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5.1 Ruolo della γ -glutamiltransferasi (GGT) nell’uptake cellulare dell’acido ascorbico 5. Discussione

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5. Discussione

5.1 Ruolo della γ-glutamiltransferasi (GGT) nell’uptake cellulare dell’acido ascorbico

Molti dati suggeriscono che il contenuto intracellulare di acido ascorbico (AA) contribuisca alla progressione delle cellule tumorali, incrementando la loro resistenza ai chemioterapici e alla radioterapia. Molte linee cellulari tumorali umane presentano un uptake di AA particolarmente rapido ed efficiente (Spielholz et al.,1997; Baader ,

et al., 1994; Agus et al.,1999). E’ stato dimostrato, ad esempio, che nel tumore del

seno vi é una concentrazione di vitamina C più alta che nel circostante tumore normale; nelle cellule Nb2, derivanti da un linfoma di ratto, la progressione tumorale sembra associata con un’aumentata capacità di mantenere l’ascorbato in forma ridotta; nelle cellule LY-as, derivanti da linfoma a cellule B di topo, lo sviluppo della chemioresistenza è associato alla sovraespressione di una proteina che presenta un’alta omologia (circa l’80%) con la DHAreduttasi di ratto (Kodym et al.,1999); nella linea cellulare MCF-7 resistente alla adriamicina, i livelli di AA sono significativamente più alti della rispettiva linea cellulare adriamicina sensibile (Wells et al.,1995).

L’acquisizione da parte delle cellule tumorali di ulteriori meccanismi in grado di incrementare l’uptake di vitamina C potrebbero fornire a tali cellule un ulteriore vantaggio selettivo ed incrementarne la malignità. In particolare é stata suggerita la presenza, nel compartimento extracellulare dei tumori, di attività in grado di ossidare

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l’AA a DHA, favorendo pertanto l’uptake della vitamina C da parte delle cellule tumorali sotto forma di trasporto facilitato del DHA (Spielholz et al.,1997; Baader et

al., 1994; Agus et al.,1999). Nessuna caratterizzazione molecolare di queste attività

AA-ossidasica é stata però fornita dagli autori.

In questo studio abbiamo valutato la possibilità che la GGT possa rendere ragione almeno in parte dell’attività AA-ossidasica espletata dalle cellule tumorali nell’ambiente extracellulare.

Un’alta attività di GGT è stata infatti osservata in numerosi tumori maligni umani ed è da tempo considerata come un marker precoce di progressione neoplastica in modelli di carcinogenesi sperimentale. Questo ultimo aspetto ha portato ad ipotizzare che la GGT possa fornire alle cellule tumorali degli importanti vantaggi sia in termini di sopravvivenza che di crescita.

Recentemente numerose evidenze sperimentali raccolte nel nostro ed in altri laboratori hanno messo in evidenza come la GGT espleti un’importante azione proossidante nell’ambiente extracellulare (vedi Introduzione, sezione 1.3.3). E' stato infatti osservato che cisteina e cisteinil-glicina, prodotti dell’attività dell’enzima, sono in grado di interagire con gli ioni dei metalli di transizione presenti in tracce nell'ambiente extracellulare, promovendone la riduzione e innescando, di conseguenza, un ciclo redox con l’ossigeno con produzione di anione superossido ed acqua ossigenata.

Alla luce delle suddette premesse, gli studi condotti nella presente Tesi hanno avuto lo scopo di valutare la possibilità che la GGT, grazie alla sua attività proossidante,

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presenti un’attività AA-ossidasica, consentendo pertanto l’uptake cellulare di vitamina C, sotto forma di DHA.

Esperimenti in vitro in sistemi acellulari contenenti l’enzima purificato hanno messo in evidenza che la stimolazione dell’attività della GGT é in grado di determinare un calo significativo dei livelli di vitamina C in soluzione (p<0,001) I dati raccolti mostrano che l’ossidazione della vitamina C promossa dall’attività della GGT è un processo che, pur necessitando di ferro cataliticamente attivo in soluzione (Figura 4.1 A), si distingue nettamente dal ben noto processo di ossidazione dell’AA in presenza di metalli di transizione (Halliwell and Gutteridge, 1999). L’effetto dipende dalla quantità di GGT presente nel sistema di incubazione (Figura 4.1B) e viene soppresso da agenti capaci di inibire l’attività enzimatica, come l’aggiunta nel mezzo di incubazione l’inibitore della GGT L-serina/acido borico che riporta l’ossidazione dell’AA ai livelli del controllo (Figura 4.2 A e 4.2 B).

Sulla base di ciò, sono stati condotti esperimenti allo scopo di chiarire il meccanismo tramite cui la GGT promuoverebbe l’ossidazione dell’AA. E’ stato osservato che la stimolazione dell’attività di GGT in presenza di tracce di metalli di transizione determina la formazione di specie reattive dell’ossigeno, radicale anione superossido ed acqua ossigenata, in particolare (Dominici et al., 2003).

Sulla base di queste considerazioni, è stato valutato l’effetto di sistemi antiossidanti sul processo di ossidazione dell’AA GGT-mediato. In accordo con quanto detto, l’aggiunta di superossido dismutasi e di catalasi nelle miscele di incubazione diminuisce significativamente (p < 0,001) l’ossidazione dell’AA, suggerendo pertanto il coinvolgimento delle ROS nell’ossidazione dell’AA mediata dalla GGT.

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L’assenza di un effetto protettivo da parte del mannitolo, uno scavenger dell’idrossil radicale, sembra escludere la partecipazione di questo ultimo all’ossidazione dell’AA (Tabella 4.1). Inoltre, a conferma del coinvolgimento dei prodotti di degradazione del GSH nel processo di redox cycling del ferro, la Cys-Gly mostra un’efficienza nell’ossidare l’AA in presenza di Fe3+ paragonabile a quella del sistema GSH/GGT (Figura 4.4).

Considerati i dati ottenuti in sistemi acellulari, il nostro interesse si è spostato verso sistemi cellulari al fine di verificare se l’attività di GGT, espressa sulla superficie cellulare, potesse promuovere l’ossidazione dell’AA extracellulare e consentirne l’uptake sotto forma di DHA.

Poiché alti livelli di GGT sono espressi in numerose neoplasie umane maligne, lo studio dei possibili effetti che un’elevata espressione della GGT possa determinare sulla crescita e sulla resistenza tumorale riveste un grande interesse (Pompella et al., 2006). A questo scopo, quindi, sono stati utilizzati come modello sperimentale due linee di cellule di melanoma umano, derivanti da una stessa metastasi sottocutanea, ma con diversa attività di GGT: il clone Me665/2/60 (“clone 60”) con un’attività di GGT attorno alle 26 mU/mg di proteina, ed il clone Me665/2/21 (“clone 21”) con un’attività attorno alle 0,2 mU/mg di proteina.

Gli esperimenti condotti mostrano che la stimolazione dell’attività di GGT nel clone 60 determina, insieme con un forte aumento dell’idrolisi del GSH (Figura 4.5A), una significativa ossidazione dell’AA extracellulare (p < 0,001) (Figura 4.5B).

L’analisi della concentrazione intracellulare di AA, effetuata dopo 120 minuti di incubazione, mostra livelli di vitamina C nettamente più alti nelle cellule in cui

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l’attività di GGT è stata stimolata rispetto ai controlli non stimolati (p < 0,001). Questo effetto viene completamente prevenuto in presenza dell’inibitore non competitivo della GGT acivicina (AT125) (Figura 4.5C).

In analogia con quanto osservato nei sistemi acellulari, l’ossidazione dell’AA extracellulare è dipendente dalla presenza di ferro nel mezzo di incubazione ed è inibita dalla deferossamina mesilato. In assenza di ferro, anche l’aumento dei livelli intracellulari di vitamina C viene prevenuto (Tabella 4.2).

Contrariamente a quanto osservato per il clone 60, la stimolazione dell’attività di GGT nel clone 21 non determina variazioni significative del GSH extracellulare (Figura 4.6A) ed è possibile osservare solo minime variazioni relativamente all’ossidazione dell’AA extracellulare (Figura 4.6B) ed ai livelli di vitamina C intracellulari (Figura 4.6C).

Tuttavia la transfezione del clone 21 con il cDNA della GGT umana conferisce a queste cellule l’abilità di idrolizzare il GSH e, parallelamente, di ossidare l’AA extracellulare e di aumentare i livelli intracellulari di vitamina C (Figura 4.7).

I risultati ottenuti hanno messo in evidenza che l’ossidazione dell’AA extracellulare determinata dall’attività di GGT è accompagnata da un aumento dei livelli intracellulari di vitamina C. La vitamina C viene trasportata all’interno delle cellule mediante due distinti meccanismi: uno, sodio-dipendente, coinvolto nel trasporto dell’AA tramite specifici trasportatori Na+-dipendenti (Welch et al., 1995; Tsukaguchi et al., 1999), e l’altro, dipendente dai GLUT (trasportatori del glucosio), coinvolto nel trasporto facilitato del deidroascorbato (DHA), prodotto dell’ossidazione divalente dell’AA.

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Questo secondo meccanismo, una diffusione facilitata mediata dai trasportatori del glucosio della famiglia GLUT, Na+-indipendente (Vera et al., 1993; Vera et al., 1995; Rumsey et al., 1997; Rumsey et al., 2000), è seguito dalla riduzione intracellulare del DHA ad AA da parte delle attività DHA-reduttasiche, enzimatiche e non, qui presenti. Questo meccanismo è più efficiente di quello mediato dai trasportatori dell’AA e permette l’accumulo di elevate concentrazioni di AA intracellulare (Wilson, 2002).

Esperimenti condotti in questo senso sul clone 60 hanno messo in evidenza che la captazione di vitamina C stimolata dall’azione proossidante della GGT non sembra essere mediata dai trasportatori dell’AA, visto che l’incubazione in tampone iposodico non determina variazioni sui livelli intracellulari di vitamina C (Tabella 4.3).

Al contrario, l’addizione alle incubazioni di glucosio (5 g/l), il vero substrato dei trasportatori GLUT, o di citocalasina B, un inibitore non competitivo dei GLUT, pur non inibendone l’ossidazione extracellulare, riducono significativamente (p < 0,05) (Figura 4.8C e 4.8D) o prevengono del tutto (Figura 4.8E e 4.8F) l’accumulo di vitamina C intracellulare mediato dalla GGT.

Inoltre, la richiesta di ferro redox attivo nel processo di ossidazione pone il problema di capire se metalli cataliticamente attivi siano disponibili anche in certe condizioni

in vivo, dove i metalli liberi sono presenti in concentrazioni molto basse e si trovano

principalmente sequestrati in vari complessi come quelli con ferritina, transferrina e ceruloplasmina (Halliwell and Gutteridge, 1999).A questo proposito, è stato osservato che la GGT è in grado di promuovere la riduzione ed il rilascio degli ioni

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ferro legati alla transferrina (Drozdz et al., 1998; Dominici et al., 2003a) e che l’azione proossidante della GGT è possibile anche in presenza di ceruloplasmina (Glass and Stark, 1997), ovvero due sorgenti fisiologiche di ioni di metalli di transizione. In accordo con questi dati, esperimenti condotti in sistemi acellulari mostrano che la GGT è in grado di promuovere l’ossidazione dell’AA anche in presenza di olo-transferrina o ferritina (Figura 4.3A e 4.3B). Le concentrazioni di transferrina usate sono al di sotto di quelle che si possono determinare nel siero. Al contrario, le concentrazioni usate per la ferritina (µM) sono molto più alte di quelle osservabili normalmante in vivo (nM), ma possono essere facilmente raggiunte nei siti di necrosi, un processo molto spesso associato ai tumori invasivi.

In conclusione, quindi, i dati qui riportati indicano che l’AA extracellulare può espletare la sua funzione antiossidante nei confronti delle specie reattive che si vengono a formare come conseguenza dell’attività proossidante della GGT. L’effetto che ne deriva è l’ossidazione dell’AA extracellulare, un processo questo che può promuovere la captazione dell’AA da parte delle cellule. Lo studio degli effetti dell’AA sulle cellule tumorali ha dato risultati molto eterogenei che vanno da possibili effetti benefici, mai chiaramente dimostrati, nella prevenzione del cancro e nel potenziamento di certi chemioterapici, a effetti protettivi della vitamina C sulle cellule tumorali nei confronti di certi farmaci e di agenti proossidanti (Naidu, 2003; Duarte and Lunec, 2005). I dati descritti sembrano indicare nella GGT un ulteriore parametro da tenere in considerazione nello studio del metabolismo dell’AA e suggeriscono, inoltre, che in condizioni specifiche, ad esempio dopo somministrazione esogena di vitamina C e substrati, l’attività GGT potrebbe fornire

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un valido bersaglio per la manipolazione dei livelli cellulari di acido ascorbico, con tutte le implicazioni farmacologiche che ciò comporterebbe.

5.2 Traslocazione nucleare della GSTO1 come marker di progressione nucleare nell’Esofago di Barrett

Gli adenocarcinomi rappresentano la più grave complicanza dell’esofago di Barrett (Falk, 2002; Cameron et al., 1995): i pazienti con tale malattia hanno un rischio 30-125 volte più elevato di sviluppare un carcinoma esofageo rispetto alla popolazione generale (Spechler et al., 1984; Cameron et al., 1985). L’insorgenza del carcinoma é in genere preceduta da varie forme di displasia nell’epitelio metaplasico (Pera et

al.,1993). Pertanto é il riconoscimento della displasia nei pazienti con Esofago di

Barrett di fondamentale importanza.

Poiché l’EB é l’unico noto precursore dell’adenocarcinoma dell’esofago (come già descritto nella sezione 1.5 dell’Introduzione), i pazienti con EB dovrebbero essere sottoposti ad una sistematica sorveglianza endoscopica ed istopatologica, al fine di individuare in tempo utile una eventuale progressione della lesione. Questo solleva il problema del rapporto costo-benefici del suddetto follow-up. La ricerca di biomarker indicativi per lo sviluppo dell’adenocarcinoma in pazienti con EB appare pertanto di grande importanza pratica, in quanto permetterebbe di individuare una popolazione più ristretta di pazienti ad alto rischio da seguire con un protocollo sistematico di follow-up.

In questo campo si colloca il dato di maggiore interesse del presente studio: la localizzazione intracellulare della GSTO1 risulta infatti costituire un marker di

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progressione tumorale, passando dalla localizzazione citoplasmatica nella semplice metaplasia alla localizzazione nucleare nelle varie forme di displasia. Infatti la localizzazione nucleare della GSTO1 è regolarmente presente in tutti i casi di displasia, sia lieve che grave, mentre si ritrova in soli 4 su 22 casi di Barrett senza displasia (Figura 4.10). Questo dato fa anche supporre che la traslocazione della GSTO1 svolga una funzione specifica nella progressione dell’Esofago di Barrett verso la neoplasia.

Come già ricordato nell’introduzione, nell’uomo la famiglia delle GSTO include due membri: GSTO1 e GSTO2. Mentre la GSTO2 è espressa in alti livelli solo nei testicoli e in pochi altri tessuti, il gene della GSTO1 è abbondantemente espresso nella maggior parte dei tessuti (Board et al., 2000).

Sebbene i dati di RT-PCR effettuata su una sola biopsia di esofago di Barrett mostrino la presenza di entrambi gli mRNA GSTO1 e GSTO2 (questo ultimo in minore quantità)(Figura 4.11), la modesta cross-reattività dell’anticorpo in nostro possesso (specifico per la GSTO1 ricombinate umana) con estratti di testicolo umano (dove la GSTO2 è espressa ad alti livelli) ci porta a concludere che la traslocazione nucleare della GSTO nell’epitelio displastico del Barrett sia dovuta alla GSTO1. Nel topo la GSTO agisce come una shock protein traslocando nel nucleo in seguito a stress termico, mentre nella linea leucemica murina LY-as la sovraspressione della GSTO è associata a un aumento della resistenza alle radiazioni ionizzanti (Kodym et

al., 1999), e nelle cellule SKOV3 di cancro ovarico umano incrementano la

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Nel corso di questo studio abbiamo osservato che lo shock termico (44°C per 120 minuti) causa sulle cellule HeLa una netta traslocazione nucleare della GSTO1 (Figura 4.12), comportamento condiviso da molte stress proteins di piccolo peso molecolare in condizioni di stress cellulare.

Pertanto queste evidenze supportano l’ipotesi che la traslocazione nucleare della GSTO1 nella displasia non invasiva del Barrett possa essere una risposta allo stress cellulare e in questo senso la traslocazione nucleare della GSTO1 nelle cellule preneoplastiche potrebbe avere un ruolo nella progressione del cancro esofageo come nella progressione di altre forme tumorali collegate con i polimorfismi della GSTO. E’ noto che la GSTO1 appare localizzata nel citosol, e negli studi di immunoistochimica su tessuti sani le GSTO mostrano una costante localizzazione citosolica, mentre il nucleo appare di solito privo di immunoreattività.

I meccanismi di risposta allo stress delle cellule epiteliali colonnari dell’intestino hanno probabilmente un ruolo importante nel determinare la capacità di queste cellule di sopravvivere in un ambiente ostile, permettendo loro di accumulare mutazioni successive che potrebbero condurre alla displasia non invasiva e successivamente al cancro (Morales et al.,2002). L’azione della GSTO1, tipica delle stress protein, potrebbe rappresentare pertanto un meccanismo specifico di difesa che agisce durante la progressione precoce del cancro per aumentare la resistenza cellulare agli agenti lesivi presenti nel tratto basso dell’esofago (pH, acidi biliari e altro). Il coinvolgimento della traslocazione della GSTO1 può andare però oltre il semplice adattamento all’ambiente displastico; infatti tra le diverse funzioni della GSTO1 studiate nel nostro laboratorio, alcune potrebbero direttamente influenzare i

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meccanismi del controllo della proliferazione e differenziazione cellulare. In particolare l’attività tioltransferasica della GSTO1 potrebbe essere coinvolta nel controllo dei fattori di trascrizione redox-regolati come Nf-kB o AP-1, funzione già dimostrata per altre tioltransferasi come la tioredoxina (Weichsel et al.,1996; Arner

et al., 2000).

In conclusione la traslocazione nucleare della GSTO1 nella neoplasia non invasiva del Barrett suggerisce che la GSTO1 umana possa avere un ruolo specifico nella progressione del cancro esofageo.

Sebbene siano necessari ulteriori studi per precisare il ruolo biologico della traslocazione nucleare di GSTO1 e il suo significato funzionale, la determinazione istochimica della localizzazione di GSTO1 nei campioni bioptici potrebbe fornire, insieme ad altri marker come P53 e Ki67, uno strumento diagnostico utile per aumentare la specificità e la sensibilità della diagnosi di displasia nella malattia di Barrett.

5.3 Meccanismi d’espressione delle GSTO in linee cellulari umane

Nonostante le Glutatione Transferasi Omega siano state identificate da alcuni anni, niente é attualmente noto circa i meccanismi che portano all’espressione di queste proteine. Pertanto lo scopo della presente tesi è stato quello di iniziare uno studio sui meccanismi responsabili dell’espressione delle GSTO in linee cellulari umane. In una prima linea di ricerca abbiamo verificato l’espressione delle GSTO potesse essere modulata tramite trattamento con TNF-α.

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E’ noto, infatti, che l’espressione di alcune GST é indotta da TNF-α tramite attivazione del fattore trascrizionale NFkB (Pinkus et al., 1996; Morceau et al., 2003). Inoltre nostri dati preliminari hanno mostrato un’aumentata espressione delle GSTO in linee cellulari in seguito a trattamenti tossici che comportano aumentato stress ossidativo, quali adriamicina e metil-mercurio. Un’aumentata produzione di specie attive dell’ossigeno può causare attivazione del fattore NFkB (Li and Karin, 1999) al pari del trattamento con TNF-α (Delhalle et al., 2004).

Dal punto di vista metodologico, gli effetti dei vari trattamenti sull’espressione delle due proteine sono stati valutati determinando sia la quantità delle proteine tramite Immunoblotting sia la quantità dei relativi mRNA tramite RT-PCR.

Per quanto riguarda le indagini condotte tramite Immunoblotting, l’attuale studio ha sofferto di una limitazione dovuta al tipo di anticorpo attualmente a nostra disposizione come ricordato nella Sezione 4.2.2. e in Figura 4.9A. Tale anticorpo, diretto contro la GSTO1 ricombinante, interagisce infatti, sia pur debolmente, anche con la GSTO2. Per risolvere questo problema sono in corso di preparazione anticorpi specifici per la GSTO1 e la GSTO2. A tal fine sono state scelte due sequenze amminoacidiche delle due proteine completamente diverse tra loro. Tali sequenze sono state coniugate con un carrier (KLH, Keyhole Limpet Hemocianin) e utilizzate per immunizzare due conigli.

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Per i motivi descritti, gli studi di Immunoblotting effettuati in questo lavoro non sono in grado di discriminare tra le due proteine GSTO1 e GSTO2. La differenziazione è stata effettuata tramite la determinazione dei relativi mRNA con la tecnica RT-PCR. Ovviamente questa tecnica non fornisce informazioni su eventuali regolazioni post-traduzionali, quali sintesi e turnover proteico, che potrebbero avere un ruolo nell’espressione finale della proteina.

Il trattamento con TNF-α è stato effettuato su una linea di melanoma umano Me665/2/21. Nei test preliminari abbiamo provato diverse dosi di TNF-α a diverse densità cellulari (Figura 4.13 e 4.14). Si è evidenziato, seminando le cellule alla densità minore (4,8x103cellule/cm2), che il TNF-α è in grado di aumentare significativamente l’espressione delle GSTO, valutata tramite Immunoblotting. L’effetto più significativo del trattamento è stato ottenuto con la dose di TNF-α di 10 ng/ml per 16 ore, con una densità di 4,8x103cellule/cm2, seminate 24 ore prima del

trattamento. Questo protocollo è stato utilizzato nei successivi esperimenti.

La Figura 4.17 mostra un tipico risultato ottenuto tramite Immunoblotting. E’ evidente il notevole aumento delle GSTO dopo trattamento con TNF-α .

I risultati di quattro esperimenti analoghi sono stati quantificati tramite lettura densitometrica della banda relativa alle GSTO corretta tramite rapporto con la banda dell’actina. I risultati, mostrati in Figura 4.18, mostrano un aumento quantitativo delle GSTO di circa quattro volte rispetto ai campioni controllo.

Poiché, come già detto, l’anticorpo non è in grado di distinguere tra le due forme, GSTO1 e GSTO2, sono state effettuate indagini tramite RT-PCR utilizzando primers

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specifici per le due forme di glutatione transferasi omega, come descritto in “Materiali e Metodi”.

La Figura 4.19, che riporta un tipico esperimento, mostra un chiaro aumento del mRNA relativo alla GSTO1, mentre quello della GSTO2 rimane invariato. L’analisi densitometrica (Figura 4.20) effettuata su due esperimenti analoghi, mostra un aumento di tre volte del mRNA della GSTO1 dopo trattamento con TNF-α.

Il TNF-α è un mediatore proinfiammatorio (Delhalle et al., 2004) che regola molti processi della risposta immune, del ciclo cellulare e dell’apoptosi attraverso vie di trasduzione del segnale il cui scopo è di trasferire il segnale del TNF-α al nucleo. Tra queste quella forse più rilevante è quella che opera tramite l’attivazione del fattore trascrizionale NFkB. Nelle nostre condizioni sperimentali il TNF-α induce la traslocazione nucleare di NFkB già dopo 15 minuti di trattamento (Figura 4.21). NFkB è un fattore di trascrizione nucleare che, in condizioni normali, è sequestrato nel citoplasma attraverso il legame con una famiglia di proteine inibitrici (IkB). L’azione di vari stimoli (citochine, lipopolisaccaridi, fattori di crescita, stress ossidativo ed altri) inducono l’attivazione di un complesso di chinasi (IKK) che fosforilano IkB. Tale fosforilazione provoca l’attacco dell’ubiquitina e la degradazione di IkB stesso. NFkB è quindi libero di entrare nel nucleo e attivare la trascrizione di geni target (Delhalle et al., 2004; Ravid and Hochstrasse, 2004; Hayden and Ghosh, 2004). Circa il 40% dei geni regolati dal TNF-α dipende da NFkB, di questi il 17% è regolato precocemente (1-4 ore) e il 23% è regolato tardivamente (fino a 48 ore) (Banno et al., 2005).

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Al fine di verificare se la sovraespressione delle GSTO, indotta dal TNF-α avviene tramite l’attivazione di NFkB, abbiamo verificato l’effetto del partenolide. noto inibitore dell’attivazione di NFkB (Delhalle et al., 2004; Banno et al., 2005; Hehner

et al., 1998; Hehner et al., 1999). Tale molecola blocca, con meccanismo ancora da

definire nei dettagli, il complesso delle chinasi di NFkB chiamate IKC (multisubunity IkB Kinasi Complex) inibendo con ciò la fosforilazione e quindi la successiva degradazione di alcuni inibitori di IkB, in particolare IkBα e IkBβ (Hehner et al., 1998; Hehner et al., 1999). Il pretrattamento delle cellule di melanoma clone 21 con il partenolide inibisce l’attivazione di NFkB operata dal TNF-α. (Figura 4.22). I dati ottenuti dai nostri esperimenti preliminari dimostrano che il pretrattamento con partenolide blocca la sovraespressione della GSTO1 da parte del TNF-α. (Figura 4.23). Questi risultati fanno pertanto supporre che la GSTO1 appartenga al set di geni regolati da NFkB. Tali dati dovranno essere comunque confermati tramite l’uso di altri inibitori (Aspirina, Glucocorticoidi) (Yin

et al.,1998; Auphan et al.,1995) e dell’inibizione specifica tramite gli oligonucleotidi

Decoy (Tomita et al.,2000 ).

In un secondo gruppo di esperimenti abbiamo studiato l’effetto della densità cellulare sull’espressione delle GSTO. Tale effetto è stato osservato inizialmente durante gli studi sull’effetto del TNF-α. Nel corso degli esperimenti preliminari abbiamo osservato infatti che all’aumentata densità cellulare corrispondeva un notevole incremento della quantità delle GSTO, valutata in base all' Immunoblotting. L’espressione densità-dipendente é un meccanismo già noto per molte proteine, quali ad es. la hsp27 (stress protein di piccolo peso molecolare che, come le GST, fanno

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parte di una medesima famiglia ancestrale (Koonin et al., 1994)), la fosfoenolpiruvatossichinasi, ecc. Sono stati trovati implicati, a seconda dei casi, vari meccanismi, quali l’instaurarsi delle connessioni tra cellule o tra cellule e substrato, il ciclo cellulare, l’ipossia pericellulare, la produzione di fattori diffusibili come ad es. NO, ed altri.

L’effetto della densità cellulare é stato valutato inizialmente sulla linea Me665/2/21, utilizzando due diversi approcci: i) seminando la stessa quantità di cellule (4,8x103 cellule/cm2) e prelevando campioni a tempi diversi (da 24 a 96 ore); ii) seminando

quantità diverse (4,8x103 cellule/cm2 e 38,4x103 cellule/cm2) e raccogliendo i campioni allo stesso tempo (24 ore). In entrambi i modelli è evidente la sovraespressione della GSTO all’aumentare della densità cellulare (Figura 4.24 e Figura 4.28).

Questo stesso risultato è stato successivamente confermato su altre due linee cellulari: le Me/665/2/60 e le HeLa (Figura 4.26 e Figura 4.29).

L’indagine RT-PCR è stata effettuata sul clone 21 con lo scopo di verificare se l’aumento della banda immunoreattiva osservato nei precedenti esperimenti potesse corrispondere all’incremento del mRNA di una o di entrambe le forme. I risultati mostrano un chiaro aumento del mRNA sia della GSTO1 che della GSTO2 in entrambi gli approcci sperimentali, cioè aumento della densità nel tempo e semina a diverse densità (Figura 4.27 e Figura 4.30).

Anche in questo caso, come precedentemente detto, dobbiamo evidenziare che l’indagine tramite RT-PCR non può prendere in considerazione eventuali effetti

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dovuti alla regolazione post-traduzionale e al turnover delle proteine. Questi esperimenti verranno ripetuti utilizzando, quando saranno disponibili, gli anticorpi specifici per la GSTO1 e per la GSTO2.

Lo studio dell’effetto modulante della densità cellulare sull’espressione delle GSTO apre molti quesiti, giacché, come già detto, possono essere vari i meccanismi coinvolti: l’instaurarsi delle comunicazioni intercellulari e delle connessioni cellula-substrato, modifiche del ciclo cellulare, l’ipossia pericellulare, fattori diffusibili, ed altri.

Lo studio è quindi stato approfondito, vagliando tutte queste possibilità attraverso analisi di Immunoblotting.

Per valutare il ruolo di eventuali comunicazioni intercellulari e l’adesione al substrato sono stati ripetuti gli stessi esperimenti utilizzando linee cellulari la cui modalità di crescita è in sospensione anziché adesa al substrato, come le U937, le Jurkat e le Kg1A. La sovraespressione delle GSTO in Immunoblotting, persiste anche in tali linee sia all’aumentare dei giorni di coltura che all’aumentare della densità di semina (Figura 4.31 e Figura 4.32). Questo dato ci indica che la sovraespressione delle GSTO è indipendente dall’adesione al substrato e dalle connessioni cellula-cellula.

E’ stata quindi valutata l’ipotesi di una relazione tra l’aumento dell’espressione delle GSTO e il ciclo cellulare, supponendo che l’aumentata densità cellulare provochi un incremento delle cellule in G0/G1. Utilizzando l’analisi al FACS con Ioduro di Propidio, si é però verificato che, nelle nostre condizioni sperimentali, non si

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avevano variazioni significative della distribuzione cellulare nelle varie fasi del ciclo (Tabella 4.33).

Successivamente è stato valutato il ruolo della ipossia pericellulare. In letteratura il fenomeno dell’ipossia pericellulare nelle colture cellulari è descritto come quell’ipossia locale che si viene a creare tra cellule adiacenti all’aumentare della densità cellulare in condizioni di normossia ( Tokuda et al.,2000).

Per mimare l’ipossia abbiamo utilizzato il cobalto cloruro (CoCl2), una sostanza che,

competendo con il Fe2+ per il legame al sensore di O

2, riproduce uno stato simile a

quello dell’ipossia cronica pur in presenza di livelli normali di O2 (Huang et

al.,2004). E’ noto che l’ipossia é in grado di regolare l’espressione di molti geni,

quali quello dell’eritropoietina (EPO) (Jiang et al., 1996), del fattore di crescita endoteliale (VEGF), dell’NO-sintasi inducibile (iNOS) (Jung et al., 2000). Gli elementi di risposta all’ipossia (HRE) di questi geni hanno in comune uno o più siti di legame al fattore1 inducibile dall’ipossia (HIF-1). L’HIF-1 è un fattore nucleare eterodimerico (HIF-1α e HIF-1ß) indotto dall’ipossia (Semenza and Wang, 1992). Il risultato di questi esperimenti non ha mostrano fenomeni d’induzione a carico delle GSTO come si può veder in Figura 4.34.

L’ipotesi è stata ulteriormente valutata mantenendo cellule a alta densità in agitazione per 24 ore: questo trattamento, che impedisce il formarsi di un’ipossia pericellulare, non evita la sovraespressione delle GSTO densità-dipendente (Figura 4.35).

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Abbiamo successivamente preso in esame la possibilità che l’induzione potesse essere dovuta ad un fattore diffusibile (Sheta et al., 2001). Per questo motivo sono stati allestiti esperimenti con l’uso di piastre da co-colture in cui sono state seminate le stesse cellule ma a due densità diverse (alta e bassa) in due distinti settori separati da una membrana millipore. Lo scopo era quello di valutare se le cellule ad alta densità producessero un fattore diffusibile, in grado di indurre l’espressione delle GSTO nelle cellule a bassa densità. Il risultato negativo dell’esperimento depone a sfavore della presenza di un fattore diffusibile (Figura 4.36). Non si può escludere tuttavia che il fenomeno sia dovuto a un fattore molto labile che possa agire solo se le cellule sono a stretto contatto.

Molecole reattive, ma particolarmente labili sono, notoriamente, le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Le ROS possono in effetti essere prodotte dalle cellule nello spazio extracellulare tramite attività enzimatiche, quali la NADPH ossidasi e la GGT. In esperimenti preliminari abbiamo osservato che il trattamento di cellule (clone 21) ad alta densità con la superossido-dismutasi (SOD), causa un calo drastico dell’espressione delle GSTO densità-dipendente (Figura 4.37). Tali dati dovranno essere confermati con l’uso di altri sistemi antiossidanti, anche al fine di individuare possibilmente le specie molecolari maggiormente coinvolte.

Il risultato ottenuto con la SOD suggerisce comunque che le ROS coinvolte nella modulazione dell’espressione delle GSTO sono prodotte nell’ambiente extracellulare. Questo risultato apre pertanto il quesito della possibile fonte di queste ROS. Un possibile candidato é la NADPH ossidasi. Questo complesso enzimatico, notoriamente espresso in gran quantità nei neutrofili e nei macrofagi, viene

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attualmente trovato presente in piccole quantità sulla plasma membrana di molti tipi cellulari (Takeyda et al., 2003). Un ruolo della NADPH ossidasi potrebbe essere indagato sia con l’uso di inibitori specifici come il diphenylene iodonium (DPI) che con oligonucleotidi senso e antisenso (Jan et al., 1996).

Un’altra attività enzimatica in grado di produrre ROS nello spazio extracellulare é, come detto nella sezione 1.3.3 dell’Introduzione, la GGT, enzima presente sulla plasmamembrana di molte cellule tumorali. Un eventuale ruolo di questo enzima potrà essere indagato con metodiche analoghe, cioè tramite l’uso sia di inibitori specifici che di oligonucleotidi senso e antisenso.

Un altro importante quesito riguarda i meccanismi tramite cui la ROS possono modulare l’espressione delle GSTO. E’ possibile infatti che le ROS possano agire modulando tramite fenomeni redox le proteine recettoriali della plasma membrana. D’altra parte alcune di queste (ad es. il perossido d’idrogeno) possono diffondere all’interno della cellula, causando modulazioni redox intracellulari.

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