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Capitolo I Firenze negli anni trenta del Cinquecento

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Academic year: 2021

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Capitolo I

Firenze negli anni trenta del Cinquecento

1.1 L’affermazione del principato assoluto a Firenze

La storia politico-sociale di Firenze, dall’ultimo decennio del Quattrocento agli anni Trenta del Cinquecento, è quanto di più drammatico e convulso si possa immaginare1. La città passa, in un breve arco di tempo, dalla signoria medicea di Lorenzo il Magnifico e di suo figlio Piero alla repubblica popolare del tempo di Savonarola, all’esperimento del gonfalonierato a vita di Pier Soderini per ricadere nel 1512 sotto il dominio dei Medici. Subito dopo le sue sorti si legano a quelle di Roma e ai pontificati medicei di Leone X e di Clemente VII. Infatti, al sacco di Roma, corrisponde in Firenze la cacciata dei nipoti del papa, Ippolito e Alessandro, e il ripristino della repubblica. Questa è travagliata al proprio interno dallo scontro tra i “grandi” e i “popolari” e attaccata dall’esterno dall’esercito dell’imperatore Carlo V, sollecitato da papa Clemente VII a riportare i Medici a Firenze.

1

Oltre che dal punto di vista politico, è interessante considerare anche le difficili condizioni economiche in cui si trova la società fiorentina in questi decenni. Gli sconvolgimenti politici a cui si aggiungono le due invasioni armate, devastano il territorio e disturbano la produzione e il commercio. Le manifatture toscane, che proprio in questo momento cominciano a sentire la concorrenza delle più moderne imprese in via di sviluppo in Inghilterra, nelle Fiandre, in Francia, in Germania, non possono essere ulteriormente pregiudicate dalla crisi di regime e dalle conseguenze della guerra. Le entrate dello Stato diminuiscono, in un momento in cui le spese, a seguito delle necessità belliche,d tendono ad aumentare. Già nel 1533 Alessandro ricorre a una misura monetaria – divieto di coniare fiorini e adozione di scudi d’oro con larga percentuale di metallo inferiore, che, data l’equivalenza stabilita fra le due monete, porta alla svalutazione, caratteristica dei primi secoli dell’età moderna. Entrano in crisi anche certe manifatture tradizionali, come quella della seta, che induce lo Stato, nel gennaio 1533, ad aprire una breccia nel sistema corporativo, autorizzando i mercanti a far lavorare la seta greggia anche al di fuori dell’ambito dei lavoranti dell’Arte. Nuove entrate sono ricavate con il ricorso all’arbìtrio, una tassa sulle attività mercantili e finanziarie, sul reddito mobiliare ma sarà abolita da Cosimo nel 1561. Si tentano misure di facilitazione annonaria, come l’alleggerimento delle gabelle sull’importazione di merci “utili e necessarie”, o protezionistiche come il divieto della importazione dei panni fini, per alleviare la crisi dell’Arte della Lana. Infine, si risparmia sulle spese dell’apparato corporativo, riducendo, nel luglio del 1534, il numero delle Arti minori, da 14 a 4, e quindi del relativo personale addetto. Per avere un’idea dell’abbassamento del tono della vita cittadina fra il 1530 e il 1537 basta esaminare le biografie dei principali artisti. Il Rosso se ne va in Francia già nel 1530; Michelangelo lascia Firenze per sempre nel 1534. L’Ammanati, il Cellini e il Vasari, maestri del manierismo toscano, stanno lontani da Firenze e sporadiche sono le loro comparse in città. Solo il Pontormo continua ad affrescare nelle ville di Poggio a Caiano, di Careggi e di Castello.

Buona parte delle ricchezze dei fiorentini non è concentrata in Firenze perché investita in negozi di mercatura e di finanza su piazze d’affari lontane. Quindi la crisi del 1530 non colpisce i fiorentini sparsi per l’Europa. Ma questa elasticità del capitalismo fiorentino non giova alla ripresa della città. Infatti la frattura politica all’interno della città tra gran parte dei cittadini e il governo di Alessandro si riflette all’esterno in una divisione tra le sorti delle colonie fiorentine e la madre patria. Tradizionalmente, i mercanti fiorentini mettono al sicuro parte dei loro guadagni investendoli in terre. Ma la guerra dell’assedio è più disastrosa per la campagna che per la città. Il Varchi scrive che in questa guerra “de’soldati di fuora furono uccisi d’intorno a 14.000 e di quegli di dentro presso a 8000” senza contare “la gente bassa e i contadini dell’un sesso e dell’altro, i quali in Firenze e nel suo distretto morirono in numero innumerabile di fame, di ferro, di peste e di stento. Non è già possibile di raccontare l’infinito danno, oltre gli infiniti disagi, che soffersero per tutto il dominio fiorentino, così i poveri all’avvennate come i ricchi e tanto gli uomini quanto le femmine”in B. VARCHI, Storia fiorentina, Firenze, 1858, libro XI, p. 134. Non è dato di sapere quanto tempo abbiano impiegato le campagne del dominio fiorentino a sanare le ferite del 1530.

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La città è costretta a tornare sotto il dominio dei Medici e diventa un principato ereditario nel 1532. Sarà poi Cosimo I, a partire dal 1537, ad attuare modifiche radicali nel sistema amministrativo e a dare allo Stato fiorentino un assetto istituzionale le cui linee fondamentali rimarranno sostanzialmente immutate sino alle riforme attuate nella seconda metà del secolo XVIII dal granduca Pietro Leopoldo di Asburgo - Lorena2.

Descriverne la genesi e lo sviluppo è un’operazione molto complessa per la peculiarità del caso fiorentino che non si presta al raffronto con analoghe formazioni della penisola, sia per essere posteriore a queste, sia per la specificità del contesto socio-politico3.

La formazione del principato assoluto in Firenze e nel suo dominio e l’istituzione di nuovi organi politici, avvenuta soprattutto sotto Cosimo I, inizia dalla capitolazione della repubblica, sottoscritta il 12 agosto 1530. Firenze è sopraffatta dalle armi di Carlo V che si riserva la facoltà di stabilire entro quattro mesi la forma di governo da sostituirsi a quella antica,“intendendosi sempre che sia conservata la libertà”4. I patti di resa imposti alla città infatti, conferiscono all’imperatore il pieno potere di dare allo Stato un nuovo assetto politico-istituzionale. Il 28 ottobre Carlo V, nell’esercizio di tale potere, stabilisce, per Firenze, la nuova forma di governo.

Il diploma5, emanato a favore di Alessandro dei Medici, appare, nel suo contenuto, come conseguenza sia delle suppliche indirizzate all’Imperatore dai Fiorentini, per volere di Clemente VII, ormai padrone della città.

Alessandro de’ Medici non riceve il titolo di Duca di Firenze, né viene costituito in suo favore un principato. Il diploma si limita a conferirgli il titolo di “Capo del governo, dello stato e del regime della Repubblica fiorentina”, e il potere di presiedere le sue tradizionali magistrature conservate nella loro integrità. A favore della Casa Medici, viene trasformata in Signoria ereditaria di diritto l’antica Signoria di fatto, non dotata cioè di alcun titolo giuridico6.

2

A. D’ADDARIO, La formazione dello stato moderno in Toscana. Da Cosimo il Vecchio a Cosimo I de’ Medici, Lecce, Adriatica editrice, 1976, p. 167.

3

M. FANTONI, La corte del granduca. Forme e simboli dl potere mediceo fra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni Editore, 1994.

4

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Notarile antecosimiano G 74 (1529-1530), protocollo di Ser Bernardo Gamberelli, cc. 207-210v. , pubblicato in L. CANTINI, Legislazione toscana, vol. I, Firenze 1800, vol. I, p. 32 e sgg: “In Dei nomine Amen. Anno Domini Nostri Jesu Christi ab ejus salutifera Incarnatione 1530. Indictione termia, die vero decimo seconda mensis Augusti, […] In primis: Che la forma del Governo abbia da ordinarsi e stabilirsi dalla Maestà Cesarea, fra quattro mesi prossimi avvenire, intendendosi sempre, che sia conservata la libertà. […]. Item: Che tutto il Dominio e Terre, acquistate dal felicissimo esercito, abbino a ritornare in potere della Città di Firenze. […]”.

5

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Diplomatico. Riformagioni atti pubblici, 1530 ottobre 28 in L. CANTINI, Legislazione toscana, op. cit. , tomo I, p. 35.

6

D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli stati assoluti in Italia, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 4 e sgg.

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La situazione a Firenze, però, si evolve in maniera diversa, per la presenza e l’azione di Bartolomeo Valori e Niccolò Schomberg, commissari di Clemente VII. Essi devono rispettare, almeno formalmente, quello che è stabilito da Carlo V ma per fondare il potere di Alessandro sono costretti a seguire una politica più svincolata dalla volontà imperiale.

Il 20 agosto 1530 è convocato tutto il popolo fiorentino “ad parlamentum et adunantiam generalem”. L’unica deliberazione sanzionata dal parlamento è l’elezione, per un anno, di una balìa di dodici cittadini alla quale sono dati amplissimi poteri fra cui quello di procedere all’elezione dei titolari di tutte le magistrature municipali e di riformare lo Stato7.

Lo scopo di Clemente VII, in tutto questo, è quello di predisporre uno strumento idoneo ad operare una radicale trasformazione degli ordinamenti costituzionali fiorentini nel caso in cui le soluzioni adottate da Carlo V non siano corrispondenti in pieno ai suoi desideri e alle sue aspettative.

Come scrive Giuseppe Pansini8, la Balìa, alla quale sono aggiunti per effetto della deliberazione dell’8 ottobre 1530 i gonfalonieri in carica, si attribuisce il potere di nominare la Signoria, i Collegi e gli Otto di guardia per tutta la durata del mandato9 e

7

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 48, n. 39, i dodici cittadini sono Bartolomeo di Filippo di Bartolomeo Valori, commissario generale di Clemente VII, Raffaello di Francesco Girolami, gonfaloniere di giustizia, Luigi di Angelo della Stufa, Ormanozzo di Tommaso Detti, Matteo di Angelo Niccolini, Leonardo di Bernardo Ridolfi, Filippo di Alessandro Macchiavelli, Antonio di Piero Gualtierotti, Andrea di Tommaso Minerbetti, Ottaviano di Lorenzo dei Medici, Zanobi di Bartolomeo Bartolini, Niccolò di Bartolomeo del Troscia.

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 48, cit. , c. 115v. , verbale del parlamento e adunanza generale del popolo fiorentino del 20 agosto 1530.

8

G. PANSINI, Le segreterie nel principato mediceo in Carteggio Universale di Cosimo I De’ Medici. Archivio di Stato di Firenze. Inventario a cura di Anna Bellinazzi e Claudio Lamioni, Giunta Regionale Toscana/La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1982, pp. IX- XLIX.

9

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 50, c. 13. Deliberazione dell’8 ottobre 1530, “Die octava mensis octobris 1530. Item Magnifici Domini de balia civitatis florentinae in corum solita residenti in sufficienti numero congragati servatisque servandis et ostento partito secundum ordinamenta, deliberaverunt et deliberando decreverunt et singola infradicia vulgari tamen sermone videlicet. Considerato e Magnifici Signori XII di balia insieme col Magnifico Signore di iustitia del populo fiorentino, che nella legge del parlamento fatta sotto di XX dagosto proximo passato si dispone che per li XII ciptadini allora creati di balia si dovessi per quella prima volta creare il supremo magistrato de Magnifici et di iustitia et de loro venti collegi et delli spettabili octo di guardia e ogni altro magistrato[…] Et così sotto di…di dicto mese dagosto fu facto ed eseguito per dicti XII et furno per quella prima volta creati e dieci magistrati, et considerato anchora che in dicta legge del parlamento si dice che si possa accrescere il numero di dicti XII di balia altri ciptadini come parra loro conveniente, et che dicti XII con quelli che vi saranno aggiunti, habbino tanta auctorità questa per li tempi passati è stata mai concessa ad alcuna balia di potere riformare et ordinare tutta la cipta e suo governo come in dicta legge si dice, et considerato et che di poi e sotto di XXVIII di septembre proximo passato fu aggiunto a dicti XII di balia da loro medesimi il Magnifico Signore di iustitia presente et così di tempo in tempo quelli che sederanno Signori nel dicto supremo magistrato vi sintendino aggiunti et considerato che si pproxima hora el tempo di rifare et creare la nuova Signoria che debba entrare in […] di novembre proximo avenire, et poi volendo i Signori XII insieme col presente Magnifico Signore di iustitia provedere et ordinare e dichiarare el modo come per tutto il resto dell’anno che dura lofficio della presente balia si habbi a creare il supremo magistrato de Magnifici Signori predicti e Signore di iustitia et de loro venti […] et delli spetabili octo di guardia che in dicto tempo del resto dellanno predicto si danno a fare, et considerato quanto questo importi al presente pacifico stato et governo della

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sostituisce i componenti delle magistrature più importanti come gli Otto di Pratica10, gli ufficiali del Monte delle graticole11, dei Sei di mercanzia, dei capitani di parte guelfa, dei Conservatori di leggi, dei Cinque conservatori del Contado, degli Ufficiali dei pupilli. E’ portato a centoquarantasei il numero dei componenti della balìa e sono emessi provvedimenti per cui si lascia alla Signoria la facoltà di nominare tutti gli uffici sia “intrinseci” che “estrinseci”12.

Il 17 febbraio 1531 la Balìa dà esecuzione al diploma imperiale e dichiara Alessandro dei Medici capo perpetuo di tutte le magistrature cittadine. Ma adotta tale deliberazione in ossequio a Papa Clemente in considerazione dei grandi benefici che i Fiorentini hanno sempre ricevuto dalla Casa Medici. Proprio per evitare un esplicito richiamo alla costituzione dettata da Carlo V, i membri della Balìa emanano il decreto “per loro proprio moto”, “ex certa scientia”. Inoltre, mentre il diploma imperiale riconosce ad Alessandro il titolo personale di Duca di Penne, nella deliberazione della Balìa, si dice espressamente “Illustrissimo Signor Duca Alexandro de Medici”, come fosse già Duca di Firenze.

cipta per ogni miglior modo che si puo et per vigore di qualunque loro potesta, auctorità et balia, ordinarono et deliberarono anzi dichiarorno in questo modo et forma cio è Che per lavenire durante il resto di questo anno che dura la presente balia, si possa et debba creare et ordinare il Supremo magistrato de nostri Magnifici Signori et Signore di iustitia et così de loro venti et delli spettabili octo di guardia della presente balia et, Signore di iustitia et etiam occorra insieme con quelli che di tempo in tempo durante il dicto anno vi fussino aggiunti alla dicta balia, et così dichiarorno potersi et doversi fare durante il dicto tempo per virtù et disposizione della dicta legge del parlamento, et ad ogni abundante cautela et per la presente deliberatione providono et ordinarono che cosi si faccia et observi durante il dicto tempo. Non obstantibus est”; la Balìa nominata, ha già provveduto a sostituire gli Otto di Guardia.

Ivi, Balìe, 51, c. 6r. , Deliberazione del 22 agosto 1530. Essa destituisce coloro che erano stati nominati al tempo dell’assedio, dichiarando che “non più per lo addivenire auctorità o balìa alchuna”, e li sostituisce con Maso di Bernardo di Tanai dei Nerli, Jacopo di Pandolfo di Bernardo Corbinelli, Francesco di Antonio di Francesco di Antonio Nori, Donato di messer Antonio di Donato Cocchi, Lorenzo di Donato Acciaiuoli, Raffaello di Matteo di messer Antonio Fedini, Domenico di Braccio Martelli, Guido di Jacopo di Antonio del Cittadino.

10

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 51. Deliberazione del 26 settembre 1530. Sono nominati: Francesco di Piero di Jacopo di messer Luigi Guicciardini, Francesco di Piero di Francesco Vettori, Giovanni di Bardo di Bartolo Corsi, Ruberto di Donato di Neri Acciaiuoli, Palla di Bernardo di Giovanni Rucellai, messer Luigi di messer Agnolo della Stufa, Bartolomeo di Filippo di Bartolomeo Valori, Corso di Michele di Corso delle Colombe.

11

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 50, cc. 23r. e 24v. I medesimi sono nominati il giorno successivo e sono: Francesco di Piero di Jacopo Guicciardini, Giovan Francesco di Ridolfo di Pagnozzo Ridolfi, Ludovico di Gino di Ludovico Capponi, Francesco di Piero di Francesco Pitti, Averardo di Alamanno di Averardo Salviati, Pier Francesco di Salvo Borgherini, Gherardo di Francesco di Antonio Taddei, Negretto di Bernardo di Negretto Bardi, Filippo di Carlo di Silvestro Gondi, Leonardo di Nicolò di Leonardo Martelli. I nomi dei nuovi ufficiali di Monte sono in ASFi. , Tratte 85, “Intrinseci”, c. 56r.

12

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 50, c. 60r. Deliberazione dell’8 novembre 1530, “[…]Et poi volendo per utilità pubblica crescer il numero de ciptadini della balia per questa presente deliberatione et partito legittimamente obtenuto et Aggiungono alla balia predicta li infradicti con la medesima auctorità et potesta che ha hauta insino a a qui et ha la presente balia et per il resto dellanno che durava et dura la presente balia […], sono elencati i nuovi componenti della balìa divisi per quartieri di residenza: “Per il quartiere di Sancto Spirito”, “Per il quartiere di Sancta Croce”, “Per il quartiere di Sancta Maria Novella”, “Per il quartiere di San Giovanni”.

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Il 30 marzo 1531 è emanata la provvisione che nomina ventiquattro accoppiatori ai quali sono affidate le operazioni dello scrutinio generale.

Il 4 aprile le operazioni hanno inizio. E’ nominato il numero delle borse per ciascun gruppo di uffici che conservano la denominazione di borse dei capitanati13, dei quattordici, degli otto, degli undici uffici, dei provveditorati, del “mazzocchio” e del priorato. Sono esclusi dallo scrutinio i Signori, i Collegi, gli Otto di guardia, gli Otto di Pratica, i Conservatori di leggi e altre cariche. Lo scrutinio generale è ultimato nel settembre del 1532 e serve di base per la prima distribuzione delle cariche sotto il nuovo regime.

Il 5 aprile sono nominati dodici riformatori14 che hanno l’incarico di compilare la nuova costituzione, terminata il 27 aprile dello stesso anno, con la stretta osservanza della politica medicea e pontificia. La legge di riforma è diretta, innanzitutto, a colpire i vecchi ordinamenti municipali. Infatti tra le disposizioni più significative vi è quella che decreta la soppressione della suprema e tradizionale magistratura della Signoria divenuta nei secoli il simbolo del Comune di Firenze15.

Le “Ordinazioni” costituiscono formalmente una monarchia temperata. Al vertice della

compagine statuale è posto Alessandro dei Medici, con il titolo di “Duca” ereditario. La Signoria è sostituita da un corpo ristretto, formato dal Duca e da quattro suoi

consiglieri: il magistrato dei quattro Consiglieri, presieduto dal Duca e successivamente da un suo Luogotenente16, che assumerà in seguito il nome di Magistrato Supremo. Questa magistratura comincia a funzionare il 1 maggio 1532. Secondo le “Ordinazioni”, deve avere “in tutto e per tutto quell’autorità suprema che ha avuto in qualunque tempo et al presente ha et usa la Signoria benché alcune faccende che di sotto si dirà saranno applicate ad altri magistrati”17. Costituisce una specie di Consiglio di Stato del Principe e, nello stesso tempo, un Consiglio con funzioni consultive. Tra le sue funzioni principali importanti sono quella amministrativa ma anche quella giudiziaria in quanto funge da “Tribunale di appello”. Alle dipendenze del Duca sono istituiti, quali organi fondamentali

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ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Tratte, 7, c. 12r. Deliberazione dei ventiquattro accoppiatori del 22 maggio 1531.

14

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Balìe, 55, c. 91, La Balìa delibera il 4 aprile 1532 di dare alla Signoria l’autorità di nominare dodici cittadini per un mese al fine di riformare lo Stato.

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Signori e Collegi, 134, c. 109, il 5 aprile la Signoria elegge i dodici riformatori.

15

E’pubblicata dal Cantini con il titolo di “Ordinazioni fatte dalla repubblica fiorentina insieme con l’excellentia del Duca Alessandro dei Medici dichiarato capo della medesima”; la versione originale è in ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Senato dei Quarantotto 12, cc. 1-8.

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Quando Alessandro non interviene alle sedute di questa magistratura, fa una regolare delega a chi lo sostituisce. Si veda, per esempio, ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Magistrato Supremo, 1, c. 41r. , delega al Cardinale Cibo del 18 novembre 1532.

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dello Stato, il Consiglio dei Duecento e quello dei Quarantotto, detto successivamente Senato.

Il primo , che sostituisce i Consigli maggiori della Repubblica, consta di 244 membri ed è formato dai componenti della Balìa, da altri ottantaquattro cittadini detti “arroti”, cioè aggiunti, nominati dagli stessi riformatori e divisi per quartieri, e dai membri della Signoria. La sostituzione dei suoi membri spetta al Duca e al magistrato dei Consiglieri.

Il Consiglio dei Duecento ha l’autorità di approvare, con la maggioranza dei due terzi, tutte le provvisioni attinenti a particolari persone o a comunità del dominio, ma solo dopo che esse siano approvate dai Dodici procuratori di Palazzo con maggioranza di due terzi. Inoltre elegge, con la maggioranza della metà più uno, le cariche “che si chiamano dei quattordici et undici et otto provveditori, excepto gli ufici da eleggersi per e Quarantotto”. Non può tenere le sue adunanze senza la presenza del Duca o di un suo sostituto, dei Consiglieri, dei Collegi e dei Procuratori di Palazzo. Il numero legale stabilito per le adunanze è di due terzi dei membri presenti in città.

Il Senato dei Quarantotto è composto da quarantotto membri prescelti in seno al Consiglio dei Duecento, nominati per la prima volta dai dodici riformatori, poi dal principe. Nella compagine statuale prende il posto degli antichi consigli minori della Repubblica.

Il numero legale delle sue adunanze è di due terzi dei membri che si trovano in città. Il Senato dei Quarantotto ha l’autorità di approvare leggi generali e finanziarie e di

nominare alcuni magistrati sia in città che fuori18, i commissari e gli ambasciatori. Le deliberazioni devono essere prese a maggioranza semplice e le sedute non si possono tenere senza la presenza del Duca o di un suo delegato. Le sono conferiti i poteri che aveva la Balìa all’epoca della sua istituzione, salve le prerogative del Duca e dei Consiglieri. I nomi dei senatori vengono segnati su quattro schede in numero di dodici per ciascuna; queste sono rimborsate ed estratte a sorte una ogni tre mesi. I dodici estratti sono chiamati accoppiatori ed hanno il potere di eleggere i membri del magistrato dei Consiglieri e di fare le tratte dei Dodici buoni uomini.

La sua documentazione conservata in archivio è piuttosto scarsa19.

Per accrescere il prestigio del Consiglio e del Senato, si stabilisce che i componenti delle magistrature degli Otto di pratica, degli Otto di guardia e balìa, dei Conservatori di

18

Il Senato dei Quarantotto attribuisce le cariche dei Dodici procuratori, degli Otto di pratica, degli Otto di guardia, dei Conservatori di legge, del magistrato dei Capitani e Provveditore delle fortezze, degli Ufficiali del Monte, dei Consoli del Mare,dei Capitani di Pisa, Arezzo, Pistoia, Volterra e Cortona, del podestà di Prato e del capitano di Castrocaro e Fivizzano.

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leggi, dei Capitani e Provveditori delle fortezze, dei Dodici procuratori di Palazzo, dei Dodici buoni uomini si debbano scegliere in tutto o in parte fra i membri delle due magistrature20.

Il principato, fondato su queste basi giuridiche, non può ancora dirsi dotato di una incontestabile legittimità21. Il diploma imperiale del 28 ottobre 1530 e la legge cittadina del 17 aprile 1532 sono titoli giuridici deboli e insufficienti per garantire la stabilità. Ma quello che soprattutto manca è il conferimento della dignità ducale da parte dell’Imperatore. Quando, infatti, il 25 novembre 1535 Carlo V arriva a Napoli, vi accorre un gran numero di fuoriusciti fiorentini, desiderosi di poter far valere davanti all’Imperatore le proprie ragioni, e poco dopo vi ricorre anche il duca Alessandro22, accompagnato a Napoli da Francesco Guicciardini in veste di avvocato. Nella loro istanza,23 i fuoriusciti dichiarano il carattere illegittimo e tirannico del nuovo governo mediceo e si richiamano alla distinzione tra tirannide ex defectu tituli e tirannide ex parte exercitii, e sostengono che il governo di Firenze è tirannico, non solo per non essere fondato con legittima autorità, ma per il fatto di governare tirannicamente. Per quel che riguarda il titolo di Duca, si sostiene che non può scaturire né dall’autorità imperiale né da quella popolare. Infatti gli ordinamenti vigenti non sono più quelli previsti dal diploma di Carlo V, perché, mentre questi ha conferito ad Alessandro il potere “d’esser capo di quel reggimento”, ora egli gode del titolo di Duca. Ma, anche se questo nuovo sistema di governo fosse stato posto in essere dall’Imperatore, sarebbe allo stesso modo illegittimo, perché Carlo V avrebbe dovuto comunque rispettare la capitolazione del 12 agosto 1530, che prevedeva il rispetto e la conservazione della “libertà fiorentina”, ora manifestamente distrutta24.

Questi ordinamenti non possono neanche invocare, a sostegno della propria legittimità, la volontà popolare, poiché la Balìa che li ha promulgati è stata eletta da un Parlamento convocato non tenendo conto delle norme statutarie. Inoltre i fuoriusciti dimostrano, con abbondanza di esempi, la condotta autoritaria di Alessandro che dispone, a suo arbitrio, dei pubblici uffici e delle ricchezze comuni commettendo ogni sorta di abusi, di violenze e di persecuzioni. Le pressioni dei fuoriusciti rappresentano una grande minaccia per il governo

20

L. CANTINI, Legislazione toscana, op. cit. , p. 12.

21

D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, op. cit. , p. 12.

22

Alessandro giunge a Napoli il 3 gennaio 1536 ed è accolto con simpatia. Al suo seguito ci sono Francesco Guicciardini, Francesco Vettori, Matteo Strozzi, Roberto Pucci e i giovani Lorenzo e Cosimo Medici.

23

Portavoce degli esuli è Jacopo Nardi che rivolge un lungo discorso a Carlo V, in cui espone i capi d’accusa. L’Aldobrandini poi redige un atto di accusa vero e proprio, al quale il Guicciardini risponde a nome del Duca.

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Secondo i fuoriusciti, simboli della nuova tirannide sono la soppressione dei “Priores libertatis”, il Magistrato della Signoria, e il conio di una nuova moneta nella quale sono incise, non l’immagine tradizionale di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, ma quelle di San Cosmo e di San Damiano, simboli della casa dei Medici, proprio perché non resti memoria dell’antica Repubblica.

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di Alessandro e per l’indipendenza stessa dello Stato fiorentino, anche perché, proprio a pochi giorni di distanza dall’annessione del Ducato di Milano all’impero, è cosa molto pericolosa invocare un nuovo intervento di Carlo V.

Per far fronte a queste minacce, Francesco Guicciardini elabora una replica, abilissima nell’interpretare il termine libertà in maniera diversa da quella formulata dai fuoriusciti: la libertà di cui parla la capitolazione del 12 agosto 1530 deve intendersi riferita alla posizione dello Stato nei confronti di ogni potere. Uno volta, quindi, che Carlo V, nell’esercizio dei poteri conferitigli, ha promulgato il suo diploma a favore di Alessandro dei Medici, vengono a cessare gli effetti giuridici della capitolazione, e il nuovo governo riacquista l’autorità sulla città. Sull’aspetto più delicato della riforma, cioè l’attribuzione ad Alessandro del titolo ereditario di Duca della Repubblica fiorentina, il Guicciardini preferisce sorvolare rapidamente. Infine, circa l’accusa di tirannide ex parte eserciti, ci si limita a rispondere che si tratta di “calunnie…si evidentemente false che è vergogna parlarne”. I fuoriusciti insistono sul loro concetto di libertà e propongono la creazione di un Senato investito del potere di legiferare, di deliberare in materia tributaria e militare, di procedere all’elezione dei magistrati e funzionari e di essere preposto all’amministrazione della giustizia criminale. La controversia si conclude senza vinti né vincitori, o meglio, l’unico vero vincitore è Carlo V. Infatti non è annullata la riforma del 27 aprile 1532, neanche nella norma che aveva istituito il titolo ereditario di Duca della Repubblica fiorentina e l’imperatore si riserva di intervenire nelle questioni della città e dello Stato e di riformare il Governo se ve ne fosse bisogno, con espresso divieto, per il governo mediceo, di portare alcun mutamento a quanto è decretato, dietro minaccia, in casu contraventionis, della privazione del titolo e di ogni autorità. E’ anche stabilito, con convenzione del 28 febbraio 1536, che alla morte di Alessandro dovessero essere consegnate alle forze imperiali le fortezze di Firenze, Pisa, Livorno, per poterne disporre nel modo più idoneo per assicurare la fedeltà dello Stato al Sacro Romano Impero.

Se la nuova costituzione è accettata con molto riserbo, la condotta personale e l’azione politica di Alessandro suscitano ben presto critiche ed opposizioni.

Infatti il giovane principe cerca sia di legare a sé i ceti inferiori sia di limitare la libertà del ceto privilegiato degli Ottimati, citandoli nei tribunali. Nel 1534 e nel 1535 si hanno nuovamente esili e confische25. Questo atteggiamento di Alessandro, che non ammette più la parità degli aristocratici con i Medici, incontra opposizione e resistenza presso molte famiglie dell’antica nobiltà fiorentina.

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Dopo la visita a Napoli, Alessandro torna a Firenze più forte anche se è più manifesta la sua dipendenza da Carlo V. Il 29 febbraio 1536 sposa Margherita d’Austria che giunge in città insieme all’Imperatore. Il Duca fa sentire ancora di più il carattere della sua politica e riesce, per esempio, a ottenere dall’Imperatore il benestare per la confisca dei beni di Filippo Strozzi26. Ma i Guicciardini, i Vettori e gli Acciaiuoli rimangono a Firenze, in qualità di consiglieri del Duca e il loro gruppo continua ad esercitare un notevole influsso in città27. Lo storico Ferrai nota certi contrasti tra Alessandro e l’aristocrazia fiorentina che resiste alla rinnovata pressione imperiale ed è preoccupata delle buone relazioni con Paolo

III28. Nonostante queste divergenze, il sistema non è più posto in discussione. E’ in questo contesto che si verifica un evento inatteso.

1.2 L’uccisione del duca Alessandro

Nella notte del 6 gennaio 1537 il giovane Lorenzo29 di Pierfrancesco Medici, esponente del ramo cadetto della famiglia, con l’aiuto dello Scoronconcolo, uccide il duca Alessandro. Le esequie del Duca sono celebrate in San Lorenzo alla presenza di Cosimo e l’orazione funebre è tenuta dal giurista Lelio Torelli30.

La questione costituzionale di Firenze si riapre. La Francia non dispone dei mezzi militari necessari per poter intervenire in forze ma incoraggia gli esuli con promesse e aiuti finanziari e militari. L’Imperatore ha bisogno di assicurarsi la città e impedire che passi al campo nemico senza però alienarsi papa Paolo III che in nessun modo intende rinunciare alla sua politica di neutralità tra Carlo V e Francesco I.

26

Filippo Strozzi non accetta la politica di Alessandro. Una controversia giudiziaria con il Duca, che vede coinvolti i figli dello Strozzi, fornisce il pretesto per bollare quest’ultimo come nemico di Alessandro. Chiamato a Roma dal papa, si avvicina al gruppo di opposizione che, formatosi intorno ai cardinali Salviati, Ridolfi e Gaddi e a Ippolito de’ Medici, trama per la caduta di Alessandro.

27

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. , pp. 206-207.

28

L. A. FERRAI, Lorenzino dei Medici e la società cortigiana del Rinascimento, Milano, 1891, pp. 242-244.

29

Lorenzino è sicuramente una delle figure più emblematiche dell’ultimo Rinascimento. Amico intimo di Alessandro e, occasionalmente, sua vera e propria spia, prova per il Duca un sentimento di odio e si sente offeso nel suo orgoglio personale di aristocratico. L’assassinio avviene in primo luogo per motivi personali ma prevale anche l’idea di un tirranicidio inteso come azione politica. In esso Lorenzino vede un mezzo per appagare la propria ambizione sino ad allora insoddisfatta e per procurarsi il tanto desiderato riconoscimento. In Francia o a Venezia compone l’Apologia, una delle migliori opere retoriche del Cinquecento. L’Apologia riprende i pensieri espressi in una lettera a Francesco de’ Medici del 5 febbraio 1537, e li sviluppa in un’opera letteraria organica. In essa Lorenzino si propone di difendersi da certe accuse, di giustificare il suo comportamento e soprattutto la fuga da Firenze, e infine di presentare il suo gesto come autentico tirannicidio. Infatti, argomenta Lorenzino, Alessandro è giunto al potere senza l’approvazione del popolo. Inoltre ha esercitato il potere da tiranno e “levata via ogni civiltà e ogni reliquia e nome di repubblica”. I crimini e le scelleratezze di Alessandro offuscano quelle di un Nerone e di un Caligola e, come Bruto, Lorenzo compie il gesto nell’interesse della città e per la salvezza della libertà. L’assassinio di Alessandro rappresenta anche l’ultimo gesto di ribellione di un aristocratico contro la discriminazione e la sottomissione; infatti, sebbene si sia allontanato dalla tradizione frequentando il mondo degli umanisti, non per questo è disposto ad accettare il principato.

30

(10)

In Firenze si formano tre gruppi: i rappresentanti del popolo che vedono la caduta del tiranno come l’occasione per tornare al governo libero, i sostenitori della politica imperiale, come Innocenzo Cibo, Francesco Campana, Alessandro Vitelli e Maurizio Albertoni, che vorrebbero sfruttare la presenza delle truppe imperiali per affermare l’assoluto dominio dell’imperatore su Firenze, e infine il gruppo dell’aristocrazia che vuole impedire il ritorno della repubblica e spera nell’istituzione di un principato che tenga nel dovuto conto le loro pretese e che non sia incondizionatamente sottoposto all’imperatore31.

Subito dopo l’assassinio, il cardinale Innocenzo Cibo, uomo di fiducia del duca Alessandro, che già gli aveva affidato la reggenza della città durante la sua permanenza a Bologna nel 1533 e a Napoli, adotta tutte le misure più urgenti per prevenire ogni agitazione interna. Chiama immediatamente a Firenze il comandante delle truppe ducali, Alessandro Vitelli, che si trova in quel momento ad Arezzo e riesce a tenere nascosta la morte del Duca fino alla mattina dell’8 gennaio, quando fa riunire il Senato del Quarantotto e dà disposizioni , insieme al Vitelli, perché i capitani delle bande del contado marcino su Firenze e chiede aiuti spagnoli in Italia32. Ogni possibilità di un immediato rivolgimento interno è così arginata e la questione della successione di Alessandro è ricondotta sotto il controllo della volontà imperiale.

31

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, Torino, Einaudi, 1970.

32

F. DIAZ, Il granducato di Toscana, op. cit. e G. SPINI, Cosimo I dè Medici e l’ indipendenza del Principato mediceo, Vallecchi Editore, Firenze, 1980, pp. 37-38.

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