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Morfologia dei forti

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Academic year: 2021

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Morfologia dei forti

I SISTEMI DIFENSIVI NELLA STORIA

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Dalle origini alle città romane.

Fin dall’antichità una delle necessità principali dell’uomo è stata quella della difesa: dagli agenti atmosferici, dagli animali e dai predatori, e da attacchi di possibili nemici. La scelta del sito, prima ancora della tipologia costruttiva, costituisce la più importante scelta strategica per la realizzazione degli insediamenti da difendere e dei manufatti difensivi stessi. Si scelgono così luoghi tattici per la loro conformazione naturale come le anse dei fiumi e i promontori elevati. La scelta del sito però non poteva guardare solo ai vantaggi difensivi, ma anche alla facilità di accesso, che doveva essere garantita per favorire l’insediamento umano, che, organizzatosi in comunità, costruiva le proprie abitazioni in aree che venivano poi fortificate con interventi artificiali come terrapieni, fossati e palizzate.

Una delle prime forme di fortificazione abitativa fu il castelliere, insediamento protostorico costruito su sommità di colline, quasi sempre ad andamento regolare circolare, con muraglioni di protezione esterna costruiti a secco con sassi di misure varie spesso connessi fra loro da scaglie calcaree, e terrapieni battuti affacciati talvolta su fossati. In alcuni casi il castelliere veniva collocato sull’orlo di dirupi non risalibili, con difese semicircolari dalla parte del declivio.4

In Italia, tracce di questi primitivi insediamenti si ritrovano principalmente nelle zone del Nord come la regione istriana, nel Trentino, in Veneto, Liguria, ma vi sono alcuni esempi interessanti anche in Puglia.

Una forma più evoluta ma strettamente regionale è quella del nuraghe, casa-fortezza tipica delle popolazioni preistoriche

4. Cfr. Giorgio Lise, Castelli e palazzi d’Italia, Selezione del Reader’s Digest S.p.A. - 1982, Milano

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della Sardegna. Esistono più di 7000 esemplari sparsi per tutto il territorio dell’isola, e sono stati costruiti a partire dal II millennio a.C. fino alla dominazione cartaginese (500 a.C.). Queste strutture servivano principalmente ad ospitare la dimora di un capo, ma potevano all’occorrenza divenire un rifugio per la comunità che viveva nel villaggio circostante, essendo ampiamente rinforzate con solide mura e torri tronco-coniche. Il nome stesso, che deriva dal termine sardo antico nura, indica la funzione abitativa e protettiva del nuraghe e può essere tradotto sia come “mucchio” sia come “buco”, quindi una massa solida di pietre con un vuoto all’interno. Le sue tipologie sono diverse e molto varie per dimensioni e complessità e vanno dal singolo torrione a raggruppamenti di più torri, collegate tra loro da cortine murarie di protezione. Intorno al nucleo fortificato, dotato di un pozzo, vi era solitamente il villaggio vero e proprio, meno difeso ma comunque dotato di muretti di recinzione.

Un altro esempio di fortificazione antica lo si trova a Siracusa, dove, seguendo una differente concezione di fortificazione viene costruito, dal 402 al 397 a.C. il Castello Eurialo. Questa imponente costruzione aveva già tutte le caratteristiche delle fortificazioni che si ripeteranno per secoli, come mura, bastioni, torri, fossati, un camminamento sotterraneo attraverso cui le truppe si muovevano rapidamente e all’insaputa del nemico, e persino il ponte levatoio. Le mura si sviluppavano per un percorso di 14 chilometri, 24 se si tiene di conto delle difese della parte urbana del recinto, e raggiungevano il colle di Epipoli, sulla cui sommità il Castello dominava la situazione.

Nella pagina a fianco: forte romano di Housesteads, ricostruzione della fortificazione legionaria permanente sul Vallo di Adriano.

Fonte: Ian V. Hogg, Storia delle Fortificazioni.

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Costruzioni come il nuraghe o il Castello Eurialo seguivano l’andamento del terreno su cui sorgevano, diversamente da quanto accadde successivamente per gli accampamenti romani. In epoca romana infatti le tecniche costruttive militari evolvono considerevolmente: il sistema organizzativo della società si fa più complesso e vengono istituite le legioni, gli organismi militari di base dell’esercito. Con l’esecuzione di campagne militari anche lontane dalla città di Roma, si cercano nuove soluzioni adatte alla difesa delle truppe nei territori nemici, e si sviluppa la tipologia dell’accampamento militare fortificato, il castrum, struttura mobile in cui risiedevano in forma stabile o provvisoria le legioni in missione.

I castra erano realizzati su pianta quadrata delimitata da un fossato, con una struttura interna organizzata in un reticolo di strade perpendicolari tra loro (le principali erano il cardo e il decumano) che delimitavano gli spazi degli alloggiamenti delle truppe, costituiti da tende. Lungo i quattro lati del campo veniva installato il vallum, una palizzata difensiva posta ad una distanza sufficiente per il libero movimento delle truppe all’interno, ed adeguata allo stoccaggio in sicurezza dei bottini di guerra nonché alla difesa delle tende da eventuali attacchi nemici.

Spesso questi accampamenti militari nati come strutture mobili o comunque provvisorie finivano per trasformarsi in organismi urbani permanenti in cui le legioni venivano acquartierate in maniera stabile. Le strutture venivano realizzate sul modello dei castra dapprima in terra e legno e successivamente in mattoni e pietra, assumendo talvolta impianti a quadrilatero

irregolare o rettangolo5. L’organizzazione era ancora quella a L’esercito romano da Augusto 5. Cfr. Yann Le Bohec, alla fine del III secolo, Roma 1992.

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reticolo di strade deilimitato da fossati, a volte anche multipli, e mura aperte da porte, accanto alle quali sorgevano due torri di avvistamento distanziate tra loro a intervalli regolari lungo il tracciato delle mura stesse. La distanza tra le torri era determinata dalla gittata massima delle armi esistenti all’epoca. Parallelamente alla realizzazione degli insediamenti fissi si rese necessaria una pianificazione di sistemi viari di comunicazione che assumendo notevole importanza per la crescita dell’Impero dal punto di vista non solo militare, ma anche politico e commerciale, gettò le basi per la futura urbs romana.

In Italia si trovano svariati esempi di città fondate a partire da un castrum stabile, come Torino, Como, Pavia, Belluno, Brescia, Bologna e Firenze.

Dal Medioevo all’avvento delle armi da fuoco.

Con la caduta dell’Impero Romano nel 476, e dopo i secoli bui delle invasioni barbariche inizia il periodo medievale, durante il quale i manufatti difensivi ricalcano in gran parte i castra romani continuando a svilupparsi come centri urbani circondati da mura e fossati. Le cinte murarie medievali sono molto alte e robuste, e si evolvono arricchendosi di nuovi elementi come i camminamenti di ronda, le feritoie per i tiri incrociati di archi e balestre, e elementi di ostacolo per l’incursione nemica come i ponti levatoi, a difesa delle porte. Si sviluppa in quest’epoca una nuova tipologia fortificata, quella del castello.

I castelli erano residenze fortificate progettate per servire da rifugio delle famiglie feudatarie ma anche come ricovero delle guarnigioni di soldati, e in quanto centri del potere

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locale e della sicurezza di un più o meno vasto territorio, rappresentavano dei microcosmi in cui si trovata tutto il necessario per la vita dell’epoca. Potevano essere attorniati da una cinta più o meno turrita e presentavano una torre centrale di maggiori proporzioni che serviva da luogo di avvistamento, da abitazione del feudatario e da magazzino, oltre a poter diventare l’estremo rifugio per la popolazione circostante: il caso di invasioni nemiche, infatti, animali e persone del villaggio si sistemavano in baraccamenti e tettoie di legno addossati al perimetro interno della cinta muraria.

Oltre alla motivazione della difesa del villaggio, la realizzazione di castelli era dettata anche da pressanti motivi di ordine politico ed economico. I grandi proprietari terrieri avevano infatti un duplice interesse nel costruire un castello per offrire protezione ai coltivatori delle proprie terre: si impediva che essi rifugiandosi altrove abbandonassero il lavoro e si conservavano i redditi derivanti dall’esercizio della signoria fondiaria sugli uomini residenti.6

I castelli svolsero il loro ruolo più importante, cioè quello della difesa del territorio, tra il IX e il XII secolo, quando l’Italia era divisa in tante piccole aree di influenza. Le fortificazioni, dunque, dovevano essere ben munite e facilmente difendibili. Ingegnosi strumenti da guerra (ponti mobili, torri d’assalto, arieti), che spesso l’esercito assediante costruiva sul posto disboscando una zona, aiutavano poi a risolvere i problemi tecnici nelle azioni guerresche e negli assedi.

In generale si possono individuare due tipologie di castelli, intese come prime fortificazioni a difesa di un agglomerato

6. W. Müller-Wiener, Enciclopedia dell’Arte Medievale, 1993.

Nella pagina a fianco: castello di Beaumaris, ricostruzione di Beaumaris ad Anglesey, Galles.

Fonte: Ian V. Hogg, Storia delle Fortificazioni.

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abitato: la fortificazione costruita intorno (circa) a un villaggio, a un centro curtense o a un edificio ecclesiastico, oppure nelle loro immediate vicinanze (iuxta). La scelta della forma mediante la quale provvedere alla difesa era influenzata dalla posizione topografica, dalla consistenza e dalla disposizione sul terreno del centro di popolamento o di attività economica da proteggere. Nelle pianure, dove di solito gli insediamenti rurali erano sorti sopra dossi emergenti, al riparo da possibili inondazioni, la loro posizione poteva già essere adatta anche da un punto di vista difensivo; è dunque probabile che in tali casi sia prevalsa la semplice recinzione dell’abitato preesistente. Diversamente, nelle aree collinari e pedemontane, per erigere la fortificazione si cercarono siti che offrissero un sufficiente dominio tattico rispetto alla zona circostante; i castelli vennero perciò realizzati preferentemente sulla sommità di alture vicine ai precedenti villaggi. Un’altra spiegazione per la scelta di una piuttosto che l’altra soluzione può essere data dalla dimensione del villaggio da difendere: in presenza di agglomerati che, a causa delle dimensioni, risultava antieconomico recingere interamente, si propendeva per scegliere la fortificazione iuxta

anziché circa, mentre in presenza di piccoli nuclei abitati dispersi su di un’area alquanto estesa era conveniente erigere un unico castello in posizione centrale. Per questo motivo la maggior parte delle fortificazioni sorgeva ‘accanto’ piuttosto che ‘intorno’ ai centri di interesse economico e abitativo che si intendevano difendere.

I castelli allestiti in corrispondenza dei confini avevano funzioni esclusivamente militari, altri si identificavano con insediamenti civili fortificati di dimensioni inferiori alla città,

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benché talvolta venissero con essa confusi. Anche le città principali erano protette da castelli suburbani o interni alle mura, spesso in sito di acropoli, mentre lungo la cerchia non era difficile trovare torri-castelli, grandi torri ciascuna delle quali dotata di ingresso indipendente; vi erano poi recinti isolati nelle campagne destinati alla protezione collettiva di più comunità rurali circonvicine.

Come già accennato, i castelli medievali erano muniti di efficaci dispositivi di difesa, che venivano costruiti tenendo conto sia del sito sia delle capacità dei potenziali avversari da fronteggiare, con notevole corrispondenza fra le disposizioni teoriche e la realtà dell’esecuzione. Le opere più perfezionate disponevano di un triplice ordine di difese: muro di cinta, antemurale e fossato. Il muro, alto dai tre ai dieci metri circa e rafforzato sino a metà, poteva raggiungere lo spessore di 2-3 metri e avere la sommità munita di cammino di ronda, con merli incavati di non meno di mezzo metro.

Per quanto riguarda l’impianto planimetrico, il complesso fortificato assumeva spesso la forma di un quadrilatero regolare con torri aggettanti sugli angoli; altre torri, numerose e molto ravvicinate fra loro, rafforzano le cortine. Si trattava normalmente di torri esagonali all’esterno e cilindriche all’interno, ma talvolta anche quadrate, poligonali, o quadrate alla base e circolari in elevazione. Le porte, il cui numero variava a seconda dell’importanza del castello, erano larghe circa tre metri, e venivano inserite fra due torri circolari o disposte lateralmente in una torre del recinto, nel quale si aprivano inoltre postierle non più ampie di un metro. All’esterno del muro, a un quarto circa dell’altezza della cortina, correva

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l’antemurale, rinserrando uno spazio riservato al rifugio delle popolazioni e degli animali. Di fronte all’antemurale si sviluppava il fossato, largo circa venti metri e più profondo delle fondamenta per impedire al nemico lo scavo di cunicoli sotto le mura; esso era munito di terrapieno e il suo fondo, non necessariamente allagato, era reso impercorribile dalla presenza di pali acuminati.

Le costruzioni, benché talvolta frettolose e risultanti dal riadattamento di materiali e di edifici precedenti, risultavano sempre assai solide, anche per il costante uso della pietra e l’abbondanza della malta. All’interno, per contro, a esclusione della cappella, non si osservano resti di costruzioni, le quali quindi si riducevano a baraccamenti per l’alloggiamento delle truppe, costituiti da materiali deperibili.

Solo nei castelli sedi dei signori più ricchi o di corti regie è attestata la presenza di edifici architettonicamente complessi, confortevoli e forse anche lussuosi, destinati al soggiorno del signore, benché nulla lasci pensare che essi fossero a quell’epoca dotati di un autonomo apparato fortificatorio.

La scelta dei materiali da costruzione era fondamentale per l’aspetto difensivo dei castelli. Si preferiva la pietra al mattone in quanto più resistente all’assedio e all’urto di catapulte e arieti, anche se non mancano esempi di costruzioni in cotto in cui la fragilità è superata dal notevole spessore della cortina muraria. Le strutture di legno venivano accuratamente evitate, specialmente se il castello era in pianura, perché troppo soggette a incendi. Nel caso invece di castelli arroccati, posizionati su monti o comunque in posizione dominante era più difficile raggiungere le strutture interne al muro con colpi

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infiammabili, quindi le coperture venivavo realizzate anche in legno.

Nel corso del XII e XIII secolo furono frequenti le ristrutturazioni dei castelli più vecchi mediante inserimento di un nuovo corpo chiamato dongione: un ridotto più elevato, cinto da mura e da fossati propri, posto all’interno dell’aria del castello preesistente. Questo cambiamento si manifesto quando la popolazione abitante il castello veniva a poco a poco estromessa e il nuovo signore ne diventava unico diretto proprietario. Il dongione racchiudeva in sé gli edifici più importanti, il palazzo e il torrione: il primo (detto talora camminata) costituiva lo sviluppo di quegli edifici residenziali signorili, già presenti in alcuni dei maggiori castra dei secoli precedenti, ora divenuti prerogativa anche dei più modesti; se il palazzo non era dunque di per sé una novità, nuova era la sua diffusione capillare. Esso per possedere quel tanto di eleganza e di comfort che rendesse gradevole e dignitoso risiedervi, era dotato di camere riscaldate, di loggia e di scalone, elementi che lo apparentavano agli analoghi edifici elevati in città prima da conti e da vescovi e poi dai comuni; il palazzo disponeva però anche di un apparato fortificatorio, contribuendo così a costituire il nucleo più munito dell’intero complesso castellano insieme con il torrione, che si trovava non di rado a contatto diretto con il palazzo. Molti torrioni venivano costruiti in castelli che prima ne erano privi, coordinandone altezza e posizione con la cortina difensiva circostante; spesso erano disposti all’ingresso del dongione o nel suo interno in un sito opportunamente scelto. Si trattava in genere di costruzioni quadrangolari (eccezionale è il ricordo di torri rotonde prima

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del XIII secolo), la cui altezza variava fra i 20 e i 30 metri. Le ampie cerchie esterne scomparvero e le aree vennero a restringersi in modo da poter essere interamente sorvegliate e battute dall’alto. Il nucleo fortificato interno, costituito dal dongione che racchiudeva palazzo e torrione, assunse un’importanza fondamentale nel creare una nuova immagine mentale del castello sempre più diffusa e infine dominante: essa tendeva a identificare senz’altro il castello con il dongione e, qualora mancasse, con il palazzo fortificato. Di questo genere sono, di solito, i castelli elevati negli ultimi due secoli del Medioevo e pervenuti intatti sino a oggi proprio perché il progressivo perfezionamento delle artiglierie a polvere pirica segnò la definitiva perdita della loro importanza militare. Come la durevole superiorità delle tecniche difensive su quelle d’attacco aveva favorito la disgregazione politica medievale, il capovolgimento di tale rapporto giocava ora in favore dell’unione politica in stati regionali e nazionali, sanzionando il tramonto di una civiltà che aveva avuto nel castello il più caratteristico dei suoi simboli.

Il Quattrocento e le rocche della Transizione.

Nei gli ultimi decenni del XV secolo si registrano le trasformazioni più significative e durature nell’articolazione dei complessi militari.7 Ciò è dovuto essenzialmente alla

necessità di adattare le opere difensive all’utilizzo delle nuove artiglierie trasportabili, la cui potenza di fuoco, prima ancora della precisione, mise in crisi i sistemi di difesa tradizionali. Nacquero così le rocche, dette di transizione,7 organismi

7. Con il termine “di transizione” si individua una serie di fortezze sorte a cavallo tra il XV e il XVI secolo, che pur mantenendo un impianto tardo medievale iniziano a presentare caratteristiche tecniche tipiche delle fortificazioni alla moderna, come il fronte bastionato e il bastione poligonale. Fonte: D. Taddei, Giuliano e Antonio da Sangallo, in “L’architettura militare nell’età di Leonardo”, Atti del Convegno, 2007.

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caratterizzati da significative novità nell’articolazione dei perimetri fortificati, sebbene in un contesto culturale che si appoggiava ancora in maniera evidente ad una concezione statica, tipicamente medievale, dell’arte militare. Gli sforzi dei progettisti e dei costruttori si concentrarono, almeno in un primo momento, nel miglioramento dei singoli componenti del sistema che vennero ripensati e riorganizzati sulla base delle necessità contingenti.

Un primo cambiamento riguardò le torri che, pur mantenendo in generale la pianta circolare, venero allargate per rispondere all’aumento di efficacia delle macchine da lancio e delle artiglierie, arrivando anche ad alloggiare casematte al loro interno, e abbassate notevolmente, fino a raggiungere la quota delle cortine, in quanto la loro altezza, che era sempre stata efficace per la difesa verso l’esterno e la compartimentazione dei vari tratti del cammino di ronda, diventò uno svantaggio in quanto indeboliva le strutture di fronte ad un possibile crollo. Le torri angolari o rompi-tratta, invece, vennero spostate maggiormente verso l’esterno della cortina per migliorare l’efficacia delle direzioni di tiro, permettendo il fiancheggiamento con il tiro incrociato8, e ne vennero

aumentate dimensionalmente le murature per incrementare la loro resistenza passiva. Le cortine vennero rafforzate alla base mediante l’inserimento di un basamento scarpato che, seppur già diffuso in maniera modesta all’inizio del XIII secolo, risultò fondamentale in questo periodo per resistere agli attacchi di zappe e arieti, ma anche per aumentare la stabilità del manufatto ampliandone l’area di appoggio. Oltre a migliorare i manufatti dal punto di vista della difesa

8. “Questa evoluzione appare nella maniera più sistematica nelle fortificazioni francesi di Filippo Augusto, che assieme al fronte bastionato italiano costituisce uno dei due momenti di massimo progresso ossidionale realizzato da una scuola nazionale.” Fonte www. icastelli.org.

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passiva, vennero introdotti alcuni accorgimenti che permisero di migliorare il contrattacco. Nelle rocche quattrocentesche una delle più evidenti novità è costituita dall’uso sistematico delle bombardiere a tiro radente sul terreno circostante, e l’introduzione di un’ulteriore fila di bombardiere alla quota del fondo del fossato, che restavano invisibili e quindi inattaccabili all’assediante finché questi non fosse giunto sul ciglio di controscarpa.

Non sempre le novità descritte si traducevano in opere compiute, molto spesso infatti le strutture esistenti venivano circoscritte con una nuova cinta, la falsa braga, che serviva ad allontanare il fronte difensivo e garantire una migliore protezione del nucleo centrale del castello. Questa soluzione venne applicata soprattutto in casi di edifici caratterizzati da una prevalente destinazione d’uso residenziale, che risultava difficile comprimere entro spazi concepiti esclusivamente in funzione militare.

Negli ultimi decenni del Quattrocento si assiste ad un incremento qualitativo e quantitativo degli studi teorici sui principi della difesa, che andarono di pari passo con i progressi scientifici e tecnici della balistica. Figura centrale nel mondo delle teorie militari fu Francesco di Giorgio Martini (1439 - 1501), che nel suo Trattato di architettura civile e militare

svolge una approfondita ricerca volta a ridefinire i canoni dell’arte di costruire i sistemi difensivi nella loro globalità e nel rapporto con il sito in cui sorgono.9

È in questo periodo che si iniziano a vedere apparati poligonali sempre più articolati ed estesi, la cui complessità è ottenuta

9. Cfr. M. Viglino Davico, E. Lusso, L’Ingegneria delle difese militari - Il contributo italiano alla stoira del Pensiero: Tecnica, in Enciclopedia Treccani.

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intersecando forme triangolari e circolari che creano nuovi profili per ottimizzare il tiro di fiancheggiamento delle artiglierie di posizione.

Secondo alcune scuole di pensiero l’aspetto del bastione come lo intendiamo oggi nasce proprio per le innovazioni introdotte da Francesco di Giorgio in questo periodo, altri invece10

preferiscono pensare che egli abbia contribuito al dibattito sull’arte di costruire difese assumendo che l’assetto geometrico delle opere dovesse adeguarsi in maniera più radicata alla morfologia dei terreni su cui queste sorgevano.

Dal Cinquecento alle fortezze moderne

A partire dai primi anni del 1500 lo scenario bellico cambia radicalmente per l’avvento delle armi da fuoco, che rivoluzionano completamente i principi costruittivi dei sistemi di difesa.

Fino ad allora le mura medievali pensate per resistere ai colpi delle catapulte e delle frecce, si erano sviluppate in altezza, ma questa conformazione risultò ovviamente inefficace conto tecnologie come quella dei cannoni. Nascono dunque, dopo un susseguirzi di realizzazioni dalle murature sepre più spesse, le fortificazioni in terra, opere caratterizzate da una rigida comformazione geometrica che ora più che mai dipende strettamente dalla morfologia del sito di edificazione. Queste sono fortificazioni di dimensioni notevoli, caratterizzate da una assoluta efficienza balistica e da una maturità formale che non lascia nagoli ciechi e indifesi.

Nel corso degli anni sul territorio europeo iniziano ad apparire

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i primi esempi di fortificazioni terrapienate, diffuse soprattutto lungo quelli che sarebbero stati i fronti di guerra come le Fiandre, la Piccardia, la Lorena, il Piemonte e la Lombardia. Spesso si trattava di opere edificate in fretta, sotto la pressione delle esigenze che via via si presentavano, determinando così in generale una attività fortificatoria caotica e non sempre efficace, ma comunque connotata da alcuni elementi ricorrenti come i possenti muri capaci di resistere ai colpi delle palle da fuoco, gli angoli studiati in modo tale da poter colpire il nemico da qualsiasi angolazione, e l’abbassamento dei volumi al di sotto della quota del terreno per poterli circondare da un profondo fossato.

Bisognerà arrivare fino al XVIII secolo per poter conoscere le prime strutture di impostazione moderna, da cui deriva anche lo stesso Forte Portuense. In quegli anni le innovazioni sul territorio italiano sono limitate e guardano principalmente ad esperienze europee appartenenti a due grandi scuole fortificatorie: una di derivazione tedesca che adottava un tracciato poligonale e inseriva elementi come le casematte e i muri staccati alla Carnot11, e la seconda, francese, che

seguiva la tradizione di Vauban adottando il fronte bastionato e tengliato. Vengono sperimentati in questo periodo i primi campi trincerati, costituiti da ampliamenti delle cinte urbane seguento un impianto “stellato”, e con un sistema di forti esterni staccati.12 A Parigi, ad esempio, si realizza una cinta

bastionata molto estesa, con presidi lungo le direttrici viarie e forti, distranti tra i 1500 e i 3500 metri da questo perimetro, posti in punti strategici.

11. E. Cajano ed., Il sistema dei forti militari a Roma, Gangemi editore, Roma, 2006, p. 27

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La prima città italiana a sperimentare il tracciato poligonale a forti esterni è Alessandria: tra il 1815 e il 1856 si progetta un muro di cinta bastionato con otto forti distanti 1000 - 2000 chilometri.

Una delle figure più importanti per la ridefinizione dei canoni di progettazione dei campi trincerati è Alexis Brialmont, generale e ingegnere belga che progettò le difese di Anversa e Parigi, e redasse numerose bibliografie dedicate alla difesa degli Stati attraverso i campi trincerati.13

Alla base di queste nuove piazzaforti sta un rigore geometrico dettato dalle gittate dei cannoni, che determinano in questo senso sia la distanza che la cinta principale dovrà avere dalla città stessa, sia le posizioni reciproche dei singoli forti, che, seppur posizionati come visto lungo le principali vie di accesso, devono assicurare anche una copertura estesa alle aree interstiziali.

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