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La filosofia della natura e l’idealismo estetico di Friedrich Wilhelm Joseph Schelling

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La filosofia della natura e l’idealismo estetico di

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling

Introduzione

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nasce nel 1775 a Leomberg, nel Württemberg. Suo padre era diacono, più tardi predicatore e poi professore di seminario a Tubinga.

A quindici anni Schelling, piuttosto capace, entra al seminario di Tubinga, lo Stift, dove studia filosofia e teologia. Studia il greco e l’ebraico, tanto che le sue prime opere si occupano di questioni bibliche.

Nel seminario ebbe due compagni di studio piuttosto famosi: Hegel e Hölderlin.

Durante l’ultimo anno di studio fu profondamente colpito dalla Dottrina della scienza di Fichte, tanto da intraprendere la carriera filosofica.

Schelling fu uno spirito geniale ed estremamente espressivo, nella sua giovinezza produsse scritti e opere a una velocità sbalorditiva. Nell’aspetto del giovane Schelling, nel suo tono, nel suo portamento, nel vigore del suo pensiero, c’era qualcosa di ardente e che conquistava.

Nel 1798, a ventitrè anni, a Jena, era già assistente di Fichte, chiamato a quell’incarico da un certo Goethe, il quale era stato impressionato da Schelling più che da Fichte.

A Goethe spiaceva in particolar modo l’inclinazione politica del pensiero fichtiano, e più di tutto i suoi accenti sinceramente democratici, mentre apprezzava il modo in cui il giovane e già prolifico Schelling trattava il tema della natura.

Un anno dopo Schelling sostituiva Fichte a Jena, in seguito alle dimissioni del suo maestro. Lì intraprese una brillante attività.

A venticinque anni Schelling pubblicava la sua opera fondamentale il Sistema dell’idealismo trascendentale (1800), che lo consacrava quale nuovo astro della filosofia tedesca.

Goethe fu un grande sostenitore di Schelling, con il quale condivideva il sentimento panteistico della natura, mentre con Fichte e con Hegel Schelling ebbe un rapporto tormentato, segnato da gravi dissapori e inimicizia.

Di Fichte, Schelling fu prima allievo e poi collaboratore, ma ben presto le divergenze filosofiche, nate con l’inizio della filosofia della natura di Schelling, diedero luogo alla rottura e a una velenosa polemica che durò fino alla morte di Fichte (anche se all’inizio Fichte incoraggiò la meditazione di Schelling, forse perché ancora non aveva capito che stava andando in una direzione che confliggeva con la sua filosofia).

Con Hegel, Schelling fu antico compagno di scuola e poi, dal 1801, quando anche Hegel giunse a Jena in qualità di libero docente, su sollecitazione proprio di Schelling, collega all’università.

Assieme collaborarono in una rivista, il “Giornale critico della filosofia”. Schelling credette di vedere in Hegel un discepolo e un continuatore, ma poi, alla prima critica hegeliana contro il suo metodo, mutò l’amicizia in odio implacabile e la stima in svalutazione.

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Schelling definiva Hegel un misero impiegato della filosofia, un maestro di scuola, uno che aveva copiato da lui tutta la sua filosofia, il che – almeno entro certi limiti – non è del tutto sbagliato. Qualcuno ha detto che non ci sarebbe una frase in Hegel così com’è, se non ci fosse stato Schelling.

Schelling si prese in ogni caso la rivincita sull’antico compagno, collega e rivale, perché nel 1841 venne chiamato a Berlino sulla cattedra dello stesso Hegel, ormai defunto.

Gli sopravvisse, dunque, e a sessantasei anni si tolse lo sfizio di insegnare in quell’università, in quella facoltà, in quell’aula che era diventata, né più né meno, un covo di hegeliani.

C’è da dire che non fu un’esperienza esaltante quella di Schelling a Berlino: gli studenti, affezionati a Hegel, gli erano così ostili da chiamarlo, lui, vecchio leone della filosofia dai capelli argentati e dalla sapienza inarrivabile, il morto vivente.

Di più, nel periodo in cui Schelling occupava l’ex cattedra hegeliana, gli studenti pubblicarono le lezioni di Hegel. Tra gli ascoltatori del vecchio Hegel c’era anche il giovane Engels.

Schelling morì praticamente dimenticato a Bad Ragaz, in Svizzera, nel 1854.

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3 Alcune premesse

I problemi che muovono inizialmente la filosofia di Schelling derivano dal pensiero di Fichte, o meglio dalla Dottrina della scienza.

Il sistema di Fichte, come si è visto, scaturiva dalla lotta per l’idea di libertà. Questo atteggiamento porta fatalmente Fichte a deprezzare la natura: il Non-io è un ostacolo, necessario, ma pur sempre un ostacolo, per l’Io, ed è il regno di ciò che non è libero.

Il Non-Io è infatti il luogo della necessità, non della libertà, ossia la natura risponde a leggi ferree e meccaniche che sono l’opposto della libera volontà dell’Io. La natura è vincolata ovunque.

Il giovane Schelling si propone di superare questo deprezzamento della natura, di porvi rimedio, senza però abbandonare gli assunti fondamentali e le conquiste della Dottrina della scienza.

Schelling rimane dunque, o così vorrebbe, nel solco della filosofia fichtiana: egli è infatti di certo un idealista, e dei grandi filosofi dell’idealismo tedesco è quello che sta più vicino al romanticismo.

Quella grande evoluzione degli spiriti che, intorno alla metà del Settecento, coincide con l’allontanamento dalla razionalità per sprofondarsi negli abissi misteriosi dell’essere, della vita e della natura, e che è chiamata romanticismo, ha in effetti in Schelling un rappresentante particolarmente significativo.

Il suo rivolgersi alla natura, per coglierne la vita più vera e profonda, si servirà più di una comprensione estetica e sensitiva che di una conoscenza logica e razionale.

Paragonato a Fichte, la cui intera vita e azione e pensiero filosofico stanno al servizio di un solo pensiero, Schelling è incredibilmente poliedrico e multiforme: è sempre pronto a ripartire da zero nella sua costruzione filosofica, e a mettere in dubbio e rivedere dal fondo le premesse e i risultati della sua ricerca.

Schelling è uno spirito estremamente creativo e produttivo, e scrive molto bene, a differenza degli altri idealisti. Leggere Fichte è noioso, leggere Hegel è frustrante, ma leggere Schelling è piacevole.

Il primo passo di Schelling oltre Fichte conduce alla filosofia della natura; il secondo passo conduce alla filosofia dell’identità; il terzo alla filosofia dell’arte.

In seguito egli darà libero corso a una certa sua tendenza all’irrazionale, al religioso, finanche al mistico: e infatti il quarto passo, o periodo, della filosofia di Schelling è una filosofia della religione.

Più precisamente, è uso distinguere in Schelling cinque periodi filosofici:

 La filosofia della natura, fino al 1799;

 L’idealismo trascendentale, attorno al 1800;

 La filosofia dell’identità, dal 1801 al 1804;

 La filosofia della libertà, attorno al 1805;

 Il sistema della filosofia della religione dell’ultimo Schelling, a partire dal 1815 circa.

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Il percorso filosofico di Schelling oltre Fichte può essere invece schematizzato in tre tempi:

 Affermazione della piena dignità della natura, dell’oggetto (Non-Io), al pari dello spirito, del principio soggettivo (Io);

 Definizione dell’Assoluto, ovvero della totalità del reale, come piena identità di natura e spirito (che solo l’arte è capace di rilevare in modo autentico);

 Spiegazione della derivazione delle cose finite dall’identità originaria di natura e spirito.

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5 1. La filosofia della natura

La prima fase del pensiero di Schelling si svolge sotto l’influenza di Fichte, del quale riprende l’idea che la natura è il prodotto inconscio dello spirito (Io puro).

Ben presto, però, la nozione fichtiana di natura, intesa come il limite che l’Io impone a se stesso nel movimento che lo porta a superare in continuazione le posizioni acquisite, appare inadeguata a Schelling.

Essa è troppo rigida rispetto alle immagini vive e animate della natura che le scienze vanno elaborando nel clima di grandi interesse per i fenomeni naturali tipico del romanticismo (specie la chimica e la biologia).

Spinto dalle suggestioni romantiche, Schelling cerca nella natura non solo il Non-Io, l’Altro dall’Io, ma la realtà più segreta e più vera dell’Io stesso.

Il compito che sta davanti a Schelling è dunque approfondire il rapporto tra l’Io e la natura, per superare la vecchia concezione materialistica e meccanicistica della natura come realtà statica o insieme di fenomeni legati da leggi fisico-matematiche, portando invece alla luce il dinamismo che la percorre, analogo a quello che muove lo spirito.

In altre parole, secondo Schelling vi è una sostanziale continuità tra natura e spirito:

non è più possibile, afferma Schelling, considerare la natura soltanto come un tutto governato da leggi meccaniche; non si tratta di una realtà contrapposta allo spirito, alla vita, alla coscienza.

La natura

non è:

• un residuo materiale inerte e dotato unicamente di passività;

non è (fichtianamente):

• un fenomeno creato soltanto per fare da sfondo al progresso del soggetto umano;

non è (fichtianamente):

• l’oggetto di conquista di questo stesso soggetto umano, che lo sottomette e lo trasforma in ragione della sua superiore razionalità.

In altre parole, se la natura è per Fichte il momento dell’opposizione, della resistenza e della passività che esige il riscatto da parte della razionalità, che dunque deve dominarla e trionfare su essa, per Schelling la natura ha valore in sé.

La natura è anzi essa stessa organizzazione dotata di vita,

 non subordinata allo spirito;

 ma che anzi si identifica con lo spirito;

 che è lo spirito stesso.

Quell’Assoluto che per i romantici è l’oggetto primo della ricerca filosofica è dato da Schelling in questa primitiva e originaria indistinzione di natura e spirito, conscio e inconscio, finito e infinito, spirituale e materiale.

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Questi due princìpi, finora concepiti come opposti, non si fronteggiano più, come in Fichte, senza mai incontrarsi davvero, e anzi opponendosi reciprocamente come contrari; in Schelling si identificano.

La natura, secondo Schelling, andrebbe piuttosto intesa anch’essa come un’intelligenza, anche se non ancora matura, uno “spirito pietrificato”, ossia non ancora consapevole di sé in quanto spirito.

E tuttavia la natura, dai suoi gradi meno evoluti a quelli più evoluti (per intenderci, dal grado zero di pensiero rappresentato dai minerali, al grado massimo di ragione proprio degli uomini), la natura – dicevo – è il cammino che l’Io percorre per divenire cosciente di sé, per riconoscersi come spirito.

Dunque, secondo Schelling, lungi dall’essere due enti diversi, quando non opposti, come per Fichte, dove l’uno pone l’altro, spirito e natura sono legati da uno stretto vincolo, a formare quella che Schelling chiama l’identità originaria, o unità originaria, o anche l’Assoluto.

L’Assoluto, ovvero la pienezza della realtà, la realtà guardata nella sua totalità (quella che Kant negava fosse conoscibile nel concetto di mondo) è unione di natura e spirito, in quanto il ruolo della natura – nella continua evoluzione delle sue forme, dalle meno evolute (la materia) alle più dotate di coscienza (l’uomo) – è quello di preparare la coscienza.

La natura è intesa non come altro dallo spirito, quanto come la preistoria dello spirito, la preparazione dello spirito.

Non vi è insomma salto qualitativo tra la natura e lo spirito, come tra una cosa e un’altra che non è la prima, ma una continuazione, un continuum su cui ciò che è inconscio (la natura) si rivelerà come conscio (la coscienza dell’uomo).

Questa piena identità di natura e spirito è l’Assoluto. L’Assoluto è tutta la realtà, tutto ciò che esiste; e tutto ciò che esiste è dato dalla continuità tra natura e spirito.

La natura è spirito, ma spirito materializzato; è Io visibile, coscienza irrigidita, ma già attiva dentro le forme naturali.

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7 2. Ancora la filosofia della natura

E’ possibile, da ciò che ho detto finora, cogliere l’intenzione polemica che la filosofia della natura schellinghiana rivolge all’illuminismo e al razionalismo: il meccanicismo scientifico di epoca illuministica spiega solo le manifestazioni esterne della natura, la catena di cause ed effetti, ma non la vita che sta a fondamento del mondo naturale.

Perciò, secondo Schelling, bisogna liberare la natura dal meccanismo inerte in cui la si è imprigionata e riscoprirne il libero sviluppo interno.

Ci accorgeremmo allora che, guardata nel suo complesso, la natura appare come uno spirito inconscio che si muove verso la coscienza, tramite un processo di continuo assottigliarsi e affinarsi della materia per lasciare spazio al corrispettivo emergere dello spirito.

Il progressivo farsi spirito della natura avviene mediante la serie ascendente dei fenomeni.

A poco a poco, di gradino in gradino, la realtà è una scala lungo la quale la natura si affaccia al mondo dello spirito.

La filosofia della natura studia dunque le forme con cui la spiritualità emerge dalla materia: dal livello di espressione più elementare e primitivo, in cui la spiritualità è sommersa (l’inorganico), arriva alla vita organica, in cui si avverte il primo affiorare della coscienza, fino alla coscienza dispiegata, che si identifica con la ragione umana.

Cfr. Fotocopie

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