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CAPITOLO PRIMO: MALATTIE CORINICHE RESPIRATORIE: EZIOPATOGENESI, DECORSO, TERAPIE, PROGRAMMI DI RIABILITAZIONE POLMONARE E COMORBIDITÀ.

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CAPITOLO PRIMO:

MALATTIE CORINICHE RESPIRATORIE: EZIOPATOGENESI, DECORSO, TERAPIE, PROGRAMMI DI RIABILITAZIONE POLMONARE E COMORBIDITÀ.

1.1 Malattie croniche respiratorie: definizione, incidenza, frequenza tra i sessi

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) rappresenta oggi una delle principali cause di malattia, invalidità e morte a livello mondiale. La morbidità e la mortalità, con variazioni da paese a paese e tra gruppi etnici differenti, sono previste in sensibile aumento nei prossimi decenni. La patogenesi va ricercata nella presenza di una ostruzione al flusso dell’aria, dovuta ad un processo infiammatorio cronico, che si sviluppa e si mantiene in seguito all’esposizione all’agente causale e comporta un insieme di rimaneggiamenti del parenchima polmonare che sottendono il quadro clinico.

La BPCO può ritenersi perciò una malattia squisitamente polmonare, senza però tralasciare quelle condizioni morbose (cardiopatia ischemica, carcinoma bronchiale, osteoporosi, diabete, etc.) che possono coesistere e aggravarne l’outcome e che necessariamente devono essere tenute in buon conto quando si effettua la diagnosi e la scelta della terapia.

Uno dei fattori di rischio principali è il fumo di tabacco e circa il 15-20% dei fumatori sviluppa una BPCO clinicamente rilevante, ma una

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percentuale ben maggiore potrebbe sviluppare disfunzioni polmonari mantenendo l’abitudine al fumo.

Esistono, per quanto riguarda la prevalenza, differenti tassi, derivanti dall’applicazione di metodi di indagine differenti, criteri diagnostici differenti, diversi approcci analitici.

Il rescoconto del GOLD (Global Initiative for COPD) 2006, che è stato svolto sulla base di tre diversi metodi di rilevazione (dichiarazioni di diagnosi di BPCO effettuate da medici, spirometria con o senza broncodilatatore, questionari che ricercano la presenza di sintomi respiratori) ha rilevato che si ottengono stime più basse di prevalenza se si considerano le dichiarazioni di diagnosi ricevute da medici; ad esempio negli Stati uniti da un’indagine di questo tipo emerge che circa il 6% della popolazione ha avuto una diagnosi di BPCO (GOLD 2006), e questo riflette una diffusa sottostima per quel che riguarda la suddetta diagnosi, soprattutto perché negli stadi iniziali, la malattia non si presenta con sintomi caratteristici che richiedono la consultazione di un medico.

Considerando invece i risultati derivanti da metodi di indagine standardizzati, in primis la spirometria, si stima che circa un quarto degli adulti dai quarant’anni d’età in su potrebbero avere limitazioni nel flusso d’aria ascrivibili ai primi stadi di una BPCO (GOLD 2006).

Alla luce delle suddette discrepanze, ad oggi il dibattito sul quale sia la stima più corretta della prevalenza è ancora in corso.

In definitiva, risulta impossibile stilare un quadro unitario circa la prevalenza della broncopneumopatia cronica ostruttiva, sebbene una

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prevalenza maggiore sia osservabile in soggetti fumatori ed ex-fumatori, sopra i quarant’anni di sesso maschile (GOLD 2006).

Per quanto riguarda la morbidità, misurata raccogliendo dati relativi a visite ambulatoriali, visite al pronto soccorso e ricoveri, vi è una relativa carenza di dati; in base all’analisi dei ricoveri alla fine degli anni novanta è possibile osservare un aumento, in particolare i tassi di ricovero suddivisi per genere stanno raggiungendo livelli di parità, con un incremento per quanto riguarda le donne.

E’ previsto che entro il 2020 la BPCO diventi la terza causa di morte nel mondo, questo a causa del crescente tasso di fumatori e dei cambiamenti demografici in divenire nella maggior parte dei paesi, in particolare l’aspettativa di vita in crescita.

Da sottolineare come i tassi di morbidità e mortalità generalmente siano superiori nel sesso maschile, sebbene si sia registrato, negli ultimi vent’anni, un notevole incremento dei suddetti tassi nel sesso femminile, tanto da prevedere nel prossimo futuro un superamento dei tassi di morbidità e mortalità relativi al sesso femminile rispetto all’attuale maggior prevalenza registrabile nel sesso maschile. La causa principale si può identificare nell’incremento dell’abitudine al fumo da parte delle donne.

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1.2 BPCO: eziopatogenesi e fattori di rischio

Per quanto concerne l’eziopatogenesi, la BPCO risulta essere una malattia multifattoriale, un chiaro esempio di interazioni tra fattori genetici (deficit di alpha1-antitripsina) e fattori ambientali.

Il principale fattore ambientale per lo sviluppo di una BPCO è risultato essere il fumo, tuttavia sono stati identificati anche altri fattori di rischio quali: l’esposizione ad agenti inquinanti domestici e professionali, l’inalazione di polveri e agenti chimici, l’asma, le infezioni respiratorie. Il ruolo del sesso come fattore di rischio rimane ad oggi poco chiaro. In passato sembrava che l’appartenenza al sesso maschile potesse essere un fattore di rischio, ma studi svolti nei paesi industrializzati dimostrano oggi che i tassi di prevalenza per il sesso sono simili (GOLD 2006).

Nella BPCO si ritrovano alcune modificazioni caratteristiche che interessano le vie aeree prossimali e distali, il parenchima polmonare e il sistema vascolare polmonare. Inalare fumo di sigaretta e altre particelle nocive induce uno stato infiammatorio, risposta acuta normale, che si mantiene e diventa cronico nei pazienti che sviluppano BPCO; questo comporta aumento nel numero delle cellule dell’infiammazione (neutrofili, eosinofili, chemochine, fibroblasti) che inducono rimaneggiamenti strutturali, con distruzione del parenchima polmonare (enfisema) e sviluppo di fibrosi, che comportano in ultima analisi una inefficacia dei normali scambi respiratori e quindi una condizione di ipossia.

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1.3 Caratteristiche cliniche della BPCO

Per fare diagnosi di BPCO si deve documentare la presenza di sintomi caratteristici.

Nel primo stadio, quello lieve, questi sono tipicamente la tosse cronica e la produzione di espettorato e precedono di parecchio tempo il sintomo più tipico ed eclatante, la dispnea (che è il sintomo dell’ostacolo all’afflusso dell’aria, dovuta alla limitazione del flusso d’aria), che caratterizza il secondo stadio della BPCO, ovvero lo stadio moderato.

Generalmente è proprio questa difficoltà respiratoria, che compromettendo le attività quotidiane del paziente lo induce a richiamare l’attenzione del medico.

Con l’aumento dell’ostruzione al flusso d’aria il paziente entra poi nel terzo stadio, in cui la BPCO si classifica come grave, nel quale il persistere della tosse e dell’espettorato si accompagnano all’aggravarsi della dispnea e la possibile comparsa di ulteriori sintomi come perdita di peso e ipossemia cronica, astenia, ridotta tolleranza allo sforzo, ripetute riacutizzazioni che compromettono la qualità della vita del paziente.

Infine nel quarto stadio, in cui la BPCO evolve ulteriormente in molto grave, compaiono respiro sibilante, ipertensione polmonare con evoluzione in cuore polmonare cronico e scompenso cardiaco destro.

Per quanto riguarda la valutazione della limitazione del flusso d’aria, questa avviene attraverso la spirometria, metodo di indagine che misura la capacità polmonare. Attraverso la spirometria si ottiene un rapporto

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FEV1/FVC (dove FEV1 è il volume espiratorio massimo, e FVC la capacità vitale forzata) che ci da indicazione riguardo il grado di ostruzione bronchiale.

Nella BPCO, FEV1 è ridotto a causa di un’ostruzione del flusso d’aria, che porta ad una riduzione del suddetto rapporto inferiore al 70% (GOLD 2006).

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1.4 BPCO: farmacoterapia

La terapia viene personalizzata sul paziente in base ai sintomi che si osservano e con lo scopo di migliorare la sua qualità di vita .

Sicuramente grande importanza ha la messa in atto di un programma volto sia alla riduzione dei fattori di rischio (il fumo in particolare) sia al potenziamento delle capacità di coping del paziente che gli permettano di far fronte alla malattia e migliorare la propria condizione di salute.

Per quanto riguarda la farmacoterapia, purtroppo ad oggi non è utile per arrestare il deterioramento a lungo termine a livello delle vie aeree periferiche e del parenchima polmonare, ma è impiegata invece nella riduzione dei sintomi e delle eventuali complicazioni.

Parte fondamentale della terapia farmacologica sono sicuramente i broncodilatatori, in particolare quelli a lento rilascio; si aggiunge il trattamento con glucocorticosteroidi. Si registra inoltre una discreta indicazione a trattare i pazienti con vaccino anti influenzale, con lo scopo di ridurre la gravità dei sintomi. Da non trascurare neppure il miglioramento derivante dal ricorso a training di esercizio fisico. Infine la somministrazione di ossigeno a lungo termine sembra aumentare la sopravvivenza.

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1.5 BPCO programmi riabilitativi: focus sul programma di riabilitazione polmonare e l’importanza del colloquio motivazionale. Per quanto riguarda il percorso riabilitativo, possiamo sottolineare che i suoi principali obiettivi sono quello di ridurre i sintomi, aumentare la propensione e l’abilità del paziente all’esercizio fisico, migliorando così la qualità della vita (Haave et al.,2007).

Di notevole interesse ad oggi sono i programmi di riabilitazione polmonare, che riescono ad intervenire su una serie di problematiche non risolvibili dal trattamento medico della BPCO, tra i quali perdita di abitudine all’esercizio fisico, un certo isolamento sociale, alterazioni dell’umore, atrofia muscolare e perdita di peso.

Tra i benefici più evidenti della riabilitazione polmonare si evidenziano miglioramento nell’esecuzione di esercizio fisico, miglioramento della qualità della vita, riduzione del numero delle ospedalizzazioni, riduzione di depressione e ansia associate alla BPCO.

Questo tipo di riabilitazione coinvolge una serie di figure professionali e può essere effettuata da casa, in pazienti ambulatoriali e in pazienti ricoverati presso strutture ospedaliere. Il trattamento ha una durata minima di sei settimane, comunque più si prolunga il programma e migliori sono i risultati, considerando anche il fatto che non sono ancora stati messi appunto programmi che consentano il mantenimento dei risultati raggiunti nel tempo (Gretchen et al., 2003).

I programmi di riabilitazione polmonare vanno ad agire su diversi aspetti: training di esercizio fisico per migliorare la resistenza e la prestazione

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durante l’esercizio fisico; consulenze nutrizionali che si rendono necessarie per controllare il peso corporeo, che incide sui sintomi (GOLD 2006).

Da sottolineare, all’interno degli interventi psicologici e comportamentali messi in atto con pazienti affetti da BPCO, è l’importanza del counseling motivazionale.

Come più volte evidenziato, la pratica del fumo, risulta essere una delle principali cause di sviluppo di BPCO. Si rende quindi necessario andare ad intervenire per far si che i pazienti cessino di fumare o, quanto meno, riducano il più possibile la messa in atto di tale comportamento.

Parlando di cambiamenti del comportamento, è necessario evidenziare il modello trans-teoretico del cambiamento di Prochaska Di Clemente.

Secondo tale modello il processo di cambiamento dei problemi comportamentali, si svolge secondo un percorso a stadi discreti, che può essere descritto e in qualche misura previsto.

Gli stadi individuati da Prochaska DiClemente sono:

-Precontemplativo: la persona non è consapevole della propria condizione

patologica, non è preoccupata dei problemi derivanti da tale condizione, nè intenzionata ad applicare sforzi per ’ottenere l’obiettivo del cambiamento. Naturalmente in tale stadio i meccanismi di difesa come la negazione, sono quelli più presenti ed evidenti. Pertanto il soggetto non ammette la propria situazione problematica, non palesa preoccupazione, anzi minimizza i problemi e tende a dare spiegazioni razionali.

La durata di questo stadio è potenzialmente illimitata, il soggetto per definizione non viene all’osservazione dell’operatore, ma può esservi portato da parenti, o essere visto in consulenza per altri motivi (in ospedale, soggetti con disturbi alcol-correlati, incidenti, malattie droga-correlate, ecc.).

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-Contemplativo: il soggetto ammette il problema , ne ha una presa di

coscienza. Proprio in questo stadio troviamo la compresenza degli aspetti definibili positivi del comportamento in atto e di quel corteo di sintomi e problemi negativi che vengono progressivamente caratterizzando i problemi comportamentali man mano che si sviluppano.

Elemento caratteristico di questo stadio è una forte ambivalenza (da un lato vi è consapevolezza che il problema è serio, che un cambiamento si impone, ma d’altro canto non si è ancora pronti, non si riesce ancora a modificare il proprio comportamento).

Il soggetto in questo stadio continua ad oscillare tra i due poli, quello del mantenimento dello statu-quo e quello del cambiamento(che appare necessario, ma ancora irraggiungibile almeno nel presente).

-Lo stadio successivo è quello della determinazione: Intale stadio il soggetto ha scelto di cambiare, è pronto. Perciò è fondamentale che il terapeuta supporti il paziente ed elabori strategie verso il cambiamento. E’ probabile che si debba lavorare sulla motivazione al cambiamento individuale .

-Successivamente si passa allo stadio dell’azione: caratterizzato dall’effettiva interruzione del comportamento problematico: è lo stadio in cui, il soggetto concretamente adotta il cambiamento di comportamento. -Abbiamo poi lo stadio del Mantenimento: giunti in tale stadio si può scivolare verso l’uscita definitiva dal problema, ma si può altresì sviluppare un rischio di Ricaduta. Diventa perciò importante rinforzare l’autoefficacia supportare gli aspetti positivi e lo sforzo che il paziente sta compiendo.

-La ricaduta rappresenta il sesto ed ultimo stadio del cambiamento previsto nel modello di Prochaska e DiClemente. Si presenta come un fenomeno fisiologico nel ciclo dei disturbi comportamentali, il terapeuta deve in questo stadio analizzare i punti deboli della strategia di cambiamento messa in atto e cercare di circoscrivere l’effetto della ricaduta stessa.

La ricaduta resta comunque una tappa all’interno del percorso di cambiamento.

Partendo da questo modello si può introdurre il Colloquio motivazionale. Uno degli assunti del CM è che, se un soggetto affronta un cambiamento

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comportamentale con una strategia non appropriata essendo in un determinato stadio del cambiamento, si ottiene l’effetto di spingerlo indietro verso stadi del cambiamento meno evoluti.

Questo solleva la questione di quali siano le strategie appropriate ai diversi stadi del cambiamento.

Il concetto di colloquio motivazionale (CM) si è sviluppato dall'esperienza avuta da Miller nel trattamento di pazienti alcolisti. Tale esperienza fu descritta per la prima volta nel 1983 .

In base a suddetta esperienza è stata sviluppata da Miller e Rollnick una teoria coerente,e una descrizione dettagliata della procedura clinica, che ha portato alla definizione del colloquio motivazionale.

Questo tipo di colloquio si basa sul far emergere la motivazione individuale al cambiamento che ciascun paziente possiede, anche se spesso tale motivazione emerge, non riesce a trovare applicazione concreta. Miller e Rollnick hanno definito il colloquio motivazionale come un “ metodo direttivo, centrato-sul cliente, per aumentare la motivazione intrinseca al cambiamento attraverso l’esplorazione e la risoluzione dell’ambivalenza “. Concetto basilare del colloquio motivazionale è che, attraverso la comunicazione, si possono elicitare affermazioni che vadano verso il cambiamento andando a risolvere la tipica frattura interiore che viene a crearsi tra il comportamento e i valori della persona e che portino quindi la persona ad avere un concreto impulso verso di esso.

Possiamo definirlo un metodo centrato sul cliente in quanto si focalizza sulle preoccupazioni e le prospettive dell’individuo, diventando un’evoluzione del counseling centrato sul cliente di Carl Rogers(1953). Chi conduce il colloquio cerca così di far si che si risolva l’ambivalenza , spesso in una particolare direzione di cambiamento, rinforzando le risposte che il cliente da nella direzione del cambiamento, che avverrà così naturalmente.

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Alcuni studi hanno suggerito un’efficacia del CM in soggetti come i fumatori di tabacco e incoraggianti risultati si sono ottenuti con persone che usano cannabinoidi e oppioidi , e diverse applicazioni “speciali”: con pazienti diabetici, nella riabilitazione coronarica, nella riduzione del rischio HIV, con soggetti portatori di disturbi alimentari, con soggetti che usano sostanze affetti da altra patologia psichiatrica.

Sono stati condotti diversi studi per testare l’efficacia del colloquio motivazionale applicato in pazienti con varie patologie e per identificare i fattori che influiscono sui risultati.

In Gran Bretagna è stata realizzata una metanalisi comprendente diversi studi randomizzati che si fossero occupati del colloquio motivazionale come metodologia di intervento.

E’ stata messa in atto una ricerca su 16 banche dati, che ha condotto alla selezione di 72 studi randomizzati, di cui il primo pubblicato nel 1991. Dalla metanalisi risulta che il colloquio motivazionale risulta essere efficace nel percorso di cambiamento di comportamenti nocivi per la salute, anche se sarà necessario intraprendere studi su campioni più ampi in futuro (Rubak et al., 2005).

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1.6 BPCO e comorbidità

La BPCO si accompagna spesso con una serie di comorbidità, in particolare con cardiopatia ischemica, carcinoma bronchiale, osteoporosi, diabete e altre patologie. Molte di queste condizioni sono legate all’età, ma diventano più difficili da gestire in un paziente affetto da BPCO; viceversa possono portare diverse problematiche nella gestione della BPCO stessa.

E’ importante sottolineare come la BPCO si correli con una maggiore prevalenza di disturbi depressivi e disturbi d’ansia che incidono sulla gravità dei sintomi e sulla perdita della forma fisica e di abilità di esecuzione di esercizi.

La prevalenza dei disturbi d’ansia, in particolare del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) e del disturbo da attacchi di panico, nei pazienti con BPCO si attesta su tassi più elevati rispetto a quelli registrati per la popolazione generale; per quanto riguarda il GAD la prevalenza raggiunge tassi compresi tra il 10% e il 15,8% (effettuando la diagnosi di GAD con procedure diagnostiche standard (Gretchen et al., 2003).

Considerando che la prevalenza del GAD nella popolazione generale varia tra il 3.6% e il 5.1%, possiamo dedurre che la diagnosi di GAD ha un tasso di probabilità circa di tre volte superiore nei pazienti affetti da BPCO rispetto alla popolazione generale degli Stati Uniti (Gretchen et al., 2003). Krajgi e colleghi, utilizzando l’Intervista Clinica Strutturata del DSM-III-R, hanno documentato una prevalenza del disturbo da attacchi di panico dell’ 8% circa (superiore rispetto a quello della popolazione generale).

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Questi dati sono stati raccolti in studi che hanno attentamente escluso gli episodi di disturbi d’ansia secondari alla BPCO.

Altri studi, basati su questionari di autovalutazione del disturbo da attacchi di panico, costruiti in base ai criteri diagnostici del DSM-IV per suddetto disturbo, hanno registrato tassi di prevalenza del 32% (Gretchen et al., 2003).

Tutti questi dati ci indicano che vi è un’elevata compresenza di tali patologie. Misurando la presenza di ansia tramite lo STAI è stato rilevato che la prevalenza di disturbi d’ansia in pazienti affetti da altra condizione medica e nella popolazione generale è inferiore rispetto a quella in pazienti

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