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CAPITOLO 1 Caratteristiche e tecnologie di produzione dell’Idrogeno

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CAPITOLO 1

Caratteristiche e tecnologie di produzione dell’Idrogeno

1.1 Panoramica generale

Il consumo energetico tende globalmente ad aumentare sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, dove la diffusione dell'industrializzazione e il miglioramento della qualità della vita sono tendenze irreversibili. A tutt'oggi, la produzione di energia si basa ancora principalmente sull'uso dei combustibili fossili, ma il progressivo esaurimento dei giacimenti di più facile accesso e l'aumento della richiesta comportano un continuo incremento dei costi e un aumento dell'impatto sull'ambiente.

Attualmente i consumi energetici mondiali ammontano a circa 10,3 miliardi di

tonnellate equivalenti di petrolio (tep), pari a 1. 7 TEP/anno pro capite, prevalentemente

appannaggio della popolazione dei paesi industrializzati; infatti sussistono differenze enormi (fig. 1.1): si va da 7.9 TEC all’anno pro capite negli USA a 0.6 in Africa.

Circa il 20% della popolazione terrestre, la parte più ricca, consuma infatti oltre il 70% di tutta l'energia richiesta a livello mondiale. Nei Paesi in via di sviluppo i consumi energetici sono largamente inferiori a quelli dei Paesi sviluppati, mediamente nel rapporto 1 a 5, ma nel caso dei Paesi più poveri i consumi pro capite possono essere anche di 10-15 volte inferiori a quelli dei paesi più ricchi. Anche tra i singoli Paesi industrializzati vi sono tuttavia grandi diversità in relazione alle abitudini di consumo, alla tipologia di sviluppo industriale (l'industria informatica consuma enormemente meno dell'industria siderurgica…) e al clima (i consumi per il riscaldamento invernale degli edifici sono maggiori in Svezia che nei Paesi mediterranei, mentre in questi ultimi è maggiore la domanda di climatizzazione estiva). Ad esempio, il consumo pro-capite medio annuo di energia nel 2000 era di 2,93 tep in Italia, 3,87 tep in Gran Bretagna, 4,23 tep in Francia e 8,32 tep in USA.

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Figura 1.1 – Consumo energetico procapite in Tep

L'alternativa è l'utilizzo delle fonti rinnovabili, alcune già industrialmente mature, come l'idroelettrico, altre, come il solare termico, il fotovoltaico, l'eolico, ostacolate nella loro diffusione dalla bassa densità energetica e dall'intermittenza della disponibilità.

Una soluzione può venire dall'uso dell'idrogeno quale vettore energetico. Questa fonte non solo è potenzialmente inesauribile, in quanto si può ricavare dall'acqua e dal gas naturale, ma è anche non inquinante: se usato in sistemi a combustione produce, infatti, soltanto vapore acqueo e tracce di ossidi di azoto; mentre produce solo vapore acqueo, se viene utilizzato con sistemi elettrochimici (celle a combustibile).

A fronte di questi vantaggi, l'idrogeno presenta alcuni problemi che, unitamente al costo di produzione ancora elevato, ne hanno finora impedito l'applicazione: è esplosivo, facilmente infiammabile ed estremamente volatile. Grazie ai recenti progressi tecnologici, questi problemi però possono considerarsi superati. Inoltre le nuove tecnologie di produzione, accumulo e trasporto, una volta giunte a maturazione industriale, ne renderanno

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1.2 Caratteristiche chimico fisiche dell’Idrogeno

Idrogeno (Dal greco hydor e geno, "generatore d'acqua"), elemento chimico di simbolo H e numero atomico 1, appartenente al gruppo IA (o l) della tavola periodica, è un gas molto reattivo, incolore, inodore e insapore. Fu scoperto nel 1766 dal chimico britannico Henry Cavendish, come prodotto dell'azione dell'acido solforico sui metalli e come elemento costituente dell'acqua; nominato inizialmente "aria infiammabile" da Joseph Priestley, fu poi chiamato idrogeno dal chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier.

Come molti elementi gassosi, l'idrogeno è diatomico (la molecola contiene due atomi), ma ad alte temperature si dissocia in atomi liberi. Ha punto di ebollizione e di fusione più bassi di ogni altra sostanza, fatta eccezione per l'elio: solidifica a -259,2 °C e liquefa a -252,77 °C. Alla temperatura di 0 °C e alla pressione di 1 atmosfera, si

presenta allo stato gassoso con densità 0,089 g/litro. Il peso atomico è 1,007. L'idrogeno liquido, ottenuto per la prima volta dal chimico britannico James Dewar nel 1898, è incolore e ha densità relativa 0,070.

Il gas idrogeno è una miscela di due forme diverse, l'ortoidrogeno (con spin dei nuclei paralleli), che costituisce circa il 75% della miscela, e il paraidrogeno (con spin antiparalleli). Oltre il 75% dell’idrogeno a temperatura ambiente è costituito da ortoidrogeno. Questa particolarità acquista importanza alle basse temperature poiché l’ortoidrogeno diviene instabile e si trasforma in paraidrogeno liberando calore. Ciò può complicare alcuni processi, quali ad esempio la liquefazione (fu liquefatto per la prima volta da Dewar nel 1898).

La differenza di volume fra l’idrogeno gassoso e quello liquido può essere misurata con il rapporto di espansione fra il volume in cui viene conservato l’idrogeno e quello dello stesso a temperatura e pressione ambiente. Il rapporto di espansione per l’idrogeno liquido è 1/848.

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Figura 1.3 – Rapporto di espansione

Comunque, anche allo stato liquido l’idrogeno non è molto denso: un metro cubo di acqua contiene 111 Kg di idrogeno, mentre un metro cubo di idrogeno liquido ne contiene solo 71 Kg. Per questo l’acqua ha un fattore di impacchettamento superiore, grazie alla sua particolare struttura molecolare.

L’idrogeno non è di per se un gas nocivo, ma può divenirlo per sottrazione dell’ossigeno. Ai punti di fusione e di ebollizione la composizione è leggermente diversa. Nella tabella 1.1 sono riportate alcune importanti proprietà dell'idrogeno:

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Esistono tre isotopi dell'idrogeno: il nucleo dell'idrogeno ordinario è composto da un solo protone; il deuterio, presente nel normale idrogeno per lo 0,02%, ha nucleo costituito da un protone e un neutrone, e ha quindi massa atomica 2; il trizio, isotopo radioattivo e instabile, ha nucleo formato da un protone e due neutroni, e ha massa atomica 3.

Inoltre, è il più semplice di tutti gli elementi e il suo atomo si può visualizzare come un denso nucleo centrale con un solo elettrone orbitante in una “nuvola di probabilità”. Di seguito si riporta l’immagine di una molecola di idrogeno:

Figura 1.4 - Molecola di Idrogeno

L'idrogeno libero è presente solo in ridottissime quantità nell'atmosfera (essendo 14,4 volte più leggero dell'aria, non viene trattenuto da questa, ma si disperde nello spazio), ma dall'analisi degli spettri solari e stellari, risulta l'elemento più abbondante nell'universo. È presente in grandi quantità anche sulla Terra, in diversi composti, tra i quali il più importante è l'acqua, H2O. È parte essenziale di tutti gli idrocarburi e di molte sostanze organiche. Inoltre tutti gli acidi contengono idrogeno. L'idrogeno reagisce con molti non-metalli. In presenza di un catalizzatore, si combina con l'azoto formando ammoniaca , con lo zolfo dando solfuro di idrogeno, con il cloro formando acido cloridrico e con l'ossigeno per formare acqua. La reazione fra ossigeno e idrogeno avviene a temperatura ambiente solo in presenza di un catalizzatore di platino. L'idrogeno si combina anche con alcuni metalli, come sodio e litio, formando composti detti idruri. Si comporta da riducente nei

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confronti degli ossidi metallici, tra i quali l'ossido di rame, liberando ossigeno e riportando il metallo allo stato elementare.Reagisce inoltre con i composti organici insaturi per formare i corrispondenti composti saturi.

L'idrogeno viene preparato in laboratorio sfruttando l'azione degli acidi diluiti su metalli, ad esempio lo zinco, oppure attraverso l'elettrolisi dell'acqua. Grandi quantità di gas vengono prodotte industrialmente a partire da vari gas combustibili.

L'elemento trova moltissimi impieghi in numerosi settori dell'industria e della ricerca. Enormi quantità di idrogeno vengono usate nella produzione di ammoniaca o alcol metilico, nei processi di idrogenazione degli oli, per ottenere grassi commestibili; del carbone, per produrre petrolio sintetico; infine del petrolio per arricchire la benzina.

Inoltre, poiché è il più leggero fra tutti i gas, l'idrogeno è sempre stato utilizzato per il riempimento di mongolfiere e dirigibili. Tuttavia, essendo facilmente infiammabile, in questi casi viene spesso sostituito con l'elio, che ha circa il 92% del suo potere ascensionale. L'idrogeno è anche usato nelle fiamme ossidriche ad alta temperatura, per tagliare, fondere o saldare i metalli. È conservato in bombole di acciaio mantenute alla pressione di 120/150 atmosfere.

L’idrogeno è una sostanza inodore, incolore, insolubile in acqua, estremamente infiammabile, molto leggero e con una spiccata capacità di penetrazione attraverso i materiali e persino nel reticolo molecolare dei materiali metallici. In Tabella 1.2, Tabella 1.3, Tabella 1.4 sono riportate le proprietà chimico fisiche più comuni dell’idrogeno gassoso, liquefatto e le caratteristiche di infiammabilità.

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Tabella 1.3: Proprietà chimico fisiche

Tabella 1.4: Limiti d’infiammabilità

Dalle caratteristiche presenti nelle tabelle si può anche notare come un rilascio di idrogeno in atmosfera richieda un’energia di innesco bassa e risulti facilmente infiammabile: a temperatura standard in un vasto intervallo di concentrazioni in aria è esplosivo per concentrazioni che vanno dal 15 al 59%. Pertanto piccole fughe di idrogeno possono costituire pericolo di incendi o esplosioni quindi tutte le possibili sorgenti d’innesco devono essere isolate e tutte le operazioni devono essere condotte come se possa verificarsi un’imprevista sorgente d’innesco. Inoltre la resistività elettrica dell’idrogeno è molto

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elevata e nel flusso si accumulano cariche elettrostatiche che possono essere motivo di innesco.

Figura 1.5 – Limiti di Infiammabilità di alcuni combustibili

L’eventuale perdita, se innescata all’aperto, brucia rapidamente senza esplosione. Se l’idrogeno brucia è meglio lasciare che la combustione continui tentando di intercettare il flusso, sempre se questo non costituisca pericolo. Se la fiamma si estingue ma il flusso continua, si può formare una miscela esplosiva.

L’alto contenuto energetico dell’idrogeno fa si che la sua potenza esplosiva sia pari a circa 2.5 volte quella di un generico idrocarburo: l’esplosione dell’idrogeno è quindi assai più distruttiva, anche se la sua durata è inversamente proporzionale all’energia liberata [.. ].In conseguenza di ciò le fiamme liberate si estinguono prima di quelle degli idrocarburi. Anche gli altri combustibli che vengono normalmente utilizzati contengono grandi quantità di idrogeno, chimicamente legato ad altri elementi (prevalentemente carbonio), di qui il nome di "idrocarburi" che normalmete si da a questo tipo di composti.

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Naturalmente, come si vede anche dalla figura 1.6, con l'aumentare degli atomi coinvolti, aumenta anche la complessità e il peso della molecola.

Figura 1.6 - Molecole di alcuni combustibili

Dal punto di vista energetico, sebbene l'idrogeno abbia il maggior contenuto energetico a parità di peso, rispetto agli altri idrocarburi (vedi figura), la sua bassa densità fa sì che, a parità di volume, abbia un contenuto energetico inferiore (vedi tabella seguente): ad esempio, quella di una batteria al piombo è pari all’incirca a 324000 KJ/m3.

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Tabella 1.5: Densità di Energia dei vari combustibili

Osserviamo alcune differenze con altri tipi di combustibili:

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Le miscele idrogeno-aria in determinate concentrazioni e con una sorgente d’innesco adeguata possono dar luogo ad una detonazione alla quale si accompagna un’onda d’urto di elevata pressione al alto potenziale distruttivo. I limiti di concentrazione che definiscono il campo di esplosività non sono esattamente definiti in quanto il fenomeno dipende anche dalla natura e dall’entità del confinamento della miscela.

La temperatura di autoignizione dell’idrogeno (585 °C) è relativamente alta (quelle del metano e della benzina sono, rispettivamente, di 540 °C e 230÷480 °C).

L'energia minima di ignizione per miscela stechiometrica è pari a 0.02 mJ, contro 0.29 mJ per il metano e 0.26 mJ per il propano.

L’idrogeno ha un alto numero di ottano (130, contro 125 del metano e circa 87 della benzina) e pertanto resiste bene nei motori a combustione interna al fenomeno della detonazione.

La velocità del fronte di fiamma nella combustione dell’idrogeno è pari a 2.65÷3.25 m/s, all’incirca un ordine di grandezza più grande di quella del metano o della

benzina. Le fiamme dell’idrogeno sono di un colore blu pallido e sono quasi invisibili alla luce del giorno. La visibilità è migliorata dalla presenza di umidità o impurezze (quali lo zolfo).

Come si vede, l'idrogeno è infiammabile quando è presente nella miscela in concentrazioni dal 4% al 75%. Il metano ha un range inferiore che va dal 5.3 al 15 %, mentre la benzina va dall'1% al 7.6% e il gasolio addirittura dall0 0,6% al 5,5%.

Apparentemente, quindi l'idrogeno sembra avere le caratteristiche più sfavorevoli, ma, come si vede, la benzina e il gasolio (o meglio i loro vapori) iniziano a bruciare molto prima, già con concentrazioni inferiori all'1%, risultando quindi molto più pericolosi da questo punto di vista.

L’idrogeno brucia con maggiore vigore (3÷6 cm/min contro 0.2÷0.9 cm/min), quindi per meno tempo. Inoltre la benzina, a differenza dell'idrogeno, genera fumo tossico.

Inoltre, come si può vedere dai grafici in alto, l'idrogeno ha una densità molto più bassa degli altri combustibili, per cui tende ad essere trasportato verso l'alto molto velocemente, ed è estremamente improbabile che, potendo defluire, raggiunga le percentuali di innesco.

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Al contrario, i vapori di benzina hanno una densità addirittura maggiore di quella dell'aria, per cui in caso di fuga tendono ad accumularsi verso il basso formando sacche altamente infiammabili, potendo rapidamente raggiungere il limite inferiore di infiammabilità.

Altri pericoli derivanti dall'uso dell'idrogeno sono correlati con la sua scarsa conducibilità

elettrica, per cui possono accumulasi cariche elettrostatiche al suo interno, che possono

dar luogo a scintille in grado di innescare (con la giusta concentrazione) la combustione. Un altro problema è che l'idrogeno brucia con una fiamma pressochè invisibile in luce diurna, e questo può rendere non immediatamente identificabile un incendio.

Inoltre l'idrogeno ha l'effetto di infragilire i materiali con cui viene in contatto, se questi non sono scelti con cura. Il fenomeno è noto in metallurgia con il termine "Embrittlement" o Infragilimento. Questo può portare a rotture catastrofiche in materiali metallici e non metallici.

Figura 1.11 - Cricca da infragilimento da idrogeno

I fattori che influenzano il fenomeno (comunque piuttosto complesso e argomento di numerosi studi e ricerche) [28] sono la concentrazione dell’idrogeno, la sua pressione, la temperatura, la purezza, il livello di tensione della struttura, la composizione del metallo, le dimensioni del grano, ecc..

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1.3 Metodologie di generazione dell’Idrogeno

Come si è detto sopra, questo elemento è rarissimo allo stato libero: va quindi estratto dalle molecole che lo contengono. Per questo deve essere considerato un vettore energetico, piuttosto che una fonte primaria.

A parte qualche sporadico uso energetico in tempi più lontani e l’impiego quale propellente nelle missioni aerospaziali, l’idrogeno non ha avuto, negli oltre duecento anni dalla sua scoperta, alcun impiego nel settore energetico. E pensare che la natura ne ha sempre fatto uso ed a vari livelli, a partire dai batteri (fotosintesi) per arrivare alle stelle (fusione nucleare).

L’idea di utilizzarlo come vettore di energia può essere fatta risalire alla fine degli anni ’60 (nel 1957 negli USA fu costruito un bombardiere B-57 e nel 1988 in URSS un Tupolev 154, entrambi alimentati ad idrogeno liquido) ed ha trovato una sua collocazione stabile con la costituzione dell’International Association for Hydrogen Energy nei primi anni ’70. Erano gli anni della crisi petrolifera e l’eccessiva dipendenza del settore energetico dal petrolio portava i paesi industrializzati a cercare delle valide alternative, ma le uniche fonti primarie che a in quegli anni potevano offrire sufficienti garanzie erano il carbone ed il nucleare. Due risorse non proprio flessibili in termini di impiego, soprattutto nei confronti del settore dei trasporti. All’idea di impiegare veicoli elettrici dotati di batterie di accumulatori, si affiancò quella di impiegare veicoli dotati di motore a combustione interna a idrogeno, accomunati a quelli elettrici dal problema dell’autonomia, ma certamente capaci di prestazioni più simili a quelle dei veicoli tradizionali.

Nel corso degli anni 1980 furono fatti passi in avanti nello studio delle tecnologie relative alle risorse rinnovabili e all’efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili apparve sempre più interessante. L’idrogeno, prodotto da gassificazione del carbone o mediante termoscissione (con uso di energia nucleare come fonte primaria di energia), veniva così ad essere proposto come ponte tra le fonti primarie disponibili e gli usi energetici più comuni.

L’Ansaldo nel 1996 presentò per il progetto Euro Quebec un battello alimentato ad idrogeno (basato sulla tecnologia delle fuel cell) tuttora in servizio sul Lago Maggiore. Attualmente un notevole impiego dell’idrogeno viene effettuato nei programmi spaziali della NASA: da una parte viene combinato allo stato liquido con ossigeno per ottenere il combustibile necessario per lo space shuttle ed altri razzi, dall’altra viene utilizzato per

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alimentare le fuel cell di bordo che producono gran parte dell’energia elettrica richiesta. A proposito di queste ultime, si noti che l'unico materiale di scarico è acqua pura, utilizzata dall'equipaggio per dissetarsi. Questo uso estensivo dell’idrogeno nelle missioni spaziali, dove la problematica della minimizzazione del peso è cruciale, è fondamentalmente dovuta al suo alto rapporto energia immagazzinata, peso.

In questi 30 anni la ricerca relativa al sistema idrogeno ha prodotto, seppure in modo non continuativo, risultati molto interessanti ed incoraggianti ed è a questi risultati che si deve l’arrivo dell’idrogeno sulle pagine di quotidiani e riviste e nelle trasmissioni televisive a carattere scientifico ed ambientale: per quanto riguarda la produzione di idrogeno, diversi processi sono stati sviluppati e/o sono in via di sviluppo, differenziandosi tra loro sia per la fonte primaria di energia, sia per la fonte di idrogeno; nel campo dell’accumulo dell’idrogeno prodotto, numerosi sistemi sono stati ideati e sono allo studio in alternativa al gas compresso ed al liquido criogenico, sistemi questi ultimi caratterizzati da problemi di ingombro e, per certi versi, di sicurezza; anche nel settore dell’impiego dell’idrogeno si sono fatti passi avanti con notevole sviluppo soprattutto per quanto riguarda le celle a combustibile per autotrazione, ma anche sul fronte degli impianti “tradizionali”, con studi su generatori diretti di vapore e turbine ad alta temperatura, dispositivi che consentono l’adozione di cicli termodinamici innovativi ad alto rendimento. Questo però non deve indurre a credere che la conversione dal sistema energetico attuale a quello basato sull’idrogeno sia prossima. Prossimo è solo l’inizio di questa conversione.

Tuttavia l’impiego di idrogeno incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo gli alti costi di produzione e di immagazzinamento e per uno sviluppo su larga scala occorre prima risolvere l’aspetto più critico: l’infrastruttura distributiva.

A questo proposito vale la pena di sottolineare la difficoltà che incontra la diffusione del gas naturale in autotrazione. E pensare che, in questo, l’Italia è avanti rispetto agli altri paesi. Proprio per questa criticità della distribuzione c’è chi pensa, almeno per le applicazioni veicolari, a passaggi intermedi prima di arrivare all’idrogeno: un esempio tra i più citati è il metanolo, un idrocarburo liquido con un elevato contenuto in idrogeno e “riformabile” a temperatura più bassa rispetto al metano, adatto quindi ad essere impiegato come fonte di idrogeno a bordo del veicolo. Una tale soluzione, le cui problematiche non sono comunque da sottovalutare, consentirebbe anche di bypassare, almeno in parte, un secondo aspetto critico, cioè quello normativo.

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Come già sottolineato l’impiego dell’idrogeno nel settore energetico è un fatto nuovo e pertanto non esistono direttive che lo regolamentano e che stabiliscono criteri di sicurezza al di

fuori dei pochi impieghi di nicchia esistenti. Confrontandolo con il gas naturale non si può dire che l’idrogeno sia più pericoloso, ma le caratteristiche di pericolosità sono differenti. Se quindi si può affermare che la sua pericolosità sia accettabile, è altrettanto evidente che debbano essere sviluppate procedure ad hoc per il suo impiego. Su questo fronte il nostro Paese è indietro rispetto ad altri paesi industrializzati, tanto è vero che in passato nessuno dei progetti a cui hanno partecipato partners italiani ha mai visto una conclusione con fase operativa sul suolo nazionale.

Le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno sono:

a) Elettrolisi dell’acqua

b) Steam reforming del gas metano

c) Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi d) Gassificazione del carbone

e) Energie rinnovabili: biomassa, solare, eolico f) Altre tecnologie innovative

Bisogna subito chiarire, però, che la maggior parte dell’idrogeno commercializzato nel mondo trae origine da fonti fossili ed è prodotto principalmente come “coprodotto” dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC) e di raffinazione del petrolio; di qui discende chiaramente che la metodologia più nota e diffusa per la produzione dell’idrogeno è il reforming di idrocarburi (principalmente metano). Questo metodo, che ad oggi risulta essere il più economico, purtroppo non risolve il problema delle emissioni di gas inquinanti e del consumo di combustibili fossili. L’idrogeno, d’altra parte, può essere estratto dall’acqua con il processo di elettrolisi, rinnovabile e non inquinante di per sè, ma richiede grossi quantitativi di energia elettrica: la convenienza o meno del processo dipende quindi dalla natura della sorgente di energia.

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1.3.a Elettrolisi

L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua. Questo processo fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839.

L'elettrolisi richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, un elettrodo caricato negativamente, attraversa l'acqua e va via attraverso l'anodo, un elettrodo caricato positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l'anodo.

Tipica cella elettrolitica

La reazione fondamentale del processo è la seguente:

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La materia prima fondamentale per la produzione dell’idrogeno è l’acqua. Il prodotto finale dell’utilizzazione dell’idrogeno è acqua pura o vapore acqueo. L’idrogeno è dunque compatibile con l’ambiente e non produce alcun gas serra, in particolare CO2.

Il tasso di produzione di idrogeno è legato alla densità di corrente (corrente elettrica diviso l’area di passaggio). In generale però maggiore è la densità di corrente, maggiore è il voltaggio richiesto e quindi il consumo di potenza a parità di idrogeno prodotto; tuttavia voltaggi maggiori consentono l’utilizzo di impianti di minori dimensioni, con conseguente

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riduzione dei costi capitali. Elemento chiave del processo è l’elettrolizzatore, costituito da una serie di celle elettrolitiche immerse in acqua resa conduttiva con l’aggiunta, ad esempio, di idrossido di potassio.

Gli elettrolizzatori operano con un’efficienza del 65÷80% e densità di corrente di 2000 A/m2. Il voltaggio minimo perché si abbia il fenomeno di elettrolisi è pari a 1.23 Volt (25°C), ma con tale voltaggio è richiesto apporto esterno di calore perché la reazione proceda. Con 1.47 Volt non è richiesta alcuna fonte esterna di calore.

Operare con elettrolizzatori a bassi voltaggi è conveniente economicamente, poiché l’aggiunta esterna di calore costa meno dell’elettricità. Attualmente si tende ad operare con voltaggi intorno a 1.85÷2.05V con rendimenti intorno al 72÷80% . La quantità minima di acqua d'alimentazione per un elettrolizzatore è 0.8 l/Nm3 di idrogeno anche se, in pratica, è richiesto circa 1 l/Nm3 di idrogeno. L'acqua di mare deve essere prima desalinizzata con un consumo di 40÷100 kWh/m3 di acqua (pari a circa 1% del calore di combustione dell’idrogeno).

Per ottenere in questo modo 1m3 di idrogeno occorrono circa 5 kWh di energia elettrica. Il procedimento è l'inverso di quello che accade in una fuel

cell.

E' chiaro che un procedimento del genere (che consiste essenzialmente nel partire dall'acqua e, dopo alcune trasformazioni elettrochimiche produrre nuovamente acqua nella fuel cell) è poco attraente dal punto di vista dei rendimenti. In realtà nel caso dei veicoli ad idrogeno quello che interessa è la produzione di energia meccanica, che in questo caso è il fine ultimo delle trasformazioni. L'acqua prodotta dalla fuel cell è solo un prodotto di scarto.

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L'energia elettrica necessaria per l'elettrolisi può quindi essere prodotta in vari modi. Naturalmente il caso ottimale è quello in cui l'energia elettrica viene prodotta sfruttando fonti rinnovabili come l'energia solare o eolica, ma anche quella idroelettrica. Infatti, come si può vedere dai rapporti pubblicati dal GRTN sulla produzione di energia elettrica, solo nel mese di dicembre 2003 sono stati consumati 927 GWh di energia elettrica per ripompare nei bacini l'acqua delle centrali idroelettriche sfruttando energia prodotta ma non utilizzata nei periodi di minore richiesta.

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Se quest'energia fosse stata utilizzata per produrre idrogeno, si sarebbero prodotti più di 185 milioni di m3 di idrogeno, solo nel mese di dicembre in modo perfettamente pulito. Un altro sistema per produrre idrogeno tramite elettrolisi è sfruttando la produzione notturna di energia delle centrali convenzionali, che per motivi operativi non possono essere spente nei periodi di minore richiesta (ad es. durante la notte). In questo modo si potrebbe disporre di energia elettrica a basso costo che consentirebbe di ottenere idrogeno a costi competitivi. Naturalmente in questo modo la produzione non sarebbe "pulita" come nel caso delle fonti rinnovabili.

L'elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra notevoli ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati, dovuti all'impiego di energia elettrica. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno estremamente puro (Padrò e Putsche, 1999).

Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema. Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali (Hydrogen R&D Program, 1999).

In ogni caso, prima che le nuove tecnologie vengano perfezionate e divengano completamente operative, il costo per la produzione dell'idrogeno dall'elettrolisi è il più alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia. I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali, nonostante i miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno ancora costi elevatissimi per la produzione di energia da impiegare nell'elettrolisi. Un altro aspetto da valutare è che l'idrogeno attualmente viene prodotto in sito e su domanda, vengono quindi trascurati i costi di magazzinaggio e trasporto che renderebbero il prezzo dell'idrogeno "consegnato", anche se in quantità ridotte, ancor meno competitivo. Nell’ambito delle applicazioni pratiche i costi per l'elettrolisi tramite celle a membrana polimerica si prevede che siano minori dei sistemi con celle alcaline.

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La comparazione tra il “ciclo vitale” e il processo di produzione dell’idrogeno mostra come l’elettrolisi a partire da forme di energia rinnovabile presenti vantaggi ambientali, ma sia ancora inefficiente dal punto di vista energetico, soprattutto nel caso di utilizzo di energia eolica [6]. Comunque l’utilizzo di celle elettrolitiche con energia elettrica a partire da fonti rinnovabili garantisce un processo a “emissioni zero” ed è la miglior soluzione dal punto di vista ambientale.

L'elettrolisi, nonostante le ancore insormontabili barriere dei costi, resta comunque il procedimento che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. E’ questo il motivo che spinge la ricerca allo studio di sistemi che impieghino fonti di energia alternative a quella elettrica.

1.3.b Reforming

Il sistema maggiormente utilizzato per la produzione di idrogeno è quello del Reforming

degli idrocarburi. Questo sistema consente di estrarre idrogeno dalle molecole di

idrocarburi più complessi. I composti maggiormente usati a questo scopo sono: metano, metanolo, benzina, ammoniaca.

I sistemi di reforming maggiormente usati nell'industria sono di due tipi: Steam reforming e reforming a ossidazione parziale (POX). Qui non ci dilungheremo nell'approfondimento dei due sistemi, basti dire che, soprattutto il primo, viene ormai molto utilizzato anche in impianti di grandi dimensioni (vedi figura 1.16), in grado di produrre milioni di m3 di idrogeno al giorno.

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Il vantaggio di questi sistemi è che utilizzano combustibili fossili molto diffusi e a basso costo; questo, unitamente al fatto di poter contare su grossi volumi di produzione, rende il costo di produzione dell'idrogeno compatibile con le esigenze di mercato. Di contro, naturalmente, c'è il fatto che l'utilizzo di combustibili fossili comporta necessariamente un certo inquinamento, assente nel caso di elettrolisi con energia rinnovabile.

Inoltre, come si vede dalla tabella sottostante, l'idrogeno prodotto in questo modo non è puro, ma contiene altri componti che vanno eliminati tramite opportuni trattamenti che complicano notevolmente il processo e l'impianto.

Tabella 1.6 – Percentuali di inpurezze in alcuni combustibili

Dalla tabellla si può notare come i risutati migliori si ottengano dal metano, infatti il reforming di tale combustibile (SMR) è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale; tuttavia non è consigliabile proporre lo Steam Reforming per impianti con capacità produttive inferiori a 100 t/giorno di idrogeno. D’altra parte, la ricerca, nel campo delle celle a combustibile, sta portando allo sviluppo di Reformer compatti, caratterizzati da capacità produttive inferiori a quelle tradizionali.

Altri processi, invece, come l'ossidazione parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti. Lo SMR implica la reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori: il gas naturale, compresso a 4 bar ed alla temperatura di circa 800 °C, è introdotto nel reattore di steam-reforming dopo essere stato depurato dagli eventuali composti solforati, la cui presenza determinerebbe l’avvelenamento dei catalizzatori a base di Nichel, utilizzati per la reazione:

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Il calore necessario è fornito dal vapore surriscaldato che viene introdotto in miscela con il gas naturale e, in massima parte, per riscaldamento dall’esterno (ad esempio attraverso combustione di metano).

Tale reazione è in genere seguita dalla reazione di Shift che incrementa il tenore di H2 nel

Syngas (gas di sintesi) mediante una reazione esotermica catalitica:

(1.3) CO + H2O . CO2 + H2 .H = - 40 kJ/mol CO

Il prodotto è una miscela gassosa al 77% di H2 contenente anche CO (1%), CO2 (19 %), H2O e CH4(3 %) che deve essere purificata in funzione dell’utilizzo finale tramite assorbimento chimico o PSA (Pressure Swing Absorption).

Il metodo della PSA viene utilizzato nell’industria per separare una miscela di gas nei suoi vari componenti. Il cuore di questo processo è costituito da un materiale a base di zeolite, un minerale caratterizzato da una struttura cristallina con un’ampia superficie che trattiene selettivamente le molecole di gas attraverso il meccanismo dell’adsorbimento fisico [8]. Il contenuto energetico dell'idrogeno prodotto è, attualmente più elevato di quello del metano utilizzato ma l'enorme quantità d'energia richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere il rendimento del processo a circa 65%

Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di carbonio è separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per alimentare il reformer. I processi di questo tipo su scala industriale avvengono alla temperatura di 200 °C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al processo.

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Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune analisi costituisce il 52%-68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni e circa del 40% per impianti di dimensioni minori [2].

I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale. Il principale svantaggio dal punto di vista ambientale nell’impiego di questo processo produttivo è legato alla non rinnovabilità della materia prima, in quanto il metano, pur essendo presente in natura in quantità maggiori rispetto al petrolio, è comunque un combustibile fossile. D’altra parte, vale la pena osservare che un grosso impianto di reforming può produrre 100.000 tonnellate di idrogeno all’anno, sufficienti per alimentare 1 milione di auto operanti a pile a combustibile (ipotizzando una percorrenza media di 16.000 Km/anno).

Alcuni autori, sostengono che la tecnologia SMR può essere conveniente, se combinata con l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile prodotte su scala ridotta.

La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella produzione combinata di idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di produzione. Dopo le prime installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la Mobil, la Texaco, la Air Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa occidentale, questi impianti si stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato a Pernis, vicino Rotterdam.

Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in precedenza con la particolarità che il calore prodotto grazie alla alte temperature operative viene opportunamente recuperato ed impiegato nelle fasi di preriscaldamento e desulfurizzazione del metano, riscaldamento dell’acqua e generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato direttamente per la produzione di energia elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso.

Tali sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la produzione di idrogeno, vapore ed energia elettrica.

Innanzitutto consentono di realizzare risparmi già al livello di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente proprio l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre notevolmente l’incidenza dei costi

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fissi all’aumentare della produzione. Basta considerare il fatto che gli investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato per la produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale ridottissimo di tutta la

tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx mentre il CO prodotto dalle turbine a gas viene bruciato all’interno del reforming stesso.

In futuro il funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne l’efficienza e l’affidabilità.

Gli impianti attualmente funzionanti, si limitano alla fornitura di energia elettrica ad industrie del settore chimico e petrolchimico con delle piccole reti di trasmissione ma si prevede che nei prossimi decenni possano svilupparsi e sostituire gradualmente le attuali centrali.

Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso: uno degli obbiettivi della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il perfezionamento di un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Nel processo SER, i reagenti, vapore e metano, alimentano a 450–550 °C e alla pressione di 4 bar, un reattore tubolare contenente una miscela di materiale catalizzatore, per il reforming, e di uno assorbente (ossido di calcio) per la rimozione della CO2 . In questa fase il gas di uscita dal rettore è costituito da H2=90%, CH4=9%, CO2=0.5% e CO< 50 ppm.

I principali vantaggi del processo SER rispetto allo Steam Reforming tradizionale sono i seguenti :

• Il reforming avviene a temperature significativamente più basse (400- 500 °C ) contro gli 800- 1000 °C dello SMR, pur mantenendo un alto fattore di conversione del metano in idrogeno

• Significativa riduzione, o completa eliminazione, dei successivi processi per la purificazione dell’idrogeno

• Minimizzazione delle reazioni secondarie indesiderate, come ad esempio quella di carbonizzazione

• Riduzione della quantità di vapore utilizzato (con conseguente risparmio energetico).

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Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere rispetto ai processi convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non solo per i ridotti costi operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera.

Le attività di ricerca sono ovviamente volte all’individuazione dei materiali più idonei all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità tecnica dei sistemi sperimentali e all’analisi dei relativi vantaggi economici.

Anche il tradizionale processo di cracking dei combustibili fossili sta subendo delle notevoli innovazioni. Le nuove tecnologie di decomposizione termocatalitica degli idrocarburi, in assenza di aria o ossigeno, eviteranno di sostenere costi per la purificazione dell’idrogeno prodotto tramite l’eliminazione della produzione degli ossidi di carbonio. Ciò avverrà tramite l’identificazione e la modificazione di opportuni catalizzatori a base di carbonio e la successiva ottimizzazione del processo di produzione tramite l’impiego di combustibili liquidi o gassosi. L’obiettivo primario è, inizialmente, quello di aumentare il contenuto di idrogeno a più dell’85% e di ridurre notevolmente le emissioni di gas inquinanti. Nel 2002 si prevede la sperimentazione dei primi impianti abbinati a celle a combustibile di modesta potenza.

1.3.c Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi

Un altro metodo commercialmente disponibile per la produzione di idrogeno è la ossidazione parziale di idrocarburi, metano o nafta ad esempio, i quali vengono ossidati per produrre CO ed H2 , secondo le reazioni:

(1.4) Cx Hy+ ½ xO2 → xCO +½ yH2

(1.5) CO + H2O → CO2 + H2 Partial Oxidation Shift Conversion

Tale reazione, essendo esotermica, non richiede calore dall’esterno, così come, a causa delle elevate temperature, non è richiesto l’uso di catalizzatori.

Il reattore per la POX è più compatto rispetto a quello utilizzato nello SMR, nel quale l’energia termica deve essere fornita dall’esterno.

Dal punto di vista dell’efficienza energetica, il rendimento del POX si attesta sul 50%, contro il 65-70% del processo SMR e questo dipende sia dalle alte temperature di processo

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che dalle problematiche riguardo allo stoccaggio del calore all’interno del reattore stesso. ( Ogden , 2002; Padrò e Putsche, 1999 ).

Un’altra variazione di questa applicazione è il processo Texaco: l’olio e il vapor acqueo sotto pressione alimentano il bruciatore del reattore, dove vengono miscelati con ossigeno in difetto.

(1.6) CnHm + nH2O → nCO + (n+m/2)H2

(1.7) CnHm + n/2O2 → nCO + m/2H2

La reazione procede con una pressione di esercizio di 9 bar e una temperatura di 1100-1500 °C, formando CO, H2 e prodotti carboniosi; questi ultimi vengono separati dal gas prodotto mediante lavaggio con acqua.

I gas in uscita in genere passano alla conversione del CO a 300-450 °C in reattori adiabatici con raffreddamento intermedio. I catalizzatori sono a base di ossidi di Co e Mo, attivi anche in presenza di composti solforati, oppure di Fe2O3-Cr2O3 che però ne tollerano solo modeste quantità. A valle della conversione l’idrogeno viene separato dalla CO2 tramite un lavaggio fisico, ad esempio con la PSA.

I vantaggi sono legati alla maggiore flessibilità nella carica alimentabile all’impianto, che può essere costituita anche da idrocarburi di basso costo.

Poiché la reazione non richiede catalizzatori, vista l’elevata temperatura di processo raggiunta, ed il reattore è semplificato, non essendo necessari scambi di calore indiretti tramite scambiatori di calore, ne è stata proposta l’applicazione con gas naturale per la generazione distribuita.

Gli svantaggi di tale processo sono legati alla bassa efficienza, oltre ai problemi legati all’impatto ambientale già discussi per lo Smr ( SAPIO , 2002).

1.3.d Gassificazione del carbone

La gassificazione è definita come la reazione fra combustibili solidi o liquidi con aria, oppure ossigeno o vapore o ancora una miscela di essi, a temperature sufficientemente elevate, in modo da produrre un gas adatto allo scopo a cui è destinato. [10] La gassificazione del carbone è una delle più vecchie tecniche di utilizzo di questo combustibile fossile e continua a svolgere un importante ruolo nella produzione di energia,

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grazie al fatto che le risorse di carbone sono abbondanti e facilmente reperibili in tutte le parti del mondo.

Tabella 1.8: Tipi di carbone

Figura 1.16 - Schema di un impianto per la gassificazione del carbone

Numerosi metodi sono possibili per la gassificazione del carbone. I principali processi possono essere raggruppati nelle seguenti tre principali categorie, a secondo della geometria del gassificatore utilizzato: a letto trascinato, fluido, e mobile.

1. Entrained Flow ( Letto trascinato ): In questo tipo di gassificatore, che ad oggi è quello più comunemente utilizzato con diversi tipi di tecnologie ( BBP, Hitachi, Prenflo, SCGP, E-Gas e Texaco ), le particelle di carbone polverizzato ed il flusso di gas si

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muovono nello stesso senso e ad alta velocità , alla temperatura di circa 1250 °C. A causa del basso tempo di residenza all’interno del reattore, la carica, per assicurare un adeguato rapporto di conversione del carbonio, deve essere finemente polverizzata. I gassificatori del tipo entrained-flow possono essere alimentati sia con liquidi, che con solidi; è comunque preferito un carbone con un alto indice di legnosità in quanto favorisce la produzione di materiale bituminoso con alta concentrazione; ogni tecnologia richiede comunque caratteristiche diverse sulle proprietà del carbone: è necessario un contenuto minimo di ceneri per i reattori le cui pareti devono essere rivestite di scorie, ottenute appunto dalla fusione delle ceneri stesse, per minimizzare le perdite di calore con l’esterno; il contenuto massimo di ceneri è invece fissato per ogni tipo di gassificatore, in dipendenza sia di fattori tecnici che economici (normative sulle emissioni e disposizione o meno di filtri a valle). I reattori costruiti di materiale refrattario risentono anche della presenza di alcuni componenti nel carbone ( SiO, CaO, ossidi di ferro ) i quali potrebbero penetrare all’interno della struttura e causare crepe o fessurazioni. La temperatura di fusione delle ceneri (Ash Fusion Temperature , AFT) e la viscosità di temperatura critica (TCV) ottimali, per evitare problemi di intasamento dei sistemi di scarico, dipende dalla temperatura di processo e varia da un gassificatore all’altro. In linea di principio, l’AFT del carbone dovrebbe essere al di sotto della temperatura operativa, mentre la TCV deve corrispondere approssimativamente alla temperatura minima di lavoro.

2. Fluidised Bed ( Letto fluido ): in questo alcune particelle di carbone sono sospese nel flusso di gas mentre altre tornano indietro, nella parte più densa del letto, e subiscono la gassificazione, alla temperatura di circa 1000 °C. Vi sono diversi tipi di processi di gassificazione con questo tipo di reattore (BHEL, HTW, IDGCC, KRW, Transport Reactor, ABGC ), i quali operano solamente con combustibili solidi sminuzzati, ad eccezione del Transport Reactor, il quale può funzionare anche con combustibili liquidi.

I gassificatori del tipo fluidized—bed che operano con ceneri fluide possono essere alimentati con un numero maggiore di tipi di carbone rispetto a quelli con sistema a ceneri secche . E’ proprio la diversa tipologia di funzionamento, a ceneri secche o fluide, che crea le maggiori differenze nel tipo di carbone di alimentazione.

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3. Moving Bed ( Letto mobile ): nei reattori di questo tipo, il flusso di gas risale lentamente attraverso il letto di carbone che costituisce la carica. Vi sono tre tecnologie che adottano il moving bed ( BGL, BHEL, Lurgi ) dei quali il BGL può operare con combustibile sia liquido che solido, mentre il BHEL ed il Lurgi , detti “a ceneri secche”, sono alimentabili solo con carbone solido. La caratteristica più importante richiesta ad un reattore moving bed è la alta permeabilità del letto, per evitare cadute di pressione ed il fenomeno del channeling ( incanalamento delle sostanze reagenti attraverso il materiale costituente il letto del gassificatore in maniera inerte, cioè senza che vi siano reazioni durante questo passaggio ), i quali possono provocare una instabilità del profilo di temperatura e di composizione del gas prodotto, nonché aumentare il rischio di violente esplosioni all’interno del reattore stesso.

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La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato (per esempio: Cina e Sud Africa). Nel settembre del 2000 è stato siglato dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) della Repubblica Popolare di Cina, un Accordo Tecnico di collaborazione tecnico-scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca sull’idrogeno, a seguito degli accordi stipulati dai due organismi lo scorso mese di giugno a Pechino. Come ben noto, nella Repubblica Popolare di Cina, i problemi associati all’inquinamento atmosferico all’interno delle città e, più in generale, l’ingente quantità di emissioni di CO2 legato all’uso massiccio del carbone, sono estremamente gravi ed urgenti. Si prevede infatti che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto delle emissioni planetarie di anidride carbonica. Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il carbone, in presenza di acqua, è trasformato in idrogeno e CO2.

L’idrogeno è poi bruciato con emissioni zero, mentre la CO2 è immagazzinata permanentemente in forma liquida nelle profondità della terra, senza apprezzabili emissioni nell’atmosfera. E’ quindi possibile trasformare anche il carbone in un combustibile pulito e quasi ad "emissioni zero".

I gassificatori tuttavia producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di azoto) che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto. Il loro livello dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due tipi di sistemi per la separazione delle impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, comporta una serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi.

Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo dell'idrogeno prodotto. Costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre escludendo l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora possibile realizzare delle particolari economie di scala.

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La presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone il possibile sostituto di gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno.

1.3.e Produzione di idrogeno da fonti rinnovabili: biomassa, solare, eolico

Biomassa: tra le fonti di energia rinnovabile, la biomassa è una delle più studiate ed

analizzate non solo per la generazione diretta di energia, sia essa elettrica o semplicemente sotto forma di calore, ma anche ai fini della produzione di idrogeno (più o meno puro a seconda dell’uso finale a cui è destinato). Senza

entrare nel merito delle problematiche relative alle diverse tipologie di biomasse, al contenuto energetico ed all’umidità, alle caratteristiche chimico-fisiche ed alle problematiche legate alla bassa densità ed al pretrattamento e trasporto, vedremo qui brevemente alcune delle più promettenti vie di conversione in idrogeno.

Gli aspetti sopra esposti, comunque, sono tali da rendere, ad oggi, oltre che tecnicamente, economicamente difficile ipotizzare impianti di questo tipo. E’ opportuno chiarire sin dall’inizio che ad oggi non si ha notizia di progetti di dimostrazione effettivamente completati o con un numero di ore di funzionamento sufficienti per trarre conclusioni di lungo periodo. Le attività di ricerca, invece, sia in EU che in USA e Giappone, si moltiplicano rapidamente e le risorse destinate a tale scopo sono sempre più rilevanti. E’ inoltre necessario sottolineare come il contenuto di idrogeno nella risorsa (biomassa) iniziale sia modesto (attorno al 6 %), come pure il suo contenuto energetico, a causa dell’elevato contenuto in ossigeno (circa il 40 %). Nonostante ciò, e nonostante il quantitativo di idrogeno che può essere prodotto (in peso) dalla biomassa sia anch’esso contenuto, l’efficienza di conversione energetica è piuttosto elevata (ad esempio attorno al 56 % per steam-reforming di olii di pirolisi).

Si possono distinguere due grandi classi di processi di conversione della biomassa in idrogeno:

1. quelle di tipo biologico 2. quelle di tipo termochimico.

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Mentre nel primo gruppo troviamo processi quali la digestione anaerobica, la

fermentazione e processi metabolici (ad esempio i processi fotobiologici), nella via

termochimica troviamo principalmente i processi di gassificazione e pirolisi.

In generale, tutte queste opzioni sono combinate con reazioni di reforming di prodotti intermedi (ad esempio il metano) e di shift.

E’ inoltre importante distinguere tra vie dirette e vie indirette, in cui la produzione di idrogeno avviene a valle della produzione di un prodotto intermedio. I vantaggi di questa seconda opzione, apparentemente meno interessante della conversione diretta, sono legate alla possibilità di immagazzinare e trasportare il composto intermedio (ad esempio l’olio di pirolisi) anziché quello finale (l’idrogeno).

La produzione di idrogeno da biomassa per via gassificazione, attualmente il percorso più studiato, è sempre necessariamente seguita da una fase molto complessa di gas cleaning (pulizia del gas), specialmente al fine della rimozione dei catrami (tar). Tale aspetto diventa ancor più importante e critico nel caso si intenda utilizzare i gas di sintesi così prodotti in combinazione con dispositivi particolarmente esigenti, quali le celle a combustibile (Fuel Cell).

Le due principali opzioni, come detto, sono:

1. Produzione diretta di idrogeno da biomassa 2. Produzione di prodotti intermedi immagazzinabili

La produzione dell’idrogeno dalle biomasse, sia tramite gassificazione sia tramite pirolisi, possiede notevoli possibilità di sviluppo tra i processi che utilizzano fonti rinnovabili di energia [8]. Un importante vantaggio ambientale dell'utilizzo delle biomasse come fonte di idrogeno è che il biossido di carbonio, una delle principali emissioni responsabili dei cambiamenti climatici, emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas nell'atmosfera. Il biossido di carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita e solo la stessa quantità viene restituita all'aria durante il processo di conversione. Purtroppo, però, il contenuto d'idrogeno è solo del 6%-6,5%, rispetto al 25% del gas naturale.

Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e ciò non consente a questi sistemi di essere competitivi con altre tecnologie come, per esempio, il reforming del metano.

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da materiali specifici mentre possono scendere nel caso si impieghino biomasse da rifiuti. Anche in questo caso, come per i sistemi fotovoltaici ed eolici, trattandosi di fonti di energia rinnovabili, i costi sono ancora sensibilmente elevati. In questi casi, infatti, le tecnologie non sono ancora perfezionate, mancano dei sistemi specifici d'immagazzinaggio e applicazione dell'energia prodotta per cui non è ancora possibile realizzare economie di scala che ne consentano un possibile largo impiego. D'altro canto il ridotto impatto ambientale, riveste un importante ruolo per la ricerca. Inoltre, gli oli vegetali hanno un potenziale per la produzione di idrogeno, maggiore delle sostanze che contengono cellulosa o lignina, ma il loro costo è ancora notevolmente alto e probabilmente gli oli necessari saranno acquistati su di uno specifico mercato previsto per il futuro. Quindi, solo un processo integrato, che preveda il riutilizzo delle sostanze derivate dalle biomasse, può consentire una alternativa economicamente valida.

Solare: la produzione di idrogeno per via solare è una della strade oggi tecnicamente

possibili: spesso tali sistemi, in particolare quelli basati sull’uso di celle fotovoltaiche (PV), risultano di costo particolarmente elevato, ed inoltre non è raro che i sistemi solari a PV siano accoppiati a sistemi, ad esempio, eolici in configurazioni ibride. A tal senso, si rimanda più in dettaglio al paragrafo riguardante l’eolico.

Tecnologie fotoelettrochimiche: in questo caso viene utilizzata una cella

fotoelettrochimica per convertire energia ottica in energia chimica. I sistemi si distinguono in due classi principali: la prima è basata sull’uso di semiconduttori, la seconda su metalli complessi dissolti. Con riferimento al primo approccio, il processo può essere rappresentato come un processo fotovoltaico seguito da uno elettrolitico. Il metodo basato sui semiconduttori utilizza infatti elettrodi in contatto con una soluzione acquosa di elettrolita. La banda di conduzione del semiconduttore viene superata quando i fotoni raggiungono livelli sufficienti di energia (zona blu dello spettro): in tale situazione, infatti, i fotoni hanno energia tale da liberare idrogeno ed ossigeno agli elettrodi attraverso la rottura della molecola di acqua.

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Figura 1.20: Schema di cella solare nella quale tre strati di silicio sono interposti fra due semiconduttori ( NREL/ IEA, 2000 )

Il vantaggio offerto dal sistema illustrato, rispetto ai due sistemi (fotovoltaico + elettrolitico) separati, sarebbe quello di una maggiore efficienza derivante dalla eliminazione della fase elettrica intermedia. Assumendo una efficienza fotovoltaico di circa 11-12 % e l’80 % per quella elettrolitica, si ricava una efficienza globale del sistema descritto pari a circa il 9 %.

Nella seconda classe di sistemi si utilizzano materiali complessi disciolti come catalizzatori: il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua.

Tecnologie termochimiche: il sistema termochimico consiste nella scissione termica della

molecola di acqua. Questa avviene spontaneamente alla temperatura di 2300°C, ma questa è difficilmente raggiungibile e solo pochi materiali possono sopportare queste temperature mantenendo integre le loro proprietà meccaniche. Metodi alternativi, che prevedono l’utilizzo di opportuni catalizzatori, possono ridurre la temperatura richiesta attorno a 800-1000°C. Queste temperature sono facilmente ottenibili tramite concentratori solari parabolici (vedi p. es. il progetto UT-3 dell’ENEA che prevede la produzione di un impianto pilota da 2000 m3/giorno di idrogeno).

Centrali fotovoltaiche ad idrogeno: il collegamento di impianti fotovoltaici con

elettrolizzatori per la produzione di idrogeno non presenta significative difficoltà tecniche, a differenza di buona parte dei sistemi analizzati in questa sede. Il vero ostacolo è invece rappresentato dagli alti costi di impianto combinato con un rendimento molto modesto, che

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rendono questa opzione ad oggi difficilmente percorribile a meno di incentivi in conto capitale od in conto energia particolarmente consistenti. Il sistema consiste essenzialmente in un impianto per la produzione di energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici, ed in un elettrolizzatore, dei tipi già visti, che si occupa della produzione di idrogeno. E’ possibile (e questo è un vantaggio della soluzione PV-H2) collegare direttamente in corrente continua il sistema fotovoltaico con l’impianto di elettrolisi, semplificando il sistema fotovoltaico attraverso l’eliminazione dell’inverter, che trasforma usualmente la corrente continua in alternata in tali impianti.

Esempi di impianti di questo tipo (Savino, 2000) ne esistono diversi: tra i primi il “Solar Village” presso Riyadh, in Arabia Saudita, la cui potenzialità è pari a 350 kW di energia elettrica fotovoltaica e 463 m3 di idrogeno. Altre attività sono in corso anche in Italia (Napoli e Casaccia, ENEA) oltre che negli Stati Uniti ed in Australia.

Prendendo a riferimento il progetto EC-Joule SAPHYS dell’ENEA, un sistema del tipo stand-alone PV-H2 è così composto:

- Sistema fotovoltaico per la produzione di energia elettrica - Sistema buffer di batterie

- Elettrolizzatore

- Sistema di immagazzinamento

- Cella a combustibile per la conversione dell’idrogeno in energia elettrica - Sistema di controllo

L’impianto SAPHYS (vedi figura) è in grado di sviluppare 6.5 kWp (kW di picco), ha un sistema di accumulatori al piombo acido, un elettrolizzatore (pot. 5 kW) del tipo alcalino bipolare. L’accumulo di idrogeno è in bombole a 200 bar. La cella a combustibile è del tipo ad elettrolita polimerico (PEM). Il tutto è completato da un sistema di controllo e gestione.

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Figura 1.20: Schema di una centrale fotovoltaica ad idrogeno (ENEA, prog.Saphys)

La cella a combustibile, alimentata con l’idrogeno prodotto dall’elettrolizzatore a sua volta alimentato con energia fotovoltaica, permette di produrre energia elettrica nel momento in cui sia ha la domanda, permettendo così al il sistema idrogeno-cella un accumulo energetico alternativo a quello delle batterie che presentano costi elevati, vita ridotta, problemi ambientali legati al loro smaltimento, pesi considerevoli).

Da un punto di vista economico, se pur tali considerazioni sono ad oggi estremamente sfavorevoli, l’intero impianto ha un costo di investimento pari a circa 90000-105000 euro, mentre l’energia elettrica prodotta ha un costo di circa 3.5 euro/kWh (ENEA).

Eolico: Produzione di idrogeno da energia eolica in combinazione con elettrolisi.

Oltre alle biomassa ed all’energia fotovoltaica, l’energia eolica rappresenta una ulteriore opzione per la produzione di idrogeno basandosi su fonti rinnovabili. Anzi, la produzione di energia elettrica per via eolica è certamente la più tecnologicamente e commercialmente matura fra i vari sistemi basati sulle fonti rinnovabili. Nonostante ciò, comunque, l’accoppiamento con sistemi per la produzione di idrogeno ed in particolare impianti di elettrolisi, non è assolutamente una pratica ovvia e consolidata. Si osserva peraltro che è sempre più frequente, anche a livello di comunicazione di massa, l’accoppiamento tra “idrogeno per trasporti” ed “energia eolica” (a titolo di esempio, si veda la figura sottostante rappresentate una BMW ad idrogeno con generatori eolici sullo sfondo), e questo nonostante la reale maturità e disponibilità di tale filiera.

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Per la produzione elettrolitica dell’H2 va detto che se è vero che un impianto di elettrolisi dell’acqua connesso con un impianto di generazione solare od eolico garantisce una completa eco-compatibilità al

processo di immagazzinamento delle energie intermittenti, è altresì vero che ciò mostra evidenti limiti dal punto di vista economico. Come già visto, infatto, attualmente l’H2 prodotto mediante elettrolisi dell’acqua in impianti alimentati con RES non è economicamente competitivo non soltanto rispetto a quello prodotto da combustibili fossili, ma anche rispetto a quello prodotto in elettrolizzatori alimentati convenzionalmente, che possono lavorare in condizioni operative costanti. L’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili potrà essere usato dapprima in aree ove ci sia eccedenza di energia oppure non siano presenti sorgenti convenzionali di energia oppure ove sia richiesta un’elevata purezza del gas. Nel medio e lungo termine, tuttavia, e sulla falsariga dell’andamento attuale, è prevedibile una marcata riduzione del costo dell’elettricità prodotta da fonte solare od eolica in grado di rendere economicamente fattibili i sistemi di produzione dell’idrogeno da sorgente rinnovabile. Gli sforzi di ricerca e sviluppo e la richiesta del mercato provocherà anche una diminuzione del costo di acquisto degli elettrolizzatori, promuovendo la diffusione di questa tecnologia con gran beneficio per l’ambiente.

Esistono comunque, in Europa, iniziative mirate alla produzione di idrogeno da fonte eolica, ed in particolare in quei Paesi dell’Unione in cui la disponibilità di risorsa eolica è maggiore. A titolo di esempio, e per illustrare lo schema di un impianto di questo tipo, riportiamo il progetto (datato 2002) di Sydthy [Ydea et al, 2002] e quello del North Ayrshyre, Scozia.

Il primo progetto prevede la realizzazione di un impianto dimostrativo composto dai seguenti elementi:

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- Turbine eoliche connesse alla rete elettrica

- Elettrolizzatore da 144 kW,di capacità pari a 7.5 - 30 Nm3/h e rendimento pari al 73%. L’unità può essere acquisita completa di sistemi di sicurezza e controllo.

- Compressore da 200 bar, 20 Nm3/h, 6 kW.

- Sistema di stoccaggio composto da due set di 24 cilindri ciascuno da 50 litri. A 200bar ha una capacità di immagazzinamento pari a 480 Nm3, corrispondente a 24 ore di funzionamento del compressore.

- Stazione di rifornimento - 6 veicoli ad idrogeno

Relativamente al ben più grande progetto nel North Ayrshyre, Scozia, i principali dati sono riportati nella figura 1.20

Si osserva come i proponenti utilizzino l’idrogeno come sistema di stoccaggio dell’energia, e che l’energia elettrica generata attraverso i motori a gas sia destinata a coprire le punte della domanda elettrica, dove il valore dell’energia prodotta è superiore. Ovviamente tale schema ha senso economico solo in quanto l’energia rinnovabile è comunque valorizzata attraverso sistemi di incentivazione specifici (“New Electricity Trading Arrangement – NETA” e “Renewables Obligation”).

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E’ interessante osservare come nel Regno Unito siano state attivate delle nuove attività imprenditoriali, tra cui quella della Wind-Hydrogen Ltd, che fornisce i sistemi utilizzati nel progetto sopra indicato. Le specifiche del sistema denominato “Cataegis”, mirato – come detto - ad immagazzinare energia da restituire nelle ore di punta della domanda elettrica – sono le seguenti:

Tabella 1.15: Specifiche sistema Cataegis

1.3.f Altre tecnologie innovative

Radiolisi: consiste nella separazione di molecole dell'acqua tramite collisione con

particelle ad elevato contenuto energetico prodotte in un reattore nucleare. Si tratta di una ulteriore opzione tecnologica per la produzione di H2 che però si stima non possa

raggiungere una efficienza superiore all’1 % (la ragione di ciò risiede nel fatto che gli atomi di idrogeno ed ossigeno prodotti in questo modo tendono a ricombinarsi molto rapidamente). Non è dunque una tecnologia considerata di primaria importanza come prospettive future.

Le radiazioni ionizzanti possono causare la decomposizione radiolitica dell’acqua e la generazione di idrogeno, l’ammontare della quale è fortemente dipendente dal tipo di radiazioni stesse ( alfa, gamma ), dal rapporto di trasferimento lineare di energia ( LET , linear energy transfer ) e dalle condizioni di temperatura e pressione.

La produzione dell’idrogeno con questo sistema è un processo abbastanza complesso che coinvolge la decomposizione delle molecole di acqua, la decomposizione e ricomposizione di sottoprodotti, le reazioni chimiche dei prodotti di decomposizione del perossido di idrogeno e dell’idrogeno molecolare e la formazione di vari radicali come OH e HO2.

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(1.8)

Le radiazioni gamma possono essere ottenute dalle scorie radioattive delle centrali nucleari (Dennis e al., 2002 ).

Reforming del plasma: la tecnologia del reforming al plasma può essere usata per la

produzione di idrogeno, partendo dal metano e da altri combustibili liquidi. Tale sistema è caratterizzato dalle alte temperature ( 3000-10000 °C ) e può essere usato per accelerare la cinetica delle reazioni di reforming nei reattori convenzionali, in assenza di catalizzatori. Il plasma viene creato attraverso un arco elettrico, i reagenti ( metano con vapore oppure gasolio con acqua o aria ), vengono introdotti all’interno del reattore nel quale avvengono le reazioni che portano alla formazione di idrogeno ed altri prodotti.

Figura 1.21: Schema del reattore per il reforming al plasma ( Blomberg e altri, 1999 )

Il reattore è collocato successivamente al Plasmatron, l’apparecchio nel quale viene generato il plasma, ed al dispositivo di miscelamento dei reagenti; il reattore è riempito di catalizzatore a base di nichel, esattamente lo stesso utilizzato nello SMR, a valle del

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reattore vi è invece uno scambiatore di calore per raffreddare il gas prodotto in modo da ottimizzare la reazione di water-gas shift.

Esperimenti condotti al Massachusetts Institute of Technology, MIT, hanno evidenziato un efficienza di conversione dell’idrogeno superiore al 70%, con un consumo specifico di energia elettrica inferiore al 3% dell’ HHV del gas prodotto. L’ efficienza globale del processo si attesta intorno al 90%.

Rispetto alle altre tecnologie viste finora , il processo di reforming al plasma presenta i seguenti vantaggi :

- Economicità della produzione, anche per piccoli impianti - Alta efficienza di conversione

- Sensibile riduzione dei problemi dovuti alla disattivazione dei catalizzatori - Compattezza e leggerezza dell’impianto di reforming

- Breve tempo di risposta

- Assenza di particolato nel gas prodotto

Lo svantaggio principale di questo tipo di tecnologia è rappresentato dalla forte dipendenza dall’energia elettrica. ( Blomberg e altri, 1999 )

Ion Transport Membrane: Air Products, in collaborazione con l’USDOE ed altri membri

del Syngas Team ITM, fra cui Cerametec e Chevron, ha sviluppato la tecnologia di queste membrane ceramiche per la produzione di idrogeno e syngas.

Tali membrane, non porose, sono costituite da ossidi metallici multicomponenti, operanti a temperature superiori ai 700 °C, con alta selettività e permeabilità all’ossigeno.

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Figura 1.22 - Schema del sistema di funzionamento della tecnologia ITM

L’ossigeno può essere separato dall’aria ad un lato di tali membrane, a pressione ambiente, e reagisce sull’altro lato delle membrane con il metano ed il vapore ad alta pressione ( 7-35 bar ) per formare una miscela di H2 e CO, secondo le reazioni:

(1.9) CH4 + 1/2 O2 → CO + 2 H2

(1.10) CH4 + H2O → CO + 3 H2

L’ossigeno proveniente dalla corrente di aria ad alta temperatura viene ridotto in ioni e passa attraverso la membrana nella quale, reagendo con i catalizzatori, ossida parzialmente la miscela di gas naturale e vapore. Il rapporto H2/CO è dipendente dalla quantità di vapore

nella miscela iniziale.

Un problema è rappresentato dal fatto che il contatto diretto fra la membrana ceramica e il materiale catalizzatore non permette più il passaggio degli ioni di ossigeno attraverso la membrana stessa; inoltre è necessario rendere tale zona stabile dal punto di vista termico, disponendo un opportuno scambiatore di calore per prelevare l’energia termica prodotta nella reazione esotermica di ossidazione parziale. ( Dyer e al., 1999 )

In tabella viene rapppresentata la situazione riassuntiva con alcuni valori di produzione di idrogeno da fonti differenti:

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(1) Taglia impianto 1-25 Mm3n /d (SAPIO S.p.A.) (2) Taglia impianto 2.8-6.8 Mm3n /d (SAPIO S.p.A.) (3) Taglia impianto 2.8-6.7 Mm3n /d (SAPIO S.p.A.) (4) Taglia impianto 0.7-2.26 Mm3n /d (SAPIO S.p.A.) (5) Taglia impianto 1.34-2.8 Mm3n /d (SAPIO S.p.A.)

Figura 1.23 - Caratteristiche chimico fisiche dell’Idrogeno

1.4. Trasporto e stoccaggio

Uno dei motivi che hanno frenato la diffusione dell'idrogeno è la difficoltà di trasporto, sia per la bassa densità energetica, sia perché esplosivo, infiammabile ed estremamente volatile.

La liquefazione dell'idrogeno non è la soluzione più conveniente dal punto di vista energetico, anche se, utilizzata in simbiosi con altre tecnologie, potrebbe rivelarsi

Figura

Figura 1.1 – Consumo energetico procapite in Tep
Figura 1.3 – Rapporto di espansione
Figura 1.4 - Molecola di Idrogeno
Tabella 1.2: Caratteristiche principali d’Infiammabilità
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Riferimenti

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