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PARTE I. INTRODUZIONE STORICA: LA TURCHIA IN EUROPA, UNA STORIA LUNGA MEZZO SECOLO

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PARTE I. INTRODUZIONE STORICA: LA TURCHIA IN EUROPA,

UNA STORIA LUNGA MEZZO SECOLO

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1. Excursus storico sulle relazioni Turchia-Ue dal 1963 al 1999

L‟incontro tra Turchia ed Europa non è solo attualità politica ma si inscrive a ritroso nella storia. Gli sviluppi più recenti della candidatura e potenziale adesione turca all‟Ue rappresentano, infatti, solo la punta di un iceberg di equilibri geopolitici complessi.

Già al termine della prima guerra mondiale un clima denso di cambiamenti aveva investito la Turchia che, sotto la guida di Atatürk, aveva visto l‟alba della Repubblica, proclamata nel 1923. Contestualmente Atatürk operò una scelta di campo ben netta: la Turchia sarebbe stata il “miglior amico” dei Paesi europei nella zona del Medio Oriente, segnando una definitiva rottura con la rivalità secolare del passato ottomano.

La scelta di diventare l‟interlocutore preferenziale dei paesi europei sortì un primo significativo effetto nell‟agosto del 1949, quando la Turchia fu ammessa al Consiglio d‟Europa, simbolo della custodia e difesa dei valori europei. «Fu deciso che la Repubblica di Turchia possedeva le due condizioni per aderire all‟Unione: essere un Paese europeo e rispettare i diritti umani, la democrazia pluralistica e lo stato di diritto. Rispetto alla seconda condizione, la costituzione turca conteneva le garanzie necessarie. All‟epoca, la questione delle credenziali europee della Turchia non fu mai sollevata, poiché l‟interesse strategico di integrare solidamente la Turchia nello schieramento occidentale, durante la Guerra Fredda, rappresentava il fattore prevalente al momento»1.

Un avvicinamento quindi forzato sin dalle origini da ragioni di opportunità strategica, sopratutto per i Paesi europei che, invero, durante tutto il primo dopoguerra, avevano guardato all‟Impero Ottomano come al grande «“malato d‟Europa”, un malato che tutte le altre potenze vorrebbero morto ma che, per opportunità di equilibri politico-strategici, salvano

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Commissione Indipendente sulla Turchia (2004), Primo Rapporto - Turchia in Europa: più che una promessa?, settembre, pp.12-13. http://www.independentcommissiononturkey.org/pdfs/2004_italian.pdf

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ripetutamente dalla distruzione»2

, una potenza decadente da cui guardarsi, sopratutto per le sue rivendicazioni territoriali, avanzate proprio mentre gli Stati europei ridisegnavano i confini del vecchio continente dopo la Grande Guerra.

Certamente l‟adesione della Turchia alla NATO (1952) rappresentò il culmine di questa strategia di contenimento da parte europea e la scelta di campo decisiva operata dalla Turchia di associare il suo futuro all‟Occidente. Inoltre, per la Turchia tutti questi erano segnali concreti della sua ascesa nel consesso delle potenze europee, che di essa avevano un innegabile bisogno e che non le avrebbero rifiutato ulteriori spazi in futuro, piccoli passi nel cammino dell‟integrazione.

Di fatto il passo successivo si può già rintracciare all‟indomani dalla nascita della Cee: ai Trattati di Roma del 1957 seguì quasi immediatamente la richiesta turca di adesione alle Comunità (presentata nel luglio 1959). Cominciarono qui a mostrarsi le prime reticenze e cautele da parte europea: l‟integrazione della Turchia nel mercato comune venne rimandata, in attesa che essa possedesse condizioni economiche adeguate; a quella si sopperì comunque con un‟associazione preferenziale della Turchia al mercato comune, prevista dall‟ Accordo di Ankara (detto anche Accordo di Associazione, sottoscritto nel settembre del 1963 ed entrato in vigore quasi un anno dopo, nel dicembre del 1964).

L‟Accordo di Ankara fu stipulato sostanzialmente allo scopo di mettere la Turchia in una condizione di attesa preparatoria all‟ingresso nella Comunità europea, istituendo un‟unione doganale che comportasse condizioni economiche di accesso preferenziale al mercato turco per le economie degli Stati europei. Essa fungeva, per la Turchia, da surrogato della Comunità stessa, alla quale non avrebbe potuto accedere nell‟immediato, e la introduceva in un regime economico che presentava delle condizioni particolari: l‟Accordo di Associazione prevedeva infatti l‟abbattimento delle barriere doganali e la libera circolazione di beni, capitali e lavoratori tra le parti contraenti, tuttavia escludeva la Turchia dai processi decisionali delle Comunità.

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Più nel dettaglio, la collaborazione codificata dall‟Accordo era suddivisa in tre fasi: una fase preparatoria, una seconda fase di transizione e una fase finale. La fase preparatoria avrebbe avuto la durata di 5 anni al massimo, durante i quali la Turchia, con l‟aiuto e sotto monitoraggio dei partners europei, avrebbe dovuto cercare di allinearsi il più possibile alle condizioni economiche europee. A questo scopo, due protocolli furono predisposti alla fine dell‟accordo per regolare le modalità finanziarie di questo aiuto comunitario. La fase di transizione, invece, prevedeva di stabilire progressivamente un‟unione doganale tra le parti e consentire un graduale sviluppo di politiche economiche concertate in materia di scambi commerciali. Questa fase sarebbe durata 12 anni al massimo e sarebbe stata preparatoria alla fase finale, quella dell‟istituzione definitiva e stabile dell‟unione doganale. Sostanzialmente l‟unione doganale prevedeva che la Turchia avrebbe adottato le tariffe doganali comuni utilizzate dalla Comunità anche per i suoi scambi commerciali con i paesi terzi e che si fosse avvicinata alle regole commerciali comunitarie per il commercio esterno. Contestualmente le parti si impegnavano a consultarsi periodicamente per favorire la circolazione di capitali e incentivarne gli investimenti nell‟economia turca da parte degli Stati membri della Comunità, contribuendo così allo sviluppo economico del Paese associato.

Nonostante l‟accordo comprendesse anche l‟istituzione di un Consiglio di Associazione, con funzioni regolatorie, di risoluzione delle controversie e promozione della cooperazione, comprendente a rotazione anche la presidenza turca e composto anche da rappresentanti turchi, altre limitazioni all‟integrazione economica della Turchia erano prontamente inserite: all‟art. 26 un lapidario enunciato statuiva che i prodotti legati alla Comunità Europea del Carbone e dell‟Acciaio fossero esclusi dall‟ambito di applicazione dell‟Accordo di Ankara. Ciononostante, il dichiarato fine ultimo dell‟accordo sarebbe stato l‟ingresso della Turchia nella Comunità, non appena essa si fosse trovata nelle condizioni di adempiere a tutte le clausole del Trattato Cee.

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legati alla prima fase del processo di realizzazione dell‟unione doganale, e caratterizzati da connotati più squisitamente economici. In particolare il primo, il Provisional Protocol, sarebbe dovuto entrare in vigore da quattro a cinque anni dalla firma dell‟Accordo e sostanzialmente fu lo strumento attraverso il quale il Consiglio di Associazione si adoperò a dettare regole e tempistiche della seconda fase, quella transitoria, in considerazione dell‟importanza che rivestivano alcuni prodotti turchi per i mercati europei. A tal proposito all‟art. 9 di tale protocollo si stabiliva che la Turchia dovesse estendere a tutti i Paesi membri della Comunità lo stesso trattamento economico-commerciale e cioè il più favorevole fra tutti quelli che già stesse riservando ai diversi Stati membri presi singolarmente. Il secondo protocollo, a carattere finanziario, stabiliva invece i criteri economici per promuovere e accelerare lo sviluppo dell‟economia turca in linea con l‟attuazione delle finalità dell‟Accordo; il Protocollo Finanziario riportava elementi tecnici come la portata degli aiuti e dei prestiti che i Paesi europei avrebbero elargito alla Turchia. Il protocollo prevedeva inoltre l‟armonizzazione della legislazione economica da parte turca rispetto a quella dei paesi europei. Si calcola che attraverso il Protocollo Finanziario, che ha coperto il periodo dal 1963 al 1970, la Cee abbia elargito prestiti alla Turchia per un totale di 175 milioni di ECU3.

L‟unione doganale tra Paesi Cee e Turchia fu stabilita formalmente nel 1970 dal Protocollo Aggiuntivo (tuttavia essa divenne effettiva solo nel 1996), nel quale sono delineate nel dettaglio le modalità di abbattimento dei dazi e delle barriere all‟importazione di merci provenienti dalla Turchia. Allo stesso modo la Turchia si sarebbe adoperata al fine di eliminare tutte le barriere non solo doganali ma anche normative, impegnandosi in un‟opera di riforma e armonizzazione della legislazione in campo economico e favorendo la libera circolazione delle persone nell‟area considerata nell‟arco dei 12-22 anni successivi all‟entrata in vigore del Protocollo.

Dalle stime del Segretariato Generale per gli Affari Europei della Turchia,

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Republic of Turkey – Prime Minister, Secretariat General General for EU Affairs, History of Turkey-EU relations. Consultabile sul sito istituzionale al seguente link http://www.abgs.gov.tr/index.php?p=111&l=2

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l‟agricoltura turca, nel solo anno 1971, ha beneficiato dei nuovi vantaggi di questo regime doganale preferenziale per l‟equivalente di circa il 92% del totale delle esportazioni, ponendo di fatto la Turchia nella posizione di partner commerciale fra i più favoriti nell‟area del Mediterraneo4.

L‟Accordo di Associazione aveva chiaramente gettato delle premesse che, da quel momento in poi, avrebbero progressivamente avvicinato la Turchia alla Comunità: essa, infatti, iniziò a nutrire un interesse più profondo per l‟Europa, con cui cercò, da quel momento, di intessere rapporti sempre più fitti, andando oltre il semplice impegno nel campo commerciale. Del resto l‟unione doganale, e i nuovi parametri economico-commerciali fissati, avevano spinto la Turchia ad abbandonare la storica politica autarchica per aprirsi sempre più verso l‟Occidente. Dal punto di vista politico, invece, già nel 1973, in seguito all‟entrata in vigore del Protocollo Addizionale, la Turchia faceva sentire sempre di più la sua presenza in termini di richiesta di apertura dei negoziati per l‟adesione alla Comunità.

Negli anni Ottanta si consumò una breve rottura delle relazioni tra la Turchia e i Paesi comunitari: l‟occupazione turca di Cipro del nord, iniziata nel 1974 e tutt‟ora in atto, gli eventi interni turchi degli anni Ottanta, il colpo di stato, l‟ascesa al potere dei militari, le ripetute lotte intestine, avevano segnato irreparabilmente l‟aspetto delle relazioni con i vicini europei, i quali adesso guardavano con diffidenza ad una partnership anche politica con la Turchia.

Un primo segnale di questa rottura si era avuto già nel 1978, quando la Turchia rifiutò la proposta comunitaria di una membership con la Grecia e volle sospendere le obbligazioni dell‟unione doganale, richiedendo nel contempo aiuti pari a circa 8 miliardi di dollari5, per far fronte, diceva, alle difficoltà economiche che stava attraversando, dovute in parte

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Quanto a esportazioni di prodotti agricoli verso i Paesi della Comunità, superando persino paesi come Grecia, Spagna e Portogallo, che in seguito, a differenza della Turchia, entrarono nella Comunità.

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Republic of Turkey – Prime Minister, Secretariat General General for EU Affairs, Chronology of Turkey-European Union relations (1959-2009). http://www.abgs.gov.tr/index.php?p=112&l=2

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all‟adeguamento agli standard europei imposto dall‟Accordo di Ankara. Queste tensioni, associate alla controversa vita politica interna della Turchia, cominciarono ad incrinare l‟equilibrio che si era venuto a creare.

Il 30 giugno del 1980 il Consiglio di Associazione eliminò tutte le obbligazioni doganali a carico delle produzioni agricole turche; il 12 settembre dello stesso anno le relazioni tra Turchia e la Ce furono de facto sospese a seguito del prepotente ingresso dei militari nella politica turca.

Nel gennaio del 1982, su decisione del Parlamento europeo, si interruppe l‟esecuzione dell‟accordo di unione doganale. Ad ogni modo, già a partire dalle elezioni multipartitiche del 1983, i rapporti ricominciavano ad assumere un aspetto molto più disteso. Il 16 settembre 1986 la Turchia e il Consiglio di Associazione della Cee trovarono un‟intesa che riportò alla quasi normalità le loro relazioni, cosa che indusse la Turchia a presentare richiesta di adesione nell‟aprile del 1987. La richiesta turca avvenne non in virtù delle clausole contenute nell‟Accordo di Ankara, ma piuttosto su basi diverse, come le premesse gettate dall‟art. 237 del Trattato di Roma6

per le future adesioni o richieste di adesione alla Ce.

Nel dicembre del 1988 ancora una volta fu confermata la sussistenza di relazioni preferenziali con la Turchia, relazioni che però non la rendevano ancora pronta all‟ingresso, giacchè, sopratutto dopo la sospensione delle obbligazioni dell‟unione doganale nel 1978, il suo iter di adeguamento aveva subìto un rallentamento. Inoltre quelli furono anni critici anche per l‟Europa: l‟Atto Unico, entrato in vigore nel 1987, poneva gli Stati membri davanti a sfide di integrazione già di per sè molto impegnative, che finirono per mettere a dura prova la stessa coesione interna alla Comunità. Prova ne fu il fatto che la Commissione europea, nel dicembre dell‟89, affermò la necessità di posporre la discussione sulla candidatura turca al

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«Ogni Stato europeo può domandare di diventare membro della Comunità. Esso invia la sua domanda al Consiglio che, dopo aver chiesto il parere della Commissione, si pronuncia all‟unanimità. Le condizioni per l‟ammissione e gli adattamenti del presente Trattato, da questa determinati, formano l‟oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti, conformemente alle loro rispettive norme costituzionali» (Art.237, Parte sesta: Disposizioni generali e finali, Trattato di Roma, 1957). In virtù del suddetto articolo, il diritto di presentare la candidatura all‟adesione era conferito a tutti i Paesi che, geograficamente, fossero considerati parte del continente europeo.

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previo completamento del mercato unico europeo e dell‟integrazione interna alla Comunità stessa. Tuttavia questo rinvio recava in sè un significato diverso rispetto ad un semplice rifiuto: il fatto che la candidatura fosse rimandata e non rigettata, come lo era stata invece quella del Marocco, presentata negli stessi anni, lasciava presupporre la presenza di una volontà ad accogliere, presto o tardi, la Turchia in Europa, poiché essa possedeva le caratteristiche di base, non solo geografiche ma anche relative a comuni origini culturali, che la rendevano ideonea ad essere considerata un Paese europeo. Il problema era solo il suo adeguamento, politico ed economico in primo luogo.

Tuttavia il rifiuto della candidatura turca nell‟87 ebbe ripercussioni non indifferenti sui rapporti con Ankara. In primo luogo, le pregresse relazioni tra i due partners avevano lasciato presagire una risposta positiva da parte europeaalla richiesta di candidatura turca, che invece poi non arrivò. In secondo luogo, alla luce dei fatti turco-ciprioti degli anni Settanta, il rifiuto della candidatura turca, lo Stato che da più tempo (10 anni) aveva avuto l‟eleggibilità alla candidatura senza mai ottenerla ufficialmente, fu vissuta dalla Turchia come uno schiaffo morale.

Nel frattempo, l‟unione doganale, già annunciata nell‟Accordo di Ankara, volgendo a compimento nell‟anno 1995, suonava quasi come un tentativo di rimediare al mancato accoglimento della Turchia nell‟Unione e alla mancata approvazione di un pacchetto di misure di cooperazione preferenziale con essa (il cosiddetto "Matutes Package"), proposto dalla Commissione negli anni subito seguenti alla candidatura, ma respinto dal Consiglio nel „90 a causa dell‟opposizione greca.

La Turchia comunque, in quegli anni, aveva portato a compimento un processo di adeguamento alla Tariffa Esterna Comune dell‟Unione, che applicò anche agli scambi commerciali con i Paesi terzi, e aveva abbattuto ogni tassazione doganale sui beni industriali importati o esportati da e verso i Paesi dell‟Ue. In questo modo si realizzava lentamente quella armonizzazione economica tanto auspicata dalla Commissione quale presupposto per la

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candidatura turca.

Restava tuttavia escluso dal regime di unione doganale il settore agricolo, settore primario dell‟economia turca non soltanto allora ma a tutt‟oggi; era previsto, ad ogni modo, un monitoraggio europeo sulla produzione di beni agricoli, per la quale del resto la Turchia già faceva riferimento alla Politica Agricola Comune (PAC) in materia di prezzi e di garanzie di accesso al mercato. Dal 1° gennaio 1998 questi prodotti beneficiarono di un regime commerciale preferenziale mentre l‟Unione si impegnava a garantire il proprio impegno e supporto nel miglioramento degli standard produttivi e qualitativi e nella tutela degli interessi propri di questo importantissimo settore dell‟economia turca.

La Turchia, inoltre, avviava un processo di armonizzazione della legislazione in materia economica, finalizzata sopratutto alla standardizzazione delle norme economiche, in special modo in materia di tutela delle proprietà intellettuali, industriali e commerciali, di protezione del consumatore e rispetto dei criteri qualitativi, di garanzia di non discriminazione sia nella produzione che nella messa in vendita dei beni commerciali e industriali. Questa fase di monitoraggio e di assistenza alla promozione dello sviluppo economico della Turchia sarebbe dovuta durare 5 anni e prevedeva anche la creazione di un‟autorità congiunta per la concorrenza (“Competition Authority”), posta a controllo dell‟effettiva armonizzazione legislativa in materia di monopoli statali in Turchia.

A copertura dell‟indebitamento potenziale a cui la Turchia sarebbe andata incontro per mettersi al passo con l‟economia europea, l‟Unione predispose aiuti a sostegno dell‟economia turca, nell‟ambito degli strumenti di cooperazione finanziaria, pari a circa 2,2 miliardi di ECU7, spalmabili sul suddetto periodo di 5 anni. Questo ammontare non è mai stato trasferito a causa di forti resistenze politiche in seno all‟Ue, dovute sopratutto all‟opposizione greca.

Nel 1997 il Consiglio Europeo di Lussemburgo inflisse una determinante battuta d‟arresto al negoziato con la Turchia, negandole lo status di candidato che venne invece, nella

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Republic of Turkey – Prime Minister, Secretariat General General for EU Affairs, History of Turkey-EU relations.

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stessa sede, conferito ad altri Paesi, i quali, apparentemente, secondo l‟opinione della classe politica turca, non presentavano per certi aspetti, sopratutto economici, condizioni di molto più favorevoli a renderli più idonei rispetto alla Turchia alla candidatura. La decisione era tuttavia dettata dall‟ancora carente ottemperanza della Turchia al rispetto dei Criteri di Copenhagen.

I Criteri di Copenhagen, cui si rimanda continuamente quale punto di riferimento per valutare l‟idoneità turca allo status di candidato, furono enunciati nel 1993 dal Trattato di Maastricht (art.49) e ad oggi costituiscono il fondamento di base imprescindibile per il successo di qualsiasi negoziato di adesione all‟Ue. Essi costituiscono, dunque, l‟elemento che maggiormente pregiudica l‟ingresso della Turchia e, nonostante essa sia stata formalmente considerata, nel 2004, in linea con i suddetti criteri, ancora molti progressi rimangono da compiere sulla strada del pieno adeguamento.

I Criteri di Copenhagen si distinguono in tre tipologie:

Criterio politico: impone che uno stato, per potersi definire “democratico” debba possedere istituzioni stabili e connotati giuridici che lo rendano idoneo ai principi dello stato di diritto, ossia il rispetto e la tutela dei diritti umani, delle minoranze, delle libertà che tipicamente stanno a fondamento di tutte le democrazie (libertà di espressione, di associazione, diritti di partecipazione politica, etc.).

Criterio economico: implica che lo stato candidato possieda un‟economia sana e stabile, fondata sul libero mercato ed in grado di affrontarne gli eventuali contraccolpi. Ad un buono stato di salute del sistema economico, il presente criterio somma anche il dovere di rispetto degli obblighi derivanti dall‟adesione, ivi compresi quelli finanziari, quindi stabilità monetaria oltre che economica.

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obblighi giuridici comuni agli Stati membri così come stabiliti dalla corte di giustizia e dai trattati e dagli atti adottati nell‟ambito del secondo e del terzo pilastro. Per poter essere considerato idoneo un Paese candidato deve dunque accettare e recepire nel proprio ordinamento tutto quell‟insieme di fattispecie giuridiche che fanno parte del sistema europeo e che ne rispecchiano, infine, anche i valori morali e culturali.

Questi criteri sono divenuti a tutti gli effetti la cartina di tornasole per valutare l‟ammissibilità dell‟adesione all‟Ue di qualsiasi Stato candidato, ammissibilità che viene meno qualora manchi anche uno solo dei suddetti criteri.

Sulla strada dell‟adeguamento ad essi, cioè prima che un Paese venga formalmente considerato candidato e quindi si aprano i negoziati di adesione, è stata preposta una fase preparatoria, detta “strategia di preadesione”8, in cui le istituzioni dell‟Ue, attraverso un dialogo strutturato, supportano e forniscono al potenziale candidato gli strumenti e le linee guida per riuscire con successo in questo adeguamento ai Criteri.

“Agenda 2000”, report pubblicato dalla Commissione presieduta da Jacques Santer nel luglio 1997, aveva già anticipato le conclusioni del Consiglio Europeo di Lussemburgo di quello stesso anno, affermando e confermando l‟eleggibilità della Turchia ma sottolineando nel contempo le grandi difficoltà, sopratutto politiche, che ancora ostacolavano una effettiva adesione. La Commissione Santer propose l‟apertura dei negoziati di allargamento solo con Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia, Estonia e Cipro. Fu confermata l‟eleggibilità della Turchia sulla base dell‟Accordo di Ankara del 1963; tuttavia la Commissione sostenne anche che la Turchia, pur essendo un Paese europeo, non sarebbe stata interessata da un immediato coinvolgimento nel processo di allargamento9.

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Stabilita, questa, dal Consiglio Europeo del Lussemburgo (dicembre 1997). Per ulteriori approfondimenti si veda la sezione dedicata sul sito dell‟Ue http://europa.eu/scadplus/glossary/preaccession_strategy_it.htm

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«The Luxembourg European Council of December 1997 confirmed at the highest level “Turkey's eligibility for accession to the European Union”. The Heads of State and Government also decided to draw up a strategy “to

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Queste conclusioni irritarono i vertici politici turchi che iniziarono a considerare ambiguo e poco trasparente l‟atteggiamento dell‟Unione nei loro riguardi; essi rifiutarono, quindi, tutte le proposte di strategie di pre-adesione, così come l‟invito a partecipare alle Conferenza europea di Londra del marzo 1998; ruppero così, ancora una volta e per breve tempo, le relazioni diplomatiche con l‟Europa, non riuscendo ad intravedere una conseguenza logica tra il confermare ancora una volta l‟eleggibilità (condizione invariata sin dai tempi dell‟Accordo di Ankara) e il contestuale rifiuto di conferirle lo status di candidato.

Questa apparente discrepanza logica si può tuttavia spiegare alla luce della storia dell‟integrazione europea. Va ricordato, innanzi tutto, che la trasformazione della Comunità europea in Unione europea fu molto più che un semplice cambiamento di denominazione: il Trattato di Maastricht (1992) delineò un nuovo sistema-Europa, basato non più soltanto sul predominio dell‟economico (sebbene si trattasse del Trattato “monetarista” per eccellenza) ma su una nuova più profonda integrazione politica. Detto ciò, i criteri economici, un tempo i soli regolatori dell‟eleggibilità della Turchia, cominciarono a non essere più sufficienti da soli sotto la nuova ottica di un‟integrazione anche politica. Del resto l‟art. 49 del TUE codificò nuovamente i criteri per presentare la candidatura all‟Unione (i Criteri di Copenhagen, appunto), criteri che sostituirono quelli contenuti nel già citato art.237 del Trattato di Roma (essenzialmente di compatibilità geografica): adesso che l‟Unione europea era anche un‟entità

prepare Turkey for accession by bringing it closer to the European Union in every field. This strategy should consist in development of the possibilities afforded by the Ankara Agreement, intensification of the Customs Union, implementation of financial cooperation, approximation of laws and adoption of the Union acquis; participation, to be decided case by case, in certain programmes and certain agencies…”. […] The European Council also indicated that Turkey would be invited to participate in the European Conference on the same basis as the other applicant countries».

«Turkey has shown its ability to adopt and implement the bulk of the legislation stipulated in the Customs Union Decision by the deadlines. It must now show a similar determination in those sectors where the obligations have not been met on time. It has already begun the process of alignment on Community laws in most of the areas identified in the European strategy, though much remains to be done, particularly in the field of the internal market (including public contracts), agriculture and the environment. In sectors coming under neither the customs union nor the European strategy, Turkey still has a long way to go regarding the adoption of the acquis. While Turkey has undeniably shown that it has the administrative and legal capacity to apply the acquis in the context of the customs union , it is not possible at this stage to offer an opinion on its future capacity regarding other areas of the acquis which have not yet been transposed».

European Commission (1998), Regular report on Turkey’s progress towards accession. Introduction (p.7), Conclusion (pp. 53-54)

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politica, uno Stato candidato avrebbe dovuto possedere requisiti politici facenti capo al rispetto dei principi di libertà, democrazia, del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.

Ai criteri di Copenhagen si aggiungevano poi, specificatamente per la Turchia, altri criteri che costituivano il presupposto essenziale per l‟accettazione del suo status di candidato: la necessità di intessere dei buoni rapporti di vicinato, sopratutto in riferimento a Grecia e Armenia per le annose questioni di confine, in conformità con il principio di pacifica risoluzione delle controversie contenuto nella Carta delle Nazioni Unite. La normalizzazione dei rapporti con Cipro era un altro scoglio da superare sulla strada dell‟auspicata candidatura all‟Ue: la Turchia si sarebbe dovuta impegnare al ristabilimento di rapporti normali, tentando di appianare le tensioni che ormai da un ventennio la opponeva a Cipro. Infine, il completamento delle obbligazioni derivanti dall‟unione doganale era un ulteriore gradino sulla scala dei criteri a cui era subordinata la candidatura turca.

Il Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 fu un momento determinante di riavvicinamento e ristabilimento delle relazioni bilaterali Turchia-Ue. Esso fu preceduto da positivi reciproci passi avanti di “riappacificazione” tra Ue e Turchia: nel settembre dello stesso anno, infatti, a seguito del violento terremoto che un mese prima aveva scosso la parte settentrionale della Turchia, il Consiglio approvò una serie di pacchetti che prevedevano lo stanziamento di aiuti, per un totale di circa 150 milioni di euro, mentre la Banca Europea degli Investimenti stanziò un prestito di circa 600 milioni di euro per la ricostruzione10. Fondi che stavolta furono effettivamente trasferiti, contrariamente a quelli in precedenza bloccati dal veto greco.

Nel frattempo la Commissione auspicava, nel suo secondo rapporto sui progressi ottenuti dalla Turchia all‟ottobre 1999, che fosse riconosciuto alla Turchia lo status di candidato in vista dell‟imminente Consiglio Europeo di Helsinki. Risultato che fu ottenuto e che innescò in Turchia un‟ondata di riforme senza precedenti.

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Republic of Turkey – Prime Minister, Secretariat General General for EU Affairs, History of Turkey-EU relations.

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2. Helsinki, la grande svolta (dicembre 1999)

Il Consiglio europeo di Helsinki ebbe il determinante ruolo di ricucire lo strappo creatosi tra Turchia ed Unione europea, scongiurando per un lungo periodo l‟insofferenza turca verso un‟Europa che, ai suoi occhi, le dimostrava esitazione e stava, già da troppo tempo, trovando pretesti per escludere di volta in volta la sua candidatura.

Del resto non fu mai del tutto chiaro come i vertici del Consiglio europeo avessero potuto, già nel 1999, cambiare atteggiamento sulla candidatura della Turchia, a soli due anni dal Consiglio europeo del Lussemburgo che, invece, ne aveva dichiarato la non idoneità, elencando tutta una serie di gravi e comprovati motivi, tra cui il mancato rispetto dei fondamentali criteri di Copenhagen.

A Helsinki, tuttavia, le autorità politiche europee, pur confermando l‟imprescindibilità dei suddetti criteri, introdussero nuove priorità, per le quali auspicavano sforzi congiunti e simultanei su più fronti. Si iniziò a parlare, quindi, di allargamento associato all‟approfondimento, inteso nel senso di una riforma istituzionale in seno all‟Ue, per renderla pronta, dal punto di vista della coesione e integrazione politica interna, ad accogliere i nuovi membri, i quali dal canto loro si sarebbero impegnati nel frattempo sulla strada tracciata dai criteri di Copenhagen.

Si legge infatti nelle conclusioni del Consiglio di Helsinki: «L'Unione ha assunto il fermo impegno politico di adoperarsi al massimo per portare a termine la Conferenza intergovernativa sulla riforma istituzionale entro il dicembre 2000, a cui seguirà la ratifica. Dopo la ratifica dei risultati della Conferenza l'Unione dovrebbe essere in grado di accogliere nuovi Stati membri a partire dalla fine del 2000, non appena essi avranno dimostrato la loro capacità di assumere gli obblighi inerenti all'adesione e dopo che il processo di negoziato sarà

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stato concluso con successo»11

.

A Helsinki, ad ogni modo, la Turchia guadagnava lo status di candidato. Ancora una volta, però, un traguardo incompleto: non si specificò, come per gli altri Paesi, un termine entro il quale fosse previsto l‟ingresso effettivo della Turchia nell‟Unione, o, in altre parole, la data di avvio del negoziato di adesione.

Gli Stati membri dell‟Ue avevano, ad ogni modo, cambiato la loro strategia nelle relazioni con questo Paese, introducendovi il cosiddetto principio di differenziazione. Esso implicò il fatto che ogni Paese, benchè fosse candidato, avrebbe avuto dei tempi propri di adeguamento nell‟ambito di un negoziato il cui termine e adesione finale non sarebbe stato più indicato al momento dell‟apertura (come invece si faceva in passato). Ciò consentiva a Paesi concretamente non pronti ma che dimostravano di compiere notevoli sforzi per mettersi al passo con i criteri indicati per la candidatura, come lo era la Turchia, di beneficiare comunque dello status di candidato. In sostanza “candidatura” significava e sostituiva “eleggibilità”.

Questo cambiamento della strategia di allargamento europea si potè osservare principalmente nei casi in cui l‟Ue si trovò a negoziare per gruppi di Paesi candidati. Ancora nelle conclusioni di Helsinki si legge: «Si constata che alcuni candidati non saranno in grado di soddisfare tutti i criteri di Copenhagen a medio termine. La Commissione intende riferire all'inizio del 2000 al Consiglio in merito ai progressi compiuti da alcuni Stati candidati nell'adempimento dei criteri economici di Copenhagen. Le prossime relazioni periodiche sui progressi compiuti saranno presentate in tempo utile per il Consiglio europeo del dicembre 2000»12.

E‟ chiaro quindi che la nuova strategia europea, basata sul principio di differenziazione, che analizzava in itinere e periodicamente i progressi compiuti dagli Stati

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Consiglio europeo di Helsinki (1999), Conclusioni della Presidenza, Helsinki, 10 e 11 dicembre, parte I, paragrafo 5. http://www.europarl.europa.eu/summits/hel1_it.htm#1

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candidati, implicò un nuovo impegno di assistenza e controllo, assunto dalla Commissione nella redazione periodica di reports sui progressi compiuti da ciascun Paese candidato, monitorandone così il cammino di adeguamento ai criteri di Copenhagen.

Il principio di differenziazione fu solo uno di alcuni fattori che consentirono il cambiamento di strategia anche nei riguardi della Turchia. Tra gli Stati membri, poi, notevoli furono i rinnovati atteggiamenti di Germania e Grecia, storicamente i principali oppositori della candidatura turca13. In Germania, nel 1998, si realizzò un ricambio al vertice politico, con l‟elezione del nuovo cancelliere socialista Schröder al posto del cristiano Kohl, che aveva una concezione di Europa come una sorta di “Club cristiano”. Con l‟affermarsi un po‟ ovunque in Europa di un approccio socialista e multiculturale, si generarono ricadute positive anche sulla candidatura turca.

Per quanto riguarda la Grecia, invece, il suo cambiamento di atteggiamento verso la Turchia si realizzò su due fronti: in primo luogo la Grecia strumentalizzò la candidatura di Cipro all‟ingresso nell‟Unione come condizione per eliminare il suo veto alla candidatura turca; in secondo luogo, con i due terremoti che scossero sia Turchia che Grecia, nell‟agosto e nel settembre del 1999, crebbe un generale sentimento di solidarietà e riavvicinamento tra i due popoli. Inoltre, ad Helsinki il Consiglio europeo ribadì la necessità per tutti i Paesi, membri e candidati, di appianare le divergenze, in primo luogo quelle territoriali, sulla base di quanto sancito dalla Carta delle Nazioni Unite: se questo non si fosse verificato, era fatto loro invito ad appellarsi alla Corte internazionale di Giustizia per ottenerne la risoluzione entro un ragionevole lasso di tempo. Se infine questo altro tentativo non fosse andato a buon fine, il

13

La Germania, in particolare, teme da sempre l‟ingresso della Turchia nell‟Ue per il rischio reale e concreto di riceverne ondate migratorie massicce a seguito dell‟apertura delle frontiere alla libera circolazione delle persone. Questo dubbio è tuttora particolarmente fondato a causa della grande presenza di immigrati turchi in Germania, risalente al primo dopoguerra quando il governo tedesco incentivò l‟immigrazione di forza lavoro turca. Oggi il rischio che la presenza turca si moltiplichi a ritmi esorbitanti è reale, anche solo per ragioni di ricongiungimento familiare, se la libera circolazione delle persone fosse estesa alla Turchia col suo ingresso. Le reticenze della Grecia, invece, si giustificano con le annose questioni di frontiera, risalenti anch‟esse al primo dopoguerra: il regime degli Stretti, stabilito coi trattati di pace, che di fatto privò la Turchia della sovranità sulle isole egee, il ridisegnamento dei confini, che fece perdere alla Grecia Smirne e parte della Tracia, le dispute tuttora irrisolte circa la questione di Cipro.

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Consiglio stesso si sarebbe riservato l‟onere di agire in qualità di giudice delle controversie, per assicurarne la risoluzione entro il 2004 e per non pregiudicare il buon andamento del processo europeo di allargamento.

Altro elemento determinante, nel cambiamento di strategia europea sull‟allargamento, fu l‟insediamento della nuova Commissione Prodi, particolarmente “pro-allargamento”14. Del resto, nel suo discorso al momento dell‟insediamento, nell‟ottobre 1999, Romano Prodi aveva definito le conclusioni del Consiglio europeo del Lussemburgo nei riguardi della Turchia un grave errore15

, in un contesto in cui l‟Europa aveva una stretta necessità di mantenere dei rapporti di vicinato il più possibile solidi e stabili.

A tal proposito, altro e importante fattore di influenza fu la crisi del Kosovo (1999): essa rivelò innanzitutto l‟inadeguatezza della politica di sicurezza e difesa europea, che aveva reso necessario l‟intervento delle forze NATO a causa della debole capacità di gestione delle crisi da parte europea. Un primo passo nel rafforzamento della PESC (Politica estera di sicurezza comune) e della PESD (Politica estera di sicurezza e difesa) europee fu quindi il porre l‟Europa al centro di un equilibrio di forze e cooperazione con gli Stati confinanti, sia per rendere più sicuri i confini stessi dell‟Ue, sia per collocare quest‟ultima in una posizione di leadership di sicurezza nell‟area europea. Insomma, come osserva Christensen, «La capacità dell‟Ue di promuovere processi di democratizzazione nei Paesi candidati ha fatto della politica di allargamento il suo strumento di politica esterna di maggiore successo»16.

Del resto il Consiglio europeo di Helsinki si concentrò anche su problematiche relative

14

Prodi Romano, Presentazione al Parlamento europeo, Relazione e raccomandazione della Commissione sulla candidatura della Turchia, Parlamento europeo, Bruxelles, 6 ottobre 2004.

http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/europa/notizia_20040.html_2 84459838.html

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«Il rischio nell‟assumere questa “linea dura” è che i Paesi interessati, avendo già compiuto grandi sforzi e sacrifici, diventeranno disillusi e ci volteranno le spalle (...). Sviluppi recenti, come l‟aggravamento della crisi del Kosovo, estendono le questioni geopolitiche relative alla prospettiva di membership per i Paesi europei che non fanno parte del processo di allargamento». Discorso di Romano Prodi del 13 ottobre 1999, citato in: Christensen M.B. (2009), “EU-Turkey relations and the functioning of the EU”, Access TR - Mobilizing Local Networks for a Better Informed Dialogue on Turkey’s Accession to the EU, Center for European Studies (CES), Maggio. (mia traduzione).

http://accesstr.ces.metu.edu.tr/dosya/christensen.pdf

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alla sicurezza e alla politica estera europea, sottolineando, tra l‟altro, la necessità di porre un accento sulla sicurezza nucleare nell‟Europa centrale e orientale e guardando al processo di allargamento anche e sopratutto sotto un‟ottica funzionale a questo bisogno di sicurezza.

Infine, un ruolo importante nel favorire la grande svolta di Helsinki giocò l‟Associazione Turca di Industriali e Uomini d‟affari, la TÜSIAD (Türk Sanayicileri ve

İşadamlari Derneği). Le élites industriali turche portarono avanti un‟intensa attività di lobbying, l‟elemento che ha indotto in particolare al cambiamento di rotta delle classi

politiche tedesca e greca nei riguardi della Turchia.

A tutti questi fattori contingenti si aggiunge che il già citato principio di differenziazione ha funto da espediente, consentendo all‟Ue di attribuire alla Turchia lo status di Paese candidato all‟adesione, nonostante non avesse ancora ottemperato al rispetto di tutti i criteri di Copenhagen, ma privando di fatto l‟Ue di qualsiasi obbligazione inerente la tempistica del negoziato, il cui termine, in precedenza, avrebbe dovuto essere fissato al momento stesso dell‟apertura. Del resto, nessun negoziato fu aperto con la Turchia con il semplice riconoscimento dello status di candidato. Ciò consentì anche di approntare tutta una serie di incentivi per lo Stato candidato, affinché esso potesse continuare sulla strada delle riforme preparatorie alla sua membership ed evitando di imporgli specifici impegni e responsabilità a scadenza.

La Turchia, quindi, avrebbe beneficiato della possibilità di partecipare alle agenzie, ai programmi comunitari e ai vari meeting tra Paesi candidati e Ue, nell‟ambito dei processi di adesione. Essa fu inoltre inclusa nella strategia europea di preadesione, atta a monitorarne costantemente i progressi conseguiti. Tutto ciò prevedeva, inoltre, la futura imminente attivazione di un partenariato per l‟adesione, poi istituito nel 2001, con la funzione di delineare una lista di priorità e obiettivi da attuare come condizione preliminare per l‟apertura del negoziato.

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3. Gli anni cruciali (2000-2005)

In seguito alla candidatura turca decisa al Consiglio europeo di Helsinki, si innescò immediatamente in Turchia un circolo virtuoso di riforme, allo scopo di adeguarsi prima possibile agli standard imposti dai criteri di Copenhagen. Per questa ragione, gli anni 2000-2005, subito successivi a Helsinki, furono considerati gli “anni d‟oro”17 del processo di

avvicinamento all‟Europa da parte della Turchia, poiché il Paese si dotò di meccanismi di ammodernamento interno senza precedenti e in tempi straordinariamente rapidi.

In primo luogo, a soli 4 giorni dal Consiglio europeo di Helsinki, il governo turco di Bülent Ecevit proclamò nell‟immediato l‟intenzione di abolire le restrizioni che già da tempo gravavano sulla minoranza curda, riferendosi in particolare a quelle restrizioni in materia di

media e di libertà di informazione in lingua curda.

Il 4 luglio del 2000, poi, il governo turco istituì, con la Legge 4587, il Segretariato Generale per gli Affari Europei, strettamente connesso al Primo Ministro, anche in attuazione di quanto prescritto dalle stesse conclusioni di Helsinki, e cioè l‟avvio di un programma nazionale per l‟assimilazione all‟acquis.

I lavori preparatori della Commissione europea portarono all‟approvazione, nel marzo 2001, da parte del Consiglio europeo per gli Affari Generali, del programma di partenariato per l‟adesione. Così, mentre nel 2000 il Parlamento turco aveva già avviato la riforma costituzionale (circa un terzo della Costituzione turca, risalente ancora al colpo di stato militare del 1982 e ormai obsoleta, era stata emendata) tramite otto di pacchetti di riforme, a partire da quel momento intensificò gli sforzi finalizzati ad allineare l‟ordinamento interno a quello europeo (il contenuto e la portata di queste riforme saranno analizzati più nel dettaglio

17

Commissione Indipendente sulla Turchia (2009), Secondo Rapporto - Turchia in Europa. Rompere il circolo vizioso, settembre, p.14. http://www.independentcommissiononturkey.org/pdfs/2009_italian.pdf

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nella parte II del presente elaborato).

Il partenariato per l‟adesione, basato sulla strategia di “pre-adesione”, fu organizzato per singole politiche. Per facilitare il negoziato il corpo legislativo dell‟Ue fu diviso per “capitoli”: ad ogni capitolo corrispondeva, in sostanza, una singola politica in relazione alla quale lo Stato candidato avrebbe dovuto porre in essere un processo di adeguamento interno e di armonizzazione legislativa con la normativa comunitaria.

In totale si contano trentacinque capitoli18: la maggior parte di questi non sono ancora stati aperti, alcuni sono stati aperti ma attualmente risultano sospesi. Al momento dell‟apertura dei negoziati, nell‟ottobre 2005, solo 8 capitoli furono aperti: diritto societario; diritto sulla proprietà intellettuale; statistiche; politica di impresa e industriale; reti trans-europee; scienza e ricerca; protezione del consumatore e dell‟ambiente; controllo finanziario. Recentemente il capitolo scienze e ricerca è stato provvisoriamente chiuso.

Tutto ciò contribuì quindi ad un avvicinamento reciproco dai ritmi incalzanti; in quegli anni l‟operato e gli straordinari progressi della Turchia venivano lodati ad ogni Consiglio europeo.

Altra tappa importante nel processo di avvicinamento della Turchia all‟Europa fu il Consiglio europeo di Laeken, del dicembre 2001, che segnò un importante traguardo, soprattutto tramite un riconoscimento esplicito dell‟importanza della Turchia per la politica di sicurezza e difesa europea, in particolare in riferimento alla questione di Cipro. Per la prima volta, quindi, la Turchia ricevette esplicita menzione ad un livello più alto, con la decisione, assunta a Laeken, di includere questo Paese nella Convenzione sul futuro dell‟Europa, in qualità di partecipante ad un livello paritario rispetto agli altri Paesi candidati. La Turchia,

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Libera circolazione dei beni; libera circolazione dei lavoratori; diritto di stabilimento e libertà di fornire servizi; libera circolazione dei capitali; approvvigionamento pubblico; diritto societario; diritto sulla proprietà intellettuale; politica di competizione; servizi finanziari; società d‟informazione e media; agricoltura e sviluppo rurale; sicurezza alimentare e politiche veterinarie e fitosanitarie; PESCa; politica dei trasporti; energia; tassazione; politica economica e monetaria; statistiche; politiche sociali e impiego; politiche di impresa e industriali; reti trans-europee; politica regionale e coordinamento degli strumenti strutturali; magistratura e diritti fondamentali; giustizia, libertà e sicurezza; scienza e ricerca; educazione e cultura; ambiente; protezione del consumatore e dell‟ambiente; unione doganale; relazioni esterne; politica estera, di sicurezza e difesa; controllo finanziario; disposizioni finanziarie e di budget; istituzioni; altre problematiche.

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dunque, partecipò ai lavori della Convenzione con due rappresentanti parlamentari ed uno governativo: questa partecipazione fu un punto di svolta, che inserì definitivamente la Turchia nei meccanismi di costruzione dell‟Europa del futuro.

La carenza più grave di questa fase, che le autorità politiche turche avvertirono come una grave lacuna del processo nel dialogo Turchia-Ue di quegli anni, fu la mancata attivazione, in quella stessa sede, del processo di screening della candidatura turca finalizzato al negoziato, che invece fu attivato solo nel 2005. Questo fu, a loro avviso, uno dei principali sintomi del presunto trattamento discriminatorio che le istituzioni europee ponevano in essere nei riguardi della Turchia; problematica questa che fu in seguito esplicitamente scongiurata nelle conclusioni di Helsinki (in cui si affermò appunto che ogni negoziato con uno Stato candidato sarebbe stato portato avanti in maniera assolutamente non discriminatoria e imparziale19).

Proprio perché l‟eventualità di una Turchia in Europa si faceva in quegli anni sempre più verosimile, l‟opinione pubblica cominciò a dividersi tra ottimisti e scettici, questi ultimi influenzati non poco da storici pregiudizi, convinti dell‟incompatibilità storico-sociale e identitaria turca con quella europea.

Così, ad esempio, mentre il Parlamento europeo si rallegrava dei progressi ottenuti a Cipro dalle due delegazioni greco-cipriota e turco-cipriota nel dialogo reciproco, d‟altro canto si rammentava la necessità che i rappresentanti delle due comunità si trovassero ad agire in condizione di imparzialità e libertà di scelta, che detenessero, cioè, a livello internazionale, la rappresentanza delle due minoranze, ciascuna in qualità componenti di uno stato bizonale e bicomunitario (come stabilito dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell‟ONU in merito). Questo monito naturalmente si riversò essenzialmente sul delegato turco Denktash, il quale non godeva affatto di autonomia d‟azione rispetto al governo di Ankara.

Dunque in quegli anni, la Turchia galoppava verso il raggiungimento dei criteri di

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«Gli Stati candidati stanno partecipando al processo di adesione con pari opportunità» (Consiglio europeo di Helsinki, Op. cit., parte I, paragrafo 4).

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Copenhagen (il cui limite temporale, quale condizione per l‟apertura del negoziato, venne fissato al più tardi al 2004, dal Consiglio europeo di Copenhagen del 2002); l‟Europa d‟altro canto muoveva piccoli cauti passi, pur incoraggiando e assistendo sempre la Turchia nel suo processo di riforma interna. Questa cautela si rifletté, del resto, anche sugli esiti del Trattato di Nizza (2001), in cui furono attribuiti seggi al Parlamento europeo a tutti i Paesi candidati al quinto (2004) e al sesto (2007) allargamento, mentre alla Turchia, pur menzionata, non fu corrisposto alcun seggio, non essendo essa ancora candidata.

Così, mentre al Consiglio europeo di Santa Maria da Feira, del giugno 2000, le autorità europee, pur compiacendosi dei risultati ottenuti dalla Turchia in virtù delle conclusioni di Helsinki, sottolineavano la necessità che il Paese incrementasse i suoi sforzi, soprattutto in materia di diritti umani, stato di diritto e sistema giudiziario, già due anni dopo, il Consiglio europeo di Copenhagen del dicembre 2002 mise a segno ulteriori traguardi in materia di allargamento, riconfermando quanto già statuito nelle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki, e cioè che «La Turchia è uno Stato candidato destinato ad aderire all'Unione in base agli stessi criteri applicati agli altri Stati candidati»20

. Si ribadiva, così, l‟assenza di ogni sorta di discriminazione nei confronti della Turchia rispetto agli altri candidati. Si affermava, inoltre, la necessità di rinnovarle gli sforzi di assistenza, seguendo la Turchia nel suo iter di riforme previste dal partenariato di preadesione, a cui si affiancò una strategia rafforzata. Infine, la grande novità: fu stabilito che, se entro il successivo Consiglio europeo di Bruxelles (cioè a fine 2004) la Turchia fosse risultata finalmente adempiente ai criteri di Copenhagen, nulla avrebbe impedito l‟avvio dei negoziati di adesione anche con questo Paese.

Il Consiglio europeo di Copenhagen incaricò infine la Commissione Prodi di stilare un Rapporto speciale e dettagliato sulla Turchia e sul suo livello di conformazione ai criteri politici di Copenhagen, in vista del suddetto Consiglio europeo di Bruxelles. La Commissione

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produsse così una Relazione e Raccomandazione sulla candidatura della Turchia, presentata al Parlamento europeo nell‟ottobre 2004. In essa si leggeva una risposta sostanzialmente positiva all‟eventualità di aprire i negoziati di adesione con la Turchia. Fu però una risposta condizionata alla costante esecuzione di controlli sugli adempimenti interni ai criteri di Copenhagen, da affiancarsi contestualmente alle varie fasi dell‟eventuale negoziato. Inoltre si rilevavano i notevoli progressi conseguiti dalla Turchia, in quegli anni, nel campo dei diritti umani, come l‟abolizione della pena di morte e la modifica del Codice penale che, divenendo effettiva da lì a qualche anno, avrebbe realmente posto la Turchia nella condizione di essere considerata al passo con le democrazie occidentali21.

La Commissione, però, sottolineò alcuni dubbi ed espose delle necessarie cautele: se da un lato il percorso di ammodernamento intrapreso dalla Turchia era reale e tangibile, dall‟altro si imponeva la necessità di perseguire ancora tanti obiettivi fondamentali, presupposto per la stabilità nel tempo dei progressi già conseguiti. Era necessario, quindi, secondo la Commissione, un cambiamento che in primis partisse dal basso, facendo sì che nel tempo il popolo interiorizzasse i valori democratici, impliciti nell‟acquis communautaire, che il governo con le sue riforme stava introducendo e avrebbe continuato ad introdurre all‟interno dell‟ordinamento nazionale. Ciò significava che era necessario promuovere, in primo luogo, la consapevolezza circa il significato dei sacrifici imposti da queste riforme e, in sostanza, del senso stesso dell‟ingresso in Europa. Inoltre, un sensibile incremento delle condizioni dello stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e delle minoranze avrebbe dovuto essere garantito a tutti i livelli sociali e in tutte le realtà locali.

Problematica, quest‟ultima, la cui portata non è tuttora facilmente controllabile, sia per l‟estensione geografica del Paese, che rende più difficile affermare il controllo del governo centrale nelle zone periferiche, soprattutto a Est, sia per la presenza di profonde

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L‟abolizione della pena capitale (luglio 2001) influenzò anche la questione curda, con la commutazione in ergastolo, sotto il governo AKP, della condanna a morte per atti terroristici di Abdullah Öcalan, leader del PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan, Partito dei Lavoratori del Kurdistan).

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disuguaglianze e sperequazioni tra centro e periferie e tra grandi città e zone rurali. La causa di ciò va ricercata del resto nella nascita stessa dello Stato turco, che ha inglobato indistintamente tutti i territori dell‟ex Impero Ottomano, prescindendo dalle differenze identitarie, socio-culturali ed economiche preesistenti ed è dunque un problema che radica ancor più in profondità la questione dell‟integrazione europea della Turchia.

Su alcuni settori sensibili, poi, la relazione della Commissione europea delineò tempi di transizione e preparatori particolarmente lunghi, come sulla politica agricola e rurale e sulla libera circolazione: per queste ultime, in particolare, si sarebbero rese necessarie clausole di salvaguardia secondo le quali alla Turchia, pur entrando a far parte dell‟Unione, in un primo momento non sarebbe stata estesa l‟unificazione del mercato in questi settori.

Infine la Relazione conteneva anche una valutazione circa l‟impatto finanziario sull‟Unione della possibile adesione turca, ragion per cui non si ritenne possibile concepire il suo ingresso nell‟Ue prima del 2013.

Il Consiglio europeo di Bruxelles recepì queste indicazioni della Commissione, sostenendo che per affrontare certe priorità scottanti in Turchia, come l‟eccessiva tolleranza del governo verso la tortura e altre violazioni più o meno sommerse dei diritti umani, fosse imprescindibile il costante e attento monitoraggio della Commissione.

Il Consiglio, inoltre, si compiacque del fatto che, ancor prima dell‟ufficializzazione dell‟avvio dei negoziati per l‟ingresso, la Turchia avesse provveduto alla firma del protocollo che estendeva l‟Accordo di Ankara (unione doganale) ai dieci nuovi membri, entrati nell‟Ue nel 2004. Costatando, infine, anche il miglioramento dei rapporti di vicinato della Turchia, il Consiglio affermò che le restanti questioni, in pendenza soprattutto con Stati membri dell‟Ue (il riferimento era ovviamente a Cipro), dovessero essere sottoposte alla Corte internazionale di Giustizia ai fini della loro composizione.

Detto ciò, fu comunque confermata l‟idoneità della Turchia in relazione all‟adempimento dei criteri di Copenhagen e, annunciando formalmente l‟apertura del

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negoziato di adesione, il Consiglio delegò la Commissione europea allo svolgimento di tutti quei lavori preparatori e alla realizzazione di un negoziato organizzato per quadri di negoziazione, alla cui definizione avrebbero collaborato la Commissione e il Consiglio stesso. L‟inizio ufficiale dei negoziati fu infine previsto per il 3 ottobre 2005, non appena la Commissione avesse approntato il quadro di negoziazione da sottoporre all‟attenzione del Consiglio. Venne confermata la suddivisione per capitoli delle politiche comunitarie su cui era previsto l‟adeguamento, si stabilì l‟autorità del Consiglio nel decidere unilateralmente l‟apertura o la chiusura, anche temporanea, dei vari capitoli, ove necessario.

Tuttavia, come era stato già accennato dalla Commissione Prodi nella Relazione sulla candidatura della Turchia, anche il Consiglio di Bruxelles sancì che «i negoziati di adesione da aprire con i paesi candidati la cui adesione potrebbe avere notevoli ripercussioni finanziarie potranno essere conclusi solo dopo l'istituzione del quadro finanziario per il periodo a decorrere dal 2014, unitamente a eventuali riforme finanziarie conseguenti»22. Non potendo il negoziato con la Turchia essere incluso nel quadro finanziario 2007/2013, ciò evidenzia anche come la questione finanziaria fosse, e sia tuttora, uno dei motivi portanti per i quali l‟ingresso della Turchia non appaia verosimile prima del 2015.

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Consiglio europeo di Bruxelles (2004), Conclusioni della Presidenza, 16-17 dicembre, p.7. Testo in inglese reperibile al link: http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressdata/en/ec/83201.pdf

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4. Gli sviluppi a partire dalla candidatura ufficiale: 2005-2010

La Commissione Indipendente per la Turchia, istituitasi nel marzo 2004 dalla riunione spontanea di un gruppo di personalità politiche e di studiosi particolarmente interessati alla questione della Turchia in Europa, fece riferimento, nel suo Secondo Rapporto pubblicato nel settembre 2009, alle decisioni del Consiglio europeo di Bruxelles, affermando che «La decisione del Consiglio europeo è stata chiara: l‟obiettivo dei negoziati con la Turchia è l‟adesione, non alternative come un “partenariato privilegiato” o una non meglio precisata “relazione speciale”, che varrebbero ad impedire alla Turchia di partecipare al processo politico-decisionale dell‟Ue e offrirebbero poco valore aggiunto al suo attuale status di membro associato e partner dell‟unione doganale. Questi negoziati, inoltre, per quella che è la loro natura, devono essere condotti con l‟obiettivo dell‟adesione. Nessun paese accetterebbe le tantissime e difficili riforme necessarie ad armonizzare la legislazione interna all‟acquis comunitario se l‟obiettivo non fosse la piena integrazione»23.

In effetti, all‟indomani dell‟apertura del negoziato per l‟adesione, la Turchia continuò ad affrontare il percorso delle riforme compiendo sforzi notevoli ma, nonostante ciò, oltre la metà dei capitoli del negoziato rimase, ed è tuttora, chiusa. Tra questi, i capitoli più importanti per quanto riguarda i rapporti Turchia-Ue, cioè relazioni esterne (capitolo che fu aperto e poi sospeso), energia, politica estera di sicurezza e di difesa.

Il capitolo sulle relazioni esterne, in particolare, è alquanto controverso e profondamente influenzato dagli sviluppi della questione di Cipro. A tal proposito la Turchia, nel gennaio 2006, intese compiere uno sforzo in direzione del dialogo, presentando al Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan una Relazione in cui propose la

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riapertura dei porti turchi alla Grecia in cambio della fine dell‟isolamento internazionale della Repubblica Turca di Cipro del Nord. Nonostante le scadenze imposte anche dall‟Ue per la normalizzazione dei rapporti con Cipro, tale compromesso non fu mai raggiunto, com‟è ovvio, dato che allo stato attuale la Turchia è l‟unico Stato ad aver riconosciuto la Repubblica Turca di Cipro del Nord.

Il 12 giugno del 2006 alla Conferenza Intergovernativa di Lussemburgo furono aperti i negoziati sul capitolo “Scienza e Ricerca” ma contestualmente fu stabilito che la Turchia non possedeva al momento i requisiti per espletare una cooperazione su questo campo, dunque il capitolo fu temporaneamente richiuso nell‟arco dello stesso meeting. Nel marzo del 2007, invece, furono aperti i negoziati sul capitolo “Politiche di impresa e industriali”; mentre nel frattempo il governo turco annunciava il varo di un nuovo pacchetto di armonizzazione dell‟ordinamento interno all‟acquis europeo. A seguire furono aperti anche i capitoli “Statistiche”, “Controllo finanziario”, “Protezione della salute e del consumatore” e “Reti trans-europee”. Il negoziato su quest‟ultimo settore attualmente è fra quelli che fanno registrare i progressi più significativi da parte turca. In particolare, nel luglio 2009 l‟Ue ha firmato con la Turchia l‟accordo intergovernativo sul gasdotto Nabucco, riconfermando come l‟approvvigionamento energetico sia uno degli anelli più saldi della cooperazione Turchia-Ue.

Come ha osservato la Commissione europea in merito al gasdotto Nabucco «Questo progetto è un importante passo avanti strategico verso una maggiore cooperazione in materia di energia tra l'UE, la Turchia e gli altri Stati della regione, così come per la diversificazione delle fonti energetiche. Il completamento nei tempi previsti del corridoio meridionale di trasporto del gas, in particolare mediante una rapida applicazione dell'accordo intergovernativo sul gasdotto Nabucco, rimane una delle principali priorità dell'UE in materia di sicurezza energetica»24.

24

Commissione delle Comunità europee (2009), Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2009-2010, Bruxelles, 14 ottobre, p. 79.

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Nel giugno del 2008 furono poi aperti i capitoli “Diritto societario” e “Diritto della proprietà intellettuale”; al termine dello stesso anno furono aperti i capitoli “Libera circolazione dei capitali” e “Società di informazione e Media”. Infine, nel giugno del 2009 furono aperti i negoziati sul capitolo “Tassazione”.

Gli sviluppi storici dell‟iter di integrazione europeo della Turchia possono essere chiaramente sintetizzati dalla citazione della Commissione Indipendente per la Turchia, che ben riassume l‟approccio alla questione tipico di quegli anni (e che è attuale tuttora), in cui, paradossalmente, dopo l‟avvio dei negoziati, il processo di integrazione della Turchia in Europa subì uno stallo. Questa anomalia si può spiegare alla luce del “circolo vizioso”25 innescatosi già all‟indomani dell‟apertura dei negoziati.

L‟atteggiamento particolarmente reticente nei riguardi della Turchia che alcuni capi di Stato e di Governo assunsero in quegli anni fu un chiaro sintomo di come l‟adesione della Turchia, divenendo una realtà sempre più verosimile, destasse timori e pregiudizi. Soprattutto Germania e Francia ostacolavano l‟eventualità di un ingresso della Turchia in Europa, proponendo invece quelle forme di “partenariato privilegiato” tanto condannate dalla Commissione Indipendente poiché additate come la causa dell‟allontanamento e della disaffezione della Turchia all‟obiettivo Europa, mentre Italia e Regno Unito, d‟altro canto, si collocavano tra i Paesi più favorevoli al suo ingresso.

Per tutte queste ragioni a partire dal 2005 si registrò una decisiva battuta d‟arresto nel processo di riforma intrapreso in Turchia negli anni precedenti.

Da un lato, con l‟ascesa al potere nel 2002 del Partito di Giustizia e Sviluppo di Erdoğan (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP: partito di ispirazione islamica che fece dell‟ingresso in Europa il suo cavallo di battaglia, nel tentativo di provocare la rottura definitiva del legame tra laicismo e militarismo in Turchia e puntando ad esautorare e

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screditare il potere della casta militare), l‟ingresso in Europa si collocò al vertice dell‟agenda politica turca.

Dall‟altro lato, a partire dal 2005 il circolo vizioso di cui si è parlato ha innescato un susseguirsi di diffidenze e prese di posizione reciproche, che ha portato sia allo stallo nell‟attuazione delle riforme in Turchia, sia, a sua volta, ad ulteriori pregiudizi in Europa, logica conseguenza di questo blocco di riforme.

Lo stesso Erdoğan si trovò poi a dover affrontare numerose difficoltà interne: in primo luogo l‟opposizione degli euroscettici lo indusse ad una revisione della politica estera in senso più “eastern-oriented”; inoltre le accuse, mosse all‟AKP da parte della Corte costituzionale, di minare al secolarismo in Turchia, valore ereditato dal “padre dei Turchi” alla nascita della Repubblica, hanno in un certo senso delegittimato il governo e parte del suo operato dando man forte agli oppositori politici.

Per quanto riguarda lo slittamento avutosi in politica estera, il governo Erdoğan, pur non rinnegando il suo filo-europeismo convinto, si è lanciato in una politica estera che il governo stesso ha definito “politica di zero problemi con il vicinato”, dove per “vicini” si intendano principalmente i Paesi confinanti del Medio Oriente (Iraq, Iran, Siria e Israele).

Questo atteggiamento ha, del resto, conferito alla Turchia quell‟aura di mediatore politico che la rende appetibile per l‟Occidente ed è per questo che lo stesso Erdoğan reputa la sua politica estera perfettamente conciliabile con l‟adesione della Turchia all‟Ue, nonostante in Europa essa non faccia che incrementare i sospetti nei riguardi della presunta ambiguità turca.

Del resto è stato osservato che «L‟“atteggiamento umanitario” verso i vicini mediorientali però non deve essere enfatizzato in modo da sancire l‟allontanamento da Bruxelles o da Washington. Sempre più spesso Erdoğan rassicura sullo stato delle relazioni

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con l‟Occidente, sottolineando alla stesso tempo la disillusione per “aver aspettato più di cinquanta anni alle porte di un‟Europa che non ha agito onestamente”»26.

Il 18 febbraio 2008 il Consiglio, con decisione 2008/157/CE (che abrogava la decisione 2006/35/CE27), istituì con la Turchia il nuovo partenariato per l‟adesione, basato sulla strategia di preadesione delineata ad Helsinki, e fondato sui seguenti obiettivi-cardine: concentrarsi su alcune aree prioritarie su cui intraprendere una stretta cooperazione con la Turchia aiutandola ad incrementare le riforme preparatorie all‟adesione; quantificare e definire le modalità per l‟assistenza finanziaria finalizzata all‟attuazione degli interventi prioritari.

Il nuovo partenariato di adesione stabilisce priorità a lungo termine (i criteri di Copenhagen e il fine ultimo del negoziato avviato nell‟ottobre 2005), da attuarsi nell‟arco di 3-4 anni; vi sono poi priorità a breve termine che si focalizzano sul miglioramento del dialogo politico, sui criteri economici e sulla capacità di assumere obblighi derivanti dall‟adesione. A tal proposito, un importante quadro dei progressi conseguiti e non conseguiti in quegli anni dalla Turchia venne fornito dalla Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo

2009-2010, pubblicato dalla Commissione europea. In particolare, per quanto riguarda

l‟assistenza finanziaria alla Turchia, si fa riferimento all‟accordo con il FMI per l‟attuazione di politiche macroeconomiche “sane” quale condizione preliminare per ottenere tale assistenza. Per quanto riguarda lo stato di diritto, considerato una delle priorità più importanti, questo settore non fa registrare progressi notevoli, anzi, la corruzione risulta essere una delle piaghe irrisolte nel sistema politico interno turco.

Nel 2009 l‟IPA (Istituto di Assistenza per la Preadesione) ha stanziato circa 80 milioni di euro finalizzati al potenziamento del sistema giudiziario e del rispetto della legalità e, in

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Giannotta V. (2010), Dibattito identitario e politica estera dell’AKP, Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, 24 maggio, p. 13. http://www.cipmo.org/1501-indice-analisi/turchia-akp.html

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Il partenariato per l‟adesione con la Turchia, avviato in prima battuta nel 2001 è stato riveduto tre volte, nel 2003, nel 2006 e nel 2008, subendo modifiche ogni qual volta il Paese facesse registrare dei progressi tali da modificare gli obiettivi sensibili della strategia di preadesione.

Figura

Figura 1 - La diffusione degli insediamenti umani a Cipro prima e dopo l’occupazione turca
Figura 2 - La spartizione del Kurdistan negli Accordi di Sykes-Picot (1916)  51
Figura 3 - L'attuale spartizione della regione del Kurdistan
Figura 4 – I risultati per Regione del referendum costituzionale del 12 settembre 2010

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