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Conclusioni

L’analisi di questo lavoro è stata incentrata sull’indagine delle relazioni che possono intercorrere tra istituzioni del mercato del lavoro e performance macroeconomiche.

È stato prima di tutto necessario individuare le istituzioni rilevanti per l’analisi di tipo teorico ed empirico, per poi introdurne le principali caratteristiche ed esaminare i risultati ottenuti dalle indagini a cui abbiamo fatto riferimento.

La letteratura d’indagine empirica, della quale abbiamo presentato i principali risultati nel primo capitolo, determina le proprie linee di analisi sulla base di una ben determinata posizione nei confronti delle istituzioni del mercato del lavoro, individuando in esse una fonte di rigidità che può indurre peggiori performance macroeconomiche nei paesi in cui sono più presenti e forti.

Nel presentare i risultati di queste indagini, caratterizzate da questa visione “negativa”

del ruolo delle istituzioni, abbiamo tuttavia rilevato una certa fragilità d’analisi, per esempio nella sensibilità dei risultati rispetto alle diverse specificazioni delle equazioni stimate e nella scelta degli indicatori per le diverse istituzioni. Questo deve indurre ad un approccio critico a questo filone della letteratura, che, nonostante l’indeterminatezza di alcuni risultati, indica comunque nella deregolamentazione la strada che i paesi più

“istituzionalizzati” devono seguire per assicurarsi migliori performance macroeconomiche.

L’analisi si è poi focalizzata su una istituzione in particolare, la struttura contrattuale, individuando i filoni principali della letteratura che si sono occupati del suo ruolo e della sua relazione con le performance macroeconomiche, alla luce dei modelli microeconomici presentati nel secondo capitolo.

È stata rivolta particolare attenzione ai sistemi contrattuali (in alcuni casi insieme ad altre caratteristiche dei sistemi economici e politici) a partire dagli anni Settanta, poiché, nel periodo degli shock petroliferi, alcuni paesi erano riusciti a contenere i pesanti effetti negativi della crisi economica, mantenendo livelli d’inflazione e di disoccupazione migliori della media.

La letteratura corporativista, la cui (ri)nascita in quegli anni è avvenuta principalmente nell’ambito delle scienze politiche, riconobbe nel maggior grado di corporativismo la caratteristica determinante per quei paesi che erano riusciti ad ottenere le migliori performance. Il concetto di corporativismo, di cui abbiamo riportato alcune definizioni,

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non limita la propria sfera d’analisi alla sola struttura contrattuale, ma ne considera le interazioni con una struttura più ampia di organizzazione del sistema economico. Nelle definizioni più generali del concetto, si fa riferimento ai “sistemi di rappresentanza degli interessi” che, anche attraverso una struttura contrattuale più centralizzata e coordinata, possono confluire nella determinazione delle scelte economiche e politiche necessarie per garantire migliori performance.

Le analisi corporativiste dei sistemi economici non hanno però, nella maggior parte dei casi, elaborato formalmente modelli teorici, attraverso i quali poter valutare le effettive relazioni che possono intercorrere tra un’organizzazione corporativista del sistema economico e le performance macroeconomiche. Le conclusioni alle quali arriva la teoria corporativista appaiono quindi formalmente fragili; comunque, essa rappresenta una prima organica esplorazione dei legami tra istituzioni ed esisti macroeconomici, e non deve esserne sminuito il ruolo antesignano assunto in letteratura.

Tra le analisi prese in considerazione, i lavori di Ezio Tarantelli si sono distinti per il maggiore livello di formalizzazione e per una più precisa definizione del concetto di corporativismo. Egli ha infatti individuato tre dimensioni del grado di corporativismo (neocooptazione dei sindacati, centralizzazione della contrattazione collettiva e neoregolazione dei conflitti industriali) la cui coesistenza consentirebbe ai sistemi economici di mantenere, anche nei periodi di crisi economica, livelli d’inflazione e di disoccupazione più bassi. Ha anche riconosciuto un importante ruolo alla Banca Centrale, la cui azione antinflazionistica è resa più credibile grazie al maggiore grado di neocorporativismo. In base al contributo di quest’autore, è possibile quindi ipotizzare una relazione positiva tra performance macroeconomiche e un alto grado di neocorporativismo.

Nel filone della letteratura d’indagine della relazione struttura contrattuale-performance, il lavoro di Calmfors e Driffill (1988) ha avuto l’importante ruolo di ridefinire, rispetto alla letteratura corporativista, gli elementi che devono essere presi in considerazione affinché l’indagine abbia più solide basi teoriche. Il risultato a cui giungono è netto:

sistemi contrattuali in cui il livello della contrattazione è decentrato e quelli invece caratterizzati da un alto livello di centralizzazione garantiscono tassi di disoccupazione più bassi, inducendo una minore spinta salariale da parte dei sindacati (a livello di singola impresa e nazionale). Le economie con livello intermedio di contrattazione (territoriale/regionale) sono quelle che esibiscono peggiori performance macroeconomiche. Le implicazioni sulle scelte da parte dei sistemi contrattuali sono

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149 altrettanto chiare: se un sistema economico si trova, in termini grafici, in una posizione intermedia, per cercare di garantirsi migliori performance, dovrà scegliere di spostarsi verso una completa centralizzazione o un maggiore decentramento.

Nonostante il grande rilievo che è stato dato, e ancora oggi viene dato alla relazione hump-shaped, quasi immediate sono state le risposte di diversi autori con lavori che ne

hanno criticato i risultati.

Nel caso in cui si è comunque considerato valido il contesto teorico, l’ampliamento del quadro di riferimento da un’economia completamente chiusa ad una aperta può fortemente indebolire la relazione “a gobba”, e con essa si riduce l’importanza della posizione di un sistema economico lungo la gobba (Danthine e Hunt, 1994).

Rispetto agli ordinamenti dei paesi, è sufficiente rivalutare le posizioni di due soli paesi, rispetto alla classifica proposta da Calmfors e Driffill, per modificare sensibilmente la forma, ed arrivare ad una relazione positiva monotòna tra coordinamento della contrattazione e performance (Soskice, 1990).

Inoltre, dalle analisi empiriche che hanno voluto riproporre le indagini di Calmfors e Driffill con dati più recenti, è risultato che né quel tipo di relazione, né altre, in tempi più recenti, sembrano esistere tra la struttura contrattuale e le performance macroeconomiche (OECD, 1997).

Allo stato attuale, il dibattito teorico sul rapporto tra struttura contrattuale e performance macroeconomiche non sembra aver fornito quindi una risposta univoca a favore del decentramento o della centralizzazione. Viene rilevato inoltre che è impossibile individuare un modello di contrattazione universalmente valido, poiché il diverso assetto è fortemente influenzato dalle specifiche condizioni storiche e dalle differenti caratteristiche strutturali e produttive dei singoli paesi.

Ciò non deve indurre a sottovalutare le indagini su questo tipo di relazioni.

Occorrerebbe invece ristabilire l’analisi ad un ambito più ampio, considerando la struttura contrattuale in combinazione con altre caratteristiche istituzionali e politiche dei sistemi economici.

Nel caso italiano, per esempio, nel periodo della “concertazione”, è possibile individuare le componenti la cui positiva combinazione ha consentito di raggiungere parte degli obiettivi macroeconomici indicati dal Protocollo del Luglio 1993. Esse possono essere indicate, tra le altre, nel maggior grado di centralizzazione e coordinamento della struttura contrattuale, nel coinvolgimento delle parti sociali da

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parte del governo nella determinazione degli obiettivi macroeconomici e nella migliore definizione degli ambiti d’azione e competenza dei diversi livelli contrattuali.

Le ipotesi di riforma del sistema contrattuale italiano spingono oggi, alla luce dei problemi che affliggono il sistema economico, verso un maggiore decentramento, ma ancora non si è arrivati ad una proposta che possa essere discussa e accettata con l’accordo delle parti sociali. In previsione di nuove indagini sulla relazione “struttura contrattuale- performance macroeconomica”, occorre una migliore e più precisa definizione delle ipotesi da indagare e la considerazione delle molteplici interazioni che possono svilupparsi tra ambiente economico ed istituzioni.

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