• Non ci sono risultati.

CAPITOLO V Rivelatori ottici → → → → → → →

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO V Rivelatori ottici → → → → → → →"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO V Rivelatori ottici

Trasformano l’intensità luminosa I in un segnale V ≡V

( )

I .

Rivelatori fotonici Sfruttano:

→ fotoemissione (fotomoltiplicatori)

→ fotoconducibilità (fotoresistenze)

→ effetto fotovoltaico (fotodiodi)

→ [effetti fotochimici (lastre fotografiche, di importanza solo storica)]

Rivelatori termici Sfruttano

→dipendenza della resistività dalla temperatura (bolometri)

→transizioni ferroelettriche (piroelettrici)

→dipendenza della pressione di un gas dalla temperatura (celle di Golay)

1) FIGURE DI MERITO

L’efficienza dei rivelatori viene classificata in base ad alcuni parametri comuni:

Noise equivalent power (NEP)

Valore efficace di un segnale luminoso sinusoidale che colpendo il rivelatore produce un segnale elettrico in uscita, il cui valore efficace è uguale al valore quadratico medio del rumore del rivelatore. Si misura in watt Hz. Detettività

NEP

D = A , dove A è l’area del rivelatore Responsività

Misura l’efficienza con cui l’unità di area del rivelatore trasforma il segnale luminoso in segnale elettrico. R=V I A, dove I è l’intensità luminosa

Risposta spettrale

Misura l’intervallo spettrale in cui il rivelatore è sensibile; varia dal lontano infrarosso (far- infrared, FIR) per i termici, al medio IR (MIR) per le fotoresistenze, al vicino IR, visibile e UV per gli altri fotonici.

Risposta in frequenza

Misura la variazione di V(I) con la frequenza di modulazione f del segnale luminoso. La funzione risposta è simile a quella di un circuito passa-basso di costante di tempo τ (v. Fig. 1).

Quest’ultima varia tra i pochi ms di un rivelatore termico come il bolometro e i ns tipici di un rivelatore fotonico. Viene misurata ponendo un chopper davanti alla sorgente (simile a un piccolo ventilatore con velocità di rotazione ω variabile) e misurando V(I) in funzione di ω.

(2)

( )

02 2 2

τ f π 4 1 f R R

+

=

Fig. 1 2) RIVELATORI FOTONICI

2.1) FOTOTUBI E FOTOMOLTIPLICATORI

Il fototubo è una valvola a vuoto contenente un fotocatodo e un anodo, che funziona con l’effetto fotoelettrico. I fotoni estraggono dal catodo elettroni, che vengono accelerati verso l’anodo dalla d. d. p tra anodo e catodo. La corrente raccolta è circa proporzionale all’intensità luminosa.

Per aumentarne l’efficienza, si interpongono sul cammino degli elettroni altri elettrodi, i dinodi, da cui gli elettroni in arrivo – che hanno energie dell’ordine di 100 eV - estraggono altri elettroni per urto. Si ottiene così un

fotomoltiplicatore (Fig. 2).

Fig. 2 Lo scintillatore di ingresso non è presente quando si debbano rivelare fotoni di bassa energia, nel visibile o vicino UV.

Ad ogni dinodo, il numero N di elettroni aumenta di un fattore δ∝vα, dove v è la differenza di potenziale tra due dinodi successivi e α è un coefficiente dipendente dal fotomoltiplicatore (PMT).

Il guadagno µ del PMT è quindi, se n è il numero di dinodi:

µ = δ

( )

n =

(

Avα

)

n =A'vαn

(3)

Con 12 dinodi, un singolo elettrone dà luogo sull’anodo a 1012 – 1015 elettroni secondari. In questo modo si ottiene un buon segnale anche dall’arivo di un singolo fotone (modo photon counter). In questo caso si usa la seguente catena di rivelazione:

Fig. 3

Le fonti di rumore in un f. m. sono due:

• Il rumore termico o rumore Johnson, la cui potenza quadratica media a temperatura T è

WJ =4kBTΔf dove

Δf è la banda passante del circuito elettronico a cui il fototubo è accoppiato.

• Il rumore shot, dovuto alle fluttuazioni del flusso degli elettroni, che arrivano sull’anodo

“a raffiche”; la corrente q. m. che passa nel carico esterno R è in questo caso

IS =(2eIΔf )1/ 2µ

dove I è la corrente media. Perciò la tensione del rumore sul carico è rispettivamente

VJ = WJR =(4kBTΔfR)1/ 2

VS =(2eIΔf )1/ 2µR

Di qui si ricava la resistenza critica alla quale le due fonti di rumore sono uguali:

Rcrit =2kBT µ2eI

L’unico parametro su cui si può agire senza perdere guadagno è la temperatura: infatti il f. m. viene raffreddato, in due modi a seconda del tipo e dello scopo:

⎩⎨

°

°

⎭⎬

C) (-195 liquido azoto

C) (-50 Peltier effetto

W termico rumore

il ridurre per

licatore fotomoltip

del ento Raffreddam

J

A causa del rumore termico WJ, vengono contati impulsi anche al “buio”.

Per discriminare al meglio il segnale dal “buio” bisogna impostare il discriminatore di Fig. 3 sulla migliore “finestra” di altezza degli impulsi (vedi grafico a in Fig. 4) e l’alimentazione al di sopra della soglia (vedi grafico b in Fig. 4).

La minima energia dei fotoni rivelabile con un PMT è la funzione lavoro del metallo del fotocatodo (tipicamente circa 1,5 eV). Quindi di solito il PMT funziona dall’IR vicino in su.

(4)

Fig. 4

2.2) CHARGE COUPLED DEVICE (CCD)

Il CCD è basato sull’immagazzinamento dinamico e sul successivo prelievo di una data carica elettrica in una serie di condensatori MOS (metal-oxide-semiconductor).

Fig. 5

In figura un MOS con substrato di Si drogato di tipo “p” riceve un impulso positivo sull’elettrodo di metallo, che è isolato dal substrato da uno strato di SiO2. L’impulso svuota dalle cariche positive la zona sottostante del silicio p per repulsione elettrostatica. In questa regione (buca di potenziale) può affluire una carica negativa (elettrone) che vi rimane intrappolata. Quando avviene spontaneamente, ciò richiede un tempo di riequilibrio τ . Se però in un tempo τ'<<τ un impulso di luce, subito seguente l’impulso positivo sul gate, riempie la buca di elettroni estratti dalla banda di valenza direttamente dai fotoni, la carica Q intrappolata sarà proporzionale all’intensità della luce I. Prima di τ , cioè del riequilibrio termico, bisogna poi trasferire Q ad un registro di memoria col processo mostrato nella figura seguente (charge transfer). Le lacune prodotte dai fotoni vengono invece respinte nel substrato. Tre MOS adiacenti nella Fig. 6 sono un pixel e solo il MOS 1 di ogni pixel

(5)

Fig. 6

riceve la luce. Gli altri servono a trasferire la carica. In fondo alla fila dei MOS, un ultimo microcondensatore trasforma la carica accumulata in un segnale di tensione. Ripetendo questo processo, il circuito di controllo converte l’intero contenuto della fila in una sequenza di impulsi di tensione proporzionali alla carica accumulata e quindi all’intensità della luce ricevuta, che possono essere stoccati in memoria dopo essere digitalizzati.

Montati in un chip secondo una matrice rettangolare, i pixel daranno una mappa Q

(

x, ∝y

) (

I x,y

)

che potrà essere letta col meccanismo di charge transfer (CCD camera).

Il rapporto:

pixel sul incidenti fotoni

di numero

pixel un in stoccati elettroni

di numero

è l’efficienza quantica del CCD (QE), tipicamente vicina al 95%.

Di fronte alla fenditura di un monocromatore, ogni riga del CCD registra un’intera regione spettrale I

( )

ω senza ruotare il reticolo. L’altezza della fenditura può essere utilizzata per illuminare n righe e ottenere una media

( ) ∑ ( )

=

ω

= ω

n 1 j

Ij

n

I 1 che, in una sola esposizione, ridurrà Δ a Ij

Fig. 7

Ij

n I= 1 Δ

Δ . Altrimenti, si può “mascherare” una parte del CCD e scoprirlo gradualmente per registrare spettri a istanti diversi (vedi Fig. 7).

(6)

( ) ( ) ( ) ( )

. ...

, ,

ecc

t I k I

1

t I k I

1

2 k

2 1 k j

j

1 k

1 j

j

ω

≡ ω

ω

≡ ω

+

=

=

Fig. 8

Sensore CCD a linea singola in un lettore fax.

2.3) FOTORESISTENZE E FOTODIODI

Banda di conduzione

Banda di valenza Livelli di impurezze Ed

Δ

Ea

Δ

B) FOTODIODI (O FOTOVOLTAICI) A) FOTORESISTENZE

Fig. 9

La fotoresistenza (Fig. 9 in alto) sfrutta la capacità di un fotone di creare in un semiconduttore una coppia elettrone-lacuna. Se il semic. è intrinseco, il fotone dovrà avere energia superiore a quella della gap Eg (1.1 eV nel Si; 0.8 eV nel Ge) (freccia azzurra); se è drogato, dovrà superare l’energia di legame Ed dell’elettrone al donore (frecce piccole in Fig. 7) o quella della lacuna all’accettore, purché Ed>>kT. Quindi le fotoresistenze per l’IR (come l’MCT, Mercurio-cadmio-tellurio) sono raffreddate con azoto liquido. La resistenza viene misurata da un comune circuito in corrente continua, e può variare da molti Megaohm al buio a poche centinaia di Ohm quando è illuminata.

(7)

Fig. 10

La Fig. 9 mostra la risposta spettrale di alcune fotoresistenze per l’infrarosso.

Il fotodiodo (Fig. 9 in basso)

È il dispositivo inverso del LED, poiché trasforma l'energia luminosa assorbita dalla zona di svuotamento di una giunzione p-n in un potenziale elettrico ai capi di una giunzione p-n, che è polarizzata inversamente.

I fotoni creano coppie elettrone-lacuna nella I

zona di svuotamento, e i portatori dei due segni vengono accelerati dal campo elettrico

creato dal doppio strato della giunzione in V direzioni opposte. Si crea così una corrente

inversa I che è circa proporzionale alla W1

potenza luminosa W assorbita (Fig. 11, che

mostra la parte sinistra della legge di W2

Shockley): purché questa abbia una frequenza

superiore a ω =Eg/! . W3 .

Fig. 11

(8)

Fig. 12

3) RIVELATORI TERMICI

3.1) RIVELATORI PIROELETTRICI

Sfruttano materiali (Es.: BaTiO3) che presentano una transizione ferroeletrica

(

ε→∞per T→Tf

)

,

cioè il passaggio a uno stato con dipolo elettrico macroscopico permanente. Costituiscono il dielettrico di un condensatore che viene illuminato dalla radiazione. Il piccolo riscaldamento ΔT causato dalla radiazione provoca una grande variazioneΔε della costante dielettrica intorno a Tf

(

Tf300K

)

e quindi una variazione della capacità C. Questa induce un segnaleΔV che si scarica sul carico RL con

C R

1

L

=

τ (tempo di risposta del rivelatore: fino a 109sec) e viene amplificato da un transistor a effetto di campo a giunzione (JFET).

Fig. 13

3.2) Il Junction Field-Effect Transistor (JFET)

Il transistor a effetto di campo a giunzione (Junction Field-effect transistor, J-FET), è mostrato in sezione nella Fig. 14.

(9)

Fig. 14

Nel canale (channel, che nel caso mostrato è un semiconduttore drogato n) viaggiano gli elettroni, sospinti dalla d. d. p. VDS tra due elettrodi metallici: la sorgente (source) e lo scarico (drain). Il gate

“portale”), che avvolge il canale, è un semiconduttore con drogaggio opposto (qui è p) e assai più forte di quello del canale. Tra gate e canale si crea così una giunzione che viene polarizzata inversamente (VGS è negativa) e la cui zona di svuotamento (depletion layer), a causa del rapporto tra i drogaggi, si estende soprattutto nel canale. Come si vede in Fig. 14, essa inoltre non è simmetrica, perché la polarizzazione inversa effettiva cresce man mano che ci si avvicina allo scarico (dato che è positivo). Nella zona di svuotamento gli elettroni non passano; quindi il loro flusso (la corrente di drain ID) può essere regolato a piacere allargandola o stringendola mediante il potenziale variabile VGS, che svolge la funzione di un rubinetto. Poiché invece tra gate e canale non scorre corrente, il J-FET è un generatore di corrente comandato in tensione. Le sua caratteristiche corrente-tensione sono schematizzate nella Fig. 15 per due soli valori di VGS.

ID Retta di carico VGS= -0.5 V (ID)SAT

VGS= -1 V

VDS

Fig. 15

Nella prima zona lineare, a partire da VDS = 0, il canale si comporta come una semplice resistenza (legge di Ohm); quando VDS raggiunge un valore critico, la corrente entra in saturazione al valore (ID)SAT; infatti, se aumentasse, per la legge di Ohm la d. d.p. sorgente-scarico dovrebbe aumentare, e il canale si stringerebbe per l'aumento della polarizzazione inversa facendo diminuire la corrente. E' in questa zona di saturazione che il J-FET funziona da amplificatore, perché ID dipende linearmente da VGS. Quindi, applicando un segnale di tensione di ampiezza ΔVGSsul gate, il punto di lavoro si muove sulla retta di carico producendo un segnale ΔID che, sulla resistenza esterna in cui passa ID, produce un segnale di tensione proporzionale a ΔVGS

(10)

3.3) IL BOLOMETRO

E’ un rivelatore per il lontano infrarosso (FIR): lunghezze d’onda da circa 20 a 500 µm, energie da circa 60 a 2 meV. E’ raffreddato dall’ He liquido (che bolle a 4.2 K) per aumentare il NEP e quindi il rapporto segnale-rumore. Il bolometro vero e proprio è un piccolo cristallo semiconduttore debolmente drogato, la cui resistenza

R ≡ R T

( )

dipende fortemente dalla temperatura, posto nel fuoco della radiazione incidente. Nel FIR l’energia dei fotoni è troppo piccola per causare assorbimenti diretti nel semiconduttore come in una fotoresistenza, ma è sufficiente a riscaldarlo leggermente, poichè è comnnesso termicamente alla massa a 4.2 K solo da un sottilissimo filo metallico. Un altro filo lo connette al circuito elettrico. La resistenza è alimentata a corrente I costante e quindi la radiazione che riscalda il bolometro genera ai suoi capi un segnale di tensione, che viene amplificato e misurato (Fig. 16).

Fig. 16

Se A è l’area del bolometro e Δf la banda passante attorno alla frequenza f del chopper, si ha

(11)

Fig. 17. Interno di un bolometro, visto dal basso, per il lontano infrarosso. La radiazione entra da destra e, dopo essere passata per un filtro che taglia il resto dell’infrarosso e il visibile, viene concentrata sul bolometro da un cono di Winston.

Un J-FET raffreddato a circa 50 K amplifica subito il segnale di tensione ai capi ella resistenza di carico prima di presentarlo al circuito di uscita.

3.4 LA CELLA DI GOLAY

E’ un rivelatore di radiazione per il lontano infrarosso, alternativo al bolometro. Ha il vantaggio di poter lavorare a temperatura ambiene, e lo svantaggio di essere più lento e avere NEP molto

superiore. Inventato da Marcel Golay nel 1947, questo detector è tornato recentemente in uso per la recente disponibilità di intense sorgenti di radiazione nel Terahertz.

Fig. 18

(12)

La radiazione scalda un film metallico che induce un aumento di pressione in un piccolo volume di Xenon. Un LED invia luce visibile su una griglia fatta di strisce opache e trasparenti alternate. La sua immagine viene riflessa dalla membrana riflettente che sigilla il gas. In assenza di radiazione, le strisce scure dell’immagine si sovrappongono alle strisce trasparenti della griglia e il fotodiodo

“vede nero”, quindi il segnale è zero. Quando il gas si scalda, la membrana riflettente si gonfia, le strisce scure si spostano e il fotodiodo dà un segnale che è funzione dell’intensità infrarossa ricevuta dal gas.

Riferimenti

Documenti correlati

Altrimenti si scelga un nodo del circuito con archi incidenti ancora liberi (deve esistere perch´e il grafo `e connesso) e si ripeta la procedura a partire da tale nodo.. Si ottiene

Per questo si scelgono di solito rivelatori fotoemissivi (ad effetto fotoelettrico) con energie di estrazione pittosto alte in modo che la limitazione della sensibilit`a alle

SPICE, al fine di definire la “convenzione di segno” della tensione per il generatore di tensione, contrassegna con il riferimento del simbolo più ( + ) il morsetto relativo al

Le particelle che hanno la stessa carica si respingono (ecco perché i neutroni tengono uniti i protoni nel nucleo), mentre le particelle di carica opposta si

il programma C del calcolo del volume del parallelepipedo modificato per verificare il rispetto delle precondizioni .... 53 Elementi

Scrivere un programma che letto un carattere in ingresso stampa un messaggio indicante se il carattere immesso è una lettera minuscola o maiuscola. …

il programma C del calcolo del volume del parallelepipedo modificato per verificare il rispetto delle precondizioni e visualizzazione di un messaggio di errore .... Modificare

[r]