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Per una storia della Fondazione Palazzo Magnani

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Academic year: 2021

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Perché ha deciso di trasferire le sue proprietà in una Fondazione?

Mi sarebbe troppo dispiaciuto che queste cose fossero andate perdute e mi farebbe piacere che fossero di godimento anche per gli altri. Costituirle in Fondazione era l’unico modo affinché il piacere che io ho provato possa in futuro essere un piacere anche per gli altri.

Che cosa comprende la Fondazione?

Veramente tutto: la casa di Mamiano, il palazzo di Reggio, gli arredi, i libri, i dipinti93. A questo proposito, se mi venisse chiesto cosa sia stato Palazzo Magnani, ricorrerei a una metafora: Igor Sikorsky, ingegnere aeronautico russo, osservava che il calabrone riesce a volare a dispetto del rapporto tra la forma e il peso del suo corpo e la sua superficie alare. Palazzo Magnani è riuscito a vivere per dieci anni, e talvolta non so tuttora io stesso spiegarmi come sia riuscito a farlo94.

Capitolo 2. Per una storia della Fondazione Palazzo Magnani.

Attraverso l’analisi della figura di Luigi Magnani e della sua vita, della sua opera di musicologo e scrittore, e della sua attività collezionistica, è stato possibile individuare, nel capitolo precedente, l’origine ideologica e morale di quello che è oggi lo scopo della Fondazione Palazzo Magnani.

Il tema del presente capitolo è la storia della Fondazione Magnani: nella prima parte verranno analizzate le caratteristiche della Fondazione dal punto di vista giuridico, prestando particolare attenzione allo scopo sociale e alla sua operatività; la seconda parte conterrà un’analisi dell’attività espositiva di Palazzo Magnani - come attività volta al raggiungimento dello scopo della Fondazione - che terrà conto, in particolare, della figura del direttore e delle mostre offerte al pubblico.

I. La Fondazione Palazzo Magnani: una prospettiva giuridica.

Per comprendere in che modo la Fondazione Palazzo Magnani sia riuscita, nei suoi ventidue anni di attività, da un lato, ad imporsi quale istituzione espositiva (e non solo) di rilievo nel panorama culturale regionale e, dall’altro, quali siano stati i meccanismi interni che hanno guidato le scelte amministrative e culturali della Fondazione, occorre innanzitutto definire che cosa sia una fondazione dal punto di vista giuridico:

La fondazione è “un patrimonio per uno scopo”, intendendo – in origine – una figura giuridica nella quale il patrimonio si separa dal suo naturale titolare per assurgere ad autonomo soggetto giuridico proprietario di sé stesso, indirizzato però ad un fine, lasciatogli dall’antico proprietario come unica ragione di vita e formalmente definito nelle tavole fondative o, più modernamente, nello statuto95.

93 C. Bertelli, op. cit., 2018, p. 45.

94 Sandro Parmiggiani, Dieci anni di passione, in Palazzo Magnani 1997 – 2007. Dieci anni di attività, Milano, Skira Editore, 2007, p. 14.

95 Giuliano Segre, Il segno delle fondazioni sul territorio, in Fondazioni, politiche immobiliari e investimenti nello sviluppo locale, a cura di Antonio Rigon, Francesco Sbetti Venezia, Marsilio Editori, 2007, p. 13.

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Pertanto, gli elementi imprescindibili per la costituzione di una fondazione sono due: il patrimonio e lo scopo. Queste due componenti, stabilite dal fondatore all’atto della costituzione, sono essenziali in quanto disciplinano la vita della fondazione e le modalità attraverso le quali lo scopo dovrà essere raggiunto.

Per quanto riguarda il patrimonio, esso può avere una maggiore o minore importanza, ma è indispensabile che esso esista, pena il riconoscimento dell’istituzione come fondazione96. Nel caso specifico della Fondazione Palazzo Magnani, il patrimonio è rappresentato dall’immobile sito in Corso Garibaldi 29 a Reggio Emilia. Nei suoi ultimi anni di vita è lo stesso Luigi Magnani ad avviare le trattative con la Provincia di Reggio Emilia per la cessione del palazzo e la sua destinazione a sede espositiva: dopo la sua morte, le contrattazioni tra Provincia, Fondazione Magnani Rocca - rappresentata dal Presidente Alberto Galaverni - e curatore testamentario del Prof. Magnani - l’Avvocato Olinto Minoccheri - proseguono. Il 20 novembre 1987 l’acquisto dell’immobile viene deliberato dal Consiglio Provinciale, il quale dispone, inoltre, l’inizio dei lavori di restauro. Il Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Magnani Rocca autorizza la cessione del Palazzo il 22 luglio 1988. L’atto di compravendita ufficiale viene stipulato il 30 giugno 1989: la Provincia di Reggio Emilia acquista Palazzo Magnani per la somma di Lire 1.992.000.000, per destinarlo ad attività espositiva (palazzo nobile) e ad uffici (palazzina nel cortile)97.

Pertanto, ciò che caratterizza le fondazioni è che la personalità giuridica viene assegnata non ad un individuo o ad un gruppo di individui, bensì al patrimonio stesso: nel caso specifico, Palazzo Magnani in quanto immobile. Nonostante l’azione umana sia essenziale per decidere le strategie da adottare per raggiungere lo scopo contenuto nell’atto fondativo - il quale costituisce la ragione d’essere dell’ente -, nelle fondazioni “assume una posizione preminente l’elemento patrimoniale, poiché tali enti si costituiscono per destinare ad uno scopo, stabilito dal fondatore, un complesso di beni messi a disposizione dall’ente stesso”98.

Le trattative per la cessione dell’immobile e per la costituzione della fondazione si concludono nel 1989, e la sede espositiva viene inaugurata nel 1997 con la mostra Georges Braque. Il segno e la materia (22 settembre – 14 dicembre 1997). La Fondazione, tuttavia, non viene riconosciuta fino all’11 novembre 2010 quando, con atto notarile su iniziativa della

96 Adriano Propersi, Giovanna Rossi, Gli enti non profit. Associazioni – Fondazioni – Comitati – Club – Mutue – Onlus – Organizzazioni di volontariato – Cooperative sociali – Associazioni sportive dilettantistiche – Associazioni di promozione sociale – Circoli aziendali – Casi e quesiti – La raccolta fondi, Milano, Il Sole 24 Ore, 2001 (quattordicesima edizione), p. 65.

97 S. Parmiggiani, op. cit., 1997, pp. 18-19.

98 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001 (quattordicesima edizione), p. 57.

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Provincia di Reggio Emilia, viene formalmente costituita la “Fondazione Palazzo Magnani”

con sede presso l’immobile, ora di proprietà della Provincia, sito in Corso Garibaldi 29: la Provincia di Reggio Emilia diviene, così, fondatore istituzionale, mentre il Comune di Reggio Emilia e l’Azienda ASP Reggio Emilia – Città delle Persone diventano co-fondatori. Il riconoscimento della personalità giuridica della Fondazione avviene, invece, il 3 febbraio 2011, insieme all’iscrizione al n. 791 del Registro delle Persone Giuridiche della Regione Emilia–

Romagna99.

Gli elementi costitutivi di una fondazioni fin qui discussi, ovvero fondatore e patrimonio (immobile), devono obbligatoriamente essere presenti in quella che è, dal punto di vista documentale, la manifestazione della volontà del fondatore di istituire la fondazione, ovvero l’atto costitutivo. La presenza dei suddetti elementi è prevista per legge, pena la nullità del negozio istitutivo della fondazione. Inoltre, è dall’organizzazione delle componenti dell’atto costitutivo che prendono vita lo scopo della fondazione e le modalità di conseguimento e realizzazione di quest’ultimo100.

Per quanto riguarda l’atto costitutivo, esso “non è un contratto ma un atto unilaterale: il fondatore, con la sua dichiarazione di volontà, emana un fatto che produce da solo tutti i suoi effetti, senza necessità di accettazione. Requisito essenziale è che tale dichiarazione sia contenuta in un atto pubblico: in mancanza di atto pubblico infatti l’atto di fondazione è nullo”101. Nonostante la volontà di Luigi Magnani di istituire la sua eredità in fondazione si sia manifestata quando egli era ancora in vita, è importante sottolineare come le fondazioni possano nascere anche da volontà contenute in disposizioni testamentarie, sia pubbliche che olografe102. Come già detto, l’importanza dell’atto costitutivo risiede nel fatto che, qualunque sia l’origine degli elementi che lo compongono, è dall’interazione tra questi che nasce lo scopo della fondazione: “tale scopo, secondo l’opinione tradizionale più largamente seguita, non può consistere in un vantaggio economico dello stesso fondatore, ma deve rivestire il carattere della pubblica utilità”103.

Dunque, per la seconda volta, all’interno dell’iter che dalla volontà del fondatore conduce alla costituzione della fondazione, l’elemento pubblico assume una notevole rilevanza:

pubblico deve essere l’atto costitutivo e rivolto al pubblico deve essere anche lo scopo. Pertanto,

99 https://www.palazzomagnani.it/wp-content/uploads/2018/01/PROVINCIA-Decreto-nomina-membri- cda_PM_183_2016.pdf

100 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. 64.

101 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. 64.

102 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. 87.

103 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, pp. 64-65.

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le fondazioni potrebbero essere considerate, da un lato, come espressione pubblica del senso di dovere morale al quale il fondatore sente di dover rispondere, permettendo ad altri, appunto, di godere di ciò che egli possiede; dall’altro, le fondazioni, venuto a mancare il loro fondatore, gli si sostituiscono nell’adempimento di una missione sociale, diventando esse stesse creatrici e promotrici di servizi per il pubblico. Sopravvivendo al loro fondatore, le fondazioni preservano e tramandano, in questo modo, memoria e valori di coloro dai quali esse prendono vita.

È importante sottolineare come definire gli scopi e le modalità per raggiungerli concorra, insieme all’immagine e all’eredità ideologica del fondatore, a dotare la fondazione di una propria personalissima identità: questa permette alla fondazione, da un lato, di avere sempre presente la direzione da perseguire e l’ottica nella quale compiere scelte mirate e, dall’altro, di essere riconoscibile all’interno del vastissimo e poliedrico panorama culturale odierno.

In questo senso, condividere con il proprio pubblico gli scopi istituzionali risulta obbligatorio, in quanto la condivisione della linea ideologica adottata e seguita si rivela uno strumento fondamentale per la fidelizzazione del pubblico stesso, che nella fondazione ritrova un luogo di appartenenza, sia mentale che fisico – soprattutto quando la fondazione ha contatti con altre istituzioni e opera sul territorio in modo capillare.

Sulla pagina web della Fondazione Palazzo Magnani, gli scopi istituzionali pubblicati rispecchiano fedelmente il ruolo della Fondazione come promotrice di cultura e mediatrice tra le molteplici realtà politiche e culturali del territorio reggiano:

La Fondazione Palazzo Magnani non ha fini di lucro e si prefigge: lo scopo istituzionale della tutela e della valorizzazione dell’immobile denominato “Palazzo Magnani” (Reggio Emilia); lo scopo istituzionale della tutela, valorizzazione e promozione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico come definiti dalla vigente disciplina di settore e intende rafforzare, oltre alla crescita culturale, il turismo e l’economia del territorio; la promozione e la diffusione delle arti visive; la promozione di iniziative, di eventi culturali e di valorizzazione del territorio. Essa persegue i primari obiettivi di integrazione e collaborazione con le altre attività culturali sempre all’interno delle proprie specifiche competenze. La Fondazione è attiva nell’ambito territoriale della Regione Emilia-Romagna104.

In questo senso, la Fondazione si pone come promotrice attiva della cultura viva, votata alla creazione di eventi culturali dei quali risulti beneficiario il pubblico, che fruisce mostre di qualità, e l’intero indotto commerciale della città di Reggio Emilia, la quale vede coinvolte istituzioni pubbliche e private ed esercizi commerciali di ogni tipologia e livello (basti pensare a ristoranti e hotel).

104 https://www.palazzomagnani.it/amministrazione-trasparente/servizi-erogati/

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Ad essere comunicati al pubblico sono, inoltre, gli strumenti attraverso i quali la Fondazione intende raggiungere lo scopo di cui sopra. In generale, la Fondazione Palazzo Magnani “può porre in essere ogni attività ed ogni operazione consentita dalla legge che sia inerente, connessa o strumentale al perseguimento dei propri scopi istituzionali e comunque alla promozione e valorizzazione dell’arte e della cultura nel campo delle arti visive, anche se qualificata come attività commerciale ai fini tributari o civilistici” 105. In questa definizione molto ampia (approfondita sul sito della Fondazione), rientrano tutti quei servizi che vanno dalla gestione degli spazi espositivi e degli immobili, alla produzione e commercializzazione di oggettistica e cataloghi da vendere nei bookshops, alla trasmissione del know-how a ditte di servizi, personale e volontari circa le attività da svolgere, alla promozione di attività culturali di qualsiasi tipo (purché compatibili con lo statuto), e così via. È qui importante sottolineare che benché l’atto costitutivo debba necessariamente provenire dal fondatore, in quanto manifestazione pubblica della sua volontà, lo statuto può anche essere disposto dall’autorità, in questo caso pubblica, che riconosce la fondazione.

Oltre che ad una questione di immagine, la trasparenza e la pubblicazione della documentazione relativa agli scopi istituzionali, al personale e, in generale, a tutto l’apparato amministrativo ed organizzativo della Fondazione, è dovuta al Decreto Legislativo 14/03/2013, n. 33 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, in vigore dal 20 aprile 2013, con il quale si persegue la finalità di rendere accessibili le informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sulle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche106. Dal 9 gennaio 2017, responsabile della trasparenza amministrativa della Fondazione Palazzo Magnani è il Dottor Alberto Peroni.

Tuttavia, nonostante la pagina web della Fondazione permetta l’accesso a numerosi documenti e informazioni, risulta doveroso dichiarare che molta documentazione relativa all’atto costitutivo, al riconoscimento della personalità giuridica da parte della Regione Emilia Romagna, al codice etico e a vari regolamenti non risulta accessibile: nonostante sia presente il collegamento ipertestuale, “la pagina cercata non si trova”107. Durante la mia esperienza di tirocinio universitario condotto presso la Fondazione, ho chiesto spiegazione di ciò a vari

105 https://www.palazzomagnani.it/amministrazione-trasparente/servizi-erogati/

106 https://www.palazzomagnani.it/amministrazione-trasparente/

107 https://www.palazzomagnani.it/amministrazione-trasparente/disposizioni-generali/. Ultimo accesso alla pagina effettuato in data 02/01/2020.

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membri del personale – inoltre, a mancare è anche uno storico delle attività, espositive e non, risalenti a prima del 2016, anno di insediamento del Presidente corrente, Davide Zanichelli. Dai membri dello staff facenti parte della Fondazione dal 2012, ovvero dall’anno del riconoscimento della personalità giuridica, è emerso come ad ogni cambio di amministrazione (il quale avviene ogni tre anni), non sia raro che venga richiesto di effettuare una vera e propria tabula rasa di tutte le informazioni relative alle amministrazioni precedenti. È interessante notare come tale pratica abbia effetti diversi in base alla tipologia di soggetti che hanno a che fare col fenomeno: per gli “addetti ai lavori”, studiosi della storia della fondazione o delle sue attività espositive, per esempio, il reset della documentazione ad ogni nuova amministrazione complica notevolmente l’attività di ricerca, poiché molte informazioni vanno perdute o risultano inaccessibili; è invece notevole come ciò non produca pressoché alcun effetto circa la percezione identitaria della Fondazione da parte del pubblico, che continua a riconoscerla oggi come all’inizio della sua attività, avvenuta ventidue anni fa.

Tornando allo statuto, amministrazione e personale sono altri due elementi che esso deve contenere, e che pongono l’attenzione su come patrimonio e scopo non siano sufficienti ad istituire una fondazione che abbia un’utilità sociale e pubblica:

si può dunque dire che la fondazione è un’organizzazione collettiva formata dagli amministratori, istituita da un fondatore che ha devoluto i beni e li ha vincolati al proseguimento di uno scopo di natura ideale o morale o comunque non economico: non sarà però il fondatore che opererà per il raggiungimento dello scopo, essendo questo compito degli amministratori che lo faranno con i mezzi di cui la fondazione è stata dotata, avendo egli esaurito il compito nell’atto iniziale108.

Gli esecutori materiali delle volontà del fondatore e del raggiungimento dello scopo della fondazione sono, dunque, gli amministratori. Essi possono essere nominati dal fondatore all’atto di fondazione oppure, come nel caso della Fondazione Palazzo Magnani, essi possono essere nominati da enti pubblici o privati109.

Nonostante i consiglieri possano essere incaricati a vita, solitamente il Consiglio di Amministrazione viene rinnovato con cadenza regolare, prescritta dallo statuto. Per quanto riguarda il Consiglio di amministrazione della Fondazione Palazzo Magnani, esso viene rinnovato ogni tre anni. Nel caso in cui tale rinnovo apporti modifiche allo statuto di Fondazione, queste devono essere approvate dall’organo di nomina dei membri e sottoscritte da un Notaio, come avvenne durante l’insediamento dell’ultimo Consiglio:

108 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, pp. 57-58.

109 Ivi, pp. 65-66.

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con determinazione della Regione Emilia Romagna n° 13363 del 23/08/2016 è stato approvato lo statuto come modificato con deliberazione del Consiglio Direttivo del 14 luglio 2016 […]

l’art. 18 dello statuto prevede la seguente disciplina per la composizione e nomina del Consiglio di amministrazione della fondazione: “Il Consiglio di Amministrazione è composto da 5 (cinque) membri, compreso il Presidente, nominati: per due quinti dalla Provincia di Reggio Emilia; per due quinti dal Comune di Reggio Emilia; per un quinto dai Fondatori Aderenti, riuniti in apposita assemblea, a maggioranza dei diritti di voto110.

Benché Regione, Comune e Provincia abbiano controllo sul Consiglio di Amministrazione della Fondazione Palazzo Magnani, questi enti non possono in alcun modo mutare lo scopo della Fondazione previsto dal fondatore nell’atto costitutivo, il quale determina la natura (in questo caso culturale) della fondazione stessa. Tuttavia, i Fondatori Istituzionali possono apportare modifiche alla denominazione giuridica dell’ente. Nel caso specifico, la Fondazione Palazzo Magnani è oggi una fondazione di partecipazione111 (qualità che non le apparteneva al momento dell’inizio dell’attività): ciò implica che i suoi partner siano di natura sia pubblica che privata; tuttavia, le attività della fondazione rimangono senza scopo di lucro e con finalità di interesse pubblico e sociale. Inoltre, viste le attività che conduce e i beni che tutela, la Fondazione Palazzo Magnani è assimilabile ad una fondazione di tipo culturale: tali fondazioni, secondo Ristuccia, “si prestano ad essere espressione o strumenti del neomecenatismo almeno in due sensi: come soggetti attivi (per fare neomecenatismo si crea una fondazione), ovvero come soggetti di coordinamento fra donatori e artisti, uomini di cultura, organizzatori di attività culturali112. Va qui sottolineato come, attraverso l’istituzione delle due fondazioni che da lui prendono il nome, Luigi Magnani abbia creato due enti pubblici in grado di rientrare perfettamente in questa definizione di fondazione come promotrice di sviluppo e progresso culturale.

Inoltre, in quanto fondazione culturale, la Fondazione Palazzo Magnani è dotata di un Comitato Scientifico (di tale organo tratterò nelle pagine seguenti), il cui compito è quello di stabilire quali eventi espositivi verranno ospitati dalla Fondazione, privilegiando “il dialogo interdisciplinare, il confronto interculturale e le contaminazioni con i diversi saperi, intendendo la mostra come progetto culturale, un’occasione pensata non solo per dare la possibilità ai

110 https://www.palazzomagnani.it/wp-content/uploads/2018/01/PROVINCIA-Decreto-nomina-membri- cda_PM_183_2016.pdf

111A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, pp. 63-64.

112 Sergio Ristuccia, Volontariato e fondazioni. Fisionomie del settore non profit, Rimini, Maggioli Editore, 1996, p. 138.

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visitatori di osservare opere di valore, ma anche e soprattutto come opportunità di confronto, riflessione, ampliamento, critica o discussione delle proprie conoscenze o convinzioni”113.

Essendo due tipologie di fondazione votate ad un servizio pubblico e sociale, sia le fondazioni culturali che quelle partecipate sono, generalmente e come nel caso della Fondazione Palazzo Magnani, fondazioni non profit: “il termine anglosassone sintetizza una realtà vasta, variegata e complessa comprendente migliaia di enti che senza scopo di lucro si dedicano ad attività socialmente rilevanti nel campo della cultura, dell’assistenza, della ricerca, della sanità e della salvaguardia dell’ambiente”114. Naturalmente, le fondazioni non profit possono condurre attività in uno solo o in molteplici campi, purché essi non siano in contrasto con statuto e atto costitutivo: più una fondazione riesce a condurre attività differenti in ambiti differenti, maggiore sarà il suo impatto sociale e territoriale.

Gli enti non profit possono essere distinti in due categorie: gli enti member service (o mutual benefit) e gli enti public service115. Alla prima tipologia appartengono tutti quegli enti o fondazioni che perseguono uno scopo non lucrativo a vantaggio dei propri soci o membri, mentre alla seconda tipologia appartengono gli enti che hanno come scopo la promozione di attività volte ad avvantaggiare terze parti. In quest’ultima tipologia rientrano la Fondazione Palazzo Magnani e tutte le fondazioni che hanno per obiettivo il perseguimento di uno scopo sociale.

I. i. Scopo sociale della Fondazione.

Siano essi appartenenti alla categoria dei member service o a quella dei public service, gli enti non profit hanno acquisito - nel corso del XX Secolo - una preminenza tale da rendere necessaria la creazione di un quadro concettuale entro il quale inserirle, al fine di poterle studiare e comprendere. Nel 1978 viene così esposto per la prima volta, all’interno del Rapporto Delors sull’unione economica e monetaria, il concetto di “Terzo Settore”: questo comprende tutte quelle istituzioni che presentano contemporaneamente caratteristiche attribuibili ad imprese appartenenti al settore del mercato economico (organizzazione, produzione di servizi, necessità di equilibrio economico e finanziario, ecc.) e anche alcune finalità proprie delle istituzioni appartenenti al settore statale (assistenza, beneficenza, cultura, cura del tempo libero, sport, ecc.)116.

113 https://www.palazzomagnani.it/fondazione-2/

114 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. XXXV.

115 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. XXXVI.

116 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. XXXVII.

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Di fatto, accanto ad atto fondativo, scopo ed attività, sul sito della Fondazione Palazzo Magnani vengono pubblicati anche bilanci e previsioni economiche, che mostrano come proventi e ricavi siano amministrati e reinvestiti, alla stregua di qualsiasi impresa commerciale117.

Le cause dello sviluppo esponenziale del Terzo Settore sono complesse e variegate, ma essenziali per comprendere il contesto che ha portato alla crescita del settore non profit e il modo in cui questo ha influito, in seguito, sulla creazione e la fruizione di attività culturali.

Inoltre, in riferimento alla Fondazione Palazzo Magnani, la conoscenza del contesto sociale, economico e politico, sia locale che nazionale, si rivela utile ai fini dell’analisi dei temi espositivi scelti, delle strategie di allestimento adottate e delle attività collaterali proposte.

Secondo quanto affermato da Adriano Propersi e Giovanna Rossi, le cause dello sviluppo del settore non profit sono di tipo economico-sociale, macro-economico e normativo118: nella prima tipologia rientra lo sviluppo economico che, se da un lato ha portato le classi maggiormente benestanti della società ad avere più tempo libero da dedicare alle attività culturali, dall’altro ha anche incrementato il divario economico tra classi abbienti e fasce bisognose, spingendo all’istituzione di numerose associazioni ed enti benefici; è da includere nelle motivazioni macro-economiche la crisi dello Stato sociale il quale, non avendo risorse da investire in manovre di assistenza sociale, lascia spazio di manovra all’interno del settore a privati e associazioni; in ultimo, le esigenze di cui sopra spingono la legge ad emanare norme che disciplinino e tutelino le nuove istituzioni.

Se la crisi dello Stato sociale ha favorito il proliferare di associazioni ed enti non profit, a modellarne l’assetto e l’operatività è stata, invece, la crisi economica di tutto il “Welfare State”: secondo Ristuccia,

nel passato, i trust di orientamento filantropico si qualificavano per fare ciò che lo Stato non fa, nel senso delle cose nuove, non di ordinaria amministrazione. Per esempio, contributi di incoraggiamento a nuove iniziative, all’innovazione nei vari campi del sapere e così via. […]

Oggi, vi sono invece grandi cambiamenti, soprattutto in ragione di una accresciuta responsabilità sociale delle organizzazione non profit119.

La citazione descrive in modo accurato quella che è stata l’evoluzione delle attività svolte dalla Fondazione Palazzo Magnani nel corso degli anni: come si vedrà in modo più approfondito nella seconda parte del capitolo, all’inizio le esposizioni di Palazzo Magnani sono

117 https://www.palazzomagnani.it/amministrazione-trasparente/bilanci/

118 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. XXXVII.

119 S. Ristuccia, op. cit., 2000, p. 36.

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in buona parte dedicate ad artisti contemporanei del territorio emiliano, in un tentativo di tutela e promozione dell’arte locale (impostazione che richiama il collezionismo votato all’utilità sociale di Magnani che talvolta, soprattutto nella relazione con Morandi, sfocia in una sorta di mecenatismo); a partire dal 2011, anno del riconoscimento della personalità giuridica, i nomi presentati in mostra si fanno via via più internazionali e di richiamo, mentre maggiori energie organizzative vengono dedicate alle attività didattiche e all’organizzazione di eventi collaterali quali conferenze, rassegne cinematografiche, presentazioni di libri e così via. Pertanto, nell’ultimo triennio, l’attività della Fondazione Palazzo Magnani si è svolta su un doppio fronte, non più votata solamente allo scopo originario di tutela, conservazione e promozione, bensì sempre più indirizzata verso nuove funzioni di associazione e formazione: queste ultime potrebbero essere considerate attività di tipo sociale, in quanto votate all’eliminazione di barriere e differenze tra le varie fasce sociali e all’interno delle stesse, aiutando così il libero sviluppo della personalità individuale120 (si pensi, per esempio, ai progetti della Fondazione dedicati a persone con disabilità o a soggetti fragili in condizioni economiche svantaggiose).

Con ciò non si intende affermare che le fondazioni culturali dovrebbero sostituirsi alle istituzioni preposte all’erogazione di servizi assistenziali (attività condotte da assistenti sociali qualificati), ma bensì che esse dovrebbero, ove possibile, prevedere nella progettazione delle loro attività progetti finalizzati alla creazione di momenti di svago e benessere per soggetti in condizioni di svantaggio sociale ed economico.

Poiché l’assetto sociale ed economico muta e si trasforma velocemente – in pieno contrasto con la staticità delle fondazioni –, è di fondamentale importanza che queste abbiano ben chiari gli obiettivi da raggiungere e che per farlo, progettino e pianifichino percorsi e attività sociali – intesi nel senso di cui sopra - a lungo termine, facendo sì che “il lungo orizzonte temporale entro il quale […] possono operare sia il quadro di riferimento per accumulare esperienze in grado di accrescere il valore sociale della loro spesa e delle iniziative sostenute”121. Di fatto, come sostengono Michael E. Porter e Mark R. Kramer, le fondazioni non profit creano valore quando le attività che supportano, promuovo e sostengono generano benessere sociale122. Secondo i due studiosi, le strategie operative – complementari tra loro – che le fondazioni possono adottare per implementare e migliorare il loro impatto sociale sono quattro: la prima, consiste nell’investire al meglio le proprie risorse; la seconda strategia è

120 http://www.treccani.it/enciclopedia/assistenza-e-servizi-sociali/

121 S. Ristuccia, op. cit., 2000, pp. 12-13.

122 Michael E. Porter, Mark R. Kramer, Philanthropy’s New Agenda: Creating Value, Harvard Business Review, 1999 (Disponibile al sito https://hbr.org/1999/11/philanthropys-new-agenda-creating-value).

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mirata a sviluppare un’expertise che attragga un maggior numero di investitori; le fondazioni dovrebbero, inoltre, mirare ad essere partner attivi nella gestione e nella promozione delle risorse; infine, finanziando ricerche e progetti le fondazioni si fanno promotrici di progresso sociale e scientifico.

Nonostante non sia sempre possibile stabilire se il modo in cui le risorse vengono impiegate sia ottimale, le numerose collaborazioni, partenariati e convenzioni istituite tra la Fondazione Palazzo Magnani e altre associazioni, istituzioni ed enti del territorio – culturali (Fondazione Manodori, Musei Civici di Reggio), educativi (UniMore, Università degli Studi di Parma, Accademia delle Belle Arti Bologna, Reggio Children, Officina Educativa), socio- sanitari (ASP – Città delle Persone; FCR – Farmacie Comunali Riunite), per fare alcuni esempi123 – testimoniano un assetto organizzativo che utilizza le ultime tre strategie di cui sopra, al fine di creare cultura e promuovere benessere e progresso sociale.

Dalla tipologia di istituzioni convenzionate, appare evidente come territorio e educazione siano gli ambiti nei quali la Fondazione Palazzo Magnani è oggi maggiormente attiva ed impegnata: in effetti, “il territorio è un problema centrale per qualsiasi importante fondazione, così come lo è quello delle responsabilità: a chi si risponde e perché?”124. Attraverso le mostre e le attività ad esse collegate, la Fondazione Palazzo Magnani sceglie di rispondere alle fasce sociali fragili attraverso

la didattica laboratoriale, esperienziale e narrativa, nella consapevolezza che praticare arte è la via maestra attraverso cui si possono conciliare evoluzione individuale e coesione sociale.

[Inoltre,] Reggio Emilia è già da tempo posizionata a livello nazionale come una delle città più attente alla persona, alle sue necessità durante le diverse fasi della vita, alle fragilità che la segnano, permanentemente (le persone disabili, ad esempio) o temporaneamente (come i migranti). Crediamo che l’arte debba avere un ruolo importante nel percorso di supporto, recupero o trasformazione del disagio e della fragilità125.

Dunque, è essenziale per le fondazioni aver ben presente la natura sociale del loro scopo, poiché in base a questa esse possono definire i loro ambiti di interesse e le strategie operative da adottare, collaborando con altre istituzioni (anche statali), e diventando promotori e coordinatori attivi di una rete di servizi volti al benessere degli individui, sia in quanto singoli

123 Non esistendo documentazione esaustiva circa gli enti convenzionati, i dati (qui presentati parzialmente per dare un’idea generale dei tipi di enti con i quali la Fondazione collabora) sono ricavati da cataloghi di mostra e dall’esperienza di tirocinio formativo.

124 S. Ristuccia, op. cit., 2000, p. 178.

125 https://www.palazzomagnani.it/fondazione-2/

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che in quanto membri della società: soltanto rispondendo a questi requisiti le fondazioni diventano infrastrutture sociali indispensabili e portanti126.

I. ii. Operatività della Fondazione.

Si è visto come, secondo Porter e Kramer, le strategie operative adottate influiscano sulla ricaduta sociale della Fondazione sul territorio: al fine di analizzare e comprendere la storia espositiva della Fondazione Palazzo Magnani, è qui necessario approfondire il concetto di operatività. Di fatto, le circostanze attraverso le quali l’operatività e le scelte strategiche si manifestano, sono caratteristiche peculiari che contraddistinguono una fondazione dall’altra e, in generale, le fondazioni dagli altri enti non profit. Inoltre, le differenti modalità operative concorrono a legare fortemente la storia delle fondazioni alla storia dei territori, poiché i differenti percorsi partenariali costruiti con soggetti sia pubblici che privati, contribuiscono a realizzare traiettorie di sviluppo locale condivise da una pluralità di soggetti127.

L’operatività delle fondazioni si manifesta secondo tre differenti modalità: interventi diretti; interventi in partnership; contributi e donazioni128. L’intervento diretto consente alle fondazioni di gestire le procedure e gli aspetti operativi dei propri progetti senza ricorrere a soggetti terzi e intermediari: questo tipo di operatività è quella che permette alle fondazioni di avere il maggior controllo su efficacia ed efficienza dei progetti sostenuti. Relativamente alla Fondazione Palazzo Magnani, questa tipologia di intervento viene impiegata principalmente dal reparto didattico, il quale si occupa di gestire tutte le fasi delle filiera didattica in modo diretto, dalla progettazione delle attività alla conduzione delle stesse. Contrariamente all’intervento diretto, quando la fondazione sceglie di effettuare un intervento in partnership, essa seleziona imprese e ditte in grado di fornire prestazioni caratterizzate da un’elevata qualità e capacità professionale: è questo il caso, per esempio, di Artinbox, Crown Fine Art e Tricolor, sponsor tecnici – ovvero fornitori di servizi e materiali in cambio di visibilità e/o compenso monetario, i quali si occupano rispettivamente di installazione, logistica e tinteggi - coi quali la Fondazione Palazzo Magnani collabora per la realizzazione degli allestimenti di mostra. Le fondazioni utilizzano infine la modalità operativa contributi e donazioni per conseguire i propri

126 S. Ristuccia, op. cit., 2000, p. 14.

127 Stefano Stanghellini, Un nuovo protagonista della riqualificazione urbana: le fondazioni, in Fondazioni, politiche immobiliari e investimenti nello sviluppo locale, a cura di Antonio Rigon, Francesco Sbetti Venezia, Marsilio Editori, 2007, p. 40.

128 Antonio Rigon, Le fondazioni di origine bancaria: natura, ruolo e funzioni, in Fondazioni, politiche immobiliari e investimenti nello sviluppo locale, a cura di Antonio Rigon, Francesco Sbetti Venezia, Marsilio Editori, 2007, p. 31.

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obiettivi attraverso la cosiddetta attività di grant making: questa consiste nell’erogazione di finanziamenti di modesta entità economica per un periodo di tempo prolungato. Dai dati a mia disposizione non risulta che la Fondazione Palazzo Magnani sostenga progetti attraverso questo tipo di operatività che, probabilmente, è maggiormente utilizzata da fondazioni che abbiano un patrimonio liquido da poter investire come, ad esempio, le fondazioni di origine bancaria.

Visto lo scopo sociale delle fondazioni, le tipologie di intervento e le caratteristiche operative attraverso le quali questi vengono realizzati, fanno sì che l’azione delle fondazioni possa essere considerata, come sostiene Stefano Stanghellini, una sorta di mecenatismo, seppur

“molto diverso da quello tradizionale: un moderno mecenatismo urbano, non autarchico ma paternale, non autoreferenziale ma legato alle esigenze e alle specificità del territorio, non elitario ma rivolto all’intera città”129. È in questo senso che le modalità operative delle fondazioni acquistano un’importanza fondamentale: esse devono essere scelte con lo scopo di creare collaborazioni e relazioni con gli enti locali che siano di lunga durata e stabili nel tempo, poiché questi sono i tipi di intervento che producono ricadute su territorio e società di maggior qualità e di ampia portata. Se l’azione delle fondazioni fosse indirizzata solo a sponsorizzazioni di eventi di grande richiamo e a collaborazioni una tantum, adempiere allo scopo sociale si rivelerebbe assai arduo, poiché gli interventi difficilmente produrrebbero qualche tipo di ricaduta positiva a lungo termine. È compiendo scelte operative nell’ottica dell’investimento (di energie, tempo e volontà) a lungo termine, e non in quella della sponsorizzazione con benefici immediati, che gli interventi della fondazione acquistano senso, e con essi acquista un senso la fondazione stessa.

Inoltre, secondo alcuni esperti come Antonio Fassone e Angelo Miglietta, gli interventi operativi compiuti con il preciso scopo di produrre una ricaduta sociale positiva devono essere

“emblematici”130, nel senso che essi devono catalizzare l’attenzione della società. Perché questo avvenga, le variabili da considerare nella scelta delle modalità di intervento sono tre: in primo luogo, è di fondamentale importanza il rilievo del bene sul quale si intende intervenire (sia esso un bene architettonico, un’esposizione o un’opera singola); in secondo luogo, il rilievo del bene non deve essere solo economico, ma il suo valore dev’essere anche e soprattutto sociale e morale (in altre parole, deve rappresentare qualcosa per la comunità); infine, se l’intervento

129 S. Stanghellini, op. cit., 2007, p. 41.

130 Antonio Fassone, Angelo Miglietta, Gli interventi a sostegno dello sviluppo del territorio. L’esperienza della Fondazione CRT, in Fondazioni, politiche immobiliari e investimenti nello sviluppo locale, a cura di Antonio Rigon, Francesco Sbetti Venezia, Marsilio Editori, 2007, p. 59.

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viene condotto in partnership, il profilo dei soggetti collaboratori deve essere coerente con il valore storico-sociale del bene oggetto di intervento.

Poiché la scelta di tali soggetti è un aspetto di primaria importanza, le fondazioni devono essere sempre vigili ed informate sull’operato dei vari enti presenti sul territorio, in modo da poter scegliere le collaborazioni più strategiche in termini di ricaduta sociale, investimenti economici e anche di immagine. Nelle pagine precedenti si è visto come le fondazioni appartengano alla categoria di enti non profit che formano il cosiddetto “Terzo Settore”: benché godano di una maggiore autonomia, le fondazioni svolgono alcune funzioni sociali di competenza di enti pubblici. A tal proposito, la collaborazione tra fondazioni e musei o biblioteche civici, ad esempio, si rivela vantaggiosa per entrambe le parti: per quanto riguarda musei e biblioteche, alcuni esperti, come Alessandro Bollo sostengono che tale tipo di collaborazione “stimola i musei a riflettere sull’’etica della responsabilità pubblica’ e del

‘servizio alla collettività’”131; per le fondazioni, invece, collaborare con enti così marcatamente territoriali aiuta nel processo di radicamento nel territorio stesso. Inoltre, ad un livello più pratico, avere relazioni di partenariato con enti preposti alla conservazione di beni culturali agevola, talvolta, il prestito di quegli stessi beni per scopi espositivi: per estensione, produrre mostre con manufatti / opere legati al territorio amplifica l’impatto sulla comunità. Dunque, anche le collaborazioni sono scelte strategiche fondamentali che vanno concepite come investimenti capaci di produrre benefici (sia per la fondazione che per il pubblico) a lungo termine.

La lungimiranza nell’effettuare scelte e strategie operative è fondamentale, poiché è necessario tenere conto non solo del contesto territoriale nel quale la fondazione opera ma, in generale, del contesto (inter-)nazionale, il quale fornisce una rappresentazione maggiormente variegata ed esaustiva delle prospettive del settore non profit. Alcuni esperti come Propersi e Rossi prevedono un’ulteriore crescita del settore132: da un lato, fenomeni quali l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione dell’occupazione (a cui, a mio avviso, va aggiunto anche l’aumento della multiculturalità), creeranno un aumento della domanda di servizi sociali; dall’altro, l’incapacità dello Stato di far fronte a questa richiesta produrrà una progressiva privatizzazione dei servizi.

131 Alessandro Bollo, Introduzione, in I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, a cura di Alessandro Bollo, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 17.

132 A. Propersi, G. Rossi, op. cit., 2001, p. XLI.

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In questo scenario, le fondazioni hanno la possibilità di porsi come vero e proprio punto di riferimento sul territorio, fornendo assistenza e creando inclusione sociale attraverso le loro scelte operative e le attività finanziate che, nel caso della Fondazione Palazzo Magnani, comprendono attività culturali di ogni tipo e, nello specifico, la promozione di attività espositive.

II. L’attività espositiva come esercizio per il raggiungimento dello scopo sociale.

Che l’attività espositiva sarebbe stata l’esercizio principale della Fondazione Palazzo Magnani era stato stabilito dallo stesso Luigi Magnani all’atto pubblico di fondazione. Tuttavia, come si è visto, per produrre ricadute sociali positive, patrimonio e scopo devono essere coordinati da mirate scelte operative, compiute dalla componente “umana” della Fondazione, ovvero il personale e i vari Consigli di Amministrazione e Comitati Scientifici succedutisi negli anni.

È grazie alle efficaci connessioni che fin da subito si sono instaurate tra le varie componenti che formano la Fondazione Palazzo Magnani che questa è riuscita, nel corso dei suoi ventidue anni di attività, ad imporsi sul territorio Reggiano quale ente di riferimento nella promozione di attività culturali, da un lato, e di coordinazione con le altre istituzioni pubbliche, dall’altro. Di fatto, secondo Giuliana Motti, Assessore alla Cultura e al Paesaggio della Provincia di Reggio Emilia dal 2004 al 2008, Palazzo Magnani è riuscito a divenire “punto di riferimento per la vita sociale e culturale di tutta la [provincia reggiana] grazie anche agli obiettivi precisi che fin dall’inizio si è voluto dare: proporre mostre d’arte e qualità e di elevato contenuto culturale che siano allo stesso tempo divulgative e accessibili a tutte le fasce di pubblico” 133. Queste parole, rilasciate in occasione del decimo anniversario di attività di Palazzo Magnani, sono indicative di come scopo sociale e obiettivi della Fondazione non rimangano progetti astratti contenuti nello statuto, ma vengano concretamente realizzati e come producano le ricadute sperate sul territorio. Quest’ultimo, come anticipato, riveste un’importanza fondamentale nell’operatività della Fondazione Palazzo Magnani: infatti, continua Motti,

partendo dalle proficue relazioni che ha saputo intessere in questi dieci anni con le istituzioni pubbliche e private del territorio, la sede espositiva punta a divenire sempre più parte integrante del sistema culturale reggiano e intende rafforzare queste sinergie con gli attori locali, per essere uno “spazio aperto” alla città, un luogo dell’arte in cui tutti si possano identificare e ove ci si

133 Giuliana Motti, Scheda Introduttiva in Palazzo Magnani 1997 – 2007. Dieci anni di attività, Milano, Skira Editore, 2007.

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possa recare non solo per visitare una mostra, ma anche per partecipare ad attività rivolte ad altri segmenti di interessi134.

Nel caso in questione la centralità del territorio è un tema di notevole importanza, principalmente per due motivi: in primo luogo perché la Fondazione Palazzo Magnani – avendo per Fondatore Istituzionale la Provincia - ne ha fatto una vera e propria questione identitaria; in secondo luogo, perché Palazzo Magnani è una sede espositiva e la questione territoriale ha recentemente assunto una rilevanza considerevole nell’ambito degli eventi espositivi. Alcuni esperti, come Tomaso Montanari e Vincenzo Trione, nella loro lotta al “mostrismo”, arrivano ad affermare che “se c’è un motivo per essere “contro le mostre” è che le mostre sono contro il contesto: sono le mostre il più grande fenomeno di rimozione e oscuramento dei contesti, insieme a guerre e catastrofi naturali”135. Rivolte a mostre che propongono temi che non appartengono ai contesti nel quale si tengono le esposizioni, queste parole non tengono conto, a mio parere, del fatto che la valorizzazione del contesto può avvenire anche secondo modalità differenti: come dimostrato dalla Fondazione Palazzo Magnani, per esempio, attraverso la creazione di una fitta e capillare rete di collaborazioni con altri enti territoriali.

Benché, nella storia espositiva della Fondazione (che verrà approfondita nelle pagine seguenti), sia presente una progressiva perdita di interesse nella promozione del contesto come intesa da Montanari e Trione – ad esempio, si consideri lo slittamento dalle prime esposizioni su Luigi Ghirri (1198), Cristoforo Munari (1999) e Alberto Manfredi (2000), tutti artisti reggiani, alle mostre più recenti su Andy Warhol (2012), Pablo Picasso (2013) e Jean Dubuffet (2018) –, il filo conduttore di tutta l’attività espositiva della Fondazione è, appunto, la collaborazione con gli enti territoriali: questo perché Palazzo Magnani promuove le proprie mostre “come media capaci di mettere in contatto elementi diversi, costruendo reti di relazioni e di opportunità, in un fecondo e aperto dialogo con l’ambiente e il tempo in cui ci troviamo a vivere [eventi nei] quali high culture e low culture si incontrano, favorendo l’integrazione sociale”136.

Pertanto, l’attività espositiva della Fondazione Palazzo Magnani non è soltanto un semplice esercizio commerciale, ma un vero e proprio strumento utilizzato per raggiungere uno scopo, in questo caso sociale. A tal proposito – come le opere che compongono le collezioni – le esposizioni andrebbero analizzate sia in quanto eventi singoli, espressioni dell’immagine

134 G. Motti, op. cit., 2007.

135 Tomaso Montanari, Vincenzo Trione, Contro le mostre, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2017, p. 36.

136 T. Montanari, V. Trione, op. cit., 2017, pp. 29-31.

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della Fondazione e del contesto nel momento in cui l’esposizione avviene, sia nella loro successione cronologica, in quanto rappresentazione della storia della Fondazione stessa.

Attraverso le mostre la Fondazione esprime il suo ruolo di mediatore, non solo tra i vari partner con cui collabora, ma anche e soprattutto tra le esperienze artistiche che promuove e il pubblico. Per svolgere al meglio tale ruolo, diventa essenziale per la Fondazione individuare un segmento specifico di pubblico al quale rivolgersi e sul quale indirizzare le proprie scelte operative strategiche. Secondo Lauretta Longagnani, oggi non si tratta più di ridefinire la già appurata funzione di mediatori culturali di fondazioni e musei, quanto piuttosto di adottare una nuova politica comunicativa e progettuale che tenga conto della domanda e della conoscenza del proprio pubblico137.

L’artista Concetto Pozzati – collaboratore della Fondazione Palazzo Magnani per le attività laboratoriali legate alla mostra Le mani pensano (2000) – descrive esattamente che cosa comporta rivestire il ruolo di mediatore culturale: “l’arte essendo produzione di differenza è sostanza di pensiero ed è sempre un’interrogazione e mai un’esclamazione. […] Il compito di un’istituzione pubblica, galleria e/o museo, non è quello di progettare il futuro, ma di mostrare il consolidato e l’esistente confrontandoli dialetticamente”138. Pertanto, esattamente come il collezionista che sceglie di rendere pubblica la sua collezione, attraverso le proprie mostre la Fondazione Palazzo Magnani si pone, da un lato, l’obiettivo di fornire al pubblico la propria visione della cultura (espressa dalle tematiche scelte) e, dall’altro, di fornire strumenti dei quali i visitatori possano liberamente servirsi per sviluppare il proprio pensiero critico – non solo sulla mostra, ma sul mondo in generale – attraverso l’esposizione stessa e le attività ad essa collegate.

II. i. 1997 – 2010: Sandro Parmiggiani

Nato a Bibbiano (Reggio Emilia) nel 1946, Sandro Parmiggiani139 è stato direttore di Palazzo Magnani dalla sua apertura nel 1997 fino al 2010. Compie i suoi studi tra Italia e Stati Uniti, affermandosi poi come critico d’arte, curatore di mostre, autore di cataloghi e collaboratore di giornali e riviste, tra cui “Il Giornale dell’Arte”. Attualmente, Parmiggiani è docente di Economia e Mercato dell’Arte nel corso di Laurea Specialistica in Gestione dei Beni Artistici e Culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

137 Lauretta Longagnani, Il sistema Musei della Provincia di Modena e gli orientamenti verso il pubblico, in I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, a cura di Alessandro Bollo, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 32.

138 Concetto Pozzati, Per I dieci anni di Palazzo Magnani, in Palazzo Magnani 1997 – 2007. Dieci anni di attività, Milano, Skira Editore, 2007, p. 35.

139 http://archivio.fotografiaeuropea.it/2010/Sezione.jsp?titolo=Sandro+Parmiggiani&idSezione=979

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Convinto sostenitore del fatto che “soprattutto in questi tempi duri, occorre più che mai che un’istituzione culturale misuri ogni proprio singolo atto sull’obiettivo di affermare e fare vivere, nel senso comune (amministrazioni pubbliche, imprese, cittadini), l’idea del valore fondante di quella istituzione”140, Parmiggiani ha cercato, attraverso le esposizioni e le iniziative promosse sotto la sua direzione, di tradurre in azioni concrete gli obiettivi e lo scopo sociale della Fondazione.

Per essere in grado di adempiere al suo compito, il direttore – la cui figura spesso coincide, nel caso in questione, con quella del curatore – deve possedere una personalità poliedrica. Secondo Montanari e Trione, ad esempio, il curatore deve “essere ‘anche’ un critico, uno storico dell’arte, un allestitore, un organizzatore, un manager. Insomma, dovrebbe possedere tante competenze insieme”141. L’elevato numero di capacità professionali richieste è indicativo dei molteplici ruoli svolti dalla Fondazione. Quest’ultima, in quanto istituzione culturale, ricopre – secondo Obrist142 – quattro funzioni principali, che richiedono capacità diverse da parte del direttore: innanzitutto, la Fondazione è preposta alla conservazione di un patrimonio culturale (in questo caso un immobile e la sua storia), inteso come retaggio di una nazione o di un territorio. In secondo luogo, ad un direttore è richiesta la capacità di selezionare opere in base al loro valore – artistico, economico, immateriale -, al fine di includerle nel patrimonio dell’istituzione, incrementandolo: benché si faccia qui riferimento alle collezioni museali, il concetto potrebbe, a mio avviso, essere esteso anche a un patrimonio immateriale fatto di riconoscibilità, immagine, rete di relazioni con altri enti e così via, in quanto fattori che contribuiscono al valore della Fondazione stessa e ne diventano suo. La terza funzione è quella di contribuire alla valorizzazione del patrimonio culturale, promuovendo iniziative di vario genere. Infine, se la fondazione organizza e promuove, come nel caso di Palazzo Magnani, mostre ed esposizioni, il direttore-curatore deve essere in grado di occuparsene a vari livelli.

Dovendo ricoprire questa grande varietà di ruoli, la figura del direttore di un’istituzione culturale dovrebbe anche essere carismatica, al fine di attrarre pubblico e di agevolare le relazioni con altri enti: questo punto sposta l’attenzione su un altro aspetto che ha fortemente condizionato l’attività direttiva di Parmiggiani, ovvero quella dell’identità della Fondazione.

Secondo Parmiggiani, infatti, “le istituzioni, quale Palazzo Magnani è nei fatti presto diventato, debbono incarnarsi in persone, così che chi le frequenta impari a riconoscere i volti abituali,

140 https://www.ottoperotto.org/due-o-tre-cose-su-e-per-palazzo-magnani/

141 T. Montanari, V. Trione, op. cit., 2017, pp. 59-60.

142 H. U. Obrist, op. cit., 2014, pp. 39-41.

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che diventano un segno di identità, e soprattutto la dimostrazione tangibile di un legame, di un attaccamento di quelle persone all’istituzione, che il termine inglese di civil servant rende perfettamente”143. Pertanto, il direttore non dovrebbe concepire la Fondazione come uno strumento da utilizzare per perseguire i propri scopi personali e la propria visione di arte e cultura, bensì l’opposto: è il direttore che dovrebbe “mettersi al servizio” della Fondazione in quanto entità con una personalità (non soltanto giuridica), utilizzandola sì come strumento, ma al servizio della società e della cultura, piuttosto che in modo autoreferenziale. In questo senso, dirigere una fondazione e curare mostre diventano espressione di una missione di creazione di contatto e dialogo tra culture, non solo etnicamente differenti, ma anche appartenenti a generazioni, condizioni e ceti sociali più disparati presenti su uno stesso territorio; compito del direttore è, dunque, “raccordare, fare in modo che elementi diversi entrino in contatto fra loro:

lo si potrebbe definire un tentativo di impollinazione fra culture, o un modo di disegnare mappe, che schiude percorsi nuovi attraverso una città, un popolo o un mondo”144.

Inoltre, il fatto di dover essere “al servizio di” non dovrebbe essere valido solo per la direzione generale della fondazione, ma dovrebbe riflettersi in tutte le attività svolte dal direttore-curatore, anche e soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione delle esposizioni e, nel caso dell’arte contemporanea, il rapporto con gli artisti: secondo Obrist, infatti, il modo migliore di dar vita alle esposizioni è quello di parlare e lavorare con gli autori; ad essere esposto non deve essere, di nuovo, il punto di vista del direttore, bensì quello dell’artista145. Negli anni della direzione Parmiggiani, questo indirizzo sarà osservato quasi alla stregua di una regola, come intuibile dalle numerose esposizioni (discusse nelle pagine successive) che vedono gli artisti esposti in veste di co-curatori e dai numerosi interventi pubblicati nel volume celebrativo dei dieci anni di attività della Fondazione (Palazzo Magnani 1997-2007. Dieci anni di attività, a cura dello stesso Parmiggiani), tra i quali figurano Valerio Adami, Concetto Pozzati e Ferdinando Scianna. Nel volume sono presenti anche testimonianze di collezionisti come Corrado Mingardi e Franz Armin Morat, o ancora prestigiose personalità rappresentanti istituzioni estere quali Pierre Bonhomme Borhan (direttore del Patrimoine Photographique del Ministero della Cultura di Francia), Brigitte Hedel-Samson (conservateur en chef du Musée National Fernand Léger) e Fred Licht (curatore della collezione Peggy Guggenheim), che documentano come Parmiggiani sia stato capace di creare una rete di collaborazioni, anche internazionali, con pressoché ogni tipo di figura professionale e non, appartenente al mondo

143 Sandro Parmiggiani, op. cit., 2007, p. 10.

144 H. U. Obrist, op. cit., 2014, p. 9.

145 H. U. Obrist, op. cit., 2014, p. 49.

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dell’arte. Di fatto, questa frenetica attività connettiva, relazionale, espositiva e conoscitiva testimonia la vitalità della Fondazione nei suoi primi dieci anni: a tal proposito, Daniel Abadie (professore all’Université Libre di Bruxelles e consigliere della Direzione dei Musées de France) afferma che “quando un museo è vivo, è il ritratto della sua équipe e di colui che lo dirige. […] Ciò che immediatamente distingue [Palazzo Magnani] dagli altri – e dieci anni di programmazione lo testimoniano – è la curiosità. Quella di comprendere che cosa sia davvero l’arte del nostro tempo, e cioè di tenere conto di tutte le sue componenti, fuori dagli archetipi o dalle ‘figure imposte’”146. Maggiori le connessioni – e maggiore la volontà del direttore di crearne – maggiori le tematiche, i punti di vista e i pensieri che la fondazione può proporre al suo pubblico. Peraltro, le innumerevoli corrispondenze intrattenute da Parmiggiani con artisti, intellettuali, critici e specialisti del settore, richiamano alla mente il vasto network di conoscenze instaurato da Luigi Magnani nel corso della sua vita.

Mettendosi al servizio di Fondazione, cultura, artisti, pubblico, altre istituzioni e territorio, il direttore deve essere capace di creare uno spazio libero - e non semplicemente occuparne uno già esistente – nel quale tutte queste figure possano incontrarsi e trovare un dialogo: ancora secondo Obrist, il nodo cruciale del lavoro di un direttore-curatore è “creare comunità temporanee, collegando fra loro persone e pratiche diverse e creando le condizioni necessarie affinché tra loro scocchi una scintilla”147. A tal proposito, la questione dello spazio diventa fondamentale: non solo esso è il luogo in cui queste comunità temporanee si creano, ma, connotato da caratteristiche specifiche, diviene un fattore aggiuntivo con il quale il pubblico deve rapportarsi.

Poiché Parmiggiani, in quanto primo direttore, ha assistito alla trasformazione di Palazzo Magnani in quella che è la sede espositiva odierna, è necessario, a questo punto, approfondire la storia dell’immobile, poiché in essa emergono fattori del passato che influiscono attivamente su presente e futuro della Fondazione. Innanzitutto, benché oggi sia comunemente noto con il nome “Palazzo Magnani”, la denominazione completa dell’immobile sarebbe “Palazzo Becchi-Magnani”: dinastia di Conti, i Becchi costruirono il Palazzo nella seconda metà del XVI Secolo come propria abitazione di rappresentanza148. L’ubicazione in quella che, all’epoca, era via della Ghiara (oggi corso Garibaldi), è dovuta al dinamico stile di vita condotto in questa parte della città, sia dal punto di vista commerciale che sociale: vista

146 Daniel Abadie, La curiosità e il desiderio, in Palazzo Magnani 1997 – 2007. Dieci anni di attività, Milano, Skira Editore, 2007, p. 19.

147 H. U. Obrist, op. cit., 2014, p. 209.

148 https://www.palazzomagnani.it/fondazione-2/palazzo-magnani/

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l’importanza della zona, non solo gli edifici qui eretti devono rispondere a specifiche caratteristiche architettoniche ma, inoltre, a partire dal 1597, viene qui edificata la Basilica della Madonna della Ghiara. Nel tempo, il Palazzo cambia proprietari numerose volte: dopo i Becchi, l’immobile passa alla famiglia Dionigi, poi ai Chioffi, i quali si vedono costretti a venderlo alla Cassa di Risparmio per sanare alcuni debiti; nel 1877 l’immobile viene acquistato da Giuseppina Forlaj in Ottavi, la quale lo affida all’Ingegnere Prospero Ottavi e a Vittoria Masseur; il 18 marzo 1917 l’immobile viene acquistato da Giuseppe Magnani e, nel 1960, giunge infine a Luigi Magnani. Della costruzione originale rimangono oggi soltanto l’impianto planimetrico che circonda la corte centrale e l’erma marmorea del Giano Bifronte, datata 1576 e attribuita a Prospero Sogari, detto il Clemente (al quale Luigi Magnani dedica il lungo saggio pubblicato nel 1927 su “Cronache d’Arte”): di fatto, la planimetria originale subisce dei cambiamenti già a partire dal passaggio alla Famiglia Dionigi, la quale amplia il Palazzo acquistando anche il civico adiacente. Inoltre, l’immobile viene restaurato ad opera della Famiglia Chioffi: il progetto, affidato agli architetti Marchelli nel 1841, dona all’impianto la sua configurazione odierna.

La ristrutturazione di Palazzo Magnani che avviene sotto gli occhi di Parmiggiani è fondamentale, poiché rappresenta una vera a propria trasformazione dell’immobile da residenza a sede espositiva. Nelle parole dell’Architetto Ivan Sacchetti, al quale fu affidato il progetto nel 1989, quella che coinvolse Palazzo Magnani non fu un semplice restauro, bensì una vera a propria “restituzione”, intendendo con questo termine “l’attività mediante la quale si riattribuiscono all’edificio, con la maggior chiarezza possibile, alcuni dei suoi valori più pregnanti”149. In questo senso, il Palazzo diviene non solo il patrimonio lasciato da Luigi Magnani all’interno del quale la Fondazione prenderà corpo e realizzerà il suo scopo: attraverso la sua storia e le corrispondenze tra questa e la funzione odierna, l’immobile diviene portatore e mezzo di espressione dei valori di Magnani e della Fondazione stessi. Va qui sottolineato che, esattamente come nel caso della casa-museo, che nasce dalla trasformazione di un immobile in contenitore per la collezione e il collezionista che la crea, allo stesso modo un edificio apparentemente vuoto può comunque contenere ed esprimere idee, progetti, valori e ambizioni del suo proprietario, rimanendo così indissolubilmente legato a quest’ultimo.

Il legame tra il passato dell’immobile – rappresentato da Magnani – e il suo futuro, ovvero la Fondazione e il suo scopo, emerge, sempre secondo Sacchetti, nella quarta dimensione, ovvero il tempo, simboleggiato dalla sequenza spaziale e volumetrica di pieni e

149 Ivan Sacchetti, Palazzo Becchi – Magnani. La sfida della “restituzione”, in Palazzo Magnani, a cura di Sandro Parmiggiani, Reggio Emilia, Tipolitografia Emiliana, 1997, p. 60.

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vuoti: “ la conservazione dell’edificio, il suo riutilizzo in un’epoca diversa, il suo mantenimento nella vita della città vengono perseguiti attraverso il riesame, insieme, di ciò che è insito nel suo corpo e della rinnovata realtà, delle possibilità che la struttura è in grado di consentire. La scelta delle nuove funzioni porta inevitabilmente anche a valutazioni di ordine ‘morale’”150. Pertanto, per dirla con le parole di O’ Doherty, la configurazione concreta della spazio a fini espositivi deve, da un lato, rimanere il più possibile neutra, al fine di permettere al pubblico libertà di movimento, pensiero, discussione e ragionamento al suo interno; dall’altro, quello stesso spazio deve essere espressione di valori e contesti temporali, sia passati che futuri. A tal proposito, l’immobile e ciò che esso trasmette assumono una duplice faccia (un po' come il Giano Bifronte posto al suo angolo): ciò che accade al suo interno – mostre, incontri, progetti, conferenze, per estensione creazione e promozione di cultura – è fluido, in continuo mutamento e, per certi versi, effimero; ciò che invece la presenza fisica dell’edificio esprime, è una condizione di status quo in termini di valori sociali, stabili e immutabili nel tempo151.

Secondo O’Doherty152, questa dualità dello spazio espositivo, rappresentata da astrazione tendente alla neutralità (interna all’edificio) e realtà concreta (esterna), è sintomatica dell’importanza rivestita dalla “dimensione sacra del Novecento”, ovvero lo spazio: poiché l’arte è espressione di cultura, essa definisce sia lo spazio che il tempo e, attraverso il suo essere in questo spazio, essa contribuisce a crearlo e definirlo. È interessante notare come lo spazio partecipi attivamente allo svolgimento di alcune delle funzioni fondamentali della Fondazione discusse sopra. In particolare, mostre ed esperienze artistiche proposte in uno spazio espositivo neutro permettono, talvolta, ai valori espressi dall’immobile di manifestarsi ed interagire con il contenuto della mostra: in questo modo, sempre secondo O’ Doherty, l’edificio e ciò che esso rappresenta esprimono “opinioni” sull’arte al suo interno, rispetto alla quale esso è contestuale, e commentano il contesto più ampio – la strada, la città, il denaro, gli affari – che lo contiene153, contribuendo alla storia dell’arte attraverso l’offerta di nuove chiavi interpretative e spunti di riflessione. Tuttavia, è lo stesso Parmiggiani a sottolineare – con un articolo su “ottoperotto”, periodico online del club per l’UNESCO di Reggio Emilia - come il messaggio espresso dall’immobile non debba mai prevalere sul messaggio degli eventi che esso contiene: quando ciò accade, “la visita al museo [diviene] intrattenimento facile, che non richiede alcun impegno

150 I. Sacchetti, op. cit., 1997, p. 65.

151 Brian O’Doherty, Inside the white cube. Ideologia dello spazio espositivo, Johan & Levi Editore, 2012 (prima ed. originale 2000), p.16.

152 B. O’Doherty, op. cit., 2012, p. 37.

153 B. O’Doherty, op. cit., 2012, p. 73.

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