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Academic year: 2021

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La figura di Giovanni Scarlatti, figlio cioè di Scarlatto, è una delle meno indagate della serie degli arcivescovi pisani del Trecento. Ancora oggi non si dispone, infatti, di una sintesi biografica sufficientemente utile a collocare questo presule entro una o più categorie sistematiche ben definite.

Tale lacuna non può che risultare singolare ed inspiegabile. Si consideri, infatti, benché a titolo meramente introduttivo e per sommi capi, che egli si forma presso la Curia Romana, ambiente cosmopolita e culturalmente tra i più all’avanguardia del continente, ove a cavallo tra gli anni Trenta e Qua- ranta è avvocato, uditore giudiziario e lettore nello studio generale; è suc- cessivamente nunzio apostolico in Corsica, competente in quest’ultimo caso anche per le suffraganee dell’arcidiocesi genovese e non soltanto per quelle dipendenti dalla – allora sua – cattedra metropolitica pisana; è incaricato di seguire l’istruttoria relativa al riconoscimento dell’ordine monastico di San Basilio, i cosiddetti Bartolomiti armeni, ed è promotore della congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto nel territorio pisano, occasione in cui si dimostra anche committente artisticamente sensibile.

A dispetto di questa carriera, però, Giovanni è un personaggio alquanto

“schivo” dal punto di vista documentario: fatto questo, che deve aver con- tribuito non poco al formarsi di un’aura di storiografica disattenzione attor- no alla sua persona. Dalla letteratura a lui contemporanea passando per l’antiquaria, fino alla moderna storiografia, pochissime pagine ci illuminano sulla sua vita, sul suo pensiero e sulla sua azione.

Tronci

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accenna per sommi capi alla sua lontananza dalla vita cittadina, puntando invece quasi il dito contro la sua dipendenza da papa Clemente VI, compensando il tutto con qualche informazione sulla sua carriera levan- tina in qualità di nunzio apostolico presso gli Armeni; ricorda inoltre la sua fugace comparsa il 18 gennaio 1355 in occasione dell’adventus di Carlo IV

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Per un profilo di questo erudito, cfr. Paolo Tronci storico e erudito pisano, cur. E. Cri-

stiani et al., Pacini : Pisa 1985.

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di Boemia in viaggio verso Roma e la presenza alla processione del Corpus Domini voluta e promossa da ser Bonagiunta di ser Mascaro, l’allora opera- rius dell’Opera del Duomo. Pochissime righe, infine, per dar notizia della sua morte sopraggiunta l’anno seguente.

1348. [...] Per la morte dell’Arcivescovo Dino da Radicofani, fu in suo luogo creato dal Pontefice Clemente Giovanni Scherlatti Pisano Or- dinato solamente al Suddiaconato, e Canonico Pisano [...]. Questo Arcivescovo Pisano, come riferisce il Pad. F. Luca VVadingo [...] fu da Papa Benedetto Undecimo eletto Vescovo di Corona, quando lo mandò Legato della Sede Apostolica, insieme con Fr. Antonio Minori- ta Vescovo di Gaeta in armenia, per esaminare la Dottrina di quella gente, e vedere se era conforme alla verità Evangelica, e nel ritorno, essendo morto il detto Fr. Antonio, dalla già detta Santità di Clemen- te, per rimunerarlo delle fatiche sofferte, gli fù conferita la Chiesa Pi- sana, che era vacante. Non venne però questo Prelato al possesso di questa sua Chiesa prima dell’anno seguente 1349 [...].

1355. [...] Partì l’Imperatore di Milano [...] e passate le Alpi, se ne venne a Pisa dove arrivò alli 18. di Gennaro, incontrato per lungo spazio fuori della Città dai principali Cittadini, e fece la sua solennis- sima entrata per la porta detta del Leone. dove l’attendevano tutti i Magistrati, e lui gli furono presentate le Chiavi della Città, le quali subito con garbo indicibile, e cortesia restituì a gl’Anziani, e arrivati al luogo dove l’aspettava l’Arcivescovo Giovanni Scherlatti con tutto il Clero, smontò da cavallo, & inginocchiato con somma riverenza baciò la Croce, e di lì sotto nobilissimo baldacchino preparatogli, fu condotto al Duomo, dove fattogli le solite cerimonie nell’ingresso, e preso il perdono, rimontò sopra il suo Destriero [...].

1361. [...] Essendo quest’anno Operario del Duomo di Pisa Buona- giunta Mascari, si incominciò a fare la Processione del Corpus Do- mini [...]. Portava l’Arcivescovo il Santissimo Sacramento in un’Ostensorio d’oro sotto un Baldacchino di Broccato con frange d’oro, le mazze del quale portonno li Anziani fino fuori della porta, e ivi preserle i Cittadini a vicenda [...].

1362. [...] Morì Giovanni Scherlatti Arcivescovo di Pisa, e in suo luo- go successe Francesco Pucci Pisano Canonico, mà io credo, che que- sto Pucci non fosse mai Arcivescovo, e che allo Scherlatti succedesse Francesco Moricotti [...].

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Un secolo dopo, Mattei aggiunge ulteriori dettagli al suo profilo biografi- co. Come Tronci, rivolge il suo primo pensiero all’ “estraneità” di Giovanni dalla vita pisana: voluto ed insediato dal pontefice contro la postulazione avanzata dal Capitolo nella persona del pisano Niccolò da San Martino, do- menicano del convento di Santa Caterina di Pisa. Quanto ad alcuni punti

2

P. Tronci, Memorie istoriche della città di Pisa, Bologna 1967 (rist. an. dell’ed. Livorno

1682), pp. 366, 376, 393 e 396.

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chiave per la ricostruzione del profilo biografico del nostro, Mattei si espri- me nei seguenti termini:

Ab Antonio a Terracina dicitur patria Florentinus, professione Fran- ciscana. Verum utrumque falsum esse censeo. [...]

Anno 1335, mense Januario Avenione munus advocati exercebat.

Factus postea est episcopus Coronensis urbis Peloponnesi in regione Messeniae, nondumque consecratus missus est una cum Antonio Franciscano antistite Cajetano anno 1346 a Clemente VI Sedis Apo- stolicae legatus a latere ad Armenos. [...]

His circiter temporibus [1349 stile comune] Joannes synodum habuit diocesanam, cujus acta non supersunt, sed ex aliis monumentis colli- gitur [...]. Anno criciter 1359 archiepiscopus noster aedificare coepit ecclesiam, et monasterium sancti Hieronymi Agnani, quod est locus quinque milliariis ab urbe Pisis distans pro patribus Olivetanis, quos item moriens haeredes universales testamento reliquit. [...]

Archiepiscopus in patriam reversus [...] Corporis Christi sacrosan- ctum ecclesiae sacramentum circumfertur [...].

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Mattei, però, non indaga a fondo né sulla sua presunta origine fiorentina né sulla sua appartenenza all’ordine francescano;

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cita, poi, alcune copie au- tenticate di lettere papali di argomento vario, ancora oggi conservate e nel diplomatico e nel cartaceo dell’AAPi, nonché un documento del 27 gennaio 1335 in cui il nostro è definito «in curia Romana advocatus»;

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ricorda la sua carriera levantina, la sua missione in Corsica, vede in Leonardo da Casole il suo unico vicario e ricorda la sua opera di fondazione e dotazione della casa olivetana di San Girolamo in Agnano. Conclude, quindi, con brevi informa- zioni sulla sua sepoltura e le vicende delle sue spoglie.

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È difficile, poi, accogliere la notizia che egli abbia tenuto una sinodo dio- cesana nei suoi primi anni pisani. Occasioni di questo tipo sono foriere di

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A.F. Mattei, Ecclesiae Pisanae historia, Lucca 1772, pp. 87-95.

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Nessuna delle fonti prese in esame consente di affermare che egli sia fiorentino di nascita;

tutte le evidenze disponibili lasciano invece supporre che egli fosse originario della cappel- la pisana di San Paolo a Ripa d’Arno, dove sicuramente ha trascorso i primi anni dell’infanzia (cfr. pp. 18 segg.). Quanto alla sua appartenenza all’OFM può trattarsi di un equivoco risalente a L. Wadding (1588-†1657), Annales Minorum, VIII, Firenze 1932, pp.

31-48, derivante con buona probabilità dal fatto che Giovanni è nunzio apostolico in Arme- nia aassieme al francescano Antonio degli Aribandi da Valenza Po, già orator di Roberto d’Angiò presso la Curia Romana, vescovo di Gaeta e membro della Custodia di Terra Santa (cfr. Ibid., VII, pp. 292, 298, 325, 353-354). Ad ogni modo, lo stesso Wadding non dirà mai lo Scarlatti esplicitamente francescano! In attesa di una sintesi onnicomprensiva più ag- giornata sulla presenza francescana in Oriente, cfr. M. Da Civezza, Storia universale delle missioni francescane, III, Roma 1859, pp. 287-325.

5

AMAPi, Contratti 13, c. 180rv.

6

Cf. anche il più aggiornato W. Dolfi, Vescovi e arcivescovi di Pisa. I loro stemmi e il pa-

lazzo, I, Pisa 2000, pp. 152-156, nonché pp. 77 segg.

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una fitta produzione di esemplari, se non altro per l’obbligo fatto alle suf- fraganee di conservarne almeno una copia nelle loro curie.

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Ed è quanto meno sconcertante che nemmeno una copia ne sia tràdita e che ogni qual- volta i documenti di curia del tempo menzionino le disposizioni delle costi- tuzioni sinodali non specifichino mai trattarsi, per esempio, di nostrae. È, invece, più probabile – naturalmente fino a prova contraria – che ci si conti- nui a riferire a quelle redatte al tempo dell’arcivescovo Simone Saltarelli (1323-1342) e, quindi, che Giovanni non abbia tenuto alcuna sinodo. A con- ferma di questa ipotesi può venire incontro l’evidenza che il 24 gennaio 1362, a meno di un mese dalla sua morte, egli proceda all’abrogazione di una rubrica delle costituzioni sinodali – espressamente dette – del suo pre- decessore.

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Rispetto alla prassi canonistica nota, è decisamente singolare che dopo una sinodo diocesana e relativa promulgazione e pubblicazioni di un corpus di costituzioni, Giovanni intervenga sul testo del Saltarelli e non sul suo, che avrebbe dovuto comunemente sostituirsi al primo.

Solo recentemente i lavori di Carratori, Ronzani e Dolfi

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hanno contri- buito ad approfondire da una parte le nostre conoscenze sulla sua missione in Corsica e dall’altra ad inquadrarlo all’interno di una sistematica, ancora oggi indiscussa. Osservando la serie dei presuli che per tutto il Duecento si sono succeduti sulla cattedra – poi – di Giovanni, la loro pisanità risulta es- sere un fattore caratterizzante e costitutivo della loro persona; con ciò ci si riferisce a quell’armonica e sinergica appartenenza ai locali quadri del pote- re, condivisi e gestiti insieme alle altre due grandi protagoniste della vita cit- tadina: il Capitolo ed il Comune. In quest’ottica, Giovanni è un arcivescovo

“non pisano”, non “figlio del Comune”, bensì della corte papale ed intrinse- camente alieno alla politica locale. Questa caratteristica del Nostro, benché

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Detta prescrizione, non più revocata in seguito, risale al Concilio Laterano IV del 1215, c.

6, De conciliis provincialibus, in Conciliorum oeconomicorum decreta, Freiburg in Brei- sgau 1962, p. 212 (anche in Mansi, 22, coll. 991-992). Cfr., inoltre, O. Pontal, Les statuts synodaux, Turnhout 1975; J. Gaudemet, Storia del diritto canonico. Ecclesia et Civitas, Mi- lano 1998, pp. 438-441.

8

Cfr. pp. 59 segg.

9

L. Carratori, Una visita in Corsica nel nunzio apostolico Giovanni Scarlatti, arcivescovo

di Pisa (1359), in BSPi XLVIII (1979), pp. 15-63; M. Ronzani, «Figli del comune» o fuo-

riusciti? Gli arcivescovi di Pisa di fronte alla città-stato fra la fine del Duecento e il 1406,

in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Roma 1990, pp. 773-835

(d’ora in avanti M. Ronzani, «Figli del comune» o fuoriusciti?); W. Dolfi, Op. cit., pp. 152-

156.

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più volte rilevata dagli studiosi, non è mai stata elevata al rango di elemento costitutivo della sua azione politica e pastorale.

1.1. Lo stemma di Giovanni Scarlatti

Dando un primo sguardo a ciò che Giovanni voleva comunicare di sé, si nota che il suo stemma è di costruzione alquanto semplice, pur tradendo una gamma di significati sufficientemente vari.

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Di rosso caricato di tre alberi in palo sradicati al naturale, si presta a diverse considerazioni su ciò che il Nostro intendeva annunziar di sé attraverso la sua insegna.

La scelta del campo rosso per lo scudo appuntato e non partito (in araldi- ca questo colore è associato a Marte, già dio della guerra nella mitologia romana antica) richiama ai valori tipici della nobiltà, in particolare quella dell’animo militante (audacia, valore ed amore). La virtù associata a questo colore è comunemente la carità.

Gli alberi si presentano estremamente stilizzati, in particolare nel loro u- nico elemento distintivo: la chioma. Nelle rappresentazioni d’età moderna – come quelle di Ughelli ed altri – questa è stata restituita con una foglia, che potrebbe richiamare il fico, che assieme all’olivo ed alla vite è una delle piante più simboleggiate della cultura europea e non solo. È, però, possibile che si possa trattare di pini marittimi od altro ancora.

Sradicati potrebbero negare quel simbolismo tipico dell’albero come axis mundi, elevandosi a realtà ultra sensibile, eternamente vera. La composizio- ne – due alberi laterali più piccoli e quello centrale più grande – rappresenta, d’altra parte, un evidente richiamo alla crocifissione. Se le raffigurazioni moderne non falliscono, è possibile che, in questo specifico contesto icono- grafico, l’immagine intenda richiamarsi ai dolci frutti dello Spirito Santo

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Le seguenti argomentazioni si fondano sullo stemma riprodotto in F. Ughelli, Italia sa- cra, III, Bologna 1973 (rist. an. dell’ed. Venezia 1718), coll. 457-456; si è fatto riferimento alle due seguenti opere ancora oggi insuperate quanto ad esaustività: P.J. Spener, Insignum theoria, Frankfurt a.M. 1690 e M. Ginanni, L’arte del blasone, Venezia 1756; nonché: W.

Dolfi, Op. cit., pp. 152-156, cfr. M. Pastoureau, Les armoiries, Turnhout 1976; F. Di Mon-

tauto, Manuale di araldica, Firenze 1999; V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana. Identi-

tà e territorio attraverso l’araldica dei comuni: storia e invenzione grafica (secoli XIII-

XVII), Firenze 2006.

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oppure alla misteriosa verginità di Maria:

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entrambi emblema della vita contemplativa.

La gamma dei messaggi lanciati da Giovanni col suo blasone ruotano, quindi, attorno alle seguenti parole-chiave: nobiltà d’animo e forza nella contemplazione del mistero e dei frutti della Croce.

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LCI, II, Roma u.a. 1970, coll. 22 segg.

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