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La decarbonizzazione dell industria dell acciaio. GdL Aidic Siderurgia Sostenibile

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La decarbonizzazione dell’industria dell’acciaio.

GdL Aidic Siderurgia Sostenibile

Introduzione

1. Al di la’ dell’utilizzo del carbone

2. Il costo di produzione dell’acciaio

3. Il Direct Reduced Iron (DRI) convenzionale

4. Il ruolo dell’idrogeno

5. Il ruolo dell’energia elettrica

6. La situazione attuale ed il futuro prossimo nel mondo ed in Italia

Conclusioni

Introduzione

Nel 1500 AC i carri del faraone Amose I riuscirono a riunificare l’Egitto mettendo Tebe come capitale, in quell’anno il livello della CO2 in atmosfera era di 277 ppm ed intorno a questa concentrazione è rimasto fino all’inizio della rivoluzione industriale, circa duecento anni or sono. Se andiamo ancora indietro ci accorgiamo di variazioni importanti della CO2, vedi Figura 1, ma il picco piùalto mai registrato, 300 ppm, èstato toccato circa 350,000 anni fa. In termini di variazioni il valore attuale, superiore a 410 ppm, e’ quasi il doppio del valore medio

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nell’ultimo millennio. E’evidente come una tale concentrazione sia foriera di cambiamenti importanti del clima a livello planetario.

Figura 1 Andamento della concentrazione di CO2 in atmosfera negli ultimi 800,000 anni [1]

In questo contesto le emissioni di CO2 nella produzione dell’acciaio assumono una particolare rilevanza.

Guardiamo in dettaglio i numeri associati:

• I NUMERI

• 24%

• La percentuale delle emissioni industriali di CO2 attribuibile alla produzione di acciaio.

• 7–9%

• La percentuale di tutte le emissioni di CO2 attribuibili alle attivita’umane .

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1,86

miliardi di ton per anno

L’industria siderurgica mondiale, con una produzione di poco meno di 2 miliardi di tonnellate, vedi figura 2, rappresenta attualmente tra il 7 ed il 9% delle emissioni globali di CO2 [2] e di conseguenza sarà tra le prime industrie da de-carbonizzare per limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1.5 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali, in linea con gli accordi del summit COP26 di Glasgow di novembre 2021.

. Fig. 2 Produzione globale di acciaio a livello mondiale e per Paesi

Siccome la domanda globale di acciaio è destinata ad aumentare a 2,5 miliardi di tonnellate da qui al 2050 [3]sarà di fondamentale importanza abbattere le emissioni dell’industria siderurgica dagli attuali 1,85 ton di CO2 per ton di acciaio da altoforno al valore di 0,2 tonn, vedi Figura 3. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria una vera e propria rivoluzione dei processi produttivi con massicci investimenti, dell’ordine di centinaia di miliardi di Euro. Una recente stima di McKinsey, riportata dall’Economist di gennaio 2022, stima circa 145 miliardi per anno di nuovi investimenti per prossimi 30 anni, con un impatto sui costi di produzione di circa il 30% [4].

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Fig.3 Cambiamenti nell’intensità di carbonio dal 2015 al 2050 [6]

A prima vista modificare questi processi produttivi sembra una missione impossibile per una industria che ha attualmente ricavi annuali superiori a 2 trilioni di €, secondo la World Steel Association, attraverso una serie di infrastrutture pesanti che partono dalla movimentazione del carbone e dei minerali di ferro, a giganteschi altoforni per la produzione di ghisa prima e di acciaio successivamente. Infrastrutture che hanno una vita media economica tra 20 e 40 anni e che rappresentano oggi un grosso freno al cambiamento (sunk cost ) [5]. Ma al di là della dimensione di questa industria e della quantità di investimenti necessari per arrivare ad una sensibile riduzione delle emissioni di CO2, è necessario implementare nei prossimi 30 anni nuove e “disruptive tecnologies “ per la riduzione degli ossidi di ferro in acciaio, tecnologie che utilizzano l’idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua utilizzando energia elettrica rinnovabile o utilizzando la stessa energia elettrica direttamente in un processo di tipo elettrochimico. La strategia nei prossimi 10/15 anni dovrà puntare sulla riduzione delle emissioni dove e come e’ possibile, sul recupero della CO2 e sulla trasformazione delle emissioni in chemicals, dove non sara’ possibile avere una stoccaggio della CO2 o la sua mineralizzazione.

L’Europa che oggi produce circa poco meno del 10% della produzione mondiale di acciaio,e’ oggi all’avanguardia nel definire soluzioni e processi alternativi , anche perché’ l’aumento della carbon tax nell’ultimo anno sta mettendo una grossa pressione sui profitti aziendali come si evince bene dal grafico allegato. A gennaio 2022 la carbon tax ha superato i 90€ per ton per poi stabilizzarsi a 72 in Marzo.

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Figura 4 Andamento della Carbon Tax negli ultimi anni.

Il costo delle emissioni di CO2 diventerà un acceleratore dei cambiamenti tecnologici in quanto già a partire da metà degli anni ’20, i produttori di acciaio europei perderanno lecosiddette “free allocation” relative ai permessi ricevuti dalla Comunità Europea in relazione al Emission Trading System (ETS). Questo aumento dei costi dovrebbe essere compensato da un meccanismo di aggiustamento “carbon- border” da applicare alle importazioni di acciaio altamente inquinante.

Fig.5 Percorsi tecnologici per la riduzione della CO2

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I due principali percorsi tecnologici per la riduzione della CO2 nel settore siderurgico possono essere ricondotti a: Smart Carbon Usage (SCU) e Carbon Direct Avoidance (CDA) , come riportati nella figura 5. Vedremo in dettaglio come si articolano questi due percorsi ed alcune iniziative specifiche [7]

La produzione di acciaio in Italia

L’Italia è uno dei Paesi di primo piano nel nostro continente per quanto riguarda la produzione dell’acciaio.

Secondo l’ultimo Rapporto annuale di Eurofer (l’associazione europea dei produttori di acciaio) [8], nel 2018 l’industria siderurgica ha dato lavoro nel nostro Paese a quasi 33.400 persone, il 10,12 per cento a livello europeo, seconda soltanto agli 84.230 posti di lavoro della Germania. A livello produttivo, nel 2019 le 24,5 milioni di tonnellate italiane hanno costituito oltre il 14,6 per cento della produzione europea, che ammontava a quasi 167,7 milioni di tonnellate, in calo rispetto ai 168,5 milioni del 2017. Nel 2009, la produzione europea di acciaio consisteva in una cifra, comunque, più bassa: poco meno di 139,5 milioni di tonnellate.

Sempre nel 2019, l’Italia è arrivata dietro alla Germania (42,4 milioni) per tonnellate prodotte, ma davanti a Paesi come Francia (15,4 milioni) e Spagna (14,3 milioni). Se si guarda a questi primi produttori di acciaio in Europa, si nota che anche per loro c’è stato un rallentamento nei primi 10 mesi del 2019, come per l’Italia.

"Il nostro ultimo Rapporto annuale mostra un quadro variegato del settore dell’acciaio", spiega Eurofer nel report European Steel in Figures 2019. L’occupazione è tornata sui livelli del 2014, con la domanda del mercato domestico che è costantemente aumentata negli ultimi anni. Le importazioni sono cresciute, ma l’aumentare della domanda è stata però interamente assorbita dall’offerta proveniente da Paesi esteri. La produzione dell'undicesimo mese del 2021 è in linea con quella del 2018 pari a 23 milioni di tonnellate.

L’Italia ha da tempo spostato il baricentro della sua produzione d’acciaio dagli altiforni ai forni elettrici. Con i suoi 16 milioni di tonnellate di produzione da rottame ferroso, di cui oltre 10 provengono dal mercato nazionale, pari a circa il 60% del totale, l’Italia è oggi il primo produttore in Europa ed il quarto al mondo, dopo Stati Uniti, Giappone e Cina. Questa dimensione produttiva è fonte, al tempo stesso, di ricchezza e preoccupazione. Da un punto di vista ambientale, infatti, il forno fusorio si presenta come un gigantesco smaltitore di rifiuti speciali che riciclando rottame di ferro produce acciaio. Vengono ottenuti in questo modo semilavorati detti “prodotti lunghi”, ovvero travi e tondo per cemento armato, rotaie, prodotti per ferramenta, vergelle e prodotti per arredo urbano.

Il forno elettrico è però nella sostanza un gigantesco distillatore nel quale tutti i composti, ed in particolare quelli a bassa temperatura di fusione, finiscono nei fumi. In questo caso il problema non è costituito dalle emissioni di CO2 , che non superano di massima i 400 kg per ton di prodotto, quanto nasce dal fatto che il rottame di ferro contiene di tutto, dallo zinco al cadmio, dal piombo all’arsenico, al mercurio etc., che finiscono, dunque, nei fumi i quali, per tale ragione, non possono essere avviati direttamente al camino, ma devono essere filtrati ed abbattuti andando a costituire quella che è la polvere delle acciaierie elettriche. Le dimensioni di questo problema sono gigantesche: si calcola che il forno fusorio produca qualcosa come 15-20 kg di polveri per ogni tonnellata di acciaio prodotto. Il risultato è che in Italia si genera, ogni anno, qualcosa come 300.000 tonnellate di polveri (inclusive di quelle provenienti dai convertitori degli altiforni, contenenti elementi pericolosi). L’elevato tenore di zinco e, negli acciai speciali, di nickel e cromo, elementi con un certo

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valore commerciale, ha reso conveniente l’uso di queste polveri come materie prime seconde. Nelle oltre 300.000 tonnellate di polveri sono contenute almeno 40-50.000 tonnellate di zinco recuperabile. Il processo di recupero dello zinco, oggi largamente diffuso, si basa sul processo pirometallurgico del forno Waelz. In Italia esiste un impianto Waelz, a Pontenossa, che ricicla ogni anno circa 80.000 ton di polveri da acciaieria elettrica. Le rimanenti 220.000 ton devono essere avviate alle discariche speciali.

Va inoltre notato che l’acciaio prodotto dai forni elettrici non e’ un acciaio ad alta resistenza , quale quello richiesto dalla cantieristica e dal mondo automobilistico. La sua qualità puo’ essere migliorata mediante aggiunta al rottame di prodotti vergini, quali acciai primari da BF che da DRI. Pratica gia’ largamente utilizzata in Italia da alcune acciaierie del Nord. La figura 6 mostra il livello di residui per le diverse applicazioni [9].

Fig. 6 Livello di residui nel prodotto per le diverse applicazioni.

Tra i poli di produzione piu importanti ricordiamo: Taranto, Genova Cornigliano, Novi ligure, Ravenna, Cremona e Terni L’impianto di Taranto, che ha una produzione di acciaio annuale stimata in circa 4,5 milioni di tonnellate, corrispondente a circa il 18% di tutta la produzione delle acciaierie italiane, ed e’ l’unico stabilimento italiano a ciclo integrale che produce acciaio primario (direttamente da minerali ferrosi), è una determinante strategica per il futuro alla quale il Paese non può rinunciare e che deve anzi rilanciare. Il problema per l’Italia non è se produrre acciaio nel polo siderurgico di Taranto, ma produrlo in modo sicuro nel rispetto dell’ambiente e della salute delle persone. L’acciaieria di Taranto è tra le più pulite d’Europa ma non basta, quello che si sta per avviare è un processo di profonda trasformazione che ha al centro la sostenibilità ambientale e l’obiettivo di aumentare la produzione e la competitività degli acciai in termini di qualità e di prezzo. L’obiettivo quantitativo è portare la produzione a 8 milioni di tonnellate nel 2025 dai circa 4,5 milioni attuali; l’obiettivo di medio termine, quando le tecnologie consentiranno di produrre idrogeno verde (solo con l’utilizzo di energie rinnovabili) a prezzi competitivi, è di utilizzare l’idrogeno come mezzo riducente.

Altro sito importante e’ quello dello stabilimento di Genova Cornigliano, che ha avviato la produzione a ciclo integrale nel 1953. Con una capacità produttiva nominale pari a circa 1,5 milioni di tonnellate annue di prodotto finito, è l’unico in Italia in grado di produrre banda stagnata e banda cromata elettrolitica.

Il complesso industriale sito in Genova ha sia la funzione di snodo logistico sia di centro di trasformazione. I prodotti finiti e semilavorati sono ricevuti nelle banchine portuali gestite dall'azienda. Grazie alla sua posizione

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strategica, questo sito costituisce il naturale collegamento con gli stabilimenti di Novi Ligure, Racconigi e Paderno Dugnano e, in generale, con i mercati del Nord Italia e d'Europa. Il complesso industriale di Novi Ligure è invece dedicato alla produzione di laminati a freddo e zincato. Riceve i semilavorati (coil laminati a caldo) provenienti dallo stabilimento di Taranto e transitati da Genova, sia attraverso il trasporto ferroviario che quello stradale.

Tra i maggiori produttori di acciaio ricordiamo, la MARCEGAGLIA HOLDING, con piu’ di 5 milioni di tonnellate annue di prodotto, RIVA FORNI ELETTRICI e CHIMET con tre, FINARVEDI ed ITALPREZIOSI con 2,7 ed ACCIAI SPECIALI TERNI con il 1.6 milioni di tonnellate annue di prodotto.

Terni e’ l’unico stabilimento in Italia che produce acciai inossidabili.

Di seguito la figura 7 raccoglie i maggiori player nazionali.

Fig. 7 I maggiori player in Italia

I costi di produzione dell’acciaio

E’ importante nel chiudere questa introduzione dare una indicazione dei costi di produzione relativi alla produzione di acciaio primario, BF+BOF, a quello basato sulla riduzione diretta, DRI+EAF, e a quello basato sul riciclo del rottame, come mostrato nella Figura 8.

E’ evidente che i dati riportati [10] diano una indicazione di massima, in quanto il costo di produzione, oltre che dalla materia prima , viene determinato per esempio dal costo del gas naturale e da quello della elettricità. Ma in generale si può affermare che il DRI+EAF è la produzione più costosa, mentre la produzione da rottami è legata alla disponibilità e che comunque, nella previsione di aumento consistente della domanda di acciaio da qui al 2050, è chiaro che questa domanda non potrà essere soddisfatta che dalla produzione di acciaio primario sia per via BF+BOF che per via DRI+EAF. Riprenderemo più avanti ed in maniera piu’ estesa l’analisi sui costi di produzione in varie parti del mondo.

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Figura 8 Costi di produzione per i processi convenzionali: Bf-BOF, DRI-EAF e rottami EAF

1. Al di la’ dell’utilizzo del carbone

L’estrazione del ferro dai minerali risale a 3000 anni fa , una tecnologia che ha dato il nome ad una epoca “ l’età del ferro” appunto. Questo processo avveniva utilizzando carbone di legna per ridurre l’ematite , Fe2O3, o magnetite,Fe3O4, a ferro , il cosìdetto spongeiron, attraverso l’immissione di aria in un forno fusorio che trasformava il carbone in monossido di carbonio, CO. Dopo l’eliminazione dei silicati e delle altri impurezze contenuti nei minerali , questo ferro spugnoso veniva trasformato in ferro battuto che successivamente riscaldato su un letto di carbone dava luogo ad un prodotto definito comunemente come ferro,in realta’ una lega di ferro e carbonio, dove il carbonio partecipava fino la 2% in peso.

In questo processo il carbone giocava un triplice ruolo: forniva il calore di reazione necessario alla conversione, l’agente di riduzione, il CO, e l’agente legante, nella lega Fe-C.

Il processo tradizionale e’ mostrato nel suo insieme nella figura 9. Nella sinistra si puo’ vedere la filiera altoforno, BlastFurnace (BF) dove si produce la ghisa seguito dal convertitore ad ossigeno, BlownOxygenFurnace (BOF) dove la ghisa, una lega di ferro e carbonio, viene trasformata in acciaio, riducendo il carbonio a meno di 1%,mentre sulla destra è rappresentata la filiera DRI, riduzione diretta dell’ematite con gas di sintesi,seguita dal forno ad arco elettrico Electric ArcFurnace, (EAF). Nella parte sottostante si possono vedere i principali prodotti:

lastre, billette e bramme che a sua volta vengono convertite nei prodotti industriali.

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Figura 9 Overview del processo BF+BOF e DRI+ EAF nella produzione di acciaio primario.

Nella figura 10 viene riportata la divisione tra i due processi in termini di capacita’ produttiva per alcuni paesi. Come si puo vedere in Europa la produzione via BF+ BOF supera il 70% del totale, in Giappone il 90%. Solo negli USA la produzione via EAF supera il 50%.

Figura 10 Distribuzione delle produzione di acciaio tra i processi BOF e EAF

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Nella figura 11 vengono riportate le emissioni di CO2 per paesi produttivo [11], i paesi europei con il 10% e gli USA con il 14, pesano meno della Cina che rappresenta poco meno di un terzo del totale

Figura 11 Emissioni di CO2 per paese produttivo

Una prima indicazione sulla trasformazione dei processi produttivi puo’ essere ricavata dalla figura 12 , sviluppata dalla IEA [12], dove si prevede che il grosso delle attivita’ di decarbonatazione passino attraverso il recupero della CO2 , il suo stoccaggio ed eventualmente il suo riuso nella produzione di chemicals. E’ evidente che la riduzione delle emissione della CO2 attraverso la parziale sostituzione del coke con gas di sintesi prodotto da gas naturale rientra in questa strategia, almeno nelle aree a basso costo del naturale. Sempre secondo la IAE l’obiettivo per il 2050 relativamente all’uso di idrogeno o altre tecnologie e’ di poco superiore al 50% della produzione mondiale. La validita’ di queste previsioni e’

strettamente legata alle modalita’di produzione che saranno adottate in Cina, perche’ gia’ oggi la sua produzione va al di la del 30% della produzione mondiale. La Cina non ha produzione di gas naturale e la produzione di energia elettrica e’

fortemente legata al carbone, anche se nei prossimi 10 anni si prevedono di installare almeno 150 impianti nucleari [13].

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Figura 12: stime sulla futura e necessaria elettrificazione del settore industriale

1.1 La chimica dell’acciaio

La riduzione dei minerali di ferro, essenzialmente ematite e magnetite, passa attraverso un sistema complesso di reazioni ,che solo a partire dal 1600 si è cominciato a comprendere in dettaglio, le più importanti della quali sono indicate di seguito. Tra di esse le reazioni da 1 a 6 possono essere considerate quelle di riduzione indirette, prodotte dal CO e H2 che avvengono nella parte medio-alta dell’altoforno. La reazione 7, quella di riduzione diretta, prodotta dal C, avviene nella parte bassa dell’altoforno, le reazioni da 8 a 10, che sono sostanzialmente reazioni di ossidazione, avvengono dove l’aria viene inserita nell’altoforno attraverso le cosiddette tuyeries.

3Fe2O3+CO = 2Fe3O4+CO2 (1)

Fe3O4+CO = 3FeO+CO2 (2)

FeO+CO = Fe+CO2 (3)

3Fe2O3+H2 = 2Fe3O4+H2O (4)

Fe3O4+H2 = 3FeO+H2O (5)

FeO + H2 = Fe + H2O (6)

FeO + C = Fe + CO (7)

C + ½ O2 = CO (8)

C + CO2 = 2CO (9)

C + O2 = CO2 (10)

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La reazione (7) e’ ovviamente di particolare interesse anche da un punto di visto storico. Fino al 1700, per questa reazione si usava il carbone di legna, fu Abraham Darby nei primi decenni di quel secolo a scoprire che la stessa reazione poteva essere ottenuta dal coke, prodotto a sua volta dal riscaldamento del carbone in assenza di aria, in maniera analoga a come dal legno si produceva il carbone di legna. Fu proprio Darby che, resosi conto delle caratterstiche di resistenza meccanica del coke, sviluppo’ il concetto di forno verticale, l’alto forno appunto. A Darby si deve anche l’aggiunta del calcare che reagisce con la parte non ferrosa del minerale formando una massa fusa di scorie, le loppe”.

L’insieme di queste reazioni determina anche il bilancio termico all’interno dell’altoforno ed il coseguente profilo di temperatura, come si puo’ vedere dalla figura 13.

Fig.13 Distribuzione delle temperature all’interno dell’altoforno

Nella parte alta dell’altoforno vengono rilasciati gli BF- off gas , che contengono principalmente CO, CO2 e H2, che attualmente dopo raffreddamento e purificazione vengono bruciati per la produzione di energia elettrica all’interno dell’ acciaieria. Vedremo più avanti come questa corrente potrebbe essere oggetto di riciclo allo stesso altoforno o utilizzata per la produzione di chemical. Nella tabella di seguito e’ riportata la composizione tipica di questi off gas con le relative fluttuazioni relativi al BOF. Dal BF la portata ed anche la composizione sono soggette a delle fluttuazioni molto piu’ contenute [14}

Tabella 1 BOFG composition BOFG Feed

Componen

t Unit Value

CO mol% 68.4

CO2 mol% 17.5

N2 mol% 12.6

H2 mol% 1.5

Others Note 1

Dust -

Nota 1: I contaminanti principalmente identificati [14]

• O2: il contenuto di O2 nel BOFG e’ normalmente basso. Il livello tipico e’ 300-2000 ppm.

• ReductiveS-components:dati tipici

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Tabella 2 Compostisolforatinel BOFG [14]

Component Unit Value

Ghent Value Dunkirk Hydrogen

sulphide Ppm 0.5 <0.8

Carbonyl sulphide Ppm 2.8 7.5

Methanethiol Ppm 0.5 <1

Dimethylsulphide Ppm 0.4 <1 Carbon disulphide Ppm 0.4 <1

1-propylthiol Ppm 0.6 <2

2-propylthiol Ppm 0.6 <2

Thiophene Ppm 0.5 <2

Diethylsulphide Ppm 0.5 <2 Dimethyl sulphide Ppm 0.5 <2

Le variazioni della composizioni del BFG sono dati nelle figure 14, 15 e 16, che aggiungono una certa difficoltà nella successiva utilizzazione.

Fig.14 Variazioni di CO, CO2 e del rapport (CO+H2)/N2in funzione del tempo su un periodo di 4 giorni di operazioni [14].

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Fig.15 Variazioni di CO, CO2e del rapporto (CO+H2)/N2 in funzione del tempo su un periodo operativo di 1 giorno [14].

Figure 16 Occurrence rappresenta la frequenza con la quale si verificano certe specifiche composizioni e rapporti su un periodo di tre mesi [14].

1.1.1 La emissioni di CO2 nella produzione di acciaio primario da BFG/BOFG

Una indicazione di massima delle emissioni di CO2 nella produzione primario via BFG/ BOFG e’ data nella figura 17 di seguito riportata [15], dove sono distinte le emissioni per singolo stadio del processo, il dato medio globale oscilla tra 1,8 e 2 ton per ton di prodotto.

Fig. 17 Emissioni di CO2 nei vari stadi di produzione del processo BF-BOF

Negli impianti piu’ moderni il valore complessivo delle emissioni arriva a scendere anche sotto alle 2 tonn di CO2 per tonn di prodotto, ed il BF rappresenta di gran lunga l’emittore principale di CO2, anche perche’ in esso avvengono, come abbiamo visto, le reazioni principali da un punto di vista quantitativo della riduzione dei

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minerali ferrosi. Qualunque strategia di riduzione delle emissioni nel processo convenzionale deve essere perciò centrata su interventi sull’Altoforno.

1.2 Riuso/riutilizzo degli off-gas( BFG/BOFG) per la riduzione delle emissioni di CO2

La figura 18 rappresenta un approccio interessante in senso di circolarità del carbonio, dove gli off-gas dell’altoforno vengono utilizzati come fonte di carbonio per la produzione di Chemical e dove i rifiuti plastici o biomasse possono concorrere alla produzione di bio-coke da utilizzare nell’altoforno [16].

Fig.18 La rappresentazione del concetto di carbone circolare

Nello schema viene proposto la conversione degli off-gas a etanolo. Arcelor Mittal nell’impianto di Gent ha realizzato questa conversione con un investimento di 120 M€ per la produzione di 65,000 tonn/anno di etanolo con la tecnologia di fermentazione della Lanza Tech [17] (LanzaTech | Capturing carbon. Fuelinggrowth). La figura 19 mostra uno dei bioreattori in fase di montaggio.

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Figura 19 Bioreattore per la conversione di BF off-gas a etanolo

In un altro progetto finanziato dalla Comunità Europea chiamato INITIATE,[14] si sta invece realizzando la conversione di BFG e BOFG in ammoniaca e poi in urea.

I BFgas possono inoltre essere riciclati direttamente al BF, come nel Progetto, IGAR, sempre di ArcelorMittal a Dunkirk in France dove la CO2 separata dal BFG viene riconvertita in syngas e reintrodotta nel BF. Una alternativa a questo schema e’ rappresentata dall’uso di un reattore di combustione parziale catalitico (CPO) dove il BF gas opportunamente trattato viene convertito a gas di sintesi con l’aggiunta di gas naturale e/o di biogas [18]. La riduzione delle emissioni di CO2 può variare dal 25 al 40% rispetto al valore convenzionale, qualora parte della CO2 possa essere riciclata al reattore CPO.

1.3

La sostituzione del coke nella tecnologia BF

Ogni anno vengono infatti utilizzate più di 1000 milioni di ton di coke metallurgico nella produzione dell’acciaio. Come abbiamo visto nella sezione precedente, una delle opzioni è quella della sostituzione del coke da carbone con uno di provenienza vegetale

IEA Bioenergy nel 2019 [19] ha presentato uno studio interessante indicando nella lignina ottenuta nella produzione di etanolo di seconda generazione il candidato più valido nella sostituzione del coke, sia dal punto di vista delle caratteristiche chimico-fisiche che per le quantità in gioco.

Queste ipotesi potrebbe essere concreta se l’etanolo dovesse coprire più del 10% della domanda attuale di benzina.

L’altra opzione è la sostituzione del coke con il syngas, sostituzione solo parziale perché’ il coke ha un ruolo strutturale nell’altoforno e non solo di riducente. L’opzione più sempliceè quella che prevede l’utilizzo del gas naturale come nel processo rappresentato nella figura 20

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Figura 20 Schema di processo del dry reforming nella versione proposta da Paul Wurth.

La sostituzione parziale del coke risulta in una riduzione modesta della CO2, in termini di -15/20% del processo tradizionale.

Vedremo più in dettaglio le varie opzioni disponibili nella sezione dedicata al DRI

2.0 Il costo di produzione dell’acciaio

In considerazione dell’importanza dell’acciaio in tutte le filiere produttive, è di fondamentale importanza parlare dei costi di produzione e delle sue componenti per capire come l’innovazione tecnologica e la carbon tax incideranno su questo.

Nella figura 21sono riportati i costi di produzione in vari paesi del mondo con le relative componenti in relazione alla produzione della bobina laminata a caldo.

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Fig. 21 Costi di produzione della bobina laminata a caldo( HRC)

Come si può facilmente vedere i costi europei per la produzione di HRC da ciclo integrato sono tra i più alti nel mondo da collegarsi a :

• costo elevato della manodopera, 39 € per ton di prodotto, il secondo più alto a livello mondiale dopo gli USA;

• Costo elevato dell’energia, in media 77 € per ton, subito dopo quello in Ukraina e Giappone ;

• Costo elevato “other”pari a 127 € per ton ;

Anche in presenza di crediti importanti, subito dopo a Giappone e Corea, ed ad un costo della materia prima ( 300 € per ton) non molto differente da quello in Brasile o in USA, la situazione in Europa dal punto di vista della competitività appare non facile , in particolare se confrontata con il prodotto russo o coreano (20 % in meno).

La situazione non e’ certo meglio con la vergella, dove con 527 € per tonn, l’Europa mediamente e’ il produttore piu’ caro, come si vede bene nella figura 22. Rispetto a paesi quali Brasile o la Corea il differenziale di costo vale 25%.

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Fig. 22 Costo di produzione della vergella nel mondo

La differenza dei costi di produzione in Europa rispetto ad altri paesi produttivi impone alcune riflessioni sulla capacità produttiva dell’Europa e sul tasso di utilizzo della capacità installata. Quest’ultimo nel 2020 è sceso al 63% e nel triennio 21-23 dovrebbe risalire al 70-75%, con una domanda che si posiziona tra i 140/150 milioni di ton per anno [20]. Per arrivare ad un tasso sostenibile di utilizzo della capacità, stimato in 85%, si dovrebbe eliminare in Europa un surplus di capacità pari a a 25-30 milioni di ton per anno. A questa situazione vanno aggiunti i costi crescenti relativi alle emissioni di CO2 e ai significativi investimenti per la decarbonizzazione.

Riprenderemo questi concetti nei capitoli successivi.

Nella figura 23 sono dati i prezzi di alcuni prodotti ( RMB, HRC e HDG) negli ultimi sette anni ; come si può chiaramente vedere c’è stato quasi un raddoppio dei prezzi che ha permesso di aumentare sensibilmente la marginalità.

Fig. 23 Prezzi di alcuni prodotti ( RMB, HRC e HDG) negli ultimi sette anni

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3. Direct Reduced Iron (DRI) convenzionale

Nel processo di riduzione diretta del minerale cosiddettoDRI , il coke viene sostituito dal gas naturale.

L’interesse crescente verso questo processo è dettato dal fatto che in virtu’ di questa sostituzione le emissioni di CO2 per ton di prodotto sono nettamente meno, potendo arrivare ad un terzo di quelle del BF+BFO. La sostituzione del gas naturale con idrogeno verde e l’integrazione con la tecnologia ad arco elettrico, EAF, come vedremo, potrebbe essere la strada del futuro riducendo le attuali emissioni del 90%, anche se per procedere lungo questa strada abbiamo bisogno di idrogeno ed energia elettrica verde a prezzi competitivi ed in grandi quantità. Condizione questa non facilmente raggiungibile nei prossimi 10-15 anni.

Al momento sono stati installati più di 100 impianti di questo tipo secondo i processi di Midrex e HYL-Energiron che coprono circa il 15% della produzione mondiale di acciaio primario [21].

Il gas naturale viene convertito in gas di sintesi attraverso lo steam reforming ed oggi anche attraverso l’ossidazione parziale catalitica, CPO, della carica ed successivamente alimentato in un forno a tino dove alla temperatura di 1000 centigradi avviene la riduzione. A differenza degli altiforni, la carica al reattore DRI e’

costituita da pellets, vedi figura 24,e non dal minerale tal quale e con qualche limitazione importante sulla tipologia di minerale da poter trasformare in pellets. Caso tipico e’ rappresentato dal minerale australiano, largamente utilizzato nella produzione cinese che non si presta bene alla pellettizzazione.

Figura 24 Minerale in pellets da alimentare al forno DRI [22]

Il minerale di ferro da avviare alla pellettizzazione deve avere un tenore di ferro superiore al 65%, piu’ alto quindi di quello utilizzato nel BF, mentre il contenuto della ganga deve essere minima, in quanto essa rimane nel prodotto ed richiede più energia elettrica nella successiva fase di trattamento negli EAF. La presenza di silice e allumina deve essere percio’ inferiore al 4%. In generale il consumo di minerale grezzo per ton di DRI e’ di circa 1,5 volte. La specificita’ della carica pone il problema della supply chain o in alternativa dei cambiamenti tecnologici nella filiera DRI+ EAF che permettano utilizzo di una carica BF grade.

La composizione tipica del minerale e le sue caratteristiche fisiche sono riportate nelle Tabelle 3 e 4 [23]

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Tabella 3 Composizione chimica del minerale utilizzato nei processi DRI

Tabella 4 Caratteristiche fisiche del minerale nel processo DRI

Nella riduzione diretta si hanno le seguenti reazioni:

- Fe2O3 + 3H2 ---- 2 Fe + 3H2O endotermica - Fe2O3 + 3CO--- 2Fe + 3CO2 esotermica

che dai pellets producono una ghisa con un contenuto di carbonio dall’1 al 4% nel forno di reazione . Le caratteristiche chimico- fisiche del prodotto, il cosiddettosponge-iron, sono riportate nella tabella 5 [23].

(23)

Tabella 5 Caratteristiche chimico-fisiche del prodotto, sponge iron.

Da quanto detto si evincono alcune limitazioni del processo DRI in termini di minerale da utilizzare e conseguenti costi di produzionepiu’ alti come riportato nella figura 25

Fig.25 Evoluzione del prezzo di mercato dei pellets BF e DR grade, e disponibilità degli stessi.

Lo schema generale del processo DRI introdotto in Messico a metà degli anni’50 dalla società Hojolata Y Lamina, noto come HYL, e’ rappresentato in figura 26 [24]

(24)

Fig.26 schema originale del processo HYL.

Negli anni 70 la Midland -Ross Corporation sviluppa il processo Midrex , illustrato in figura 27 , dove il syngas e’

ottenuto dallo steam reforming di una miscela di gas naturale e gas ricircolato dal reattore DRI.

(25)

Fig.27 Il processooriginale Midrex[ 25]

A causa degli alti tempi di permanenza della carica nel reattore DRI, che arriva a parecchie ore, la geometria e’

a sviluppo verticale con altezze che possono arrivare a 150m., vedi figura 28.

La ghisa viene convertita successivamente in acciaio in un forno ad arco elettrico (EAF), vedi figura 29, che rifonde il prodotto per rimuovere le impurezze e ridurre il tenore di carbonio aggiungendo ossigeno.

(26)

Fig.28 Tipico reattore DRI ( quello in secondo piano)

(27)

Fig.29 Rendering di un forno ad arco elettrico (EAF)

Una modifica al EAF e’ il Submerged Arc Furnace (SAF), caratterizzato dal fatto che gli elettrodi sono immersi nella massa fusa e che oggi trova applicazioni nella produzioni di acciai speciali ma che in futuro potrebbe essere interessante in quanto permetterebbe di utilizzare nel DRI il minerale BF grade. La figura 30 mostra l’accoppiamento di un modulo DRI con sotto uno smelter elettrico SAF. Con questa configurazione per produrre 1 ton di ghisa (circa 1,2 ton di acciaio liquido dopo convertitore) servono circa 660 Nm3 di H2, 30 kg di carbone, 700 kWh di energia, 60 Nm3 di ossigeno con una carica di 1,4 t di BF grade pellets. Le emissioni di CO2 sono circa 150 kg ( circa l’8 % di un ciclo BF BOF attuale) [26]

(28)

Fig.30 Rendering di modulo DRI con sotto uno smelter elettrico SAF( cortesia Paul Wurth)

Attualmente la tecnologia DRI ha trovato impiego principalmente nelle aree dove il costo del gas naturale e’

particolarmente basso, ma, visto che puo’ ridurre le emissioni di CO2 ad 1/3 di quelle del processo convenzionale, tale tecnologia e’ considerata con sempre piu’ interesse, anche se il prodotto finale non e’

qualitativamente equivalente a quello dell’altoforno.

Un processo alternativo particolarmente interessante e’ quello sviluppato da Danieli e Tenova, ENERGIRON ZR - ENERGIRON ZERO REFORMER, che sostituisce al forno di reforming un forno di riscaldamento del gas di riciclo a quale viene tolta la CO2 e aggiunto metano prima di tale riscaldamento. Al gas caldo viene aggiunto ossigeno che realizza una parziale ossidazione del metano stesso, mentre lo stesso ferro contenuto nel minerale continua la conversione del metano in CO e H2. Il prodotto finale puo’ contenere fino al 5% di carbone per effetto dell’alta concentrazione di CH4 nel gas e la temperature interna del reattore che supera gli 860°C. In queste condizioni si favorisce la diffusione del carbone nella matrice del Fe e la precipitazione del carburo, Fe3C, nel prodotto finale, che viene poi avviato al forno elettrico.

La figura 31 rappresenta lo schema del processo ENERGIRON ZR. La sostituzione dello SR con un gas heater(GH) ha il vantaggio di eliminare il catalizzatore a base di Ni, evitando quindi potenziali problemi di formazione del coke e avvelenamento del catalizzatore da zolfo. Per contro l’aumentata temperatura di uscita del gas di processo dal GH, circa 950°C, lo rende particolarmente critico dal punto di vista progettuale e metallurgico per via anche del fenomeno di metal dusting legato alla pressione parziale del CO presente nel gas di riciclo. Il problema si gestisce attraverso l’uso di materiali ad alto contenuto di Ni e Cr, che pero’ rimangono materiali relativamente delicati e richiedono una particolare attenzione operativa.

(29)

Fig.31 Schema di processo ENERGIRON ZR (Zero Reformer)

3.1 La produzione di syngas per DRI

La conversione del gas naturale a gas di sintesi rappresenta un passaggio importante nel processo DRI. Ad oggi questo processo di conversione passa principalmente per il processo di steam reforming a basso rapporto vapore/carbonio contenuto nella carica (S/C) per limitare il contenuto di vapore nel prodotto, che ne abbassa l’effetto riducente.

3.1.1 La produzione di syngas da Steam Reforming (SR) del gas naturale

Il gas naturale viene convertito in presenza di vapore nel gas di sintesi nella classica reazione di SR: CH4 + H2O- ----> CO + 3 H2.

L’uso di un appropriato catalizzatore permette di abbassare lo S/C a circa 1,5, la bassa pressione operativa, 5/7 barg, permette di aumentare la temperatura di uscita fino a 950 °C con il risultato di aumentare la conversione del metano. Un tipico reformer per questa applicazione e’ mostrato nella figura 32.

(30)

Fig.32 Reformer della Midrex

Una delle caratteristiche di queste reformer e’, come dicevamo prima l’operare a bassa pressione rispetto agli analoghi Steam Reformer operanti in raffineria, il diametro dei tubi passa quindi a valori di 10-12“.

3.1.2 La produzione di syngas per ossidazione parziale catalitica (CPO) [18]

Una alternativa a questo processo è l’ossidazione parziale del gas naturale condotta su una miscela di gas di riciclo e gas naturale prima della loro reintroduzione nel reattore DRI.

La reazione di conversione del metano è sostanzialmente la seguente:

- CH4 + ½ O2 ---> CO + 2 H2

Il reattore del CPO opera con delle velocità spaziali nettamente più alte rispetto allo SR con conseguente riduzione delle dimensioni e dei costi del reattore, come si vede bene nella figura 33. Al di la del vantaggio sui Capex, la tecnologia CPO produce un gas con una capacità riducente più altaperché’ alle basse pressioni richieste, il rapporto S/C può essere ridotto a 0,25/0,3, riducendo il tenore di vapore d’acqua nel gas riducente.

Il catalizzatore a base di metalli nobili e’ meno sensibile alla formazione di carbone e ai processi di avvelenamento, per esempio da zolfo.

Fig.33 Raffronto dimensionale tra SR , a sinistra e reattore CPO, a destra.

(31)

3.1.3 la produzione di syngas da rifiuti

La conversione di rifiuti urbani, rifiuti di plastica e/o assimilabili rappresenta un esempio interessante di economia circolare, anche in considerazione della quantita’ di rifiuti prodotti a livello mondiale, 2 miliardi di tonn per anno, e del loro contenuto di carbonio e idrogeno, come mostrato nella figura 34.

Fig. 34 Produzione mondiale di rifiuti e composizione elementare dei rifiuti.

La conversione di rifiuti attraverso un processo di ossidazione parziale ad alta temperatura, quale quello rappresentato in figura 35, permette di ricavare circa 1 Nm3 di syngas per kg di rifiuto con un rapporto CO/H2 di circa 1,1 [27]

(32)

Fig. 35 Conversione dei rifiuti ad alta temperatura ( source Nextchem )

Vantaggio sensibile di questa tecnologia non è solo nel costo di produzione del syngas molto vicino a quello del gas naturale, ma nella capacità di ridurre le emissioni di CO2. Se il processo DRI a Gas naturale ha una impronta carbonica di 500-600 kg di CO2 per ton di acciaio, l’utilizzo dei rifiuti e’ in grado di abbassare questa valore alla metà.

Il syngas purificato prima di essere emesso nel reattore DRI deve essere preriscaldato a 950 C, sia in un forno elettrico che in un forno a fiamma, utilizzando lo stesso syngas come combustibile.

4.0 Il ruolo dell’idrogeno

In questa sezione andremo ad analizzare l’impatto dell’uso dell’idrogeno all’interno della acciaieria prima nel processo DRI e poi sulla linea BF+BOF

.

4.1 DRI con idrogeno

Una variante in fase avanzata di elaborazione è quella di sostituire il gas di sintesi con l’idrogeno. Al di là del fatto che, come abbiamo visto, la riduzione della ematite in ferro con idrogeno è una riduzione endotermica e questo implica una revisione del bilancio termico del reattore DRI, questa alternativa è portata avanti da un gruppo di aziende svedesi che include una società mineraria, la LKAB, una acciaieria, la SSAB, e una energy company, la Vattenfall. Nel progetto Hybrit [28], HydrogenbreakthroughIronmaking Technology, www.hybritdevelopment.se, si cerca di decarbonizzare l’intero processo di produzione dell’acciaio attraverso

(33)

l’uso di idrogeno prodotto da elettrolisi, dove l’energia viene prodotta per via eolica a basso costo, nelle regioni settentrionali della Svezia ( non e’ però chiaro come verrà garantita la continuità nella fornitura). Nel 2020 è stato terminato un impianto pilota DRI a Lulea che in una prima fase ha funzionato a gas naturale e dove dal maggio scorso sono cominciati i primi test con idrogeno. Obiettivo è la produzione di 1 ton di DRI all’ora con campagne di 2-4 settimane nell’arco dei prossimi anni 3-4 anni, per dare una serie di risposte tecnico-scientifiche per la ottimizzazione del processo. Il problema del bilancio termico si risolve riscaldando l’idrogeno in un forno elettrico, la sostituzione del CO comporta all’interno del forno una fluidodinamica diversa, che impatta sulla composizione del prodotto. In una fase successiva bisognerà quindi verificare che l’acciaio cosi prodotto sia compatibile con il successivo trattamento con arco elettrico e nel caso indicarne le modifiche.

Un altro aspetto che il progetto intende analizzare è quello della produzione dei pellets di minerale.

Successivamente all’esito positivo di queste prove, si sta già analizzando la possibilità di costruire un impianto dimostrativo da 200 ton /h che potrebbe essere in produzione per il 2026 con una “carbon foot-print“ di meno del 5% , al di sotto di 150 kg di CO2 per ton di prodotto. Questo sarà il primo passo per la sostituzione di tutti gli altoforni in Svezia e Finlandia per il 2045 e la completa produzione di acciaio senza utilizzazione di combustibili fossili. La stima HYBRITdel costo di produzione dell’acciaio nel 2017 era di circa 1/3 superiore al costo convenzionale e questa valutazione era basata su un costo delle emissioni di 10€ per ton. Considerando quindi un costo di 500 € per ton, inclusivo della carbon tax, il differenziale dei costi e’ di circa 150€. Con un carbon tax a 60 € per ton , vuol dire ridurre tale differenza a soli 50 € per ton ,circa di il 10% se le ipotesi degli svedesi sono corrette. Nell’ambito di queste ipotesi quella sul costo dell’idrogeno “green” è certamente la più importante.

(34)

Fig.36 Schema del progetto HYBRIT [5]

Oggi il costo dell’idrogeno da elettrolisi varia da 3 a7 € al kg, funzione principalmente del costo dell’energia elettrica [29]. Mentre l’assorbimento elettrico sembra difficilmente comprimibile e rimarrà intorno ai 50 KWh per kg, il valore dell’investimento potrebbe ridursi sensibilmente, anche se il costo del rame sta spingendo in tutt’altra direzione [30]. Rimane il fatto che società come NEL [31], costruttore di celle elettrolitiche, ritengono possibile arrivare a dei costi di produzione dell’idrogeno pari a 1.50 € per kg. Va ricordato che la produzione di idrogeno deve essere continua ed al momento l’unica fonte rinnovabile continua è quella idroelettrica.

4.2 Altoforno con utilizzo di H2

(35)

Altro approccio nell’utilizzo dell’idrogeno è quello di alimentarlo direttamente nell’altoforno, anche se in questa caso se ne ha un uso limitato che riduce le emissione di CO2 di circa il 20%. ThyssenKrupp a partire dal 2019 sta effettuando una serie di campagne di prova su un altoforno dell’impianto di Duisburg con una portata di idrogeno fino a 1000 Nm3/h [32]

4.3 Plasma ad idrogeno

L’austriaca Voest-Alpine sta sviluppando un processo di riduzione più radicale chiamato SuSteel [33] dove un plasma ad idrogeno consente di passare direttamente dal minerale all’acciaio in un unico passaggio. L’idrogeno attraversando un campo elettrico generato mediante elettrodi in grafite viene trasformato in plasma che a sua volta fonde e riduce il minerale. In questo processo non e’ necessario passare per una pellettizzazione del minerale, mentre il carbonio necessario alla riduzione viene fornito dagli stessi elettrodi.

Un pilota su questo principio e’ in funzione dall’estate 2021 a Donowitz in Austria con una capacità di 50-100 kg di acciaio per batch.

Un problema comune a tutte le tecnologie che intendono utilizzare idrogeno è quello della impossibilità di utilizzare minerale a base di magnetite. La magnetite è infatti molto meno porosa dell’ematite e questo riduce la velocità di riduzione del materiale [38]. Le acciaierie basate sulla magnetite devono allora convertire la magnetite ad ematite secondo la reazione:

Fe3O4 + 0,5 O2 ---3 Fe2O3

Se consideriamo che negli USA il 70% della produzione di acciaio e’ basato su un materiale a base magnetite, chiamato taconite, questa ulteriore conversione tende a complicare ulteriormente l’utilizzo dell’idrogeno.

4.4 Quale idrogeno usare?

La produzione di idrogeno verde pone il problema della disponibilita’di energia elettrica rinnovabile in quantità sufficiente alla produzione attuale di acciaio. In una ottica di un cambiamento di tecnologia nelle acciaierie nei prossimi 10 -15 anni ci si deve porre la domanda se l’idrogeno da utilizzare non possa venire, sempre in una ottica di una produzione senza emissioni di CO2 , a partire da combustibile fossile. Si tratterebbe del cosiddetto idrogeno blu, dove la CO2 associata al processo di Steam Reforming (SR) o alla Ossidazione Parziale Catalitica (CPO) verrebbe separata e stoccata o meglio mineralizzata e riciclata nei materiali da costruzione. Il costo di produzione di questo idrogeno a 2/3 € per kg porrebbe pero’ dei problemi di competitività all’acciaio [34].

La produzione di H2 da cracking nel gas naturale o da altri idrocarburi potrebbe rappresentare la vera svolta, in quanto il costo di produzione dovrebbe essere inferiore a 1/1,5 € per kg e diventando così il principale processo concorrenziale alla elettrolisi. Il carbone solido prodotto nel processo di cracking potrebbe a sua volta essere utilizzato in sostituzione del coke, qualora si arrivasse ad avere caratteristiche chimico-fisiche equivalenti [35]

5. Il ruolo dell’energia elettrica

In alternativa all’uso dell’idrogeno si sta pensando ad un utilizzo diretto dell’energia elettrica nella produzione dell’acciaio. Ne è un esempio il lavoro del MIT americano che attraverso un suo spin- off , Boston Metal, sta sviluppando un processo di elettrolisi ad ossidi fusi per la riduzione diretta dei minerali attraverso le seguenti reazioni [36]:

--- 2 Fe2O3 + 12 e- ---4 Fe + 6 O2- al catodo

(36)

6O2- --- 3 O2 + 12 e- all’anodo

Il processo e’ schematizzato nella figura 37 dove in un reattore refrattatoriat ointernamente l’anodo (+) e’

piazzato verticalmente al centro , mentre il catodo (-) ha uno sviluppo orizzontale.

Fig. 37 Il processo di elettrolisi a Sali fusi proposto dalla Boston Metal

Nel reattore i minerali di ferro vengono sciolti insieme agli ossidi metallici fusi a base di silicio, magnesio e calce viva ad una temperatura di 1600 gradi per effetto del passaggio della corrente elettrica. Al catodo, questa corrente riduce gli ioni Fe a Fe metallico liquido, che, estratto dal fondo del reattore, viene mandato ad un forno elettrico. Lo sviluppo principale di questa tecnologia sta nella definizione di una lega Cr/Fe che permetta all’anodo di non corrodersi o reagire con l’elettrolita alle condizioni operative così aggressive. Lo sviluppo di ossigeno all’anodo tende a ridurre la conducibilità del mezzo fuso o meglio aumenta la sua resistenza elettrica, da qui la necessità di una architettura ingegneristica che consente una rapida rimozione del gas. Boston Metal ha ricevuto recentemente un finanziamento da 45 M€ e sta pianificando la costruzione di un impianto dimostrativo per il 2025.

Un altro processo sempre elettrochimico è quello portato avanti in Francia. Il processo Elettrowinning [37] si caratterizza da una operazione a bassa temperatura, 110 °C. L’ematite macinata fine è messa in sospensione in una soluzione fortemente alcalina per idrossido di sodio:

Fe2O3 + 6 H2O + 12 e- --- 4Fe + 12 OH- al catodo 12 OH- --- 12 e- + 3O2 + 6 H2O all’anodo

Quando la corrente passa nell’elettrolita, il ferro metallico cresce sulla superficie del catodo, mentre l’ossigeno e’ liberato all’anodo. Il ferro viene poi trattato in un forno elettrico per farne acciaio. Il processo usa il 31% in meno di energia rispetto al processo convenzionale e riduce le emissioni di CO2 dell’87%, secondo Arcelor-

(37)

Mittal. Anche se la strada per una sua industrializzazione risulta ancora piuttosto lunga, la riduzione sul Capex e’ abbastanza sensibile rispetto ai processi basati sull’idrogeno. Un pilota della capacità di 100 kg dovrebbe essere operativo a fine 2021.

6.0 La situazione attuale ed il futuro prossimo nel mondo

Va fatto notare che mentre ci sono sul tavolo svariate alternative tecnologiche, la loro scala e’ comunque ancora molto lontana da quella richiesta a livello industriale, almeno per quelle alternative di carattere fortemente innovativo. Se è in parte vero che il prezzo dell’energia rinnovabile e quindi dell’idrogeno “ verde” sta scendendo, il costo di investimento per i nuovi impianti e per la chiusura di quelli esistenti rappresenta oggi la barriera più importante all’implementazione di una produzione di acciaio a basso emissione di CO2, insieme alla disponibilità di quantità mostruose di energia rinnovabile. Su questo specifico punto, il centro di ricerca K1-Met di Linz in Austria ha calcolato che per poter rimpiazzare la produzione europea di acciaio attraverso il processo DRI alimentato ad idrogeno, la produzione elettrica dovrebbe aumentare di 5 volte fino a raggiungere i 400-500 TWh per anno [39] o 300 TWh per anno secondo [48]. Questa domanda addizionale corrisponde a circa il 18%

del consumo europeo e potrebbe essere sviluppata da 50,000 turbine eoliche. Un problema analogo si avrebbe con gli elettrolizzatori che attualmente hanno una capacità max di 20 MW, un impianto DRI da 2 milioni di ton all’anno di acciaio, avrebbe bisogno di 1000 MW (1 GW) di elettrolizzatori per la sola produzione di idrogeno.

Va però detto che in passato l’industria siderurgica è stata in grado di implementare un radicale cambiamento di processo quando i forni ad ossigeno hanno rimpiazzato i forni a suola.Per la sostituzione completa della tecnologia ci sono voluti circa 20 anni, dall’inizio anni ‘60 alla fine degli anni ‘70. E’ evidente che una legislazione più aggressiva potrebbe comunque accelerare questo processo. La Comunità Europea ha imposto una riduzione di almeno il 55% delle emissioni di CO2 al 2030 rispetto al 1990 ed ha imposto una sorta di “ carbon tax”

all’import di acciaio, che spingeranno verso le tecnologie a bassa impronta carbonica, sia all’interno che all’esterno della CE [40]. Un quadro riassuntivo delle varie alternative è data nella figura 38 elaborata in un rapporto della società di consulenza Mckinsey [41] che differenzia l’utilizzo delle varie alternative tecnologiche anche su una base temporale.

(38)

Figura 38 Possibili strategie di decarbonizzazione [41]

Anche in California si sono adottate misure atte a contenere le emissioni di CO2, il Buy Clean California Act del 2017 [42] richiede infatti che apartire dal Luglio 2022 per i progetti finanziati dallo Stato della California si faccia uso di materiali a basso impatto ambientale, e nel caso dell’acciaio ha posto il limite a 1,38 ton di CO2 per ton di prodotto.

Paesi come il Giappone, la Corea del Sud e il Sud Africa stanno implementando programmi analoghi, ma rimane invece da capire cosa farà la Cina. La Cina produce oggi meno di un terzo’ dell’acciaio a livello mondiale ed il governo cinese ha annunciato una riduzione del 30% delle emissioni per il 2030 rispetto al picco che si dovrebbe raggiungere entro il 2025 [43], non è chiara però la “ roadmap” per ottenere questo risultato.

(39)

Fig.39 Emissioni di CO2 per ton di prodotto con le varie tecnologie.

Il DRI basato ad idrogeno sembra emergere come la tecnologia più promettente, vedi figura 39, anche se rimangono da chiarire una serie di aspetti sul minerale da utilizzare per la carica, sul prodotto e sul costo del gas naturale in una prima fase e successivamente dell’idrogeno.

E’ pensabile che per cercare di raggiungere gli obiettivi al 2030 verrà implementato un mix di soluzioni tecnologiche che riguarderà sia il processo BF+BOF sia il processo DRI+EAF, in sostituzione di una parte della capacità BF+BOF.

Nel processo convenzionale, BF+BOF, parte del coke sarà sostituito da gas naturale a produrre gas di sintesi attraverso tecnologie tipo il CPO, con una riduzione delle emissioni di circa il 15/20% [44]. Qui il problema, almeno in Europa, sarà il costo del gas naturale e di riflesso il costo dell’acciaio. Gli off-gas dal BF potranno essere convertiti in etanolo e/o fertilizzanti e questo dovrebbe portare ad un altro 20/25 % di riduzione della CO2. La sostituzione del coke con bio-coke potrebbe permettere di arrivare al traguardo prefissato e competere con la soluzione DRI con syngas ed arco elettrico. La sostituzione di una parte della produzione di acciaio con la tecnologia DRI a gas naturale ed arco elettrico certamente faciliterebbe il raggiungimento degli obiettivi al 2030, almeno dove il minerale a base ematite sia gia’ presente. La produzione di gas di sintesi a costi competitivi potrebbe essere raggiunta attraverso la conversione di rifiuti urbani, plastiche o rifiuti assimilabili. Per il DRI ad idrogeno, in attesa di idrogeno “green” ad un costo accettabile, non rimane che il ricorso all’idrogeno “blu” [45].

Questa soluzione potrebbe senz’altro accelerare l’implementazione della tecnologia DRI e concorrere alla rapida riduzione delle emissioni di CO2 nel mondo.

6.1 La situazione attuale ed il futuro prossimo In Italia

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Abbiamo visto nelle sezioni precedenti la produzione di acciaio in Italia e come questa produzione si concentri all’80% sull’ acciaio “elettrico” da rottame. Le problematiche ambientali legate a questa produzione sono importanti ma con foot-print di CO2 estremamente limitato e questo fa sì che tale produzione continuerà ad essere centrale. L’utilizzo dell’idrogeno insieme all’uso di energia rinnovabile potrebbe ridurre le emissioni di CO2 per tonn di prodotto a meno di 200 kg.

A livelli di singoli prodotti si puo’ notare la carenza di produzione di prodotti piani, che quindi vengono importati (ca. 4milioni di ton/anno), con conseguente impatto sulla bilancia commerciale, fortemente negativa per i lingotti/semilavorati.

La necessità di migliorare inoltre le caratteristiche meccaniche di questo acciaio rende però necessaria la produzione di acciaio primario (da minerale), a meno di considerare l’opzione di importare tutto l’acciaio primario da aggiungere a quello elettrico.

Scartata l’opzione importazione, dato l’elemento strategico della produzione di acciaio primario nell’ambito della industria nazionale, ci rimane da vedere quali sono le opzioni disponibili allo stabilimento di Taranto, cha al momento rimane l’unico polo produttivo di acciaio primario e che potrebbe giocare un ruolo importante nella produzione di prodotti piani e quindi riportare Taranto alla piena capacità con un assetto differente.

Fig. 40 Veduta della acciaieria di Taranto

Ci si potrebbe inoltre chiedere se in questo nuovo assetto produttivo a livello italiano l’acciaieria di Piombino potrebbe avere un ruolo.

Nel determinare questo nuovo assetto produttivo non ci può dimenticare del surplus di capacità esistente in Europa, surplus che abbassa il tasso di utilizzo degli impianti e aumenta il costo di produzione[46]. Ci si deve dunque chiedere quali stabilimenti chiuderanno per eliminare i 25-30 milioni di ton/anno di surplus. In questa ottica una ripresa delle attività su Piombino ci sembra molto difficile.

In una ottica di fare un passo in avanti nella definizione dei vari scenari possibili per l’Italia, va considerato inoltre la disponibilità ed il prezzo dell’energia elettrica (verde e non) e del gas naturale, considerando la necessità di una produzione più o meno competitiva con il resto dell’Europa e del mondo.

L’opzione più semplice, ma forse anche quella piu’ banale, è senz’altro la sostituzione di tutta la produzione BF+BOF, con una produzione basata su DRI+ EAF, ma certamente non ai livelli di capacità produttiva attuali, ricordando che Taranto ha una produzione potenziale di almeno 8 milioni di tonn annuali.

La riduzione della capacità produttiva e la contestuale sostituzione di tutti i BF+BOF con la tecnologia DRI a gas naturale ed arco elettrico certamente faciliterebbe il raggiungimento degli obiettivi al 2030/35 e la sostituzione del gas naturale con idrogeno quelli al 2050. Il problema centrale di questa opzione - oltre alla ridotta capacità produttiva ed al problema occupazionale - rimane nell’elevato costo di produzione a causa del costo elevato del gas naturale e dell’elettricità che porterebbe fuori mercato il prodotto.

(41)

Il mantenimento di una produzione via BF+ BFO necessita la cattura della CO2 emessa, il suo stoccaggio o in alternativa la produzione di chemicals o meglio ancora la presenza di ambedue i sistemi in un rapporto 80/20.

La sostituzione di una parte del coke con gas di sintesi da rifiuti municipali o derivati e da rifiuti plastici, pur interessante dal punto di vista economico e nell’avviare una economia circolare, vorrebbe dire concentrare nella zona di Taranto, tutti i rifiuti prodotti dalla regione Puglia e non solo. Questa soluzione ci sembra non facilemente accettabile a livello locale, potrebbe limitarsi all’utilizzo di rifiuti plastici, il loro impatto quantitativo sulla riduzione delle emissioni sarebbe del 10-15% [47].

La cattura e lo stoccaggio della CO2, al di là della necessita’ di individuare dove fare lo stoccaggio in Italia o all’estero, avrebbe un impatto di costo tra 200-300 € a tonnellata di prodotto, considerando un costo del CCS tra i 100 e 150 € a tonnellata di CO2 rimossa. Anche limitando il costo aggiuntivo a 200€ per tonnellata di acciaio, questo aggravio non ci sembra sostenibile per la ns industria.

La conversione degli off-gas alla produzione di fertilizzanti, quali urea o prodotti quali etanolo/ metanolo potrebbe essere una alternativa percorribile, considerando che tali prodotti possono avere sul mercato un valore superiore ai prodotti convenzionali in quanto sotto-prodotti da “economia circolare”. Questa opzione va però sviluppata in dettaglio in termini di fattibilità tecnico-economica soprattutto considerando l’apporto massiccio di idrogeno verde se si vuole riutilizzare completamente tutto il carbonio presente negli off-gas. Una produzione dell’ordine di 200-300.000 Nm3/hr di H2 richiederebbe di installare dai 4 ai 5 GWel nell’area di Taranto, dedicati allo stabilimento. Anche nell’ottica di spalmare questa produzione nell’arco di 10 anni, stiamo parlando di 400-500 MWel all’anno, certamente un piano ambizioso dai contorni totalmente incerti.

Si prefigura allora a ns avviso una prima strategia mista collegata alla integrazione della attuale filiera BF+BOF con una produzione di fertilizzanti da off-gas e alla cattura e stoccaggio della CO2 eccedente. Ricordiamo infatti che il rapporto carbone/idrogeno presenti nei BFg e BOFg non e’ sufficiente all’utilizzo di tutto il carbonio presente. La produzione di fertilizzanti potrebbe partire con assetto legato alla disponibilità di H2 dagli off-gas e crescere man mano che la disponibilità di idrogeno verde aumentera’, riducendo la quantità di CO2 da mandare allo stoccaggio. Una seconda strategia mista consiste nella parziale sostituzione dei BF+BOF con DRI+EAF, integrando gli off-gas da BF+ BOF al gas naturale di carica al DRI. In questa seconda strategia diventa estremamente importante il tema della supply chain del minerale per il DRI. Alimentare al DRI una carica BF grade comporta la sostituzione del EAF con la tecnologia SAF (OBF nella versione della Paul Wurth), ancora con esperienza limitata, che renderebbe piu’ sostenibile la supply chain, vedi figura 41.

(42)

Fig.41 La filiera DRI/OBF alimentata da BF grade pellets ( source Paul Wurth)

Il recupero della CO2 dai fumi del reformer da avviare allo stoccaggio e/o alla mineralizzazione consentirebbe di ridurre a zero le emissioni di CO2,soluzione ponte fino a quando green power e green hydrogen non saranno sufficienti a spegnere BF e a sostituire il gas naturale del DRI.

Il rapporto tra le capacità BF+BOF e DRI+EAF verrebbe determinato dalla integrazione fra i due sistemi, ma e’

probabile mantenere almeno uno se non due treni di BF. Anche questa seconda strategia mista e’strettamente legata alla disponibilità di energia elettrica rinnovabile ma deve partire, secondo noi, dalla ottimizzazione/

rinnovamento della esistente centrale di Taranto, vecchia di 50 anni.

Questa strategia appare a prima vista completamente diversa da quella portata avanti dalla Unione Europea ed in particolare, dalla Francia, dalla Svezia e dalla Germania [49], che punta ad una chiusura graduale degli altoforni e all’utilizzo di H2 verde. Nella sostanza si tratta di privilegiare la produzione di energia elettrica verde da idroelettrico(Svezia) , da energia nucleare (Francia) e da eolico off-shore (Germania) per EAF e poi attraverso l’elettrolisi dell’acqua produrre idrogeno per il DRI, il tutto sostenuto da finanziamenti europei e nazionali.

Occorre però osservare e tener conto che l'Italia possiede già una consistente e predominante filiera di produzione di acciaio da EAF che utilizza rottame - cioè acciaio "circolare" - come materia prima, diversamente dalla gran parte degli altri membri dell'UE. Quindi la strategia qui delineata per la ristrutturazione dello stabilimento di Taranto, caratterizzato da un ciclo integrale di grande capacità, va considerata come specifica per la realtà produttiva italiana. Bisogna infatti considerare che la produzione di energia elettrica verde con le modalità sopra elencate non è sostenibile nel medio periodo nel sud Italia: l’ eolico off-shore nel Mediterraneo, sostanzialmente un lago chiuso, non può avere la stessa intensità di quella del mare del Nord, l’idroelettrico ha delle buone potenzialità, ma il suo impatto ambientale genera una non facile accettazione sociale, il nucleare infine nel breve periodo non è una soluzione per gli alti costi di investimento e i lunghi tempi di realizzazione.

Anche nella produzione dell’acciaio, una transizione “giusta” necessita che i regolatori rispettino criteri di

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“neutralità tecnologica” per favorire il raggiungimento degli obiettivi finali senza compromettere la competitività economica e l’equità sociale nelle differenti realtà nazionali.

Conclusioni

L’industria siderurgica mondiale, con una produzione di poco meno di 2 miliardi di tonnellate di CO2, rappresenta attualmente il 7 ed il 9% delle emissioni globali e di conseguenza sarà tra le prime industrie da decarbonizzare per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 gradi °C al di sopra dei livelli pre-industriali in linea con gli accordi Glasgow del novembre 2021.

Obiettivo al 2050 è quello di abbattere le emissioni dagli attuali 1.85 ton di CO2 per ton di acciaio al valore di 0,2 ton ( 90% di abbattimento).

Per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria una vera e propria rivoluzione dei processi produttivi con massicci investimenti dell’ordine di centinaia di miliardi di € all’anno per i prossimi 30 anni, dove il ruolo dei governi per far partire una domanda di acciaio “verde” sarà di fondamentale importanza, unitamente alla disponibilità di grossi incentivi. Le infrastrutture attuali con una vita media economica tra 20 e 40 anni rappresentano oggi un grosso freno al cambiamento (sunk cost ). Ma al di la della dimensione di questa industria e della quantità di investimenti necessari per arrivare ad una sensibile riduzione delle emissioni di CO2, è necessario implementare nuove e “disruptive tecnologies“ per la riduzione degli ossidi di ferro in acciaio, tecnologie che utilizzano l’idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua utilizzando energia elettrica rinnovabile o utilizzando la stessa energia elettrica direttamente in un processo di tipo elettrochimico. In considerazione dell’importanza dell’acciaio in tutte le filiere produttive, sarà di fondamentale importanza valutare i costi di produzione e delle sue componenti per capire come l’innovazione tecnologica e la carbon tax incideranno su questa transizione.

La produzione di idrogeno verde pone oggi e nei prossimi anni due problemi:la disponibilità di energia elettrica rinnovabile in quantità sufficiente alla produzione attuale di acciaio ed il costo dell’idrogeno elettrolitico, che difficilmente scenderà sotto i 2/3 € per kg. In una ottica di un cambiamento di tecnologia nelle acciaierie nei prossimi 10 -15 anni ci si deve porre la domanda se l’idrogeno da utilizzare non possa venire, sempre in una ottica di una produzione senza emissioni di CO2 , a partire da combustibile fossile o se la produzione per via elettrolitica non possa godere di incentivi o altri benefici fiscali.

Per raggiungere gli obiettivi al 2030 un mix di soluzioni tecnologiche relative al processo BF+BOF e al processo DRI+ EAF dovranno necessariamente essere implementate.

Nel processo convenzionale, BF+BOF, parte del coke sarà sostituito da gas naturale a produrre gas di sintesi attraverso tecnologie tipo il CPO, con una riduzione delle emissioni di circa il 15/20%. Qui il problema almeno in Europa sarà il costo del gas naturale e di riflesso il costo dell’acciaio. Questa soluzione potrebbe essere ulteriormente migliorata attraverso il riciclo degli off-gas. In alternativa gli off-gas dal BF potranno essere convertiti in etanolo e/o fertilizzanti e questo dovrebbe portare ad un altro 20/25 % di riduzione della CO2. La parte di CO2 in eccesso e non riutilizzabile dovrà essere recuperata, liquefatta, trasportata ad un sito specifico e li stoccata.

Per l’Italia sono state considerati due scenari alternativi, ambedue misti.

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Il primo scenario è basato sul mantenimento di una importante capacità di produzione via BF+BOF, con produzione di chemicals e recupero e stoccaggio della CO2 in eccesso. Questo scenario, man mano che si rendesse disponibile energia elettrica rinnovabile, potrebbe ridurre nel tempo l’eccesso di CO2 convertendola in chemicals. Questa opzione potrebbe essere integrata con l’utilizzo di gas di sintesi direttamente sul BF.

Il secondo scenario prevede una produzione di acciaio primario attraverso BF+BOF e DIR+EAF, dove gli off-gas del BF+BOF vengono ad alimentare insieme al gas naturale il reformer/ CPO del DRI. Anche in questo la CO2 presente nel syngas e/o nei fumi potrebbe essere catturata e stoccato o riutilizzata per fare chemicals. Il rapporto tra BF+BOF / DIR+EAF verrà determinato dalla stessa integrazione, ma nel caso di Taranto si potrebbe arrivare anche a mantenere 2 linee di BF.

La sostituzione del coke con bio-coke, almeno in alcune aree quali il Sud America, potrebbe permettere di arrivare al traguardo prefissato e competere con la soluzione DRI con syngas ed arco elettrico che al momento si presenta in grado di ridurre sensibilmente le emissioni di CO2 per ton di prodotto. Ma rimane al momento una soluzione fattibile solo in alcune aree dove si ha una abbondanza di biomasse.

Fig.42 Possibili scenari dei cambiamenti tecnologici nella produzione dell’acciaio nel periodo2020-2050 [50]

Un andamento, sviluppato dalla IAE[50], nel periodo 2020-2050, relativo cambiamenti tecnologici e’ mostrato nella figura 42, come si puo’ vedere l’idrogeno coprirebbe non piu’ del 30% e le nuove tecnologie il 10%.

La sostituzione di una parte della produzione di acciaio con la tecnologia DRI a gas naturale ed arco elettrico certamente faciliterà il raggiungimento degli obiettivi al 2030/35, almeno dove il minerale a base ematite sia già presente. La sostituzione della tecnologia EAF con SAF potrebbe risolvere il problema di flessibilità della carica permettendo di utilizzare materiali BF grade.

La produzione di gas di sintesi a costi competitivi potrebbe essere raggiunta attraverso la conversione di rifiuti urbani, plastiche o rifiuti assimilabili. Per quanto detto in questa nota, valutare quello che succederà nell’industria siderurgica a partire dal 2035 è tutt’altro che facile e non è detto che l’utilizzo di idrogeno elettrolitico possa rappresentare l’unica soluzione. L’utilizzo diretto dell’energia elettrica nella produzione dell’acciaio, il lavoro del MIT attraverso un suo spin-off, Boston Metal, attraverso un processo di elettrolisi ad ossidi fusi, ne è un esempio interessante.

Come detto prima la produzione di energia elettrica rinnovabile rimarrà il tema centrale di questa transizione.

Considerando le limitazioni connesse al FV e all’uso del vento, sembra doveroso chiedersi se questa domanda crescente non porterà alla rinascita del nucleare, in una ottica di accoppiare una piccola centrale nucleare, eventualmente alimentata a torio e non a uranio, con l’acciaieria, rendendo la stessa completamente indipendente e verde.

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