criteri del 75% del Pil medio spagnolo. Va notato che, sin dal 1989, i fondi spagnoli e comunitari si riferiscono ad un insieme simile di variabili, come la popolazione, la superficie, la disoccupazione ed il reddito pro capite ma, al contrario del FESR, il FCI utilizza una media ponderata di questi: ciò fa sì che l'intervento del FCI sia ancor più concentrato nelle regioni più povere rispetto ai fondi comunitari.

L'intervento nazionale in tema di sviluppo regionale risentì fin dall'inizio della necessità di adeguarsi alle richieste della Comunità europea, cosa che definì un assetto piuttosto centralizzato del decision making in questo ambito, proprio a causa delle condizioni dettate dall'Europa. Infatti le risorse del fondo nazionale per il riequilibrio regionale sono da sempre decise dalle Cortes Generales per la loro attribuzione alle regioni ed alle province; si tratta dunque di una posta del bilancio nazionale (Presupuestos Generales del Estado), definita annualmente in base a varie regole stabilite a priori (non può essere inferiore al 35% degli investimenti statali, le risorse sono assegnate principalmente alle Comunità meno prospere e devono essere destinate esclusivamente alla spesa per investimenti).

Della concreta redistribuzione si occupa la Direcciòn General de Fondos Comunitarios, una divisione del Ministerio de Economìa y Hacienda; è una dipartimento in cui le decisioni riguardanti l'azione strutturale trovano una sede unica: infatti qui il FCI viene redistribuito e

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sono valutate le varie proposte di impiego delle risorse; allo stesso modo, in questa sede, si elabora, si coordina e si segue la programmazione dei fondi strutturali, nonché l'analisi e la selezione dei progetti finanziati dal Fondo di Coesione. La Direcciòn è inoltre l'interfaccia ufficiale della Commissione europea nell'ambito delle negoziazioni condotte dallo Stato, sulle questioni riguardanti la politica strutturale. Infine, sempre a proposito dei fondi strutturali, svolge un'intensa attività di coordinamento tra i vari Ministeri capofila nella gestione dei diversi fondi.

Fin dal suo ingresso nell'Ue la Spagna si è battuta per un incremento delle risorse strutturali, tanto è vero che si presentò ai negoziati per la riforma '88 con l'intento di far raddoppiare la dotazione finanziaria della politica di coesione, motivando questo atteggiamento con la necessità di una compensazione per i Paesi più deboli; infatti si riteneva che tali Stati avrebbero dovuto sopportare gli effetti negativi della realizzazione del Mercato Unico europeo. Così, sulla spinta della minaccia spagnola di bloccare l'accordo sull'unione economica e politica europea, si ottenne la creazione del Fondo di Coesione e l'inclusione di questo e dei fondi strutturali nel Trattato di Maastricht del 1992, così da istituzionalizzarli. Il maggiore impatto economico della politica strutturale si è registrato proprio in Spagna, nonostante ingenti risorse siano state destinate anche alla Grecia ed al Portogallo; ciò spinse ad un nuovo interesse per la partecipazione alle politiche comunitarie da parte delle CCAA, poiché videro arrivare notevoli quantità finanziare in entrata dalla CEE (a tal proposito si parla di effetti di spillover della politica di coesione36).

Fino al 2006 la Spagna si è confermata maggiore beneficiaria dei fondi strutturali ed oggi è seconda, in termini quantitativi assoluti, dopo la Polonia; inoltre ha mantenuto una posizione di privilegio nel panorama europeo, tanto che per compensarla della riduzione drastica delle risorse strutturali, specialmente per le regioni in obiettivo Competitività, è stato creato appositamente un nuovo Fondo Tecnologico, destinato soltanto a questo Paese e di cui si tornerà a parlare in seguito.

6.5. L'elaborazione del Marco Estratégico Nacional de Referencia (MENR)

A differenza del caso italiano, il Governo spagnolo non ha pubblicato sul sito ufficiale alcuna informazione concernente il processo di elaborazione del proprio quadro strategico (MENR), cosa che ha complicato notevolmente l'indagine. Si è resa così ancor più necessaria la realizzazione di interviste, non solo ai funzionari presenti a Bruxelles negli uffici regionali, ma anche e soprattutto ai dipartimenti delle Comunità Autonome che si occupano di fondi strutturali ed agli uffici preposti del Ministerio de Economìa y Hacienda.

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Questa mancanza di documentazione è significativa, poiché rispecchia la scelta dello Stato spagnolo di elaborare il documento seguendo un procedimento del tutto informale, che dunque distingue decisamente il caso spagnolo da quello italiano, al contrario fortemente caratterizzato da un elevato grado di formalizzazione.

C'è comunque stato un coinvolgimento delle CCAA, che hanno inviato le proprie osservazioni concernenti la bozza di MENR, una volta predisposta ed inviata dal Ministerio

de Economìa y Hacienda (MEH) alle Autonomie. Dunque, ricostruendo il procedimento a

partire dalle interviste fatte ai funzionari spagnoli, l'intervento regionale si è concretizzato attraverso commenti scritti, relativi ai contenuti di un testo completamente redatto dalle autorità centrali e, in particolare, dalla Direcciòn General de Fondos Comunitarios.

Gli intervistati hanno tutti sostenuto che il processo definito, sebbene non formalizzato, è stato assolutamente sufficiente a garantire la partecipazione regionale alla versione finale del documento. Dunque, in generale, le Comunità Autonome si ritengono abbastanza soddisfatte del loro coinvolgimento nel processo di programmazione dei fondi strutturali. C'è però chi parla – come la direttrice del dipartimento per l'economia della Comunidad Valenciana – di una certa relatività nell'affermare un pieno coinvolgimento regionale; infatti tale valutazione dipende senz'altro sia da giudizi soggettivi connessi al grado di partecipazione permessa in passato, rispetto alla quale è inevitabile percepire un miglioramento, sia dalla situazione specifica di ciascuna regione: ci sono CCAA che sono intervenute poco, ma che coincidono con quelle che storicamente meno rivendicano la propria partecipazione, e ci sono poi quelle Comunità che, essendo più attive, hanno cercato di sfruttare al massimo le possibilità concesse, sollevando questioni di proprio interesse su molti punti della bozza ministeriale. A questa visione piuttosto ottimistica, manifestata a proposito dell'elaborazione del MENR, si contrappone quella assai autorevole di Landabaso della Dg Regio che, di fronte alla domanda sul grado di realizzazione di una logica multi-livello in questa prima fase di decision making, parla di un'assenza del partenariato verticale nella realizzazione del Quadro, che addirittura viene definito frutto di un processo top-down. In difesa del caso spagnolo lo stesso Landabaso afferma anche che, data la natura del Quadro strategico nazionale così come congegnato dalla Commissione, sarebbe comunque stato difficile farlo risultare da un processo di reale concertazione multi-level.

Volendosi spiegare il motivo di questa sostanziale divergenza di opinioni, si avanza l'ipotesi di una sostanziale sottovalutazione da parte dei funzionari regionali, sia italiani che spagnoli, dello strumento del quadro nazionale, poiché si è diffusa l'idea che sia rilevante soltanto la definizione dei contenuti interni ai Programmi Operativi regionali. E' senz'altro vero che, contenendo concetti appunto più operativi, i programmi rappresentano una sede rilevante del

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ruolo decisionale regionale, ma la significatività del quadro strategico nazionale resta non trascurabile per due motivi: in primo luogo si tratta di un nuovo strumento, che serve da cornice a tutte le declinazioni strategiche successive, comprese dunque quelle incluse nei PO; questo fa sì che un programma debba essere perfettamente in linea con il Quadro, perché la Commissione proceda alla sua adozione, dato l'ordine gerarchico stabilito tra le linee strategiche. D'altra parte poi è proprio l'elaborazione di questo documento, per definizione “nazionale”, che diventa un banco di prova per il coinvolgimento sub-nazionale, nella verifica di un approccio di multi-level governance.

Va poi detto che, come previsto nei regolamenti, la negoziazione del MENR è condotta dal Ministero dell'Economia e la Commissione, sebbene si siano susseguite riunioni e seminari a cui hanno partecipato anche funzionari regionali, sia in Spagna che a Bruxelles.

Per cercare di approfondire le metodologie utilizzate dalla Spagna per concertare le strategie nazionali, è opportuno far riferimento al processo di elaborazione del Programa Nacional de

Reformas (PNR), richiesto per l'attuazione della Strategia di Lisbona rinnovata e pubblicato

nell'ottobre 2005. Questa connessione è molto utile perché, al di là del fatto che il PNR spagnolo non faccia riferimento all'utilizzo dei fondi strutturali, il MENR si ispira molto da vicino a questo documento, data l'uniformità di obiettivi che entrambi i documenti perseguono, come la crescita attraverso una maggiore competitività e l'aumento delle opportunità di lavoro. Anzi, in più occasioni, si è ricordata l'importanza di vedere la programmazione strutturale come fonte di mezzi finanziari per perseguire le finalità di medio termine del PNR (2005-2008), poiché gli obiettivi, in entrambi i casi, corrispondono alla strategia di Lisbona.

Quindi, capire i meccanismi di partecipazione all'elaborazione delle strategie del PNR contribuisce a spiegare anche l'influenza delle Comunità Autonome sul MENR; va poi detto che, essendo fortemente raccomandata la partnership istituzionale in entrambi i casi, si manifesta la logica dello Stato centrale nello sviluppare tale principio nel decision making nazionale.

L'idea di ricorrere a questa analisi indiretta nasce dal fatto che, essendo passato un lasso di tempo maggiore dalla produzione del PNR, esiste un autorevole studio37 del Comitato delle Regioni, volto ad analizzare proprio la partecipazione regionale nella formazione dei Programmi Nazionali di Riforma38.

37 Tale studio si è svolto per mezzo di questionari inviati alle autorità regionali, nonché ai membri del CdR di ciascuno Stato membro, ed alle autorità nazionali di coordinamento della strategia di Lisbona, che si sono occupati della elaborazione del Programma di Riforma Nazionale. Sono pervenute 103 risposte provenienti dalle regioni e dalle autorità locali interpellate e da 16 autorità centrali dei 25 Paesi Ue a cui sono stati inviati i quesiti.

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La convinzione del Comitato delle Regioni è che

“the Lisbon Agenda could only be successfully achieved if it were owned by all its stakeholders at EU, national, regional and local levels. A wholehearted mobilisation would only be possible if the various players felt that the policies proposed in the framework genuinely concerned them and that they were truly involved in the implementation process”39.

In generale, analizzando caso per caso, l'analisi perviene alla conclusione che, nonostante le regioni avvertano il proprio interesse alla rinnovata strategia di Lisbona, vista come un modello economico trainante, il loro impegno effettivo in ciò sia limitato dall'assetto di

governance nazionale, che potrebbe gravemente frenare il successo della politica di coesione;

allo stesso tempo, lo studio dimostra che esistono notevoli spazi per l'incremento del ricorso alla partnership con le Regioni e le Città.

Il CdR ha voluto ricostruire il grado di soddisfazione derivante dalla partecipazione regionale e locale al processo di decisione delle strategie, attraverso domande volte a valutare la conoscenza dell'esistenza del processo connesso a Lisbona, gli strumenti partecipativi, il grado di inclusione nel programma delle proposte regionali, nonché il valore aggiunto che la partecipazione sub-nazionale dà alla realizzazione della strategia di Lisbona.

Per quanto riguarda la Spagna, si parla di un'elevata informazione delle CCAA sull'Agenda di Lisbona e sul suo rinnovo, risalente al marzo 2005: a fini informativi, sono stati utilizzati vari strumenti, come le conferenze, i meeting tematici e la produzione di report40.

Circa la partecipazione alla preparazione del PNR, si registra un sostanziale accordo tra i livelli nazionale, regionale e locale nell'affermare l'assenza di formalizzazione del processo di

governance, ma tutti gli intervistati hanno dichiarato l'esistenza di una serie di riunioni tra le

autorità regionali ed il coordinatore statale. D'altra parte però le CCAA non hanno partecipato agli incontri tra lo Stato e la Commissione e l'apporto autonomico si è concretizzato con l'invio di commenti e proposte alle autorità centrali incaricate, proprio seguendo lo stesso metodo che si ritrova nella stesura del MENR, come sopra detto.

A questo proposito, ai fini di un confronto delle metodologie seguite tra la Spagna e l'Italia, si fa cenno ai risultati a cui questo studio perviene per il caso italiano: per la realizzazione del

the Partnership for Growth and Jobs”, Comitato delle Regioni, 2006, Lussemburgo.

39 Pag. 5, op. cit. Inoltre viene citato un discorso fatto in conferenza stampa da Barroso J. M., presidente della Commissione che dice: “Europe needs a clearer focus on contributing to growth and jobs. Greater ownership for this objective on the part of the EU Regions means a better performance of the EU economy as a whole. In this respect, Lisbon needs the Regions as much as the Regions need Lisbon”.

40 Va notato come il 15% degli intervistati tra le autorità regionali abbiano sostenuto di non aver ricevuto alcuna informazione, mentre nessuno dei coordinatori della strategia, che sono autorità centrali, ha ammesso tale mancanza.

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proprio programma nazionale di riforma (PICO), l'Italia ha definito un processo di

governance formalizzato a priori, le regioni si sono incontrate non solo con le autorità

nazionali, ma anche con la Commissione, si è dato luogo ad una consultazione pubblica che coinvolgesse anche gli stakeholder economici e sociali, e le regioni hanno inviato le proprie proposte al coordinatore centrale. Secondo il Comitato delle Regioni, proprio in Italia ed in Austria si sarebbe avuto il più elevato grado di partecipazione regionale, essendo stati organizzati anche gruppi di lavoro e tavole rotonde in cui comparivano anche funzionari regionali.

Comunque sia, la Spagna rientra con l'Italia, il Belgio e la Germania tra quei Paesi che maggiormente hanno dato luogo alle consultazioni regionali per l'elaborazione del proprio programma nazionale; lo studio afferma però che, anche in questi casi più incoraggianti, i documenti prodotti non esplicitano quale sia stato il contributo regionale e non lo valorizzano come input irrinunciabile per il disegno della strategia nazionale per la crescita e l'occupazione. A dimostrazione di ciò, si riporta quanto scritto nell'introduzione del

Programa Nacional de Reformas de España (ottobre 2005) dove non vengono menzionate le

CCAA; si legge che

“Este Programa Nacional de Reformas ha sido elaborado por la Unidad Permanente de Lisboa, bajo la coordinaciòn de la Oficina Econòmica del Presidente del Gobierno español. Ha contado, ademàs, con la colaboraciòn de todos los Ministerios que participan en la Comisiòn Delegada del Gobierno para Asuntos Econòmicos, y fue aprobado por el Consejo de Ministerios el 13 de octubre de 2005”.

Stupisce davvero non ritrovare nemmeno un minimo riferimento al contributo regionale, visto che in più di una occasione si è affermata la necessità di una profonda condivisione da parte di tutti i livelli di governo della strategia di Lisbona, per un suo effettivo successo: infatti senza interventi legislativi ad hoc e senza precise scelte economiche di portata nazionale, regionale e locale, la strategia non può essere implementata; secondo molti, inoltre, l'instaurarsi di un atteggiamento regionale collaborativo è favorito dal senso di appropriazione delle strategia e di appartenenza alle logiche che l'hanno formulata.

Ritornando al MENR, la Direcciòn General de Fondos Comunitarios del MEH ha elaborato un documento che contiene quelli che in linea di massima saranno gli assi strategici, raggruppati in due categorie: quelli riguardanti le regioni in obiettivo Convergenza e quelli per le regioni in Obiettivo Competitività. Si tratta di una scelta differente da quella fatta dall'Italia e che si giustifica sulla base della diversa natura che i due obiettivi hanno in base ai

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regolamenti comunitari. Si riassumono di seguito i due gruppi di assi schematicamente:

Obiettivo Convergenza

Asse 1. Sviluppo dell'Economia della Conoscenza Asse 2. Sviluppo e innovazione imprenditoriale

Asse 3. Ambiente, risorse idriche e prevenzione dei rischi

Asse 4. Trasporti e energia

Asse 5. Sviluppo sostenibile, locale e urbano Asse 6. Infrastrutture sociali

Asse 7. Assistenza tecnica e rafforzamento delle capacità

istituzionali

Obbiettivo Competitività regionale e Occupazione

Asse 1. Economia della conoscenza, innovazione e sviluppo imprenditoriale

Asse 2. Ambiente e prevenzione dei rischi

Asse 3. Accessibilità alle reti ed ai servizi di trasporto e telecomunicazioni

Asse 4. Sviluppo sostenibile locale e urbano Asse 5. Assistenza tecnica

Fonte: elaborazione dal documento informativo N°12 pubblicato dal Ministerio de Industria, Turismo y

Comercio, settembre 2006

Inoltre, a proposito dell'elaborazione del MENR, le DG Regio e la DG Occupazione hanno elaborato un documento di lavoro41, in cui si stabiliscono gli obiettivi strategici per il periodo 2007-2013, e su cui ci si è basati per la negoziazione del testo finale, essendovi incluso ciò che la Commissione si aspetta dall'utilizzo che la Spagna farà dei fondi comunitari.

Questo documento rappresenta la maggiore presenza che la Commissione cerca di avere là dove le risorse comunitarie sono più ingenti, con la finalità di produrre effetti moltiplicatori così da incrementare la complessiva competitività europea, beneficiando indirettamente tutti gli Stati membri: la prassi di un maggiore coinvolgimento del livello sovranazionale dove i fondi europei sono più ingenti, conferma la teoria di Marks e Hooghe, che analizzarono le relazioni inter-governamentali per studiare il processo di integrazione europea.

Innanzi tutto va menzionata la richiesta della Commissione allo Stato spagnolo di precisare e produrre informazioni dettagliate sul grado di utilizzo del partenariato istituzionale, oltre che di quello orizzontale, per evitare di dar luogo a richieste successive di ulteriori informazioni a tal proposito, come del resto successe nei passati periodi di programmazione.

41 “Objetivos estratégicos y àmbitos fundamentales en relaciòn con España – Borrador de trabajo emaborado por DG Regio F1 en colaboraciòn con DG EMPL C03”, 10 marzo 2006.

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La richiesta di decentramento da parte della Commissione è generalizzata e non riguarda solo la gestione dei programmi, ma anche il riparto delle risorse finanziarie e il decision making, data la reticenza dimostrata dallo Stato centrale in più occasioni.

Nel documento di lavoro della Dg Regio si propone addirittura un indice per il MENR in cui si propone, nell'introduzione, di inserire una descrizione del processo di analisi, di consultazione e partecipazione degli attori regionali, oltre che nazionali e sociali, nella elaborazione del documento. E' una richiesta di maggiore trasparenza dei meccanismi di coinvolgimento dei diversi partner e, in particolare, di quelli sub-nazionali. Ovviamente il non aver posto in essere un processo formalizzato a priori rende maggiore l'onere dimostrativo che lo Stato ha dovuto affrontare, per soddisfare l'interlocutore comunitario di fronte alla versione finale del documento, consegnata alla Commissione il 21 novembre scorso.

Un'altra importante richiesta della Commissione è che la Spagna reindirizzi la strategia nazionale verso l'economia della conoscenza e quindi verso la ricerca e l'innovazione tecnologica (I+D e cioè Investigaciòn y Desarollo), trasferendo gran parte degli sforzi finanziari, finora concentrati in campo infrastrutturale, verso questo ambito di sviluppo. Al Governo spagnolo, fin dai primi incontri con i servizi della Commissione, è stato richiesto un drastico riorientamento dell'utilizzo dei fondi al fine di una concentrazione su progetti di innovazione, competitività e di modernizzazione dell'economia. Di fronte alla riduzione del 42% dei fondi comunitari ricevuti dalla Spagna rispetto al periodo precedente, sarà necessario che le modalità di impiego delle risorse abbiano un effetto moltiplicatore dell'impatto prodotto e, per fare ciò, si ritiene che l'innovazione sia la giusta strada da percorrere. Nel documento di lavoro sopra menzionato si legge che

“España debe realizar modificaciones de gran calado en su estrategia de desarollo regional, abandonando gradualmente la financiaciòn de infraestructuras fìsicas y las ayudas directas a las empresas en favor del afinanzamiento de los factores de desarollo vinculados a los objetivos de Lisboa, especialmente a través de la innovaciòn, la integraciòn de las TIC y el desarollo de capital humano”.42

In particolare, la Commissione ha proposto che il 60% dei fondi destinati alle CCAA meno sviluppate, in obiettivo Convergenza, sia dedicato all'I+D, mentre addirittura il 75% dei fondi sia riservato a questo tipo di interventi dalle regioni in obiettivo Competitività; in definitiva, si tratta di un obiettivo di spesa di 6-8.000 milioni di euro da destinare all'innovazione, attraverso un'azione combinata dei fondi strutturali e del Fondo tecnologico, creato

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