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INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CARLO AZEGLIO CIAMPI IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DELLE "STELLE AL MERITO DEL LAVORO" AI NUOVI MAESTRI DEL LAVORO DEL LAZIO E DELL'UMBRIA

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INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CARLO AZEGLIO CIAMPI IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DELLE "STELLE AL MERITO DEL LAVORO" AI NUOVI MAESTRI DEL LAVORO DEL LAZIO E DELL'UMBRIA Palazzo del Quirinale, 1° Maggio 2003

Signor Vice Presidente del Senato, Signor Ministro, Signori Rappresentanti della Camera dei Deputati e della Corte Costituzionale, Signori Presidenti delle Regioni Lazio e Umbria, Autorità, soprattutto, Cari Maestri del Lavoro,

il primo maggio è festa nazionale; è una delle più importanti solennità civili della Repubblica. Lo è per una scelta fatta 55 anni fa sulla base della Costituzione repubblicana, la quale pone il lavoro a principio base della comunità, centro vitale dell'attività umana.

E' un'affermazione forte, quella dell'articolo 1 della nostra Carta costituzionale, sulla quale dobbiamo riflettere.

"L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro…". Significa che tutti i fattori del lavoro - applicazione fisica e intellettuale, capitale imprenditoriale, conoscenza, risparmio - devono essere al centro dell'attenzione delle istituzioni. Aggiungo un quinto elemento, immateriale ma essenziale, che è la fiducia; è dovere di tutti saperla generare e diffondere tra i cittadini e le imprese, dando loro la serenità di programmare nel tempo e realizzare consumi e investimenti.

Il Ministro Maroni ci ha dato ora conferma della tendenza alla riduzione del tasso di disoccupazione e ha illustrato l'azione del Governo per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro.

Quello che oggi si può dire alle famiglie italiane e ai nostri imprenditori è che il clima di preoccupazione grave - per la situazione internazionale e dunque anche per l'economia - che tutti abbiamo vissuto fino a qualche settimana fa, è superato. Tutti ci auguriamo ora che i pericoli per la salute pubblica provenienti dall'Asia vengano efficacemente prevenuti e contrastati e quindi non incidano in modo rilevante sulla domanda mondiale.

La ripresa dell'economia europea è possibile. E' nelle nostre mani.

L'economia italiana ha tutte le condizioni per avviare una fase di crescita più vigorosa, di nuovi investimenti, di maggiore occupazione, di innovazione.

Lo consentono i bassi tassi d'interesse, il risparmio accumulato dalle famiglie, il modesto indebitamento privato.

Dobbiamo tuttavia essere consapevoli di alcuni vincoli strutturali che permangono e che condizionano la ripresa. In primo luogo il debito pubblico, che rimane ancora elevato, anche se la sua riduzione rispetto al prodotto interno lordo non si è interrotta.

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Bisogna proseguire con tenacia nella riduzione di quel rapporto debito/PIL. Da sei anni il disavanzo dei nostri conti pubblici si mantiene al disotto del 3 per cento, limite superato o sfiorato da altri Paesi partecipanti all'euro. Dobbiamo fare

attenzione a mantenere l'avanzo primario in valori che - tenuto conto dell'elevato debito accumulato in passato - ci salvaguardino dagli effetti del naturale fluttuare dei tassi d'interesse internazionali sul deficit annuale dei nostri conti pubblici. D'altra parte, il peso misurato da quel rapporto debito - prodotto interno lordo si riduce anche aumentando il tasso di crescita. Si deve dunque operare sia sul numeratore, il debito, sia sul denominatore, il prodotto interno lordo. Anche per questa ragione è obiettivo primario tornare a un tasso di crescita quale è nel potenziale della nostra economia.

Serve un'azione congiunta e convergente di tutte le forze del lavoro volta a favorire gli investimenti.

Nel novembre scorso, in occasione dell'incontro con i nuovi Cavalieri del Lavoro, ho invitato gli imprenditori a guardare con fiducia al futuro, a "crescere", a conquistare mercati, a insediarsi in Paesi che presentino possibilità di ampliamento degli

sbocchi per le nostre produzioni.

Ho letto con piacere, nei documenti preparatori del recente convegno di Torino, che i nostri imprenditori sono in primo luogo orgogliosi di essere imprenditori italiani. E questo è un bene, un elemento di forza: la delocalizzazione va vissuta così, con l'orgoglio di portare in altri Paesi il nostro modo di essere, la nostra creatività. Affermarsi su mercati sempre più competitivi richiede innanzitutto capacità di

progettazione strategica, inventiva, innovazione di prodotto, prontezza e sensibilità nell'avvertire e interpretare le tendenze dei mercati e nell'adeguarvi l'attività

produttiva e commerciale.

L'investimento in ricerca è ciò di cui non si può, in nessun caso, fare a meno, né delegare, né delocalizzare.

L'impresa deve credere e investire di più nella ricerca applicata al prodotto: a questo fine è importante sviluppare il rapporto con l'Università.

Certo, un sistema produttivo basato su milioni di medie e piccole imprese, su 70 distretti industriali, su reti produttive sparse sul territorio deve anche poter contare su uno Stato che investe molto nella ricerca.

La spiegazione fondamentale del persistente divario nella crescita tra Unione europea e Stati Uniti d'Americani sta innanzitutto nel diverso impegno nella ricerca da parte sia dello Stato sia dei privati.

Un terzo elemento strutturale da affrontare è quello della dotazione di infrastrutture, in particolare di comunicazione e di trasporto. Non c'è una città, una provincia, dove non senta ripetere questa sofferenza. Vi sono tante iniziative in stato avanzato di realizzazione o di progettazione. Si deve insistere in particolare su quelle vie di comunicazione - la Torino-Lione, il corridoio 5 e il corridoio 8 - che

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rappresentano l'apertura strategica verso i nostri mercati tradizionali e verso le direttrici future dei traffici europei.

La modernizzazione dello Stato e della sua amministrazione stanno compiendo passi significativi. Ho appreso con soddisfazione che per quanto riguarda

l'e.government l'Italia, nella classifica curata dalla Commissione europea, ha migliorato la propria posizione nella diffusione delle tecnologie informatiche: ma siamo ancora al nono posto!

Altro problema che intendo proporre alla Vostra riflessione, di capitale importanza perché investe direttamente il tema lavoro è l'elevato, intollerabile differenziale regionale nel tasso di disoccupazione. E' per tutti noi un atto di accusa: provo un forte disagio quando nell'incontro con i giovani di troppe regioni d'Italia, alle ragazze e ai ragazzi che si stanno preparando con impegno nelle nostre scuole per

l'ingresso nella vita lavorativa, sento di non poter dare assicurazione sul loro futuro. D'altra parte, il livello di partecipazione della popolazione attiva al mondo del lavoro è cresciuto, ma rimane ancora molto inferiore alla media europea.

Vi sono stati negli ultimi anni segnali incoraggianti. La disoccupazione giovanile, ancora troppo elevata, è tuttavia scesa dal 1996 al 2002 di circa 7 punti. Il tasso di attività femminile è salito nello stesso periodo di 5 punti. C'è tuttavia ancora un buon margine per aumentare la presenza di donne e giovani. Occorre poi ampliare la possibilità di partecipare a programmi di formazione professionale per

reintrodurre nelle aziende chi ha perduto il posto di lavoro.

Ho letto con interesse della cerimonia organizzata lunedì dall'Inail e dall'ILO per onorare i lavoratori morti o feriti sul lavoro. I dati sugli infortuni e sui caduti del lavoro segnalano un miglioramento, ma restano impressionanti: 1.360 morti nel 2002 su 981.000 incidenti. Nel 2001 gli incidenti erano oltre un milione. Dobbiamo tutti prendere coscienza che la sicurezza sul posto di lavoro è un dovere che coinvolge tutti, autorità pubbliche, datori di lavoro, lavoratori, semplici cittadini. I costi sociali ed economici di questi incidenti sono troppo elevati. Non possiamo, non dobbiamo accettarli.

La lotta per la prevenzione passa anche per la riduzione del lavoro "nero", per la emersione di quelle imprese che sfuggono alle regole stabilite dalla società nell'interesse generale.

Dobbiamo continuare a puntare su innovazione, competitività, ricerca, stabilità, per continuare a progredire.

Cari Maestri del Lavoro, mi appresto a consegnare a Voi la decorazione che lo Stato ha istituito ottanta anni fa per affermare il primato della civiltà e del diritto. Questa decorazione è nata negli anni in cui l'Italia era ancora un Paese soprattutto rurale. Attraverso le trasformazioni dell'industrializzazione e l'economia della

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Il benessere, la mobilità, l'istruzione di massa, il nuovo ruolo della donna nella società, la crescente integrazione con l'economia mondiale, l'Unione europea hanno portato il nostro Paese tra le Nazioni più sviluppate del mondo.

Per mantenere queste posizioni, non basta accontentarsi dei risultati raggiunti; bisogna trovare nuovo dinamismo con la consapevolezza di compiere, con il lavoro, una missione utile per la collettività.

La testimonianza diretta, concreta, di chi, come Voi, ha dedicato una vita al lavoro e alla crescita della Nazione è preziosa per le nuove generazioni.

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