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1.1. Sindrome da delezione 22q11.2
1.1.1. Storia ed eziopatogenesi
La delezione 22q11.2, detta anche Sindrome di DiGeorge o VeloCardioFacciale o delle anomalie faciali e troncoconali per il suo caratteristico quadro clinico [1], venne descritta per la prima volta nel 1965 da Angelo DiGeorge, pediatra e professore di pediatria italo americano, dopo aver osservato un gruppo di bambini con caratteristiche cliniche comuni: malformazioni cardiache, convulsioni neonatali dovute all’ipocalcemia conseguente all’ipoparatiroidismo, infezioni ricorrenti per aplasia timica, dimorfismi facciali che configurano un aspetto tipico [2]. La causa non fu al momento identificata per la mancanza di strumenti utili all’analisi del genotipo; soltanto nel 1992, grazie a studi di ibridazione in situ (FISH), fu possibile identificare una delezione di materiale genetico sul braccio lungo (q) del cromosoma 22.
Nel 1976 la stessa sindrome venne studiata e descritta da un gruppo giapponese diretto da Atsuyoshi Takao, dopo aver notato in un gruppo di pazienti la presenza di cardiopatia e facies caratteristica. Venne denominata “cono truncal anomaly face syndrome (CTAFS)” in riferimento alle anomalie presentate dai pazienti osservati.
Solo due anni più tardi, 1978, il chirurgo plastico Robert Shprintzen riportò una nuova sindrome dopo aver osservato anomalie del palato, anomalie cardiache e facies tipica che denominò Sindrome VeloCardioFacciale [3].
Nonostante la variabilità del quadro clinico tra i gruppi osservati dai tre medici, tutti quanti erano caratterizzati da una delezione genetica del cromosoma 22, al locus 22q11.2. Per un certo periodo di tempo è stato usato l’acronimo CATCH 22 (Cardiac, Abnormal
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facies, Thymic hypoplasia, Cleft palate, Hypocalcemia, Chromosome 22) per includere le tre sindromi; attualmente è passato in disuso e si parla anzi di sindrome da delezione del 22.
Nel 1981 De la Chapelle e collaboratori descrissero una famiglia nella quale quattro figli erano affetti dalla sindrome e mostrarono una traslocazione cromosomica sbilanciata risultante in una parziale trisomia del cromosoma e una monosomia della regione 22pter--> q11. De la Chapelle rivalutò, cosi, il quadro osservato nel 1972 da Rosenthal di un paziente con completa monosomia 22 e SDG ed ipotizzò che l’emizigosi del braccio lungo del cromosoma 22 potesse essere la causa della sindrome.
Successivamente Kelley confermò l’associazione con la parziale monosomia del 22, osservando tre pazienti con traslocazione del 22 che causava la monosomia della regione 22pter--> q11. Fu però Greenberg il primo a riportare una delezione nella regione 22q11.21-q11.23 in un paziente con SDG. Ci furono altri studi che sottolinearono l’importanza della monosomia 22q11 nell’eziologia, ma solo con l’utilizzo delle sonde molecolari è stato possibile avvalorare queste ipotesi [3]. In Italia la prima diagnosi genetica risale al 1989. L’introduzione dell’uso della FISH ha reso possibile l’identificazione di microdelezioni nella regione investigata nel 95% dei pazienti con SDG [3].
L’incidenza della sindrome da delezione del cromosoma 22 nelle varie forme di gravità colpisce 1/4000-1/6000 nati vivi; è causata da un difetto nello sviluppo delle strutture embrionali, in particolare della terza e quarta tasca branchiale da cui derivano le paratiroidi e il timo [4]. L’anomalia è riconducibile ad un’alterata differenziazione delle cellule della cresta neurale, determinanti nello sviluppo di queste tasche. Queste cellule sono presenti
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fugacemente nel corso dello sviluppo embrionale, in quanto migrano precocemente in aree distanti differenziandosi [5].
Nell’80% dei casi la delezione del 22 insorge de novo, mentre nel restante 20% è ereditaria da uno dei due genitori con modalità autosomica dominante. E’ da precisare, tuttavia, che queste percentuali potrebbero non rispecchiare la realtà, in quanto, data l’estrema variabilità delle manifestazioni cliniche, alcuni pazienti possono mostrare sintomi clinici molto sfumati che portano ad una mancata o tardiva diagnosi; questa frequentemente è secondaria ad indagini effettuate ad un parente di primo grado con sintomi molto più evidenti [4].
I pazienti mostrano spesso una delezione di lunghezza simile che misura circa 2 megabasi. Nella regione interessata sono localizzati quattro blocchi di sequenze genomiche ripetute, dette “ low copy repeat” (LCR). Le LCR sono presenti in tutti i cromosomi umani e sono spesso implicate in riarrangiamenti cromosomici come delezioni, traslocazioni, duplicazioni. La caratteristica delle LCR della regione studiata è una maggior complessità, dovuta ad una maggiore lunghezza e un alto grado di omologia rispetto ad ogni altra LCR associata a delezioni del genoma umano. E’ probabile che proprio per questo motivo ci sia una più alta instabilità che riguarda la regione cromosomica tramite eventi di crossing over non uguali o ricombinazioni omologhe aberranti [6, 7]. Molti autori hanno dimostrato che non esiste una relazione tra la lunghezza della delezione e il quadro fenotipico: infatti, studi effettuati su gruppi familiari con la stessa delezione indicavano un’ampia variabilità delle manifestazioni cliniche.[8]
Grazie a studi molecolari è stata identificata la più piccola regione implicata ed è stata definita regione critica. In quest’ultima sono stati mappati 25-30 geni e diversi sono
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ricollegabili alla patogenesi della sindrome (Tabella 1) [7]. Non è stato ancora chiarito con precisione quali ruoli abbiano nella patogenesi i geni in questione, tuttavia tra quelli che sembrano maggiormente coinvolti ricordiamo:
TUPLE1 o HIRA, importante nello sviluppo della regione troncoconale;
UFD1L, altamente espresso nell’embriogenesi del topo, in particolare nella
migrazione delle cellule delle creste neurali e in tessuti correlati ad alcuni segni clinici della sindrome. Potrebbe essere correlato alla cardiopatia troncoconale; TBX1, studiato più recententemente, codifica un fattore di trascrizione che
controlla l’attivazione di altri geni dello sviluppo, responsabile dei principali sintomi della malattia. Nel 1997 da Chieffo e collaboratori identificarono questo gene e scoprirono che può dare origine a due trascritti per splicing alternativo: TBX1A e TBX1B. Il primo comprende 1462 basi ed è composto da almeno 9 esoni, il secondo comprende 1539 basi ed è composto da almeno 10 esoni. Si ipotizza che TBX1 sia importante nello sviluppo di alcune strutture tra cui quelle facciali e ghiandolari all’interno della testa e della regione del collo, incluse le paratiroidi e il timo e quelle del cuore, soprattutto la regione del polo vascolare. Alcuni studi inoltre, confermano la responsabilità del gene in alcuni segni della sindrome, tra cui anomalie facciali, difetti cardiaci, ipoplasia timica, insufficienza velo faringea, disfunzione paratiroidea, ipocalcemia. Uno studio del 2002, infine, evidenzia, inoltre, il ruolo dei fattori di crescita dei fibroblasti (FGF8) nell’interagire con TBX1 per la patogenesi delle cardiopatie [5].
Rimane comunque poco chiaro se più geni debbano interagire tra loro per il fenotipo o se ci sia un gene predominante [9].
9 Tabella 1: Geni coinvolti nella sindrome
Gene (synonym) Gene product Product function DGCR6 γ-laminin 1-like protein putative adhesion protein PRODH proline dehydrogenase enzyme involved in proline
catabolism DGCR2 (IDD/LAN) integral membrane protein; C-type
lectin
putative adhesion receptor TSK (STK) serine/threonine kinase signal transduction DGSI (ES2el) nuclear protein essential for early embryonic
development GSCL goosecoid-like protein putative transcription factor SLC25A1 (CTP) citrate transporter protein catalyses citrate transport across
the inner mitochondrial membrane
CLTCL1 8GLTD) clathrin heavy chain-like protein vesicle-mediated intracellular tran sport
HIRA (DGCR1) protein with WD40 domains putative transcriptional regulator
NLVCF nuclear protein Unknown
UFD1L ubiquitin degradation 1-like protein
putative role in ubiquitin-dependent protein degradation CDC45L cell-cycle initiator protein putative role in initiation of DNA
replication
CLDN5 (TMVCF) claudin 5 component of tight junctions PNUTL1 (CDCREL1) septin-like protein putative role in cytokinesis
GP1BB platelet glycoprotein β-subunit component of transmembrane protein
TBX1 T-box 1 putative transcription factor GNB1L (WDR14) platelet glycoprotein β-subunit component of signal-transducing
G proteins
TR (TRXR2) thioredoxin reductase regulation of the redox protein thioredoxin
COMT catechol-O-methyltransferase catecholamine metabolism ARVCF caterin-like protein putative role in adherens
junctions
T10 serine/threonine-rich protein Unknown
RANBP1 RAN-binding protein 1 intracellular transport ZNF74 protein with 12 zinc-finger
domains
putative transcription regulator CRKL adaptor protein with
SH2/SH3/SH3 domains
protein binding LZTR1 (TCFL2) putative DNA-binding protein putative transcription factor
10 1.1.2. Quadro clinico
Le manifestazioni cliniche nei pazienti con SDG sono estremamente variabili, tanto che costituiscono un quadro multi sistemico in cui è necessaria la collaborazione di più specialisti. Nella maggior parte dei casi i sintomi d’esordio sono anomalie cardiache e convulsioni da ipocalcemia [10, 11]. I bambini con la sindrome presentano inoltre nella quasi totalità dei casi una facies caratteristica. Possono aggiungersi altre anomalie, come quelle otorinolaringoiatriche, ritardo nello sviluppo psico-motorio e/o del linguaggio, infezioni ricorrenti, anomalie gastrointestinali [12].
1.1.2.1. Anomalie cardiovascolari
Le anomalie cardiovascolari sono le manifestazioni più frequenti e costanti della sindrome, presenti nel 75% dei casi. Per la maggior parte riguardano la zona troncoconale e consistono in anomalie del tratto di efflusso; tra queste le più osservate: interruzione dell’arco aortico (14%), tetralogia di Fallot (17%), persistenza del tronco arterioso (9%), atresia polmonare con difetto interventricolare (10%), difetti del setto interventricolare (14%). Oltre a queste ci sono altre anomalie più rare come difetti del setto interatriale, coartazione dell’aorta, atresia della tricuspide, trasposizione delle grandi arterie [13]. Nonostante le tecniche avanzate e gli interventi sempre più sofisticati in ambito cardochirurgico, le cardiopatie rimangono la principale causa di morbilità e mortalità [3, 14].
11 1.1.2.2. Ipocalcemia
L’ipocalcemia è dovuta ad un alterato sviluppo delle ghiandole paratiroidi, importanti nella regolazione della calcemia. Tale condizione spesso può portare a episodi di tetania neonatale, convulsioni o tremori. Durante la crescita si ha un meccanismo di compenso grazie al tessuto paratiroideo residuo, per cui tale alterazione tende a normalizzarsi nel tempo. Raramente si riscontra una severa ipoplasia delle paratiroidi con ipocalcemia persistente. In alcuni casi l’ipocalcemia è latente con manifestazione tardiva in condizioni di stress, infezioni o traumi. In tal caso dolori addominali, dolori agli arti, tremori, spasmi muscolari possono essere un sintomo di allerta. Il trattamento dell’ipocalcemia sintomatica severa, richiede la rapida somministrazione di calcio parenterale. Pertanto i pazienti con SDG sono monitorati periodicamente per il dosaggio sierico del calcio, Vitamina D e paratormone; valori nella norma non escludono un ipoparatiroidismo parziale, pertanto le famiglie devono essere informate sui sintomi dell’ipocalcemia [14, 15].
1.1.2.3. Caratteristiche facciali
Le caratteristiche della peculiare facies sono: viso allungato, naso con radice allargata, di forma tubulare, con punta bulbosa e ali ipoplasiche, rime palpebrali strette e rivolte verso l’alto, palato ogivale, pienezza periorbitale, bocca piccola e tenuta prevalentemente aperta, filtro allungato, padiglioni auricolari con impianto basso, estroflessi, piccoli e con note dismorfiche; è frequente la micrognazia da dislocamento posteriore dell’articolazione temporo-mandibolare. Il quadro fenotipico può evolvere percorrendo due strade: in senso
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peggiorativo e in senso migliorativo. Nel neonato e nel bambino le caratteristiche facciali possono essere sfumate e spesso si ipotizza la diagnosi della sindrome partendo da altri sintomi [3, 16].
1.1.2.4. Anomalie del palato e otorinolaringee
Il palato può avere alterazioni con severità variabile: insufficienza della valvola
velo-faringea, schisi sottomucosa o totale del palato, ugola bifida, labio o labio-palatoschisi. L’insufficienza velo faringea può portare a una malnutrizione del bambino nel periodo
neonatale o nella prima infanzia, inoltre conferisce un timbro nasale alla voce in contemporanea all’iperplasia del tessuto tonsillare ed adenoideo [12]. Per valutare la funzionalità di questa struttura, a volte, si esegue dopo il secondo anno di vita una rinoscopia. La faringoplastica funzionale è un intervento che può correggere l’insufficienza della valvola e di conseguenza migliorare il timbro vocale nei casi in cui la logopedia abbia avuto esito negativo. Le anomalie del palato e del condotto uditivo sono fattori predisponenti di otiti frequenti, che frequentemente si manifestano con versamento endotimpanico cronico. Spesso è riscontabile un’ipoacusia sia trasmissiva che neurosensoriale. Pertanto è consigliabile una valutazione audiometrica e un attento follow up. Comuni sono anche alterazioni laringotracheali ed esofagee (laringomalacia, broncomalacia, stenosi o atresia delle coane) [3, 14, 16].
13 1.1.2.5. Alterazioni endocrinologiche
Oltre il quadro dell’ipocalcemia, si è riscontrabile in alcuni casi un’anomalia tiroidea. Questo collegamento tra patologia tiroidea e SDG può essere spiegato con il fatto che le cellule follicolari e cellule C derivano almeno in parte dalle cellule della cresta neurale della quarta e quinta tasca faringea. Pertanto è consigliabile eseguire uno screening tiroideo.[1, 17]
1.1.2.6. Alterazioni immunologiche
L’immunologia ricopre un ruolo chiave in questa sindrome, oltre ad essere l’area in cui quasi costantemente si ritrovano anomalie. Il coinvolgimento immunologico è secondario all’ipoplasia o all’aplasia del timo. Questa sindrome è caratterizzata da un ampio spettro di alterazioni immunologiche che variano da un normale profilo alla completa assenza di cellule TCD3+ [1, 18]. Per questo motivo i bambini sono suddivisi in due gruppi:
SDG parziale, con difetto lieve-moderato che riguarda in particolar modo i linfociti
T (incidenza maggiore)
SDG completa, con diminuzione importante dei linfociti e della loro funzione,
comportando, con una prognosi sfavorevole a meno di un trapianto timico[4]. Nei pazienti compresi nel primo gruppo l’immunodeficienza sembra non essere causata dall’assenza del timo, ma da una anormale migrazione embriologica del tessuto timico, generalmente nel retro faringe [10, 19]. Oltre ad alterazioni riguardanti l’immunità cellulo-mediata, si possono riscontrare anche difetti nell’immunità umorale, come
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un’ipogammaglobulinemia, un deficit di IgA, di sottoclassi di IgG, della risposta anticorpale specifica [20, 21]; in tal caso i pazienti sono più suscettibili ad infezioni. Tali caratteristiche del sistema immunitario nei pazienti con delezione sembrano associarsi ad una maggior suscettibilità alle infezioni [16, 22] e/o a patologie autoimmuni (porpora trombocitopenica, artrite reumatoide giovanile, pancitopenia autoimmune, diabete, anemia emolitica autoimmune, epatite, tireopatia autoimmune, vitiligine) [2, 18, 21, 23].
1.1.2.7. Infezioni
Il 60% dei casi presentano infezioni ricorrenti soprattutto a carico delle vie respiratorie (otiti, faringiti, bronchiti, broncopolmoniti). Più raramente presentano infezioni virali ricorrenti o complicate come infezioni erpetiche o parotiti ricorrenti.[24] I fattori predisponenti, oltre ad un alterato profilo immunologico, sono:
Insufficienza velo-faringea Reflusso gastroesofageo Anomalie cardiache Anomalie otorino laringee Difficoltà nell’alimentazione
Le infezioni più temibili sono le polmoniti virali o da Pneumocisti carinii, la candidiasi e la diarrea cronica [4]. Essendo più predisposti questi pazienti ad un rischio infettivo perioperatorio maggiore, è consigliabile una profilassi antibiotica nei casi da sottoporre ad intervento cardochirurgico [3].
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1.1.2.8. Disturbi dell’alimentazione e gastrointestinali
Si può osservare reflusso gastroesofageo, stipsi, esofagiti. I bambini piccoli possono mostrare difficoltà nella coordinazione del riflesso di suzione/ respiro/ deglutizione con lenta alimentazione ed episodi di rigurgito [3, 4, 25].
1.1.2.9. Anomalie odontoiatriche
I quadri più frequenti sono:
Ritardo nella formazione ed eruzione della dentizione permanente Carie dentali per anomalie dello smalto e fragilità dentale
Malposizioni o malocclusioni dentarie, per alterazioni del palato [3].
1.1.2.10. Anomalie neuropsichiatriche
Nel 50% dei pazienti si può riscontrare un ritardo cognitivo, nei restanti casi si è nel range della norma o del borderline. Nonostante l’assenza del ritardo, quasi la totalità dei casi mostra un’alterazione nelle fisiologiche tappe evolutive, tra cui un ritardo nelle acquisizioni motorie con conseguente incoordinazione motoria già dai primi giorni di vita e la mancata deambulazione prima dei 18-24 mesi. Un ritardo nel linguaggio è piuttosto frequente con ampia variabilità che va dai disturbi di fonazione, probabilmente dovuti alle anomalie otorinolaringoiatriche, ad un ritardo nell’inizio del linguaggio [26].
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Le prime parole compaiono raramente prima del secondo anno di vita [27]. Le problematiche comunicative persistono nel tempo, pertanto è importare intervenire precocemente con terapia riabilitativa cosi da permettere una buona comunicazione nel bambino. Oltre a ciò, si può riscontare nel bambino in età scolare un ritardo nell’apprendimento, in particolare nelle capacità di calcolo e nel ragionamento aritmetico [3]. È frequente un deficit nell’area della processazione non verbale, delle capacità visuo-spaziali, dell’attenzione, della memoria verbale complessa, delle funzioni esecutive (pianificazioni e problem solving), del ragionamento astratto e concettuale. E’ stato ipotizzato che la riduzione di volume dei lobi parietale ed occipitale, dimostrata all’osservazione di risonanze magnetiche di pazienti che presentavano la delezione, possa essere alla base di questi disturbi neuropsichici [28]. Sono comuni, inoltre, disturbi comportamentali come impulsività, ansia, instabilità emotiva, inibizione e difficoltà nell’istaurare rapporti sociali [14]. Molti studi hanno sottolineato la maggior incidenza in questi pazienti di malattie psichiatriche come schizofrenia e disturbo bipolare. Non si conosce anche quale potrebbero essere i fattori di rischio per l’insorgenza di queste problematiche, si ipotizza un ruolo di un gene compreso nell’area della delezione.
1.1.2.11. Alterazioni ortopediche
Con l’evoluzione i bambini affetti dalla delezione possono presentare quadri di scoliosi o cifo-scoliosi, conseguenti alla debolezza muscolare che porta a difetti posturali. In alcuni casi sono evidenti anomalie scheletriche congenite come polidattilia, piede torto e malformazioni vertebrali [3, 27].
17 1.1.3. Diagnosi
Il sospetto diagnostico è prevalentemente clinico, in particolare nei primi mesi di vita, per il ritrovamento di almeno tre delle seguenti condizioni: anomalie cardiache, ipocalcemia neonatale, dismorfie facciali caratteristiche, ipoplasia timica [4, 26]. La conferma si ottiene mediante analisi citogenetica tramite FISH (fluorescent in situ hybridization) su un campione di sangue che dimostra la delezione 22q11.2 [4, 29].
Nonostante sia necessaria l’emizigosi dei geni compresi nell’area critica, non si può correlare l’estensione della delezione con la gravità del quadro fenotipico [30, 31]. In caso di FISH positiva, si estende lo studio genetico anche ai genitori esistendo la possibilità, benché minima, di ereditarietà familiare [32]. È da ricordare che la delezione del cromosoma 22 si comporta come mutazione autosomica dominante con espressività variabile. È possibile eseguire un test prenatale tramite FISH su colture di cellule prelevate mediante amniocentesi o prelievo dei villi coriali. Le indicazioni per l’esecuzione del test in epoca prenatale sono:
Precedente figlio con delezione 22q11
Rilevamento di cardiopatia troncoconale nel feto Genitore con delezione 22q11[33]
18 1.1.4. Terapia
Il trattamento è medico e chirurgico, l’approccio deve prevedere la collaborazione tra diversi specialisti. La prima urgenza è la correzione della tetania ipocalcemica con calcio gluconato e.v., vitamina D2 e D3 ad alte dosi per via orale e dieta a basso contenuto di fosforo supplementata con calcio gluconato. Per quanto riguarda la patologia cardiaca, l’intervento chirurgico è l’opzione prescelta da eseguire il più precocemente possibile. La prognosi dipende soprattutto dall’esito della correzione chirurgica; nel caso di una chirurgia su un’anomalia dei grandi vasi (la causa più frequente di morte) la prognosi è riservata proprio perché l’atto operatorio è problematico, soprattutto in caso di gravi malformazioni multiple. Altri interventi chirurgici possono essere necessari per la correzione di anomalie otorinolaringoiatriche. È essenziale una precoce riabilitazione logopedica e fisioterapica. La prima è importante per garantire buone capacità comunicative nel bambino, la seconda per correggere difetti posturali. Per i pazienti con fenotipo immunologico di particolare gravità, è necessario un trapianto timico o di midollo osseo. Nel caso di infezioni gravi o ricorrenti può essere importante una profilassi antibiotica [3, 4].
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1.2. Sindrome di DiGeorge in assenza di delezione 22q11.2
L’associazione tra SDG e delezione fu per la prima volta descritta nel 1981 [34] ed è stato stimato che la prevalenza di questa mutazione in tutti i casi di DSG è del 90% [29, 33, 35-37].
La delezione però non è l’unica causa di SDG: fattori epigenetici, errori in modificazioni post trasduzionali, esposizione a teratogeni, meccanismi stocastici possono determinare la sindrome [38].
In particolare uno studio del 2009, analizzando i genotipi dei pazienti con diagnosi di DSG, ha rilevato che la percentuale della mutazione è più bassa di quella stimata negli studi precedenti (<60%). Secondo gli autori, la seconda causa possibile è l’embriopatia diabetica.
La differenza percentuale riscontrata nei diversi studi è da ricondurre alle diverse caratteristiche utilizzate per selezionare i pazienti da studiare. In quest’ultimo studio si includono anomalie troncoconali, difetti timici e disregolazione del calcio. I dismorfismi faciali non sono inseriti perchè si ritiene che non siano collegati direttamente alla delezione e che ci siano altri fattori che interagiscono con la mutazione [39].
Proprio per la multipla eziologia, sarebbe più corretta la terminologia “anomalia DiGeorge”, in quanto il termine “sindrome” definisce una singola eziologia o più ampiamente una causa in cui sono coinvolti più geni che interagiscono tra loro nel meccanismo di sviluppo [29, 38].
20 1.3. Il sistema immunitario
L’insieme delle cellule, dei tessuti e delle molecole che mediano la resistenza alle infezioni è chiamato sistema immunitario e la reazione coordinata di questi elementi costituisce la risposta immunitaria. La funzione fisiologica del sistema è quella di prevenire le infezioni e di eradicare quelle in atto [40]. L’importanza del sistema immune, tuttavia, va oltre la protezione dalle malattie infettive: rappresenta un ostacolo nel trapianto d’organi, risposte eccessive possono portare a patologie potenzialmente mortali, ha un ruolo nel mantenere controllati componenti dell’organismo alterate. Il sistema immunitario è generalmente diviso in due componenti: immunità innata e immunità adattativa [41].
1.3.1. Immunità innata
L’immunità innata detta anche naturale è un meccanismo sempre pronto e presente a riconoscere ed eliminare ogni microrganismo, non ha bisogno di essere stimolata e di modificarsi per rendersi efficace al contatto con gli agenti patogeni. È un meccanismo precoce e potente che agisce prima dell’intervento dell’immunità acquisita. I componenti principali sono rappresentati da:
Epiteli: fungono da barriera fisica e chimica; presentano al loro interno linfociti intraepiteliali di tipo T, che possiedono recettori per l’antigene scarsamente diversificati. Queste cellule riconoscono strutture microbiche condivise da microrganismi dello stesso tipo. Possiamo ritrovare, in particolare in cavità peritoneale, una popolazione di linfociti B, denominati B-1, che producono gli
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anticorpi naturali, della classe IgM, che circolano nell’organismo. Quest’ultimi linfociti hanno anch’essi recettori limitati e sono specifici per carboidrati presenti sulla parete cellulare di molti batteri [40].
Fagociti: sono cellule che si ritrovano nel sangue e vengono reclutate nei siti di
infezione, dove riconoscono e uccidono l’agente patogeno dopo averlo ingerito. I neutrofili (detti anche leucociti polimorfo nucleati, PMN) costituiscono la componente dei globuli bianchi più numerosa (v.n. 4000-10000 cell/mm3). La produzione da parte del midollo aumenta sotto l’influsso di citochine prodotte da altri tipi cellulari in risposta all’infezione. I neutrofili sono le prime cellule che intervengono, soprattutto se l’infezione è causata da un agente batterico o fungineo. I monociti (v.n. 500-1000 cell/mm3), svolgono la stessa funzione dei neutrofili, ma hanno una vita extravascolare molto più lunga e in seguito ad attivazione si differenziano in macrofagi [42].
Cellule natural killer (NK): rispondono ai microrganismi intracellulari uccidendo le
cellule infettate. Producono inoltre interferone γ (IFN-γ), un’importante citochina che ha il ruolo di attivare i macrofagi. Queste cellule riconoscono le cellule dell’ospite alterate dall’attacco infettivo [43].
Sistema del complemento: comprende un insieme di proteine circolanti e di membrana. L’attivazione di questo sistema si basa su un meccanismo a cascata sequenziale. Le proteine ricoprono il microrganismo favorendo la fagocitosi, promuovono la flogosi e lisano i microbi [44].
Citochine: sono proteine solubili secrete da macrofagi e altri tipi cellulari, che
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prodotte in piccole quantità in risposta ad uno stimolo esterno, si legano poi a recettori delle cellule bersaglio [45, 46].
Altre proteine plasmatiche: le più importanti sono la lectina plasmatica legante il
mannosio (MBL) che riconosce i carboidrati del microrganismo, li avvolge e permette una più facile fagocitosi, oppure può attivare la via del complemento; la proteina C reattiva (CRP) che si lega alla fosforilcolina sui microbi e ricopre quest’ultimo, favorendo la fagocitosi [45].
1.3.2. Immunità adattativa
L’immunità adattativa, detta anche specifica o acquisita, viene stimolata dall’agente patogeno, quindi è efficace solo dopo il contatto con il microrganismo [40]. È costituita dai linfociti e dalle loro citochine, queste cellule hanno recettori specifici per riconoscere prodotti microbici e anche molecole non infettive. Queste sostanze sono dette “antigeni” [47]. La caratteristiche principali di questo tipo di immunità che la distinguono da quella innata, sono rappresentate dalla specificità per antigeni diversi e dalla capacità di sviluppare una memoria rispetto una precedente esposizione. Vi sono due tipi di immunità adattativa: immunità umorale e cellulare. La prima è mediata dai linfociti B che riconoscono gli antigeni extracellulari e si differenziano in plasmacellule, che secernono anticorpi. Gli anticorpi sono secreti in circolo e nelle secrezioni mucose; impediscono l’istaurarsi delle infezioni evitando la colonizzazione delle cellule e dei tessuti connettivi. L’immunità cellulare è mediata da linfociti T [40].
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I linfociti sono cellule dotate di recettori specifici per i diversi antigeni. Sotto l’aspetto funzionale e fenotipico i linfociti delineano un repertorio eterogeneo; vengono differenziati in base all’espressione di proteine di superficie, dette CD (cluster of differentiation) identificate mediante anticorpi monoclonali [48].
I linfociti B sono le uniche cellule che hanno la capacità di produrre anticorpi, esprimono sulla superficie anticorpi che fungono da recettore per l’antigene [49, 50]. I linfociti T riconoscono, tramite il recettore TCR, solo frammenti peptidici delle proteine antigeniche, legati però da molecole specializzate nella presentazione dell’antigene chiamate complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) presenti sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC) o su cellule accessorie [51]. Il TCR però non è in grado da solo a inviare segnali all’interno della cellula. Associati al recettore troviamo complessi di proteine denominate CD3 e catene ζ. Sono queste che trasmettono il segnale dopo il legame con l’antigene [52]. Tra i linfociti T CD3+ si distinguono due importanti sottopopolazioni: i linfociti CD4+ e i linfociti CD8+. I linfociti T CD4+ sono anche detti linfociti T helper per l'importante ruolo che svolgono nell'aiutare gli altri tipi cellulari nella loro funzione mentre i linfociti T CD8+ sono detti citotossici (CTL) per la capacità di uccidere cellule infettate [40].
1.3.3. Organi linfoidi
Gli organi linfoidi producono gli elementi corpuscolati del sangue e della linfa e comprendono il midollo osseo, il timo, la milza, i linfonodi e il tessuto linfoide associato alle mucose (MALT). Di questi solo il midollo è in grado di produrre l’intero pattern degli
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elementi figurati nel circolo. Questi tessuti vengono distinti in organi linfoidi primari (o centrali) e secondari (o periferici) a seconda dello stato di maturazione dei linfociti. Nei primari (midollo e timo) hanno luogo i fenomeni di maturazione delle cellule; dopo aver abbandonato gli organi primari i linfociti arrivano tramite la via ematica o linfatica già maturi agli organi secondari (milza, linfonodi e MALT) , dove svolgono le funzioni effettrici in risposta agli antigeni [40].
1.3.3.1. Organi linfoidi centrali
Il midollo osseo e il timo forniscono il microambiente per il differenziamento rispettivamente dei linfociti B e dei linfociti T e per la produzione di cellule mature responsabili delle risposte immunitarie. La maturazione è caratterizzata dal riarrangiamento dei geni che codificano per i recettori dell’antigene e dall’espressione dei recettori sulla superficie [40].
1.3.3.1.1. Timo
Il timo è un organo linfoepiteliale che si trova per la massima parte nel mediastino anteriore e una piccola parte nel collo. È un organo impari e mediano costituito da due lobi simmetrici, ha una forma a piramide con la base inferiore. È notevolmente sviluppato nel feto e nei primi anni della vita postnatale per poi andare incontro ad infiltrazione adiposa ed involuzione dopo la pubertà. In sezione risulta formato da numerosi lobuli in ciascuno dei quali si distingue una zona corticale e una midollare. È costituito da tre tipi di cellule:
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cellule epiteliali, linfociti (timociti) e altre cellule di origine ematopioietica come macrofagi e le cellule interdigitate. Nel timo si svolgono processi di proliferazione linfocitaria e le tappe di una sequenza maturativa che va dalla zona corticale a quella midollare, in cui l’organo è suddiviso. Lo sviluppo dei linfociti T è favorito da interazioni cellula-cellula che hanno luogo fra i linfociti timici e le cellule non linfoidi, e inoltre per l’effetto di diverse citochine solubili che si producono in seguito di queste interazioni.
Lo sviluppo timico inizia con la segmentazione del faringe posteriore, a questo seguono diversi processi di sviluppo che culminano nella formazione di cellule epiteliali derivate dall’endoderma [53]. Il timo origina dalla terza tasca faringea, che si allarga dividendosi in una parte dorsale e una ventrale cava, che prende rapporto con la faringe. La parte dorsale dà origine alle ghiandole paratiroidi inferiori; la parte ventrale, invece, si riempie grazie alla replicazione cellulare [54]. Si formano cosi due lobi che si avvicinano sulla linea mediana, dando la tipica forma bilobata. Successivamente il timo migra caudalmente verso il mediastino superiore, lasciando le paratiroidi a livello della parete tiroidea dorsale. Dalla cresta neurale, invece, derivano le cellule mesenchimali degli archi faringei dando luogo non solo al tessuto connettivo timico, ma anche alla muscolatura liscia delle arterie cefaliche e al connettivo delle paratiroidi [53, 55]. Il tessuto mesenchimale del timo ha un ruolo fondamentale nello sviluppo epiteliale: regola la maturazione e differenziazione delle cellule epiteliali immature, inoltre ci sono fenomeni di signaling tra i due tipi di cellule con lo scopo di controllare l’iniziale sviluppo ghiandolare. Solamente quando il timo è capace di supportare le cellule epiteliali l’ulteriore sviluppo è indipendente dal mesenchima. La ghiandola timica è un organo linfoide e come tale è popolato da linfociti dopo la loro uscita dal midollo osseo come cellule immature. Le cellule linfoidi iniziano ad invadere il timo
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all’ottava settimana di embriogenesi, prima che il timo sia vascolarizzato [56, 57]. Queste cellule seguono un percorso che va dalle cellule mesenchimali alle cellule epiteliali, con cui hanno un’interazione decisamente critica per l’ulteriore sviluppo ghiandolare. Proprio per questo fatto, difetti coinvolgenti lo sviluppo linfocitario portano ad un alterato sviluppo timico [58]. La prima zona con cui entrano in contatto le cellule linfocitarie (doppio negative CD4-CD8- e prive di TCR, dette pro-T) è la giunzione cortico-midollare. I linfociti pro-T successivamente presentano il recettore TCR dopo fenomeni di ricombinazione e migrano verso la corticale, durante il quale diventano doppio positive CD4+CD8+. Nella corticale avviene il processo di selezione positiva in cui, se il recettore TCR riconosce una molecole MHC presentante antigeni self, la cellula sopravvive, sennò va incontro ad apoptosi [59]. Inoltre i linfociti T, il cui TCR riconosce complessi peptide-MHC di classe I, conservano l’espressione del CD8 e perdono l’espressione del CD4; al contrario, se una cellula T riconosce il complesso peptide-MHC di classe II, tale cellula conserva l’espressione del CD4 perdendo quella del CD8. Tale processo genera linfociti T a singola positività. Queste cellule vanno poi nella midollare, dove hanno una stretta interazione con le cellule epiteliali che garantisce il mantenimento dell’architettura e della funzione ghiandolare [60]. Infatti le cellule a singola positività promuovono la maturazione delle cellule epiteliali e la formazione della midollare quindi. Le cellule epiteliali mature della midollare hanno un ruolo importante nell’autoimmunità: insieme alle cellule dendritiche presentano antigeni self, grazie all’espressione del gene AIRE. I linfociti che riconoscono antigeni self ad alta affinità vanno incontro ad apoptosi, fenomeno di selezione negativa [61]. Ci sono però cellule autoreattive che, invece di essere eliminate, vengono trasformate in cellule T regolatorie FOXP3 (CD25+) tramite interazione con
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cellule dendritiche timiche [62]. Tutti gli altri linfociti lasciano la midollare per entrare nel circolo periferico. Alterazioni dello sviluppo possono avvenire a qualsiasi livello determinando conseguenze diverse: difetti nel gene AIRE porta ad un normale sviluppo cellulare linfocitario, ma ad una predisposizione autoimmune [63]; mutazioni che coinvolgono lo sviluppo linfocitario portano ad un anomalo sviluppo timico con conseguente immunodeficienza [64]; la perdita di T regolatorie FOXP3 (sindrome di IPEX) si manifesta con un quadro autoimmune costituito da citopenia, enterite autoimmune grave, diabete mellito insulina dipendente [65]. Come si evince dalle complesse interazioni istauratasi durante lo sviluppo del sistema immunitario, timo e linfociti sono due componenti che interagiscono tra loro per una corretta maturazione; difetti che coinvolgono una o l’altra parte si manifestano come disordini immunitari [66].
1.3.3.2. Organi linfoidi secondari
In questi compartimenti avvengono le funzioni effettrici dei linfociti, è favorito l’incontro degli antigeni e delle cellule presentanti gli antigeni con i linfociti maturi. La possibilità di tale incontro è aumentata grazie al ricircolo dei linfociti per la via ematica e linfatica [40, 67].
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1.4. Caratteristiche immunologiche della sindrome
La sindrome da delezione 22q.11.2 presenta tratti immunologici particolari [16]. Il quadro immunologico può essere tra i più vari e coinvolge in prima istanza la componente cellulo-mediata del sistema immunitario, dovuto ad un’alterazione dello sviluppo timico [68]. La ghiandola timica è colpita nella maggioranza dei casi: subisce un’anomalia nello sviluppo, risultandone ipoplastica o aplastica [69].
Alcune ipotesi affermano che i difetti coinvolgenti alcuni organi, tra i quali il timo, le paratiroidi, la regione troncoconale del cuore, siano causati da un’anomalia della migrazione delle cellule della cresta neurale [2, 70-72]. In assenso a quanto detto, c’è la dimostrazione che l’interruzione della migrazione di suddette cellule in topi causino difetti similari riscontrati in pazienti con DSG [30].
1.4.1. Linfociti T
Come è già stato affermato, il quadro fenotipico immunologico dei pazienti affetti da DSG è estremamente variabile, andando da un normale profilo alla completa assenza delle cellule T [1, 18], e non appare correlato con la gravità relativa ad altre caratteristiche fenotipiche [11]. Le alterazioni possono riguardare sia il numero che la funzionalità dei linfociti T [73].
Nella sindrome completa, i pazienti manifestano una grave o completa linfocitopenia T dovuta ad aplasia timica. In questi casi il numero dei linfociti T è al di sotto di 50 CD3+
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cells/mm3 e la risposta proliferativa ai mitogeni è assente o altamente ridotta. Questa situazione è molto rara, coinvolgendo l’1.5% dei pazienti [1]. Le condizioni dei pazienti sono molto gravi e possibilità terapeutiche consistono nel trasferimento di linfociti T maturi o nel trapianto timico [74-76].
La SDG parziale è il quadro più frequente e non si ha l’assenza del timo ma un’anomala migrazione, che può determinare una moderata diminuzione dei linfociti T CD3+ nel sangue periferico [73, 77]. Tra questi i linfociti T helper, CD3+CD4+, sembrano risentire maggiormente del deficit rispetto ai citotossici, CD3+CD8+. In contrapposizione alcuni studi riferiscono un aumento dei NK, CD16+56+, mentre per quanto riguarda i linfociti B, CD19+, l’argomento è ancora dibattuto [78]. Un ulteriore aspetto riguarda le famiglie TCRVβ, in cui le anormalità comprendono un’espansione o una riduzione nelle sottopopolazioni CD4+ e CD8+, o popolazioni oligoclonali TCRVB, portando di conseguenza a una riduzione della diversità [68, 79].
Tra le anomalie riscontrate e il rischio di infezione non c’è tuttavia una correlazione [80]: infatti, pazienti con infezioni ricorrenti possono presentare un normale quadro immunologico. Inoltre la risposta proliferativa dei linfociti ai mitogeni risulta per la maggior parte paragonabile ai controlli [81].
Una minoranza di pazienti con linfocitopenia T sembrerebbe avere un rischio maggiore di contrarre infezioni significative virali o da candida o di andare incontro a morte infettiva, soprattutto coloro che hanno un deficit combinato di CD4 e CD8 o con ipoparatiroidismo [82]. Uno studio di Herwadkar et all afferma che pazienti con ipoparatiroidismo hanno più probabilità di avere un’immunodeficienza clinicamente
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significativa e parametri anomali di laboratorio riguardanti la funzionalità dei linfociti T, con alto rischio di infezioni respiratorie e gastroenteriche [49].
Ulteriori evidenze mostrano che i pazienti con delezione 22q11.2 hanno un’accelerata conversione delle cellule naive in memory, una maggiore replicazione delle CD4 naive rispetto ai controlli e un repertorio T meno diversificato come è dimostrato dai picchi oligoclonali sulle analisi delle famiglie TCRVB [68].
1.4.2. Linfociti B
L’immunodeficienza dovuta alla delezione 22q11.2 è classicamente descritta come un difetto coinvolgente le cellule T [21, 83-85]. Recenti studi hanno visualizzato come in realtà in alcuni pazienti sia associato un difetto del compartimento umorale. Anche in questo caso abbiamo un’ampia variabilità, riconoscendo casi affetti da ipogammaglobulinemia, da deficit di IgG, da deficit di IgA o da bassi valori di IgM [81, 83, 86, 87].
I livelli dei linfociti B sono in genere normali, sono le cellule CD27+ che invece sono tipicamente basse [24]; più precisamente a livello di questo pattern solo le IgM+ IgD+CD27+ (cellule B della zona marginale) risultano essere significativamente inferiori rispetto i valori normali, con associato un minor switched in cellule memoria [20]. Questo subset sembra funzionare come se appartenesse all’immunità innata, producendo anticorpi naturali IgM e IgD ad alta affinità indipendentemente dallo stimolo delle cellule T. Il meccanismo responsabile di questo deficit non è ancora chiaro, ma si ipotizza un difetto della differenziazione in cellule B IgM+IgD+.[83] Il problema potrebbe essere collegato al
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deficit dei linfociti T, in quanto queste ultime potrebbero essere importanti per l’espansione del compartimento, oppure ad alterazioni del microambiente che supporta la fase ultima della differenziazione delle cellule B [24, 88-90]. Si può riscontrare anche una situazione di linfocitopenia B, che tende nella maggioranza dei casi a normalizzarsi con l’età [20]. Comunemente si possono riscontrare livelli di IgG bassi alla nascita, che però si normalizzano con il tempo [18].
La valutazione dell’immunità umorale è considerata clinicamente importante perché questi pazienti sono frequentemente affetti da infezioni respiratorie [21, 83-85, 91]. Questa osservazione sottolinea il ruolo delle anomalie immunitarie umorali nell’aumentare il rischio di contrarre infezioni, insieme ad altri fattori non immunologici come difetti anatomici, malattie cardiache, reflusso gastro-esofageo, insufficienza velo faringea e difficoltà nell’alimentazione, e patologie autoimmuni [24].
1.4.3. Conseguenze del quadro immunologico
Linfocitopenia nel tempo
È stato visto che la linfopenia è molto più frequente nell’infanzia rispetto ai giovani adulti e ci sono evidenze che supportano l’ipotesi che il compartimento T vada incontro ad una proliferazione omeostatica per compensare la ridotta risposta timica [68, 75, 92].
Un tempo si pensava che la maturazione cellulare avvenisse solo nel timo. Ora invece si crede che le cellule T periferiche più giovani facciano parte di una distinta popolazione rispetto a quelle più mature. Queste cellule sono chiamate recent thymic emigrants (RTEs) e vanno incontro a processi post timici di maturazione. RTEs sono particolarmente espresse nei neonati e nei pazienti che presentano una linfocitopenia [93-95]. Normalmente
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ci sono meccanismi omeostatici nello sviluppo, sopravvivenza e mantenimento delle cellule T [68, 96]. Le interazioni tra le cellule naive e il peptide self, MHC e IL7 sono importanti per la sopravvivenza delle naive stesse [96-100].
Quando le cellule T sono ridotte, la combinazione del peptide self e MHC porta ad un’espansione omeostatica per ristabilire il numero normale [101, 102]. In queste circostanze le cellule naive (CD45RA+CD62L+) acquisiscono il fenotipo e la funzionalità delle cellule memory (cd45ra-cd62l+), anche in assenza di stimoli antigenici (anche se i batteri commensali appaiono facilitare il processo) [96, 103, 104]. Questa proliferazione delle cellule memory è dipendente dalla combinazione di IL15 e IL7 piuttosto che con il contatto MHC e peptide. Inoltre, appare esserci un limitato repertorio T, che può portare ad un’anomala attivazione e differenziazione delle cellule B, con un decremento nel comparto B memory e un aumento delle B di transizione [93, 95].
Questo può spiegare la diminuita produzione di Ig e anormali anticorpi specifici. In aggiunta negli adulti con SDG c’è un’inclinazione verso un fenotipo Th2 (produzione di citochine che stimolano l’immunità umorale), a differenza di quello che accade nei bambini con SDG in cui si ha un aumento della produzione citochinica di tipo Th1 (citochine che stimolano l’immunità cellulo-mediata) [104-107]. Questi processi che si verificano in linfopenici può essere una spiegazione per l’insoergenza di autoimmuntià o atopie [105, 108, 109].
Autoimmunità
Negli ultimi anni, si sta affermando l’idea che l’autoimmunità in pazienti con delezione 22q11.2 sia piuttosto frequente (circa il 30% dei soggetti)[23], manifestandosi come citopenia, autoimmunità sistemica o organo-specifica. Le patologie autoimmuni che sono
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state descritte nei pazienti sono: porpora trombocitopenica, anemia emolitica autoimmune, ipotiroidismo, artrite idiopatica giovanile, neutropenia autoimmune e vitiligo. Tra queste quelle che ricorrono con maggior frequenza sono ipotiroidismo e la porpora [110].
Il meccanismo che sottende i processi autoimmuni probabilmente è multifattoriale. Le infezioni stesse possono giocare un ruolo tramite diversi processi: rilascio di antigeni sequestrati in seguito a il danno tissutale, attivazione di linfociti T autoreattivi da parte di prodotti microbici e citochine, fenomeni di molecular mimicry. Oltre a ciò, i pazienti con immunodeficienza hanno una ridotta capacità ad eliminare l’agente infettivo, risultandone una risposta infiammatoria cronica, una situazione che favorisce l’interruzione della tolleranza periferica [111]. Tuttavia, non sembra che il numero di infezioni sia collegato allo sviluppo di autoimmunità.
Nonostante questo fatto, sembra che il meccanismo primario sia collegato alla disfunzione immunitaria [112]. Il timo ha un ruolo centrale nel fenomeno di tolleranza e nell’eliminazione delle cellule autoreattive. Le anomalie coinvolgenti il timo potrebbero risultare in un difetto delle cellule CD4+CD25+, cellule T regolatorie naturali, importanti nella tolleranza [113]. È stato identificato come causa di questa alterazione il fattore di trascrizione FOXP3: mutazioni a carico del rispettivo gene determinano una sindrome linfoproliferativa autoimmune X-linked, con disregolazioni immunitarie, poliendocrinopatia, enteropatia [114]. L’importanza di questo subset cellulare è stata dimostrata in topi timectomizzati, in cui la deplezione delle cellule CD4+CD25+ porta a patologie autoimmuni multiple fatali, che possono essere prevenute tramite trasferimento di suddette cellule da topi sani, suggerendo la loro funzione di controllo in periferia verso cellule reattive rilasciate dal timo [115]. Un’altra causa che si riscontra nei pazienti affetti
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da patologie autoimmuni, è la mutazione del gene AIRE, che regola l’espressione di antigeni organo-specifici nel timo [116]. Ulteriori ipotesi che spiegano l’avvento del quadro autoimmune, riferiscono l’inclinazione di un sottogruppo di linfociti T ad assumere il fenotipo Th2 attraverso la proliferazione omeostatica, portando a una regolazione anomala del compartimento cellulare B, che potrebbe dare il proprio contributo nella perdita della tolleranza.
Nonostante sia stato sottolineato il ruolo della linfopenia nel blocco della self-tolleranza, non tutti i pazienti linfopenici sviluppano autoimmunità; altri fattori possono quindi essere coinvolti nel processo [117]. Il compartimento cellulare T è mantenuto da una proliferazione post timica periferica, che risulta aumentata nei soggetti linfopenici [118]. Le cellule regolatorie che sono in basso numero nei soggetti con deficit di T, sono molto più efficienti dopo l’espansione post timica, risultando in un aumento quantitativo. Questo dimostra che il deficit linfocitario non causa una deplezione specifica delle cellule regolatorie [119]. In ogni caso, questa proliferazione periferica genera cellule T CD4+CD25+ con un minor repertorio in TCR, predisponendo lo sviluppo di autoimmunità [23]. Tison et all. hanno ipotizzato che i pazienti con il più alto livello di cellule T naive potrebbero non avere fenomeni autoimmuni; inoltre hanno evidenziato che fenomeni autoimmuni sono meno probabili con un numero di cellule T CD4+ maggiore a 1218 cells/mm3 in età inferiore ai 6 mesi e maggiore a 550 cells/mm3 in età compresa tra 48 e 120 mesi [110].