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INTRODUZIONE

Quattordici anni fa, Roberto Bin segnalava una grave mancanza della dottrina costituzionalistica riguardo al tema oggetto di questo lavoro: “La problematica religiosa è stata «espropriata» dai cultori di diritto ecclesiastico, che vi hanno innestato le esperienze e le prospettive tipiche della loro materia”(

1

). In effetti, a parte la rara eccezione rappresentata da Paolo Barile(

2

), non si registrava la presenza di nessun altro costituzionalista ‘puro’ che si fosse occupato con continuità di tale problematica(

3

), che rimaneva nella sostanza confinata nelle brevi pagine della manualistica istituzionale.

Le rare monografie sulla libertà religiosa, peraltro quasi tutte particolarmente pregevoli, appartengono agli anni ’50 e ’60(

4

), e non sono comunque opera di costituzionalisti; dopodiché, probabilmente proprio perché questo pezzo di Costituzione venne ‘dato in appalto’ agli ecclesiasticisti, si scivolò quasi esclusivamente verso la

(1) R.BIN, Libertà dalla religione, in R.BIN –C.PINELLI (a cura di), I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1996, p. 39. Secondo l’autore, più in generale, “La dottrina costituzionalistica ha compiuto un grave errore di strategia culturale nel lasciare «in appalto» alle discipline di settore l’interpretazione di ampi tratti della Costituzione. Tratti importanti, spesso intimamente legati all’origine stessa del pensiero costituzionalistico (i tributi, la libertà di coscienza, la libertà religiosa) sono stati perciò ricostruiti con tecniche e attraverso percorsi lontani da una lettura unitaria della Costituzione (ed estranei, se è lecito parlarne, alla cultura e alla sensibilità particolari che connotano il diritto costituzionale)”. Nello stesso senso, G.DALLA TORRE, Giurisprudenza costituzionale e dottrina ecclesiasticistica.

Saggio di analisi, in R.BOTTA (a cura di),Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 108, secondo cui “almeno per molto tempo, a fronte di una dottrina costituzionalistica prevalentemente assorbita nell’approfondimento delle tematiche contenute nella seconda parte della Costituzione … lo studio della prima parte del testo costituzionale … è stato appannaggio quasi esclusivo degli ecclesiasticisti. Basta scorrere gli indici dei manuali di diritto costituzionale più in uso, per vedere lo scompenso nella trattazione delle due parti e non di rado, significativamente, l’anteposizione della trattazione della seconda alla prima … Ed è interessante notare come solo assai di recente la dottrina costituzionalistica abbia cominciato ad interessarsi con impegno di tematiche attinenti al fenomeno religioso”.

(2) In tema cfr. S. LARICCIA, La garanzia della libertà di religione: il contributo di Paolo Barile, in AA.VV., Nuove dimensioni nei diritti di libertà (Scritti in onore di Paolo Barile), Padova, Cedam, 1990, p. 371 e ss.

(3) Un importante contributo venne comunque dato all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione da V.CRISAFULLI, Art. 7 della Costituzione e «Vilipendio della religione dello Stato», in Arch. pen., 1950, p. 415 e ss.

(4) G.CATALANO, Il diritto di libertà religiosa, Milano, Giuffrè, 1957 (ristampato di recente, Bari, Cacucci, 2007); A.RAVÀ, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nella Costituzione italiana, Milano, Giuffrè, 1959; P.FEDELE, La libertà religiosa, Milano, Giuffrè, 1963; P.DE LUCA, Il diritto di libertà religiosa nel pensiero costituzionalistico ed ecclesiasticistico contemporaneo, Milano, Giuffrè, 1969. L’analisi monografica della problematica è ritornata di attualità recentemente: cfr. P. DI MARZIO,Contributo allo studio del diritto di libertà religiosa, Napoli, Jovene, 2000 e D.LOPRIENO,La libertà religiosa, Milano, Giuffrè, 2009. Tuttavia, nel primo caso si tratta di un lavoro di teoria generale scritto da un ecclesiasticista, nel secondo di un’opera più di taglio comparatistico che di stretto diritto costituzionale interno, con una netta prevalenza dell’analisi degli ordinamenti convenzionale e comunitario.

(2)

riconduzione del discorso al problema dei rapporti tra lo Stato e i culti religiosi(

5

), facendo così passare in secondo piano, fino ad annientarla, la dimensione individuale della libertà religiosa(

6

).

L’appartenenza confessionale diventava dunque condizione necessaria dell’effettività delle garanzie collegate alla dimensione religiosa della personalità, tanto che “il godimento dei diritti fondamentali della persona in materia di religione è tuttora condizionato, o favorito in misura privilegiaria, dal godimento di quello status”(

7

).

Si era riproposta, insomma, pure in questo settore del sistema delle libertà costituzionali, quella inversione del significato logico e assiologico dell’art. 2 Cost.

capace di ribaltare la prospettiva di garanzia del singolo individuo, rappresentata dalla disposizione in esame, verso esiti di tutela dei gruppi sociali (e quindi, nella sostanza, del più importante e forte di essi, ossia la Chiesa cattolica apostolica romana) di impronta marcatamente organicistica: invece che dal riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, tale settore del sistema delle libertà venne ‘occupato’ da diritti ‘delle formazioni sociali’ capaci di comprimere e sopravanzare quelli individuali.

Nulla di nuovo sotto il sole: come ebbe a dimostrare qualche anno prima Andrea Orsi Battaglini, nella tradizione giuspubblicistica italiana, costruita in gran parte sugli esiti delle riflessioni di quella tedesca, il pluralismo veniva concepito come “diritto dei gruppi sociali, costruzione della loro identità e del loro ruolo istituzionale,

(5) V., per es., S. LARICCIA, La rappresentanza degli interessi religiosi, Milano, Giuffrè, 1967, e G.

LEZIROLI,Aspetti della libertà religiosa. Nel quadro dell’attuale sistema di relazione fra Stato e confessioni religiose, Milano, Giuffrè, 1977, opere peraltro ricche di spunti brillanti e utili anche nella prospettiva interpretativa che si intende cercare di sviluppare con questo lavoro.

(6) Cfr. R. BIN, Libertà dalla religione, cit., p. 39, che sottolinea come “Assunto questo quadro prospettico (la libertà dei culti), tutta la problematica della libertà di coscienza perde il suo equilibrio, come quando si è scelto un punto sbagliato da cui guardare una volta affrescata con una prospettiva monofocale”. Anche perché, come sottolinea G. DALLA TORRE, Giurisprudenza costituzionale e dottrina ecclesiasticistica, cit., p. 102, ancora fino ai primi anni ’80, mentre la Corte aveva già cominciato a muoversi con decisione sul terreno dell’affermazione piena della libertà religiosa, la più parte della dottrina ecclesiasticistica pareva “attardata nell’indagine di singoli istituti (matrimonio religioso son effetti civili, enti ecclesiastici, scuola ed assistenza, ecc.), muovendo dalla attenzione alle implicazioni istituzionali e, quindi, nella prospettiva dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamenti confessionali”.

(7) N.COLAIANNI, Tutela della personalità e diritti della coscienza, Bari, Cacucci, 2000, p. 45, che fa notare come “il cittadino non appartenente ad una confessione, o ad una confessione riconosciuta, non attinge la pienezza dei diritti della personalità relativi alla sfera della religione nella stessa misura degli appartenenti”. Non solo i non credenti e gli agnostici, ma anche i ‘credenti solitari’ godono di scarsa tutela in “un sistema in cui si ricreano situazioni simili ai tradizionali status” (p. 46).

(3)

subordinazione-assorbimento dell’individuo nel gruppo, legittimazione diretta del potere pubblico nel particolare sociale (e viceversa)”(

8

).

Tali ricostruzioni del pluralismo potevano peraltro saldamente appoggiarsi sulle tradizioni organicistiche proprie sia del solidarismo cattolico che del socialismo, soprattutto nella sua variante comunista: è indubbio che possa essere rintracciata un’intenzione di fondo ‘non individualista’ (forse anche anti-individualista) nell’azione della Democrazia cristiana e del Partito comunista in seno alla Costituente(

9

), pur partendo questi due grandi protagonisti di tanta parte della storia repubblicana da concezioni della persona, e dei gruppi sociali, profondamente diverse.

Paradossalmente però, forse proprio per gli opposti timori in vista delle fondamentali elezioni del 1948 (la vittoria dell’uno o dell’altro avrebbe potuto comportare l’affermazione di uno dei due modi molto diversi, quando non antitetici, di concepire l’individuo in rapporto alla società, e quindi al soccombere totale della propria concezione), o forse perché alla fine prevalse il clima generale favorevole alle libertà dovuto alla comune matrice antifascista delle forze presenti in Assemblea(

10

), il testo costituzionale che è risultato dalle mediazioni e dai compromessi parla in gran parte un linguaggio schiettamente liberale a garanzia del singolo individuo, a partire proprio dall’art. 2 Cost. e dalla fondamentale specificazione del riconoscimento e della tutela dei

(8) A. ORSI BATTAGLINI, «L’astratta e infeconda idea». Disavventure dell’individuo nella cultura giuspubblicistica (a proposito di tre libri di storia del pensiero giuridico), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, vol. 17 (1988), Milano, Giuffrè, p. 569 e ss., ora in Scritti giuridici, Milano, Giuffrè, 2007, p.

1336, che così continua: “il suo programma è sì quello di scomporre l’unità e la centralità del modello statocentrico, ma ciò avviene attraverso la moltiplicazione-proiezione della sua formula fondante dal tutto alle parti: e dunque in tanto le parti assumono legittimità (teorica e giuridica) in quanto siano definite in termini omogenei al tutto in cui si inscrivono. Penso soprattutto alla inversione logica che viene imposta alla formulazione dell’art. 2 Cost., dove le formazioni sociali, da sede di svolgimento della personalità individuale vengono elevate a soggetti autonomi di tutela, e quindi titolari di interessi diversi e superiori a quelli dei singoli”.

(9) Sottolinea questo aspetto G. LONG, I capisaldi del dibattito alla Costituente, in Pol. dir., 1996, pp.

20 e 21, secondo cui la strategia del P.C.I., tesa a scrivere una Costituzione non individualista, si sposava con l’impostazione della nuova Carta sostenuta dalla democrazia cristiana, tutta basata sulla valorizzazione dei gruppi sociali intermedi.

(10) Per L. CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione, Padova, Cedam, 2002, p. 78,

“nell’individuare le linee portanti del nuovo sistema, ancor prima della composizione dell’Assemblea, del peso delle diverse forze e ideologie, è fondamentale tener presente l’elemento a tutte comune:

l’antifascismo. Usciti appena dall’esperienza di un regime autoritario, al di là dell’appartenenza politica diversa, i vari componenti dell’Assemblea intendevano dar vita ad una Costituzione ispirata ai principi della difesa massima dei diritti individuali, delle libertà civili e politiche, negate nell’ultimo ventennio.

Democrazia e libertà erano sicuramente i punti di partenza comuni. Ciò spiega la forza dei principi liberali, ben superiore alla forza numerica del gruppo che ad essi si richiamava: principi condivisi, assunti quale base fondante della nuova costituzione”.

(4)

diritti dell’uomo anche nelle e quindi contro le formazioni sociali. E di questo non si può non tenere conto anche se, a tutt’oggi, soprattutto nella materia che ci si accinge a trattare, probabilmente in virtù del ‘macigno’ (forse solo apparentemente tale) testuale rappresentato dagli artt. 7 e 8 Cost., la prospettiva individualistica stenta a farsi strada(

11

).

Nel periodo che intercorre tra lo scritto richiamato in apertura di questa introduzione e oggi, la situazione non pare essere granché migliorata: se l’interesse dei costituzionalisti per il tema è sicuramente aumentato, non arrivando comunque a scalfire minimamente la ‘signoria’ degli ecclesiasticisti, da una parte, il dibattito sul principio di laicità dello Stato, originato dal richiamo che a esso ha più volte fatto la Corte costituzionale, ha deviato la prospettiva, dando luogo a una letteratura vastissima che però si distingue più per un’impronta filosofico-politica che per un’analisi prettamente giuridico-costituzionale della materia(

12

); dall’altra, le opere monografiche dedicate al tema da parte della dottrina costituzionalistica, peraltro ricche di spunti innovativi nonché dense di approfondimenti, prendono come angolo visuale proprio quello delle formazioni sociali(

13

).

Le preoccupazioni espresse da Roberto Bin e Andrea Orsi Battaglini permangono dunque immutate e, anzi, nel clima politico di questi anni la situazione sembra essere in rapido peggioramento, come dimostrano le violente reazioni, soprattutto in sede politica, che ogni volta accompagnano le decisioni attraverso le quali i giudici tutelano (o provano a tutelare) i diritti individuali in materia di ora di religione,

(11) Per A.ORSI BATTAGLINI, «L’astratta e infeconda idea», cit., p. 1347, contro la limpida e univoca raffigurazione di centralità del singolo contenuta nella Costituzione, “le culture organicistiche (provenienti da opposte storie ma in questo solidali) hanno efficacemente approntato le loro difese, riproponendo la priorità dei gruppi, della società e dello Stato; quei principi costituzionali che esplicitamente indicavano l’individuo come polo fondamentale della teoria giuspubblicistica venivano rovesciati di segno e, una volta emarginato l’individuo stesso rispetto alle sue dimensioni collettive, la consueta bipolarità tra Stato e società civile poteva tranquillamente mantenere il proprio ruolo e assorbire la nuova realtà costituzionale senza eccessivi turbamenti”.

(12) Cfr., ad es., nella sterminata bibliografia sul tema, il recente dibattito promosso dalla rivista Diritto Pubblico: F.RIMOLI,Laicità, postsecolarismo, integrazione dell’estraneo: una sfida per la democrazia pluralista, in Dir. pubbl., 2006, p. 335 e ss.; A.TRAVI,Riflessioni su laicità e pluralismo, id., 2006, p. 375 e ss.; C.PINELLI, Principio di laicità, libertà di religione, accezioni di “relativismo”, id., 2006, p. 821 e ss.; G.ZAGREBELSKY,Stato e Chiesa. Cittadini e cattolici, id., 2007, p. 697 e ss.;S.STAMMATI, Riflessioni minime in tema di laicità (della comunità e dello Stato). Un colloquio con alcuni colleghi, id., 2008, p. 341 e ss.

(13) Cfr., A.GUAZZAROTTI, Giudici e minoranze religiose, Milano, Giuffrè, 2001, e B.RANDAZZO, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, Milano, Giuffrè, 2008, la quale, nell’introduzione, riassume così le direttrici della sua ricerca: “Si tratta in altre parole di chiarire se l’esercizio della libertà religiosa garantito, nella molteplicità dei suoi contenuti, alle formazioni sociali, ricomprenda anche il diritto di ottenere pari trattamento ed eventualmente in quali termini” (p. 1).

(5)

esposizione del crocifisso e scelte di fine vita, tanto per fare degli esempi a caso(

14

); e l’obbiettivo di questi attacchi pare essere “quello di sempre: «l’astratta e infeconda idea di individuo», la possibilità di assumerla come impenetrabile nucleo di resistenza ad ogni potere comunque fondato e soprattutto come fonte originaria del potere stesso, privato o pubblico, sociale o statuale che sia”(

15

).

Questo lavoro vorrebbe essere, da una parte, un tentativo di riportare la problematica sotto l’angolo visuale del ‘puro’ diritto costituzionale e dall’altra, quello di riaffermare con forza la centralità dell’individuo nella (ri)costruzione del sistema delle libertà costituzionali.

Nel primo capitolo si cercherà di fornire un’interpretazione delle disposizioni costituzionali attinenti alla libertà religiosa tesa a mettere in evidenza la priorità logica e assiologica e la conseguente prevalenza degli artt. 2, 3 e 19 Cost. sugli artt. 7 e 8.

Riprendendo alcuni spunti già presenti nel dibattito dottrinale, si tenterà di prospettare un ‘riassorbimento’ della libertà religiosa nelle più generali libertà di coscienza/pensiero, di manifestazione della stessa, di associazione e di riunione, negando così che si possa parlare, in senso giuridico, di un favor religionis capace di consentirne una differenziazione privilegiaria di disciplina rispetto a tutti gli altri fenomeni promananti dal libero sviluppo della personalità di ciascun singolo individuo. Si cercherà, infine, di proporre qualche

(14) Molto incisivamente, a conclusione del suo lavoro, B. RANDAZZO, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, cit., p. 444 e ss., riassume i termini dell’attuale momento storico-politico- giuridico del nostro paese: “Il Parlamento, infatti, da un lato non ha ancora approvato una legge generale sulla libertà religiosa (di cui si discute ormai da un decennio, tra l’altro lasciando intanto in vigore la legislazione fascista sui culti ammessi), dall’altro non ha adottato le leggi di approvazione delle nuove intese stipulate dal Governo, paralizzandone in tal modo l’entrata in vigore. L’immissione nei ruoli scolastici ordinari degli insegnanti di religione cattolica, e sotto certi profili la stessa promozione della funzione sociale degli oratori, sono chiara espressione di nuovi trattamenti privilegiari in favore della sola Chiesa cattolica … La Corte costituzionale, investita delle questioni di costituzionalità relative all’esposizione “obbligatoria” del crocifisso nelle aule scolastiche e all’immissione degli insegnanti di religione, ha assunto atteggiamenti molto prudenti, tenendosi fuori dal confronto, quasi che le questioni sottopostele non toccassero il cuore di quel principio di laicità che proprio nella sua giurisprudenza ha trovato piena espressione. Le giurisdizioni comuni, ordinarie e amministrative, sempre in occasione di controversie sorte con riguardo all’esposizione del crocifisso nella aule scolastiche, sono giunti al punto di configurare una sorta di laicità “cristiana” a sfondo confessionale, un vero paradosso giuridico … A livello delle amministrazioni locali suscitavano aspri dibattiti, stupefacenti sotto il profilo costituzionale, il diritto di gruppi islamici di istituire scuole private (senza oneri per lo Stato), e le richieste di autorizzazioni per la costruzione di nuove moschee: altri segnali di questo “nuovo” corso nei confronti delle minoranze religiose. Voci, sempre più convinte e meno isolate, si sollevano non tanto direttamente contro la laicità e la libertà e il pluralismo religiosi, quanto piuttosto a sostegno della garanzia di posizioni di privilegio da assicurare alla Chiesa cattolica, in quanto custode dei valori della religione civile di questo paese, e dunque interlocutore privilegiato delle pubbliche autorità”.

(15) A.ORSI BATTAGLINI, «L’astratta e infeconda idea», cit., p. 1336.

(6)

strategia di superamento delle difficoltà e delle antinomie che sembrano nascere dal coordinamento fra le disposizioni che garantiscono la libertà religiosa, così come ricostruita nel lavoro, e quelle che garantiscono la ‘libertà ecclesiastica’, difficoltà che nascono in gran parte in ragione dell’interpretazione in senso privilegiario che fino a oggi è stata data agli artt. 7 e 8 Cost. Nel tentare questa operazione interpretativa, si sosterrà anche che l’unico criterio costituzionalmente ammissibile per giudicare che cosa è o meno ‘religione’ sia l’autoqualificazione, sulla base del principio di incompetenza dello Stato in materia religiosa, principio che emerge chiaramente dai lavori preparatori dell’art. 19 Cost. come il vero ‘nocciolo duro’ di quest’ultimo.

Nel secondo capitolo si analizzerà la giurisprudenza del giudice delle leggi in materia, per cercare di dare un quadro completo di quello che è attualmente il diritto costituzionale vivente, mettendo in evidenza le contraddizioni ancora presenti, che necessitano di essere superate sia nella prospettiva interpretativa prescelta e sostenuta nel capitolo precedente, sia in ragione di esigenze di coerenza logica fra le varie statuizioni della Corte costituzionale, e i possibili sviluppi che le rationes decidendi poste fino a oggi paiono suggerire.

Il terzo capitolo, invece, sarà dedicato all’indagine sulla legislazione a livello

primario, sulla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, e sulla prassi, per cercare di

segnalare tutte quelle deviazioni rispetto al diritto costituzionale vivente, nonché alla

prospettazione teorica sostenuta nel primo capitolo, che si concretano, sulla base di

quanto argomentato nei primi due capitoli, dal punto di vista di chi scrive, in altrettante

incostituzionalità.

(7)

Cap. I

La libertà religiosa nel sistema costituzionale

SOMMARIO: Premessa. – 1. La libertà religiosa nell’ordinamento statutario. – 1.1. L’art. 1 dello Statuto albertino e il suo superamento legislativo. – 1.2 Dalla legge delle Guarentigie ai Patti lateranensi. – 1.3. La

‘religione di Stato’ e la persecuzione delle minoranze. – 2. Il dibattito costituente: alla ricerca dell’original intent. – 2.1. Dall’art. 14 del progetto di Costituzione all’art. 19 Cost. – 2.2. Il problema della ‘pace religiosa’ e la nascita del ‘diritto ecclesiastico concordatario’. – 2.3. Conclusioni. – 3. Le diverse letture dell’art. 19 Cost. – 3.1. La libertà religiosa come libertà ‘soggettivamente privilegiante’. – 3.2. La libertà religiosa come libertà ‘oggettivamente privilegiata’. – 3.3. La libertà religiosa come fattispecie specifica dell’art. 21 Cost. – 3.4. La libertà religiosa come libertà nell’àmbito di pensiero definibile come ‘religioso’.

– 3.5. La libertà religiosa come aspetto della libertà di coscienza. – 4. Per un diversa lettura della disposizione e del sistema. – 4.1. Il criterio ordinatore: la centralità dell’individuo e del libero sviluppo della sua personalità. – 4.2. L’impossibilità e l’incostituzionalità di qualsiasi definizione giuridica di religione. – 4.3. La dissoluzione del concetto di libertà religiosa. – 4.4. Morte e trasfigurazione della ‘prima libertà’: la libertà religiosa come libertà di pensiero, coscienza e religione. – 5. Il problematico rapporto con gli artt. 7 e 8 Cost. e alcune strategie per il superamento delle antinomie. – 5.1. L’incostituzionalità delle due disposizioni per contrasto con i principî fondanti l’ordinamento. – 5.2. Lo ‘svuotamento’ di significato. – 5.3. La ‘riduzione’ del significato e l’autoqualificazione come ‘chiusura del sistema’. – 5.4.

Conclusioni.

Premessa.

Come è stato fatto notare, occuparsi di libertà religiosa significa affrontare un tema oltremodo complesso e delicato, sul quale permangono ancora non poche zone d’ombra e si addensano non poche incertezze(

16

). L’unica certezza è probabilmente quella rappresentata dal fatto che “nella storia del concetto giuspolitico di libertà, la libertà (o l’illibertà) in materia religiosa ha svolto un ruolo di prim’ordine. Essa ha richiamato l’attenzione di filosofi e giuristi probabilmente più a lungo e più intensamente delle altre; è stata la prima ad essere rivendicata in forme prossime a ciò che intendiamo oggi per libertà tout court ed ha costituito, in vari sensi, il prototipo delle libertà moderne”(

17

).

Già queste prime notazioni basterebbero per giustificare una nuova indagine sul tema: la centralità negli studi giuridici e l’inesauribile dibattito che lo stesso ha suscitato e

(16) Cfr. S. FERLITO, Diritto soggettivo e libertà religiosa. Riflessioni per uno studio storico e concettuale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, p. 11.

(17) S.FERLITO, Diritto soggettivo e libertà religiosa, cit., p. 20.

(8)

suscita(

18

), uniti alle contingenze storiche e alla particolare situazione italiana, rendono sicuramente necessario (e forse doveroso) non solo tracciare un bilancio dello ‘stato dell’arte’, ma anche tentare di indicare una via diversa per riuscire a risolvere i problemi interpretativi, in merito alla corretta definizione della libertà religiosa nel nostro ordinamento giuridico costituzionale, che sono sorti, sorgono e sorgeranno sempre più nel futuro prossimo, anche in conseguenza dei fenomeni migratori e della rottura dell’omogeneità religiosa del popolo italiano – peraltro già incrinata a séguito dei processi di secolarizzazione – che questi provocano e provocheranno(

19

).

È ormai evidente, infatti, che il tramonto del ‘principio di localizzazione’ e della

‘unicità territoriale’ della religione, unito al proliferare delle più variegate forme di religiosità, “se, da una parte, sembra comportare una degenerazione dello stesso sistema pattizio, dall’altra, in una prospettiva più limitata, ripropone quella questione della definizione (giuridicamente formulabile) della res religiosa, che finora poteva, sia pure in via succedanea, ritenersi risolta attraverso il ricorso all’argomento storico-tradizionale, in carenza di una definizione di rango costituzionale, sullo sfondo delle poche, notorie e antiche confessioni religiose presenti nel Paese”(

20

).

Ma v’è di più: occorre forse chiedersi se, a prescindere dal dato storico contingente, non vi fosse già la necessità di una diversa rimodulazione concettuale, dal punto di vista dogmatico-giuridico, a partire dall’entrata in vigore della Costituzione.

Questo nuovo lavoro sul tema si giustifica, infatti, pure in virtù dell’insoddisfazione

(18) Come notato da S.FERRARI, L’articolo 19 della Costituzione, in Pol. dir., 1996, p. 97, “sembra perlomeno ingenuo pensare che la libertà religiosa sia un problema risolto o anche semplicemente in via di risoluzione e che oggi, in Europa occidentale (per non parlare di quella orientale), tutti possono praticare la religione che preferiscono (ovvero nessuna religione) in assoluta libertà … è più corretto dire che i problemi della libertà religiosa si sono trasformati e, pur presentandosi in termini meno drammatici che in passato, continuano a riproporsi sotto sembianze diverse”.

(19) Sottolinea questo aspetto, in apertura del suo lavoro, A.BOMPREZZI, Libertà di coscienza e poteri pubblici. Tendenze e prospettive nella società contemporanea, Torino, Giappichelli, 2008, p. 10, secondo il quale

“Un fenomeno per certi aspetti nuovo per le società dell’Europa occidentale riguarda proprio lo stretto rapporto che alcune minoranze stabiliscono tra la tutela del fenomeno religioso e la tutela del gruppo etnico. Ciò è dovuto proprio alle immigrazioni di popolazioni che non concepiscono la separazione tra l’elemento religioso e l’elemento politico, il diritto e la morale”. Varrebbe la pena sottolineare, comunque, che nel nostro paese molta parte, se non la maggior parte, del cattolicesimo, istituzionale e non, ha da sempre un atteggiamento simile e che negli ultimi quindici anni questo modo di pensare è stato fatto proprio dalla maggioranza della classe politica, come dimostrano la legislazione in materia di procreazione medicalmente assistita e le feroci polemiche, condite anche da tentativi ‘violenti’ di normazione, nei casi Welby ed Englaro sulla tematica del ‘fine vita’.

(20) L. OLIVIERI, Nuove religioni, principio di autoreferenziazione e Corte costituzionale, in R.BIN –C.

PINELLI (a cura di), I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 195.

(9)

suscitata da quasi tutte le ricostruzioni precedenti, anche le più avanzate e le più vicine al pensiero che si vorrebbe esprimere: la prospettiva individualistica che può essere tracciata a partire dagli artt. 2, 3 e 19 Cost. in materia di libertà religiosa, che qui si cercherà di sostenere e che porterà nella sostanza alla ‘neutralizzazione giuridica’ del concetto di religione, sembra essere l’unica veramente coerente con il dettato costituzionale e anche, come si cercherà di mostrare, la più vicina (paradossalmente) all’intenzione originaria dei Costituenti, pur nella contraddittorietà della formulazione delle disposizioni costituzionali, dovuta interamente o quasi alle contingenze storico- politiche in cui la Costituzione repubblicana venne redatta. Essa, inoltre, non solo appare come la più rigorosa dal punto di vista del diritto costituzionale positivo e come l’unica capace di valorizzare compiutamente il principio di eguaglianza, ma sembra altresì essere la più efficiente per risolvere i problemi pratici emergenti nell’attuale momento storico(

21

).

1. La libertà religiosa nell’ordinamento statutario.

Nel cominciare la trattazione, pare opportuno un rapido cenno alle vicende della storia costituzionale italiana in materia di libertà religiosa e di rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: una più compiuta comprensione della genesi della situazione storica in cui si trovò ad operare l’Assemblea costituente può infatti fornire la chiave di volta per comprendere le ambiguità presenti nella formulazione di quasi tutte le disposizioni costituzionali oggetto dell’analisi che si tenterà in questo lavoro; e può anche aiutare a

(21) In senso conforme cfr. F.RIMOLI, I diritti fondamentali in materia religiosa, in P.RIDOLA –R.

NANIA (a cura di), I diritti costituzionali, III, Torino, Giappichelli, 2006, p. 877, secondo cui “È questo un punto essenziale rispetto all’evoluzione multiculturale delle società contemporanee informate al modello di democrazia pluralista: il credo religioso professato da ciascuno, posto storicamente quale segno e condizione esistenziale di appartenenza confessionale, e troppo spesso drammaticamente strumentalizzato per contrapposizioni cruente nella lotta per la supremazia, se letto come espressione anzitutto della scelta individuale, può recuperare quell’aspetto di coesione (e non di separazione) che deriva dal comune senso di smarrimento del singolo di fronte alla propria esistenza, creando altresì le condizioni per respingere ogni considerazione «quantitativa» rispetto all’appartenenza stessa”.

(10)

non enfatizzarne la portata, spesso quasi esclusivamente politica, dilatandone di conseguenza il significato giuridico oltre misura(

22

).

Una periodizzazione convincente su tale spaccato della storia patria, sotto il profilo che qui interessa, è stata avanzata da Carlo Lavagna, secondo il quale i “rapporti fra Italia e Chiesa cattolica hanno attraversato quattro fasi: statutaria pre-unitaria, statutaria post-unitaria, concordataria anteriore alla Costituzione e concordataria successiva alla Costituzione”(

23

). Il mutare di tali rapporti ha naturalmente scandito anche le diverse declinazioni della libertà religiosa che sono state date nei nostri ordinamenti costituzionali.

Tre di queste fasi saranno analizzate brevemente in questo paragrafo, mentre la quarta occuperà il resto del lavoro.

Naturalmente, non avendo questo lavoro finalità di carattere storico, si procederà per cenni, rinviando per approfondimenti a trattazioni classiche ed esaustive riguardo ai profili sinteticamente analizzati(

24

).

1.1. L’art. 1 dello Statuto albertino e il suo superamento legislativo.

Nonostante l’affermazione contenuta nell’art. 1 dello Statuto albertino, secondo cui «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi», lo Stato liberale sardo- piemontese, che divenne poi italiano, si caratterizzò nel senso di una forte laicizzazione del proprio ordinamento giuridico(

25

): già nello stesso anno di emanazione della carta

(22) È accaduto, invece, che formule nate solamente in virtù di esigenze politiche momentanee, che non recavano in sé alcuna intenzione discriminatoria, siano state (e siano tutt’oggi) utilizzate dalla dottrina per ridurre la portata antidiscriminatoria ontologicamente propria delle disposizioni che affermano l’eguaglianza dei singoli e la loro libertà religiosa.

(23) C.LAVAGNA,Istituzioni di diritto pubblico, VI ed., Torino, UTET, 1985, p. 127.

(24) Cfr., per tutti, A.C.JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1971 (ivi ampia bibliografia) e, più in generale, C. GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia 1848/1994, Bari, Laterza, 2002.

(25) Scrive F.FINOCCHIARO, Libertà di coscienza e di religione, in Enc. giur., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p. 1: “Agli albori della formazione dell’unità d’Italia, l’art. 1 dello Statuto albertino, 4 marzo 1848, sembrava voler dare all’ordinamento un’impronta confessionista in senso cattolico e, perciò, limitatrice della libertà delle minoranze religiose, le quali avrebbero potuto godere della mera tolleranza. Ma il coevo riconoscimento dei diritti civili e politici degli appartenenti a tali minoranze (lettera patente 17 febbraio 1848, n. 673; r.d. 29 marzo 1848, n. 688; d. luog. 15 aprile 1848, n. 700; l. 19 giugno 1848, n. 735) e l’interpretazione restrittiva dell’idea di religione di Stato prevalsa negli anni successivi, fecero evolvere l’ordinamento in senso liberale nei confronti delle confessioni religiose di

(11)

costituzionale, “la Legge Sineo del 19.6.1848, n. 735, volle togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini che non professavano la religione cattolica stabilendo, in un articolo unico, che la differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari. Al tempo stesso, con Lettera- patente del 18.2.1848, e con r.d. del 29.3.1848, n. 688, si legittimavano Valdesi ed Israeliti ad agire liberamente ed a fruire, al pari degli altri cittadini, dei diritti civili e politici”(

26

).

Nonostante queste norme di notevolissima importanza, che venivano a tutelare il singolo da discriminazioni per motivi religiosi, la tolleranza verso le minoranze religiose, i loro ministri e i loro fedeli fu, soprattutto per quanto riguarda i protestanti, decisamente molto ristretta, anche per la persistenza in vigore delle norme del Codice penale albertino, severissime nel proteggere la eligione cattolica da ogni offesa o attacco, fosse pure sul piano ideologico(

27

).

Sotto il governo d’Azeglio furono poi approvate nel 1850 le leggi Siccardi, che comportarono la reale qualificazione sul piano ideologico dell’intero ordinamento statutario. Concepite inizialmente come un unico provvedimento normativo destinato a definire i rapporti tra Chiesa e Stato, spezzando in modo definitivo quel connubio trono-altare che aveva caratterizzato sino al 1848 la Restaurazione nel regno subalpino, si concretarono nell’iter parlamentare in tre distinti disegni di legge(

28

).

minoranza, sicché il codice penale del 1889, agli artt. 140-142, garantiva la libertà di tutti «i culti ammessi nello Stato», senza alcuna discriminazione. Tanto che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, la dottrina poteva identificare nella disciplina data dall’ordinamento italiano alla libertà religiosa la già menzionata figura del diritto pubblico soggettivo”.

(26) C.CARDIA, Libertà di credenza, in Enc. giur., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p.

2.

(27) Cfr. L.MUSSELLI,Libertà religiosa e di coscienza, in Dig. disc. pubbl., IX, Torino, Utet, 1994, p.

217, secondo il quale tale situazione, connotata anche dall’atteggiamento ridigo e “apertamente repressivo della magistratura piemontese, spesso roccaforte di conservatori e tradizionalisti, era destinata a durare un decennio fino all’emanazione del Codice Penale per gli Stati Sardi del 20-11-1859, che pur conservando una tutela privilegiata per la religione di Stato proteggeva, anche al semplice livello dell’oltraggio, tutti i culti «tollerati» nel regno”.

(28) Cfr.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 65, che sottolinea poi un aspetto molto interessante della questione dal punto di vista del diritto costituzionale: all’approvazione delle ‘leggi Siccardi’ sarebbe in buona sostanza dovuta la trasformazione della forma di governo statutaria in senso parlamentare, dal momento che d’Azeglio “nella polemica con la destra clericale aveva operato ondandosi esclusivamente sull’appoggio parlamentare, evitando di compromettere la corona. La vasta maggioranza che nelle due Camere aveva suffragato l’azione azegliana di approvazione delle leggi Siccardi era destinata a dare ormai una base diversa all’esecutivo i cui ministri, in avvenire, non potranno più sottrarsi all’appoggio e alla convalida del loro operato da parte del Parlamento. Così, alla sostanza liberale data all’ordinamento statutario con la nuova regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica si

(12)

Con queste leggi, oltre all’abolizione del foro ecclesiastico – consistente nel diritto di cui godevano i sacerdoti di essere giudicati, per i loro reati, da tribunali ecclesiastici, sottraendosi a quelli civili – e del diritto di asilo che veniva attribuito a coloro che si rifugiassero nelle chiese e nei luoghi di culto, vennero limitate le pene fino allora previste per l’inosservanza delle festività religiose e, soprattutto, fu vietato agli istituti e ai corpi morali, sia ecclesiastici sia laici, di acquistare immobili e di accettare donazioni, e lasciti testamentari, senza autorizzazione regia e senza un obbligatorio parere del Consiglio di Stato(

29

).

La politica di stampo cavouriano, tendente a realizzare le condizioni per una

‘Libera Chiesa in libero Stato’(

30

), nonostante lo scacco subito con la bocciatura del disegno di legge per l’introduzione del matrimonio civile nel 1852, continuò anche negli anni seguenti: nel 1855, superata la c.d. crisi Calabiana, venne tolta dal bilancio la posta di circa un milione che fino ad allora vi era comparsa come contributo dello Stato alle spese di culto; ciò comportò “la necessità di redistribuire le rendite ecclesiastiche e quindi di riordinare la proprietà della Chiesa”(

31

).

Un’ulteriore tappa del processo di svuotamento dell’art. 1 dello Statuto fu rappresentata dalla legge Casati del 1859, con la quale venne riformato in modo organico l'intero ordinamento scolastico, dall'amministrazione all'articolazione per ordini e gradi alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del

univa anche l’avvio di quel regime parlamentare che caratterizzerà l’intero svolgimento della vita pubblica nei decenni successivi” (pp. 66 e 67).

(29) V. ancora C.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 66, secondo cui si trattava di norme che “facevano fare un grande passo avanti alla società piemontese, ancora per troppi aspetti attardata su quelle posizioni ancien régime dalle quali la trarrà fuori definitivamente il successivo governo cavouriano”. L’autore ricorda pure come “l’estrema fermezza dimostrata dal ministero nel persuadere la Camera elettiva e il Senato alla loro approvazione e la necessaria durezza nella repressione dell’insurrezione clericale, spinta fino all’arresto di due arcivescovi e di alcuni sacerdoti che avevano assunto un deciso atteggiamento eversivo, furono prove qualificanti per il ministero e aprirono una nuova pagina della storia d’Italia”.

(30) Per il pensiero del Conte di Cavour in materia di libertà religiosa, nonché di rapporti tra Stato e Chiesa si vedano i suoi discorsi parlamentari più famosi: cfr. C. BENSO DI CAVOUR, Stato e Chiesa, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, a cura di P.ALATRI. Lo stesso Alatri, nell’introduzione, ricorda come già dietro alle ‘leggi Siccardi’ ci fosse la regia di Cavour che, dopo aver suggerito la nomina a ministro del Conte Giuseppe Siccardi, aveva ottenuto il suo primo grande successo parlamentare proprio con il discorso su tali leggi (p. 10).

(31) P.ALATRI,Introduzione, in C.BENSO DI CAVOUR, Stato e Chiesa, cit., p. 16 che sottolinea come

“con l’inventario … e con il progetto di legge per la soppressione di monasteri e il miglioramento della condizione dei parroci poveri, la politica ecclesiastica cavouriana toccò l’apice del radicalismo”. Per Alatri, con il superamento della ‘crisi Calabiana’, conseguente alla manovra monarchico-clericale che cercò di far cadere il Governo per impedire l’approvazione della legge di soppressione dei conventi, l’affermazione del sistema parlamentare che si era delineato a partire dalle ‘leggi Siccardi’ divenne definitiva.

(13)

diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione.

Nel decennio che porta dalla proclamazione dell’unità d’Italia da parte del primo Parlamento nazionale (27 gennaio 1861) all’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia (20 settembre 1870), di fondamentale importanza fu l’ampio dibattito parlamentare svoltosi a proposito della liquidazione dell’asse ecclesiastico, che investiva non soltanto il fatto meramente tecnico-giuridico della regolamentazione dei beni della Chiesa, ma anche il problema della natura stessa dell’ordinamento italiano: si trattava di scegliere “tra una forma giurisdizionalista laica legata ad antichi postulati di ordine regalistico nei confronti della Chiesa cattolica, o una sorta di separatismo garantista nel quale vi fosse spazio per un’ampia libertà di quella come delle altre confessioni praticate dalle minoranze religiose”(

32

). La crisi del Governo Ricasoli causata proprio da questo disegno di legge ne rimandò l’approvazione, che avvenne dopo le elezioni il 15 agosto 1867 e comportò la soppressione delle corporazioni religiose, nonché la devoluzione allo Stato del patrimonio ecclesiastico(

33

).

Del principio confessionale formalmente ispiratore dell’ordinamento era dunque rimasto in piedi, in pratica, solamente “il ricorso ai riti cattolici nelle cerimonie ufficiali, restando Chiesa e Stato nettamente separati in una specie di giurisdizionalismo attenuato ed accettato di fatto dalla stessa Chiesa, lasciandosi massima libertà a tutte le confessioni”(

34

).

1.2. Dalla legge delle Guarentigie ai Patti lateranensi.

(32) C.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 131.

(33) Sempre secondo C.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 132, la legge, “redatta in base a una visione meramente finanziaria del problema e a una impostazione chiaramente giurisdizionalista, ebbe un’importanza enorme. Eliminando, infatti, vastissimi patrimoni terrieri ritenuti in base a una tradizione di origine feudale praticamente inalienabili, contribuì alla laicizzazione della società italiana, rafforzando nella sua consistenza patrimoniale parte di quella borghesia agraria che ne rappresentava allora la salda base politica e che in concreto ebbe possibilità di acquistare i beni appartenenti alla manomorta ecclesiastica. La legge rifletteva così l’ideologia della classe dominante ed appariva del tutto coerente con lo stesso svolgimento del Risorgimento italiano”.

(34) Cfr. C.LAVAGNA,Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 127, che ricorda la necessità dell’exequatur e del placet regio richiesti per la pubblicazione e l’esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche, parzialmente aboliti più tardi dalla legge delle Guarentigie.

(14)

L’apice dello scontro con il Papato fu raggiunto nel 1870, con l’ingresso in Roma dei bersaglieri, la debellatio dello Stato pontificio e la successiva designazione della ‘Città eterna’ come capitale dello Stato italiano: la soluzione della c.d. ‘Questione romana’, stante il rifiuto delle trattative da parte di Pio IX, venne trovata unilateralmente con la legge delle Guarentigie (l. n. 214/1871), la quale, nonostante avesse un’ispirazione essenzialmente giurisdizionalista, si rivelò “molto riguardosa nella conservazione di tutto quello che potesse giovare all’esercizio indipendente dei poteri del Pontefice”(

35

): divisa in due titoli essenziali, con il primo, riguardante la materia “Delle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede”, senza riconoscere al Papa alcuna sovranità territoriale, “gli lasciava il controllo del Vaticano, del Laterano e della villa di Castel Gandolfo, gli riconosceva onori sovrani e lo dichiarava esente dalla giustizia italiana. Gli concedeva inoltre la possibilità di continuare a tenere presso di sé corpi armati, di mantenere le missioni diplomatiche straniere, alle quali si riconoscevano le stesse prerogative godute da quelle esistenti presso il re d’Italia, e gli assicurava una completa libertà per l’esercizio delle funzioni di governo della Chiesa cattolica, attribuendogli inoltre una dotazione annua di 3.225.000 lire”(

36

).

Con il secondo titolo, “Relazioni della Chiesa con lo Stato in Italia”, nonostante lo Stato rinunciasse a molti dei poteri di stampo giurisdizionalista, mantenne sottoposti al placet e all’exequatur regi, ossia al controllo governativo, le nomine ai benefici ecclesiastici e gli atti riguardanti le proprietà ecclesiastiche il cui destino era tuttora in discussione.

(35) Così L.ELIA, Introduzione ai problemi della laicità, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, p. 2. Per C.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 146, si trattò della più importante e, forse, della più qualificante legge tra quelle emanate dallo Stato liberale: costretto a regolare unilateralmente i propri rapporti con la Chiesa per il totale rifiuto pontificio a ogni soluzione di compromesso e di avvio a una sia pure parziale, e larvata, conciliazione, “lo Stato italiano, facendo esclusivamente uso delle proprie prerogative sovrane, poteva offrire alla nazione e al mondo una prova di civiltà e di coerenza ai princìpi che ne avevano guidato l’azione politica. Ispirata fondamentalmente dalla tesi cavouriana della necessità per lo Stato di assicurare l’indipendenza della Santa Sede e dalla opportunità di offrire piena libertà alla Chiesa cattolica in Italia, dopo che l’unità nazionale fosse stata realizzata con l’eliminazione del potere temporale dei papi, la legge delle Guarentigie sembrava realizzare sul piano normativo i princìpi del separatismo. Il conflitto tra lo Stato e la Chiesa sviluppatosi per un ventennio, dalle leggi Siccardi alla liberazione di Roma, aveva di fatto implicato il frequente ricorso da parte del Governo subalpino prima e italiano poi a misure dal contenuto giurisdizionalista o addirittura regalista, giustificate peraltro data la veemenza dell’opposizione cattolica intransigentemente antiliberale e temporalista; e tuttavia, in ossequio agli impegni internazionali assunti e ai princìpi di libertà che ne ispiravano l’azione politica, lo Stato nazionale si adoperò per la realizzazione di uno schema fondato sulla distinzione della sfera ecclesiastica da quella pubblica e civile”.

(36) C.GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 147.

(15)

Molte di queste disposizioni furono di fatto seguite dalla Chiesa, anche se inizialmente Pio IX, in una enciclica del 15 maggio 1871, aveva dichiarato di non poter accettare «i futili privilegi ed immunità volgarmente detti guarentigie», rimanendo peraltro interrotte le relazioni ufficiali.

Un ulteriore momento di rottura fu rappresentato dal non expedit del 1874, con il quale il Pontefice tese a precludere (sotto forma di ‘consiglio’: ‘non conviene’) la partecipazione dei cattolici alla vita politica, determinando così un grave vulnus nell’opera di formazione di una coscienza civica condivisa: questa scissione fra ‘fedele’ e ‘cittadino’

sarà progressivamente superata dapprima col Patto Gentiloni del 1913(

37

) e poi con la convinta partecipazione dei cattolici alla fondazione del nostro Stato costituzionale repubblicano, anche se tutt’oggi non mancano esempi, soprattutto nel ceto politico, di fedeltà alla Santa Sede prima che di rappresentanza della “Nazione” (come vorrebbe l’art. 67 Cost.).

Con l’ultimo comma dell’art. 1 della legge delle Guarentigie si era frattanto sancito che “la discussione sulle materie religiose è pienamente libera”: in linea di principio, quindi, “la libertà di credenza doveva intendersi, nel periodo liberale, ampia e senza confini predeterminati”. Ciò non impedi, tuttavia, che a livello sociale e specialmente nell’ambito della formazione scolastica, rimanesse forte “una tendenza favorevole alla rilevanza del sentimento religioso”(

38

).

A completamento di questo processo storico, la legge Coppino del 1877 comportò la scomparsa dell’insegnamento delle materie teologiche nelle università e la facoltatività dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica, mentre il Codice penale Zanardelli del 1889 sancì la parificazione di tutti i culti dal punto di vista della tutela penale:

nonostante l’art. 1 dello Statuto “rimanesse formalmente in vigore, può dirsi che l’Italia della fine dell’Ottocento fosse sostanzialmente una nazione pienamente laica ove il diritto di libertà religiosa e di culto era pienamente rispettato nei confronti dei non cattolici. Tale situazione, depurata dalle punte più polemiche una volta giunti al nuovo

(37) Per C.LAVAGNA,Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 128, questa seconda fase “si caratterizzò, a causa della annessione di Roma e della conseguente scomparsa dello Stato pontificio, per un forte attrito politico posto dalla Chiesa ai cattolici di partecipare alle elezioni ed alla vita pubblica … C’è però da ricordare che, prima delle elezioni politiche del 1913, con il c.d. patto Gentiloni, si concordò la confluenza dei voti cattolici su candidati graditi alla S. Sede: comportamento elettorale reso possibile dal sistema uninominale a quel tempo in vigore”.

(38) C.CARDIA, Libertà di credenza, cit., p. 2.

(16)

secolo ed alla presa di potere da parte di liberali pragmatici e moderati come Giolitti, durerà fino all’avvento del fascismo”(

39

).

Nel periodo che intercorre tra le vicende dell’unificazione del paese e la stipulazione dei Patti lateranensi cominciarono a farsi strada tentativi di conciliazione tra Stato italiano e Chiesa cattolica già a partire dai ‘governi Crispi’(

40

), ma si dovette attendere l’11 febbraio del 1929 affinché la ‘Questione romana’ fosse risolta definitivamente, anche se già nel 1923 si era avviata una politica di riconfessionalizzazione disponendo l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.

I Patti lateranensi si componevano a) di in un Trattato con il quale fu costituito lo Stato-Città del Vaticano, mediante cessione di alcuni àmbiti territoriali comprendenti la Basilica di S. Pietro, i Palazzi Vaticani e piccole zone annesse (anche la Piazza di S.

Pietro, sulla quale, però, lo Stato si riservò l’esercizio dei propri poteri), fu attribuita l’extraterritorialità o altri privilegi minori ad alcuni immobili di proprietà della S. Sede, o ad essa trasferiti, e fu riconosciuta alla stessa una somma a titolo di risarcimento giusta una Convenzione finanziaria allegata al Trattato; b) di in un Concordato, con cui furono regolate le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia. I Patti furono resi esecutivi con L. 27 maggio 1929, n. 810, cui seguirono altre leggi integrative, tra cui quelle, in pari data, sugli effetti del matrimonio canonico (n. 847) e sulla posizione degli enti ecclesiastici (n. 848)(

41

).

Con la firma dei Patti, voluti da Mussolini al fine di consolidare le basi del suo potere col favore della Chiesa e col consenso delle masse cattoliche, “veniva interrotta la linea liberale e separatista impressa al diritto ecclesiastico italiano dalle leggi Siccardi in poi.

(39) L.MUSSELLI,Libertà religiosa e di coscienza, cit., p. 220.

(40) In merito si veda la ricostruzione effetuata nel bel libro di S.ROMANO, Libera Chiesa. Libero Stato? Il Vaticano e l’Italia da Pio IX a Benedetto XVI, Milano, Longanesi, 2005, in particolare nei capp. II, III e IV.

(41) Il Concordato definiva, tra le molte cose, lo statuto dei beni ecclesiastici e del clero, riconosceva alcune festività religiose, istituiva l’Ordinariato militare per l’assistenza spirituale delle forze armate, fissava alcune regole per la delimitazione delle diocesi, formulava il giuramento di fedeltà allo Stato italiano che i vescovi avrebbero dovuto prestare prendendo possesso delle loro diocesi. Fra gli articoli più significativi, l’art. 5 impegnava lo Stato a non impiegare in un servizio pubblico i “sacerdoti apostati o irretiti da censura”, l’art. 34 regolava il matrimonio concordatario e garantiva gli effetti civili alla cerimonia religiosa, l’art. 36 prevedeva che l’insegnamento religioso già impartito nelle scuole elementari avesse un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, l’art. 38 si occupava del nulla-osta ai docenti delle Università cattoliche e l’art.

43 riconosceva le organizzazioni dipendenti dall’Azione cattolica. Si proibì inoltre in Roma tutto ciò che avrebbe potuto turbare il carattere sacro dell’urbe.

(17)

Non a caso, infatti, il Concordato e il Trattato con la Santa Sede riportavano in auge quell’interpretazione dell’art. 1 dello Statuto albertino che dichiarava la religione cattolica religione di Stato, secondo una visione tradizionalista, conservatrice e nazionale del regime che contrastava completamente con l’ideologia e la prassi dello Stato liberale”(

42

).

1.3. La ‘religione di Stato’ e la persecuzione delle minoranze.

Sino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, in mancanza di una norma esplicita che riconoscesse a tutti gli individui il diritto di libertà religiosa, c’erano le norme derivanti dal Concordato del 1929 che assicuravano alla Chiesa cattolica uno spazio di libertà, nell’àmbito del quale i cattolici, in quanto agissero in armonia con la Chiesa, potevano riunirsi e svolgere l’attività di culto e di propaganda religiosa senza dover soggiacere a controlli governativi; dunque, sia pure in modo limitato solo ad alcune facoltà, godevano del diritto di libertà religiosa: basti ricordare, al riguardo, l’art. 1 Conc., il quale, fra l’altro, assicurava «alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del culto», e l’art. 2, che sanciva la libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede e i Vescovi, nonché analoga libertà, «per tutto quanto si riferisce al ministero pastorale», ai Vescovi nei rapporti con il clero e tutti i fedeli, e, inoltre, la libertà della Santa Sede e dei Vescovi di pubblicare i propri atti, anche per affissione alle pareti esterne degli edifici di culto e degli uffici.

Tali diritti, sconosciuti alla generalità dei consociati dopo la soppressione delle libertà operata dal Regime fascista, erano riconosciuti in misura molto ridotta alle altre confessioni religiose: “La legge n. 1159/1929 sui culti ammessi stabilì il principio della ammissibilità nello Stato di culti diversi da quello cattolico, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume. Ne derivava il potere discrezionale

(42) C. GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 366, che fa notare come l’intento di Mussolini della saldatura fra Stato e società civile che si voleva conseguire con la conciliazione, non diede i risultati sperati: i Patti, “se servirono al consolidamento dell’autoritarismo e della dittatura dando la sensazione della fascistizzazione del paese, non riuscirono a trasformarsi … in altrettanti strumenti per la costruzione di un regime totalitario. L’introduzione dell’insegnamento religioso impartito, secondo la volontà ecclesiastica, in tutte le scuole statali, l’esistenza di associazioni direttamente dipendenti dalla Santa Sede e organizzate da questa per le proprie finalità, come l’Azione cattolica, la rinuncia dello Stato ai sensi del Concordato a disciplinare il diritto matrimoniale e familiare rinviando alla normativa ecclesiastica riconosciuta capace di produrre effetti civilmente rilevanti anche in sede processuale, finirono col costituire altrettante remore a quella integrale disciplina della vita sociale considerata l’essenza del totalitarismo” (p. 367).

(18)

delle pubbliche autorità a limitare o interdire, l’esercizio di un culto sulla base di valutazioni di merito”(

43

).

Per altro verso, venne limitato il proselitismo religioso, e ciò avvenne nonostante l’art. 5 l. n. 1159/1929 avesse riprodotto, con formula lievemente diversa, il principio già citato di cui all’art. 1 della legge delle Guarentigie, affermando che “la discussione in materia religiosa è pienamente libera”. In realtà, sia il nuovo sistema di controlli giurisdizionalisti nei confronti dei culti ammessi, sia il clima di restrizione delle libertà civili, finirono col depotenziare le garanzie residue per le minoranze religiose, ivi compresa la libertà di discussione(

44

).

L’attività di queste, anche riguardo al culto, era in più aspetti limitata dagli artt. 1 e 2 del r.d. 28 febbraio 1930, n. 289, anche se, a favore di esse, l’art. 3 attribuiva ai ministri di culto, la cui nomina fosse stata approvata dall’autorità governativa, la facoltà di affiggere alle porte esterne degli edifici destinati al culto (anch’essi autorizzati) «gli atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli».

Col regime fascista, dunque, si assistette a una riconfessionalizzazione dell’Italia e a una forte compressione del diritto di libertà religiosa degli appartenenti alle minoranze, soprattutto protestanti. Se la legge sui culti ammessi non appariva, dal punto di vista formale, particolarmente illiberale, erano presenti norme decisamente restrittive e repressive nel r.d. n. 289/1930, che prescriveva, per la legittimità del culto acattolico, che questo si svolgesse alla presenza di un ministro di culto approvato dal governo ed all’interno di un tempio la cui apertura fosse stata del pari autorizzata dall’autorità (la

(43) C.CARDIA, Libertà di credenza, cit., p. 3, che ricorda come tale potere “venne effettivamente utilizzato, quando con la circ. Min. Int. n. 600/158 (c.d. circ. Buffarini-Guidi) del 9.5.1936, si vietò ogni forma di attività del Culto pentecostale, «essendo risultato che esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza» (il Ministero degli Interni confermò la validità della circ. Buffarini-Guidi il 6.3.1947 con altra circ. n. 001815/59168, lasciando intendere con ciò «che nel settore dei culti acattolici nulla era cambiato, o doveva cambiare»)”.

(44) Cfr. ancoraC.CARDIA, Libertà di credenza, cit., p. 3: “Già in seguito ad una controversia degli anni ’30, la Corte di appello di Roma ebbe modo di distinguere la libertà di discussione dalla libertà di propaganda, sostenendo che «nelle discussioni si espongono le ragioni favorevoli e contrarie di un dato argomento per giungere a una conclusione, e non si fa opera di propaganda, mentre la propaganda include sempre il concetto di propagare la religione propria presso chi non ne ha alcuna o ne segue una diversa dalla propria». E proseguiva affermando che «il principio della libertà religiosa dei culti ammessi nello Stato fu sempre ritenuto nel senso che la libertà di coscienza non può essere sottoposta ad alcuna sorveglianza finché non si esplichi con atti e manifestazioni esterne; ma quando l’esercizio della libertà suddetta, eccedendo dalla propria sfera d’azione o per altre ragioni, venga a costituire causa di gravi disordini, lo Stato ha l’obbligo d’intervenire, per tutelare che la libertà religiosa di ciascuno sia contenuta nei suoi limiti e non turbi quella degli altri»”.

(19)

competenza era allora del Ministero per la giustizia e per gli affari di culto, competenza che poi passerà a quello degli Interni).

Poco tempo dopo il Testo Unico di Pubblica Sicurezza (r.d. n. 773/1931) restringeva ulteriormente la libertà di riunione e di culto delle minoranze religiose.

Era frattanto entrato in vigore il Codice penale Rocco del 1930 che, pur accordando una certa protezione penale anche ai “culti ammessi”, sanciva pene maggiori nel caso di turbamento delle cerimonie e di vilipendio di persone o cose della Chiesa di Stato e cioè della Chiesa cattolica, punendo pure, in forma esclusiva, il vilipendio di tale religione (art. 402 c.p.) e la bestemmia “contro le divinità o i simboli o le persone venerate nella religione dello Stato” (art. 724 c.p.).

Approfittando di queste disposizioni, le autorità di polizia iniziarono e portarono avanti una dura campagna contro alcune denominazioni protestanti (soprattutto i pentecostali) rendendo in pratica quasi impossibile l’esercizio del loro culto e costringendo parecchi fedeli all’emigrazione per poter professare in pace la loro religione; a ciò non erano peraltro estranee ragioni politiche, in quanto, nel clima di esaltata protesta contro le sanzioni imposte, dopo la conquista dell’Etiopia, dalla Società delle Nazioni su impulso angloamericano e “di progressivo avvicinamento alla Germania, che porterà a quella follia politica ed a quel «monstrum» giuridico che furono le leggi razziali che privarono gli ebrei non solo della libertà religiosa ma anche dei più elementari diritti umani, i protestanti, aventi le loro sedi di origine negli USA, erano visti spesso come spie o comunque elementi pericolosi e perturbatori dell’unità politica e religiosa dell’Italia”(

45

).

Questa evoluzione storica e questa disciplina giuridica saranno quelle che, dopo il disastro bellico, l’Assemblea costituente si troverà dinanzi nell’affrontare i temi riguardanti la libertà religiosa e i rapporti con le confessioni religiose: quanto precede consente di meglio comprendere “le innovazioni introdotte dalla Costituzione del 1947- 48; la quale doveva reagire all’indirizzo confessionista del 1929 gettando le basi di uno Stato laico e pluralista, e insieme adeguarsi all’evoluzione dei sistemi di relazione tra Stato e

(45) L.MUSSELLI,Libertà religiosa e di coscienza, cit., p. 220.

(20)

Chiese dando nuova rilevanza sociale al fenomeno religioso in tutte le sue manifestazioni ed articolazioni”(

46

).

2. Il dibattito costituente: alla ricerca dell’original intent.

Non è certamente questa la sede per dilungarsi sul dibattito dottrinale riguardante il valore da attribuire ai lavori preparatori(

47

) e il loro peso all’interno delle dinamiche dell’ermeneutica giuridica(

48

).

Basterà quindi chiarire la ragione di questa parte dell’indagine, che è quella di cercare di mettere in evidenza come le disposizioni che apparentemente potrebbero, a causa di una formulazione a volte ambigua o tecnicamente approssimativa, far pensare a una specialità del fenomeno religioso, non siano supportate in realtà, nel pensiero dei Costituenti, da alcun intento del genere. Meno che mai è dunque possibile accettare

(46) C.CARDIA, Libertà di credenza, cit., p. 3. Sulla condizione degli atei e dell’ateismo durante il regime statutario si veda il Cap. I della fondamentale ricostruzione dello stesso autore, ID.,Ateismo e libertà religiosa nell’ordinamento giuridico, nella scuola, nell’informazione, dall’Unità ai giorni nostri, Bari, De Donato, 1973, secondo il quale nel periodo liberale il sentimento e le idee ateistiche erano giuridicamente irrilevanti:

“compresa nel più vasto concetto di libertà di manifestazione del pensiero, la tutela dell’ateismo era attualizzata in un contesto ideologico e normativo pluralista, senza per questo essere oggetto di una puntuale previsione legislativa … La vivacità poi del dibattito culturale e politico, che si svolgeva tra clericali, razionalisti e marxisti, l’organizzazione di circoli e associazioni dei più diversi orientamenti, nonché il rispetto, sufficientemente rigoroso, della libertà di espressione confermerebbero che il principio della libertà di coscienza e di manifestazione del pensiero forniva, nel periodo liberale, adeguate garanzie per il dispiegarsi della dialettica religiosa in ogni sua dimensione” (pp. 25 e 26). L’autore continua sottolineando come, durante l’evoluzione storica, la carenza di disciplina legislativa abbia poi “di fatto legittimato un rapporto decisamente alterato tra la propagazione delle idee e degli orientamenti religiosi e di quelli areligiosi … sembra legittimo il sospetto che il principio del laissez faire, in questo come in altri campi, abbia comportato un pregiudiziale regime di favore per le Chiese” (p. 26); alla fin fine, dunque,

“all’ateismo si riconobbe una mera tolleranza, presto trasformatasi in ostilità quando la funzione sociale della religione veniva riconosciuta meritevole di tutela” ed “esso fu emarginato in quei settori nei quali poteva rappresentare una reale alternativa opzionale per la coscienza individuale … la libertà religiosa e l’intero sistema di diritto ecclesiastico furono concepiti in funzione di una positiva regolamentazione del fenomeno religioso … Di ateismo non si parlerà più nei codici e nelle diverse leggi nazionali, mentre molteplici norme mireranno a tutelare e favorire, in un modo o nell’altro i valori della religiosità” (pp. 51 e 52).

(47) Si vedano, a questo proposito, gli esiti di un recente seminario del Gruppo di Pisa raccolti in AA.VV., Lavori preparatori ed original intent nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di F.GIUFFRÈ – I.NICOTRA, Torino, Giappichelli, 2008, dove è possibile reperire una bibliografia completa e aggiornata scorrendo i vari contributi, in particolare quelli di Luciana Pesole e Chiara Tripodina.

(48) Si rinvia, dunque, per approfondimenti, alle ormai classiche trattazioni di A.PIZZORUSSO, Fonti del diritto, in A. SCIALOJA –G. BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna – Roma, Zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1977, p. 114 e ss.; G.ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale.

I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, UTET, 1988, p. 72 e ss.; L.PALADIN,Le fonti del diritto italiano, Bologna, il Mulino, 1996, p. 97 e ss.; R.GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, Giuffrè, 1998, p. 220 e ss., p. 262 e ss., e p. 330 e ss.

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