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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE AL MODELLO “FIVE CONTEXT FRAMEWORK”

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE AL MODELLO

“FIVE CONTEXT FRAMEWORK”

1.1 I CARATTERI DELLE STRATEGIE DI

INTERNAZIONALIZZAZIONE

Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento costante degli scambi di beni, di servizi e di capitali tra i vari Paesi. Questi sono quasi sempre cresciuti ad un tasso superiore a quello di espansione del PIL. Se si assume la prospettiva economica generale, l’aumento degli scambi di beni fra Paesi diversi, quando avviene ad un tasso superiore a quello della crescita complessiva dell’economia (ovvero del PIL), significa, secondo il Dematté, che sempre di più “ciò che si produce in un luogo si consuma in un altro”; oppure “che le materie prime che si originano in un Paese vengono trasferite, per la loro successiva lavorazione, in un altro Paese”, oppure “ancora che componenti prodotte in un luogo vengano assemblate in un altro. Lo stesso vale per i servizi”1.

Stiamo assistendo quindi ad una riposizonamento spaziale delle filiere o delle catene del valore della stragrande maggioranza delle imprese2.

1

Si veda a riguardo: Strategie di internazionalizzazione a cura di Claudio Dematté e Fabrizio Perretti, Milano, EGEA 2003

2

Riguardo questo fenomeno quasi vent’anni fa l’allora Amministratore delegato di Fiat S.p.A. Cesare Romiti affermava che: “La competizione globale è lo scenario di fondo con cui tutte le imprese, in misura più o meno diretta, dovranno confrontarsi nel prossimo futuro.” Cesare Romiti, Presentazione

(2)

Prima di parlare dell’internazionalizzazione bisogna considerare che le aziende che affrontano la competizione globale sono sottoposte all’azione di una molteplicità di forze. Queste sono state così classificate dal Porter:

• Crescente similarità dei Paesi3

;

• Globalizzazione del mercato dei capitali; • Riduzione delle barriere tariffarie;

• Ristrutturazione tecnologica; • Ruolo integratore della tecnologia; • Nuovi concorrenti globali4

.

Per le aziende questi fenomeni possono essere fonte sia di vantaggi che di svantaggi; per questo motivo vengono analizzati da diversi studiosi di management allo scopo di comprendere quali strategie devono applicare le aziende per massimizzare i vantaggi e minimizzare gli svantaggi.

In questo contesto impostare una strategia di internazionalizzazione significa, in prima approssimazione, individuare il posizionamento spaziale che consente all’impresa di ottimizzare i suoi risultati. In termini più espliciti consiste nella definizione e nella scelta dei mercati geografici di approvvigionamento, dei luoghi nei quali investire in ricerca e sviluppo, dei punti nei quali dislocare la produzione, dei Paesi nei quali vendere i propri prodotti, nelle piazze finanziare dalle quali attingere il capitale di rischio e quello di credito. Queste scelte non sono disgiunte l’una dall’altra: proprio in questo discende la specificità strategica.

3

“I modelli di consumo e gli stili di vita tendono ad uniformarsi: i medesimi prodotti si trovano in parti diverse del globo, i percorsi formativi del management aziendale hanno sempre più una matrice culturale comune. In buona sostanza nei diversi continenti è possibile riscontrare le medesime modalità di

organizzazione della produzione e del lavoro”. Nicola Lattanzi Potenzialità economiche e dinamiche

reddituali. Relazioni e fattori di impulso, Milano, Giuffrè editore 2003

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Come è stato recentemente sottolineato da alcuni studiosi, le strategie di internazionalizzazione hanno una ragione d’essere, come categoria specifica della strategia aziendale, soltanto in un mondo in cui le nazioni non sono né totalmente isolata né totalmente integrate tra di loro5. Ghemawat al riguardo parla di mondo “semi-globalizzato” 6.

I processi di internazionalizzazione hanno natura strategica in quanto alterano, modificandola, la struttura di fondo dell’impresa.

Se si assume che l’assetto strategico di un impresa sia caratterizzato dalla posizione della stessa sopra i seguenti assi:

1. geografico;

2. del prodotto offerto;

3. dei segmenti di mercato serviti; 4. delle tecnologie impiegate;

allora si può dire che l’internazionalizzazione può essere intesa come il movimento lungo uno dei quatto assi fondamentali – quello geografico ovviamente – che caratterizzano l’assetto strategico dell’impresa. L’internazionalizzazione, però, non si esaurisce quasi mai in un semplice movimento lungo l’asse geografico, ma comporta spesso una revisione dell’intero assetto strategico d’impresa.

L’internazionalizzazione ha luogo quindi nel momento nel quale un’impresa amplia le sue politiche di approvvigionamento, di vendita o di trasformazione, di progettazione al di là dei confini dello Stato nel quale ha la sua sede. Il superare i confini nazionali fa sorgere ovviamente dei problemi quali ad esempio l’ostacolo dei confini e delle dogane, i confini valutari, la discontinuità normativa e giurisdizionale, le barriere linguistiche e la discontinuità nel contesto. Per questo motivo una delle prime valutazioni da fare quando si

5

Claudio Dematté e Fabrizio Perretti (a cura di) Strategie di internazionalizzazione, Milano, EGEA 2003

6

Ghemawat P. 2003. Semiglobalization and International Business Strategy. Journal of International Business Studies 34 (2) pagg. 138-152

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pianifica l’internazionalizzazione, dovrebbe essere quella di accertare se l’ingresso in nuovi Paesi comporti mutamenti radicali nel modo di far business dell’azienda, oppure si tratti solamente di una mera estensione territoriale dell’attività aziendale.

È da sottolineare quindi come l’internazionalizzazione non riguardi esclusivamente i mercati di sbocco ma si ha internazionalizzazione anche quando un’impresa accede a Paesi diversi nell’approvvigionamento, nella ricerca e sviluppo, nella produzione, e così via; oppure in tutte queste attività simultaneamente.

Ogni strategia di internazionalizzazione deve essere fondata su una attenta analisi. È evidente in fatti che l’ingresso in nuovi contesti porti con se la necessità di conoscere accuratamente le caratteristiche di una realtà diversa da quella in cui l’azienda è abituata ad operare.

Nonostante l’abbondare di libri e di articoli che spiegano dove e cosa si dovrebbe produrre, verso quale Paese esportare, in quale mercato ed in quale valuta finanziarsi, capita spesso che i modelli proposti in questi saggi siano molto “stilizzati”, nel senso che accentrano l’attenzione su variabili essenziali semplificando eccessivamente il problema cui si rivolgono. Alcuni di questi strumenti concettuali però, nonostante le semplificazioni sulle quali si basano, sono di aiuto alle aziende per affrontare le scelte di internazionalizzazione7.

Spesso, però, si rilevano – specialmente per quello che riguarda le piccole imprese – modalità di internazionalizzazione simili ad un “learning by doing”, piuttosto che incentrate su forme programmate di tipo razionale e sistematico. Questo modello operativo non influenza solamente il modo nel quale viene

7

“Strumenti di analisi che cerchino di individuare le opportunità e i rischi di questa prospettiva

(l’internazionalizzazione) diventano sempre più indispensabili nel patrimonio culturale del management.” Cesare Romiti, Presentazione all’edizione italiana di Michael E. Porter Competizione Globale, Torino, Petrini editore 1987

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affrontato il processo decisionale, ma anche le modalità attraverso le quali viene poi realizzato l’accesso ai mercati esteri, una volta presa la decisione di estendere ad essi gli approvvigionamenti, la produzione, la vendita o tutte queste funzioni.

Per le piccole imprese infatti il processo di internazionalizzazione “si innesca quasi sempre su esili e poco razionali puntelli iniziali e si sviluppa attraverso un meccanismo di apprendimento omeostatico, certamente guidato anche dal raziocinio, ma in itinere piuttosto che a priori”8. Viene messo quindi in moto un processo di apprendimento che permette di abbandonare o rafforzare le ipotesi iniziali.

Nell’ipotesi sopra descritta a spingere l’azienda verso i mercati stranieri possono essere, secondo le circostanze, fattori diversi: un’informazione, talvolta occasionale, che segnala la presenza in certi mercati un minor costo dei fattori o di maggiori prezzi dei prodotti, la consapevolezza che i costi potrebbero diminuire se la produzione (e per conseguenza la vendita) fosse fatta su più larga scala, le pressioni causate dalla saturazione del mercato interno. Talvolta il processo viene innescato su basi occasionali, altre volte prende il via da qualche azione – come la partecipazione ad una fiera – che espone l’impresa all’attenzione di potenziali fornitori o clienti esteri, senza però una scelta preliminare né del campo geografico a cui si vuole accedere né del tipo di clienti o fornitori che si vogliono attrarre; altre volte invece l’impresa mette in moto azioni mirate verso specifici Paesi – con viaggi o partecipazioni a fiere in loco – ma senza averli scelti preventivamente attraverso un’attenta analisi.

Questi primi contatti – occasionali o deliberati – producono risultati a volte positivi, a volte negativi, ma generano sempre una massa di informazioni aggiuntive che, se opportunamente raccolte e gestite, agiscono come meccanismo di orientamento per i passi successivi.

8

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Nessuna o quasi nessuna delle imprese minori imposta quindi il processo di internazionalizzazione facendolo precedere da un’analisi preliminare, che consenta di muovere i primi passi su basi più ragionate e più sistematiche. Secondo il giudizio fatto dal Dematté sul comportamento delle aziende che hanno attuato di strategie di internazionalizzazione di successo, però, si può notare come queste abbiano lasciato spazi per immettere nei processi di internazionalizzazione “elementi di maggiore razionalità”, non dimenticandosi però che tali processi sono necessariamente caratterizzati da “dinamiche omeostatiche che nessun meccanismo razionale può anticipare perché basate su informazioni che si precisano man mano che l’internazionalizzazione si sviluppa”9.

Bisogna quindi interrogarsi sui modi attraverso i quali è possibile acquisire al minor costo possibile le informazioni, occorre riflettere sulle strutture e sui processi organizzativi che facilitano l’apprendimento in tempo reale, mentre si sperimentano operazioni di internazionalizzazione. È necessario infine chiedersi quali attitudini personali consentano un ascolto rapido ed approfondito dei segnali deboli e quali favoriscano l’elaborazione di azioni che permettono di sondare la struttura dei problemi, non solo a priori, ma anche e sopratutto nel mentre si svolge l’azione.

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1.2 LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL

MODELLO “FIVE CONTEST FRAMEWORK”

Nel Giugno 2005 Harvard Business Review ha pubblicato un articolo nel quale viene proposto un modello di analisi che, nella prospettiva manageriale, approfondisce le modalità di mappatura del contesto internazionale.

Gli autori dell’articolo sono Tarun Khanna e Krishna G. Palepu, professori dell’Harvard Business School, e Jayant Sinha, partner di McKinsey & Company della sede di Nuova Delhi. Questi autori, grazie all’esperienza maturata nella consulenza aziendale e nella ricerca sui temi della internazionalizzazione, propongono uno strumento concettualmente semplice, il Five Context Framework, che traccia una mappa del contesto in cui l’azienda si trova ad operare. Si tratta di uno schema orientato ad evidenziare e classificare le variabili analitiche rilevanti per la scelta della modalità e del tipo di internazionalizzazione.

Lo scopo del Five Contest Framework è quello di aiutare i top manager a comprendere le differenze tra i mercati interni e quelli esteri. Quando i vertici di un’azienda decidono di entrare in un mercato straniero hanno bisogno di conoscere come, nel Paese Obiettivo, i prodotti, il mercato del lavoro e il mercato dei capitali funzionino. Queste dimensioni sono analizzate dal modello così come l’ambiente sociale e politico e il grado di apertura dello Stato verso il resto del mondo.

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IL MODELLO

FIVE CONTEST FRAMEWORK

MERCATO DEI PRODOTTI MERCATO DEI CAPITALI MERCATO DEL LAVORO SISTEMA SOCIO/POLITICO GRADO DI APERTURA DEL PAESE Figura 1

Gli autori dell’articolo hanno redatto inoltre una serie di domande allo scopo di identificare i centri di potere di un Paese, così come la burocrazia e l’importanza dei media. Tale elenco di domande costituisce un ausilio nell’analisi delle variabili rappresentate nel modello. Offrono inoltre un supporto nel determinare il livello di decentralizzazione del sistema politico e nel capire in che misura il governo del Paese è assoggettato a forze esterne, il grado di indipendenza della burocrazia e così via.

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La prospettiva di analisi è quello del management di una grande azienda multinazionale che stia valutando l’ingresso in un Paese estero. Il modello è però applicabile, pur con alcuni adattamenti anche alle medie aziende.

Si può notare al riguardo che non sempre le strategie di internazionalizzazione sono supportate da una adeguata analisi preventiva. Ad esempio diverse multinazionali non considerano adeguatamente, nelle scelte di internazionalizzazione, il livello di apertura o l’atmosfera socio-politica, oppure non analizzano a fondo i mercati dei prodotti, del lavoro e dei capitali; solo poche pongono un’attenzione sistemica a tutti questi fattori.

Diversi CEO in effetti hanno chiesto agli autori di questo articolo il perché abbiano enfatizzato il ruolo delle istituzioni ed ignorato le aziende produttive, affermando che la struttura industriale, così come il livello di competizione, può essere influenzato dalle strategie delle aziende.

In risposta uno degli autori di questo articoli, Jan Rivkin, facendo riferimento ad un articolo da lui scritto in precedenza nel quale classificava le aziende in base al livello diper redditività, ha che l’attrattività di un settore varia molto da Paese a Paese. Così sebbene fattori come le economie di scala, le barriere all’entrata, l’abilità nel differenziare i prodotti abbiano indiscutibilmente un ruolo importante, il peso di questi fattori varia molto da luogo a luogo. Un settore attrattivo nel mercato domestico può risultare non attrattivo in un altro Paese. Le aziende devono quindi analizzare la struttura industriale – un esercizio da sempre usato – solo dopo aver capito il contesto istituzionale del Paese.

Come già affermato in precedenza il modello Five Context Framework può essere utilizzato per mappare il contesto istituzionale sia di Paesi sviluppati che di Paesi in via di sviluppo, in questo lavoro però verrà

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utilizzato per studiare questi ultimi, per testimoniare, se ce ne fosse bisogno, che la globalizzazione non ha solo un “lato oscuro” ma anche una ”anima bianca”.

1.3 LE CINQUE DIRETTRICI DI ANALISI DEL

MODELLO

1.3.1 Il sistema socio-politico

L’azienda, come affermato da diversi studiosi è un sistema aperto10 e come tale è influenzato ed influenza il sistema socio- politico nel quale vive. Questo può essere definito, in prima approssimazione, come l’insieme delle norme, siano esse di legge od etiche, che regolamentano una società e dei rapporti intercorrenti tra i membri della società stessa11.

Ogni sistema politico influenza i mercati dei prodotti, del lavoro e dei capitali, ad esempio in Cina l’assenza di sindacati indipendenti influenza sia livello dei salari che le condizioni di lavoro dei salariati.

L’ambiente sociale di un Paese ha altrettante influenze. In Sud Africa, ad esempio, il sostegno fornito dal governo alla comunità dei nativi africani sottoforma di trasferimento di beni, una cosa socialmente lodevole, ha dimostrato avere ripercussioni sullo sviluppo del mercato dei capitali. Solitamente in questi trasferimenti il prezzo dei beni viene deciso dal governo in modo arbitrario e

10

“Il carattere sistematico dell’azienda dipende dalla stessa natura delle operazioni di gestione che risultano intimamente legate tra loro da un rapporto del tipo “da causa ad effetto”..” U. Bertini Il Sistema

d’Azienda, schema di analisi, Torino Giappichelli 1990

11

“…i fenomeni politici tendono a possedere una coerenza e ad essere legati l’uno all’altro. In altre parole, questi fenomeni costituiscono un sistema che è parte del sistema sociale totale e che pure, ai fini di analisi e ricerca, è temporaneamente isolato.” D. Easton Il Sistema Politico, Edizioni di Comunità, Milano 1963

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questo rende difficile stimare i fatturati futuri delle aziende sudafricane e quindi il loro valore.

Anche le relazioni tra gruppi etnici, regionali, linguistici devono interessare gli investitori stranieri, soprattutto nei mercati emergenti. Ad esempio le aziende straniere che vogliono lavorare in Malesia lo possono fare solo tramite joint ventures con partner appartenenti alla comunità malese od alla comunità cinese, in quanto quest’ultima domina ancora sul piano economico quella malese. Inoltre la joint ventures non deve essere in contrasto con la politica governativa di lungo termine che prevede il trasferimento di asset dalla Cina alla Malesia. Questa politica, sorta nel 1969 a seguito del conflitto di razza tra la comunità cinese, costituita per la maggioranza da possessori terrieri, e la comunità malese, formata invece per lo più da nullatenenti, resta tutt’ora in vita sebbene negli ultimi anni sia mutato il contesto sociale.

Tarun Khanna e Krishna G. Palepu e Jayant Sinha suggeriscono al management di meditare, nell’analisi del sistema sociopolitico, su una serie di fattori. Al riguardo propongono di meditare sul seguente insieme di domande:

1. A chi i politici del Paese devono rendere conto? Ci sono forze politiche che si oppongono al partito dominante? Le elezioni vengono fatte regolarmente?

2. È chiaramente definita la separazione tra i poteri legislativo, esecutivo e giuridico? Qual è la distribuzione del potere tra lo stato centrale e le autorità locali?

3. Il governo può andare contro le regole del mercato ed interferire nelle competizioni tra aziende?

4. La legge riconosce e protegge la proprietà privata?

5. Qual è la qualità dei burocrati del Paese? Quali sono i loro stimoli e i loro percorsi di carriera?

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6. Il sistema giudiziario è indipendente? Le corti giudicano le controversie e fanno rispettare i contratti velocemente e imparzialmente? Quanto sono efficaci le autorità che creano e impongono regole per le attività commerciali?

7. I gruppi religiosi, linguistici, regionali ed etnici coesistono pacificamente o esistono tensioni tra essi?

8. Sono indipendenti e vitali i media? I quotidiani e i settimanali sono neutrali o rappresentano interessi settari?

9. Nel Paese sono attivi organizzazioni non governative, gruppi di attivisti civili e gruppi ambientali?

10. Le persone tollerano la corruzione negli affari e nel governo? 11. Qual è il ruolo dei legami familiari negli affari?

12. I contratti stipulati dagli stranieri nel Paese sono fatti rispettare?

Questo, così come gli elenchi presenti nei paragrafi successivi, non sono ovviamente esaustivi ed hanno, secondo il pensiero degli autori, il solo scopo di favorire la discussione, all’interno dell’azienda, sui fattori che possono determinare l’intensità dell’influenza degli elementi del modello sull’azienda.

1.3.2 Il grado di apertura del Paese

Il grado di apertura di un Paese rappresenta la vera novità introdotta dal

modello Five Context Framework nello studio sulle strategie di

internazionalizzazione. Questo dipende da come sia i cittadini che le istituzioni considerino gli investimenti fatti da aziende straniere sul territorio nazionale e dal grado di libertà che viene garantita, sempre sul suolo nazionale, all’iniziativa economica di un’azienda straniera.

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Storicamente gli Stati erano a favore di un minor grado di apertura delle proprie economie, allo scopo ovviamente di agevolare, all’interno dei propri confini, le aziende risiedenti nei propri territori. Attualmente, alla luce dei trattati internazionali e dei vari mercati comuni costituiti sia in Europa che nel resto del mondo sembra si è andati verso una generale apertura delle economie nazionali, anche se ultimamente, a seguito dell’invasione avvenuta nei mercati occidentali da parte dei prodotti cinesi, diversi Paesi hanno reintrodotto misure a tutela delle produzioni nazionali.

Per contro, i vertici aziendali sono da sempre a favore di una maggiore apertura delle economie nazionali, consapevoli del fatto che alle loro aziende sia preferibile lavorare in un Paese che vede come benvenuti gli investimenti delle multinazionali straniere. È possibile per le aziende comunque, attraverso joint venture o tramite la concessione di licenze a partner locali, lavorare anche in Paesi con economie non “ufficialmente” aperte agli investimenti stranieri ma con ovviamente un effetto molto minore.

Nel valutare il grado di apertura di un Paese bisogna considerare che le dichiarazioni riguardanti l’apertura economica di uno Stato possono non corrispondere alla realtà. Ad esempio si potrebbe credere che la Cina abbia un’economia relativamente aperta perché il governo accoglie benevolmente gli investimenti stranieri e che l’India abbia un’economia relativamente chiusa a causa del tiepido accoglimento delle multinazionali da parte del governo indiano. In verità l’India accetta senza particolari problemi idee provenienti dall’occidente ed i cittadini indiani sono liberi di lavorare dentro e fuori il Paese. Per contro il governo cinese non ha permesso, per decenni, ai suoi cittadini di lavorare all’estero ed inoltre, ancor oggi, a molte idee non viene permesso di varcare i suoi confini.

Quindi mentre può essere vero che le aziende possono investire in Cina più facilmente che in India i manager indiani sono più orientati al mercato ed alla globalità rispetto ai manager cinesi.

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Una maggior apertura di un Paese ha ripercussioni anche nel mercato dei capitali. Infatti se agli intermediari internazionali viene permesso di operare nel Paese questo semplifica il funzionamento del mercato stesso rendendolo più efficiente e fornendo alle aziende la possibilità di utilizzare sia servizi globali che quelli locali.

Se il mercato dei capitali di un Paese è aperto agli investitori stranieri, gli intermediari finanziari locali devono diventare più sofisticati. Questo è avvenuto in India per esempio, dove il mercato dei capitali è più aperto che in Cina. Similmente nel mercato dei prodotti se le multinazionali possono investire nel commercio al dettagli, i servizi logistici cresceranno rapidamente. In Cina addirittura i servizi logistici sono stati predisposti, dal governo, molto prima dell’ingresso di dettaglianti stranieri, allo scopo di favorirne l’arrivo; al contrario in India, dove le infrastrutture sono molto più arretrate, solo recentemente è stato permesso ad aziende straniere di investire nel retail.

Bisogna considerare che il grado di apertura dell’economia nazionale può essere per l’azienda fonte sia di vantaggi che di rischi: infatti se alle aziende locali viene permesso di accedere al mercato globale dei capitali, viene neutralizzato uno dei vantaggi chiave delle aziende straniere.

Per capire a fondo il livello di apertura di uno Stato è utile rispondere alle seguenti domande:

1. Il governo del Paese, i media e le persone sono ricettive riguardo gli investimenti stranieri? I cittadini hanno fiducia delle aziende e delle persone di altre parti del mondo così come dei connazionali?

2. Che restrizioni mette il governo sugli investimenti stranieri? Sono restrizioni poste per facilitare la crescita delle aziende domestiche, per

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proteggere monopoli di stato o perché la popolazione è sospettosa con le multinazionali?

3. Le aziende possono fare investimenti e acquisire compagnie locali facilmente o devono aprirsi un varco attraverso joint venture? Le aziende sono libere di scegliere partner basandosi solamente su considerazioni economiche?

4. Il Paese permette la presenza di intermediari stranieri quali aziende che svolgono ricerche di mercato, compagnie pubblicitarie, media stranieri, banche e assicurazioni stranieri, aziende di venture capital, di auditing, di consulenza manageriale e di formazione?

5. Quanto tempo è necessario per iniziare una nuova attività imprenditoriale nel Paese? Quanto sono gravose le procedure governative per permettere il lancio di aziende totalmente straniere?

6. Ci sono restrizioni ai portafogli di investimenti delle aziende straniere o ai dividendi distribuiti dalle multinazionali?

7. Il mercato guida il tasso di cambio o questo è controllato dal governo centrale? Se è il secondo caso il governo tende a mantenerlo stabile o prova a favorire i prodotti domestici a scapito di quelli importati sostenendo la moneta locale?

8. Quale vuole essere l’impatto dei dazi sui beni e sulle materie prime importate? Questi come colpiscono le aziende che producono localmente i loro prodotti rispetto a quelle che li importano?

9. Un’azienda può impiantare i propri stabilimenti ovunque nel Paese? Se il governo pone dei vincoli restrittivi sulle scelte di localizzazione delle aziende, lo fa per motivi politici o è ispirata da logiche di sviluppo regionale?

10. Lo Stato ha siglato accordi commerciali con altre nazioni? Se lo ha fatto questi accordi favoriscono gli investimenti delle aziende di alcune zone del mondo a discapito di altre?

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11. Il governo permette ai manager stranieri di entrare ed uscire liberamente dal Paese? Quali difficoltà esistono per avere un permesso di soggiorno per un manager o un ingegnere?

12. Il Paese permette ai suoi cittadini di lavorare all’estero liberamente? Qual è la logica delle restrizioni poste dallo Stato in questo senso? Alle persone è permesso aprire una discussione e accettare questi ideali?

I due grandi contesti appena descritti – il sistema sociale e politico e le aperture – formano nell’approccio di analisi degli autori il contesto globale dei mercati. La loro analisi è fondamentale per comprendere a fondo da dove scaturiscono le differenze tra i mercati interni ed i mercati esteri. Ad esempio il colpo di stato militare avvenuto verso la fine degli anni 70 in Cile ha condotto alla costituzione di un governo autoritario, il quale, con le sue politiche economiche, ha attratto capitale straniero. Per contro il mercato del lavoro cileno è rimasto sottosviluppato perché il governo non ha permesso ai sindacati di operare liberamente.

Quindi il sistema sociale e politico assieme al grado di apertura dell’economia nazionale sono i cardini del modello Five Context Framework e come tali, in sede di applicazione del modello, vanno analizzati approfonditamente.

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1.3.3 Il mercato dei prodotti

Il mercato dei prodotti rappresenta il luogo in cui l’azienda colloca i propri prodotti e/o servizi ad un prezzo remuneratore12. È infatti dal circuito della produzione che, a seguito delle operazione di gestione interna, dovrebbe essere generato il reddito dell’azienda. Quindi uno studio attento del mercato dei prodotti è di fondamentale importanza, soprattutto quando l’azienda è intenzionata a collocare i propri prodotti su di un mercato straniero.

Diverse sono le variabili da considerare. È utile in questo senso studiare il consumatore, i fornitori locali, i probabili competitor e, soprattutto, la normativa vigente riguardo la sicurezza dei prodotti che l’azienda è intenzionata ad immettere sul mercato.

Nel fare questa analisi ci si può trovare di fronte ad una serie di problemi, soprattutto se il Paese straniero fa parte del novero dei Paesi in via di sviluppo. A titolo esemplificativo riportiamo alcuni esempi proposti dagli stessi autori del modello Five Context Framework.

Negli ultimi dieci anni i Paesi in via di sviluppo hanno aperto, alla aziende straniere, le porte dei propri mercati, con una conseguente rapida crescita degli stessi. Per contro le aziende hanno riscontrato e riscontrano ancora difficoltà nell’ottenere informazioni relative ai consumatori di quei Paesi, specialmente quelli con basso reddito.

Anche lo sviluppo del credito al consumo è difficile perché le basi di dati e la storia dei crediti, che le aziende hanno delineato da tempo nell’Ovest, non esistono nei mercati emergenti.

12

Si veda a riguardo Nicola Lattanzi Potenzialità economiche e dinamiche reddituali. Relazioni e fattori di impulso, Milano, Giuffrè editore 2003

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Le ricerche di mercato e la pubblicità sono, sempre nei Paesi in via di sviluppo, nel loro periodo iniziale, è quindi difficile trovare un database esteso sui modelli di consumo che permetta alle aziende di segmentare i consumatori. Non esistono inoltre pubblicazioni indipendenti come ad esempio “Consumer Report” che, negli Stati Uniti, fornisce ai consumatori consigli sulle caratteristiche e sulla qualità dei prodotti.

L’assenza di consigli ai consumatori e di gruppi di difesa degli stessi fa sì quindi che questi mercati siano alla mercé delle grandi aziende.

Per avere una chiara visione del mercato dei prodotti è utile, per gli autori del modello Five Context Framework, rispondere alle seguenti domande:

1. Le aziende possono ottenere facilmente dati attendibili sui gusti dei consumatori e sui comportamenti di acquisto? Esistono barriere culturali nelle ricerche di mercato? Nel Paese operano aziende di ricerche di mercato a livello mondiale?

2. I consumatori possono ottenere facilmente informazioni imparziali sulla qualità dei beni o servizi che vogliono acquistare? Esistono organizzazioni di consumatori indipendenti o pubblicazioni che forniscono questo tipo di informazione?

3. Le aziende hanno facile accesso alle materie prime o ai semilavorati di buona qualità? Esiste un vasto network di fornitori? Questi sono in grado di garantire la qualità e la puntualità della fornitura?

4. Quanto sono sviluppate la logistica e le infrastrutture per i trasporti? Ci sono sedi locali di aziende che fanno logistica a livello mondiale?

5. Nel Paese esistono grandi catene di venditori al dettaglio? Se si queste sono in tutto il Paese o sono solo nelle maggiori città? Sono alla portata di tutti i consumatori o sono solo per quelli ricchi?

6. Esistono altri tipi di canali distributivi, quali il canale diretto, i discount, che consegnano prodotti ai consumatori?

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8. I consumatori usano carte di credito o il denaro domina le transazioni commerciali? I consumatori possono avere credito al consumo? Sono disponibili i dati sulla capacità di credito dei consumatori?

9. Come deve agire un consumatore contro le pretese ingiuste delle aziende o i difetti dei prodotti e dei servizi?

10. Le compagnie forniscono ai consumatori il servizio di consegna? È possibile che questo servizio sia collegato a network nazionali? Sono disponibili terzi soggetti che si occupino di consegne?

11. I consumatori provano nuovi prodotti o servizi spontaneamente? Hanno fiducia solo di beni provenienti da aziende locali? Cosa pensano riguardo le aziende straniere?

12. Esiste una regolamentazione relativa all’ambiente e alla sicurezza? Le autorità la fanno rispettare?

1.3.4 Il mercato del lavoro

Il mercato del lavoro rappresenta il luogo dove l’azienda si approvvigiona, ovviamente, del fattore produttivo “lavoro”. Questo fattore data la sua rilevanza sociale merita sempre una particolare attenzione.

Analizzando le problematiche tipiche dei Paesi in Via di Sviluppo, gli autori del modello Five Context Framework si sono soffermati su alcune peculiarità, che riportiamo di seguito, del mercato del lavoro di quei Paesi rispetto a quello dei Paesi sviluppati.

Le aziende leader devono la loro forza alla costante ricerca e formazione di top manager, ed è per questo che le aziende si contendono manager di medio livello, ingegneri e supervisori. Il reclutamento per le sedi estere di manager e lavoratori locali risulta difficile in quanto esistono poche agenzie di reclutamento

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nei Paesi a in via di sviluppo ed è difficile inoltre accertare la qualità e la formazione dei manager e dei lavoratori locali.

Non c’è modo per le aziende di sapere quale scuola producano skills manageriali, ed inoltre le scuole per ingegneri, le business school, e gli istituti di formazione sono si proliferati a livello mondiale ma sono a disposizione solo di un’elite. Per esempio diverse aziende indiane hanno formato persone per lavorare nel business dei call center, ma nessuna organizzazione certifica la qualità dei corsi forniti.

Per avere un giusto quadro relativo al mercato del lavoro bisogna rispondere a queste domande:

1. Come è sviluppato il sistema scolastico, specialmente per quello che attiene la formazione tecnica e manageriale? Si ha un buon sistema educativo elementare e secondario?

2. Le persone studiano e fanno affari in inglese od in un’altra lingua internazionale, o lo fanno principalmente in una lingua locale?

3. Sono disponibili dati che aiutino a capire la qualità delle istituzioni educative del Paese?

4. Gli impiegati possono muoversi facilmente da un’azienda ad un’altra? La cultura locale favorisce questo movimento? Le agenzie di reclutamento facilita la mobilità dei manager?

5. Qual è il principale corso post assunzione che le multinazionali devono fare alle persone che assumono localmente?

6. Si è pagati per uno stage? Quanto il peso dei manager anziani, in contrapposizione al merito, conta nelle scelte sulla promozione dei dipendenti?

7. Le aziende sono capaci di imporre contratti da impiegati ai senior manager? Le aziende possono proteggersi contro i manager che vogliono lasciare l’azienda per competere con la stessa? Si può impedire agli impiegati dal divulgare segreti commerciali e brevetti?

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8. La cultura locale accetta i manager stranieri? La legge permette di trasferire localmente salariati assunti in un altro Paese? I manager possono restare o lasciare il Paese?

9. Come sono protetti i diritti dei lavoratori? Qual è la forza dei sindacati? Questi difendono i diritti dei lavoratori o avanzano pretese politiche? 10. Le leggi e i regolamenti limitano la possibilità per le aziende di ridurre le

dimensioni, tagliare personale o chiudere?

11. Le aziende possono usare stock option o piani di remunerazione basate sulle azioni per motivare i propri impiegati?

12. Se un’azienda adotta le stesse pratiche utilizzate localmente dai rivali o dai fornitori, come ad esempio il lavoro minorile, in che modo viene intaccata la sua immagine in patria?

1.3.5 Il mercato dei capitali

Il mercato dei capitali è il luogo in cui l’azienda reperisce i mezzi finanziari necessari per avviare le operazioni di investimento13.

I movimenti dei capitali sono l'aspetto della globalizzazione economica che è cresciuto nel modo più spettacolare; il volume dei cambi di valuta è aumentato dell'800% nei dodici anni tra il 1986 e il 1998. Nel 2001 ogni giorno sui mercati finanziari si è spostato più di un trilione di dollari. Il mondo è percorso da flussi di capitale - che tendono sempre di più a smaterializzarsi per divenire virtuali - i quali si muovono lungo vie telematiche tra le varie borse.

13

Nicola Lattanzi Potenzialità economiche e dinamiche reddituali. Relazioni e fattori di impulso, Milano, Giuffrè editore 2003

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Un fenomeno connesso alla globalizzazione è l’interdipendenza dei mercati finanziari, i cui andamenti si influenzano reciprocamente; questo è divenuto chiaro nel caso del crack del 1987, quando Wall Street, con la sua rovinosa caduta di oltre 500 punti in un giorno, ha travolto tutte le altre Borse del mondo. Proprio l'avvenuta globalizzazione dei movimenti di capitale accresce i rischi della finanza globale14.

In particolare, con riferimento ai Paesi in Via di Sviluppo, il mercato finanziario e dei capitali di questi sono straordinari per la mancanza di sofisticazioni. A parte poche borse valori e organismi regolatori imposti dai governi locali, esistono relativamente pochi intermediari di fiducia così come agenzie di credito e di rating, analisti finanziari, merchant bank e le società di venture capital.

Le multinazionali quindi non possono, nei Paesi in via di sviluppo, contare sulla raccolta di fondi a titolo di credito o di capitale proprio per finanziare le proprie operazioni. Agli uomini d’affari, inoltre, non è facile accertare la capacità di credito dei propri clienti. Sempre nei Paesi emergenti la Corporate Governance è notoriamente “scarna”. Le aziende transnazionali difficilmente possono dare fiducia ai loro partner aderendo tramite leggi locali a joint venture.

Per avere una visione completa del mercato dei capitali bisogna rispondere alle seguenti domande:

1. Quando sono efficaci le banche, le assicurazioni ed i fondi di investimento nel Paese nella raccolta dei risparmi e nell’incanalarli verso forme di investimento?

2. Gli istituti finanziari sono gestiti bene? Le loro decisioni sono prese trasparentemente? Considerazioni non economiche quali i legami familiari, possono influenzano le decisioni sugli investimenti?

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3. Le aziende possono reperire una grande quantità di capitale di rischio nella borsa valori? Esiste un mercato obbligazionario?

4. Esistono società di venture capital? Se si queste permettono ad individui con buone idee di raccogliere fondi?

5. Quanto sono attendibili le informazioni sulle performance delle aziende? Gli standard contabili e le regole di rilevazione possono permettere agli investitori ed ai creditori di monitorare l’operato aziendale?

6. Gli analisti finanziari indipendenti, le agenzie di valutazione ed i media possono offrire informazioni imparziali sulle aziende?

7. Come sono efficaci le norme sulla corporate governance e gli standard che proteggono gli interessi degli azionisti di minoranza?

8. I vertici aziendali sono indipendenti e dotati di poteri decisionali e ci sono amministratori indipendenti?

9. Gli organismi di vigilanza monitorano effettivamente il sistema bancario e il mercato dei capitali?

10. Le corti come giudicano riguardo alle frodi?

11. La legge permette alle aziende di lanciare OPA ostili? Gli azionisti possono organizzarsi per rimuovere i manager?

12. Esiste un corretto processo sulla bancarotta che bilanci gli interessi dei proprietari, dei creditori e degli altri stakeholder?

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1.4 I TRE PERCORSI STRATEGICI SUGGERITI DAL

MODELLO

Quando un’azienda sceglie di entrare in un Paese straniero deve, ovviamente, cercare di far leva sui propri punti di forza, ed in particolare su quelli che possono essere replicati in quel particolare contesto. Prima di tutto questo, però, è necessario che l’azienda effettui un’attenta analisi costi/benefici allo scopo di valutare che i costi aggiuntivi che essa dovrà sopportare a causa dell’internazionalizzazione, siano giustificati dai benefici che verranno portati all’azienda nel suo complesso.

Analizzato poi il contesto istituzionale attraverso il modello five context framework, pur consapevoli della semplificazione del contesto fatta dal modello in quanto tale, le aziende si trovano di fronte a tre diverse opzioni: possono modificare il modello di business per adattarlo al contesto istituzionale, possono provare a modificare il contesto istituzionale del Paese – Obiettivo oppure possono scegliere di non entrare nel Paese straniero. Prima di esaminare queste tre diverse opzioni è utile fare qualche considerazione di carattere generale.

Innanzi tutto l’azienda, a seguito delle riflessioni fatte attorno alle direttrici di analisi del modello, si trova di fronte a 2 scelte:

• entrare nel Paese; • non entrare nel Paese.

Infatti delle tre opzioni proposte dal modello, quella di modificare il modello di business per adattarlo al contesto istituzionale e quello di cambiare il contesto istituzionale del Paese - Obiettivo, sono, ovviamente, due aspetti della macro-classe “entrare nel Paese”.

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Si potrebbe quindi ipotizzare che una valida strategia di internazionalizzazione debba essere composta da due elementi: quanto e come l’azienda debba modificare il proprio business rispetto al contesto istituzionale del Paese - Obiettivo e quanto e come l’azienda possa modificare il contesto istituzionale del Paese - Obiettivo, allo scopo di permetterle di avere successo anche al di fuori del propri confini.

Comunque, nonostante che le aziende possano scegliere diverse strategie in funzione del particolare contesto del Paese – Obiettivo, devono comunque trattare i differenti mercati come parte di un sistema, allo scopo di generare sinergie tra i diversi mercati.

Nei paragrafi successivi le tre opzioni proposte dal modello – adattare il proprio modello di business al contesto istituzionale del Paese, cambiare il contesto istituzionale del Paese, stare alla larga dal Paese – verranno illustrate facendo prevalentemente riferimento ad esempi, proposti dagli stessi autori del modello, di aziende che hanno scelto di modificare la propria strategia o che sono riuscite a modificare il contesto istituzionale del Paese - Obiettivo e che, grazie a queste politiche, sono riusciti ad entrare con successo nei mercati stranieri. Verranno anche presentati esempi di aziende, le quali sono entrate in Paesi stranieri e che, non avendo considerato con la dovuta attenzione le direttrici di analisi del modello five context framework, sono state costrette, per evitare ulteriori perdite, ad abbandonare i propri insediamenti oltre confine.

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1.4.1 Adattare la strategia aziendale

Come già affermato in precedenza da Miolo Vitali il processo decisionale è valido nelle circostanze di spazio e di tempo in cui viene formulato e non in altre aventi caratteristiche diverse15. Quindi, se un’azienda vuole entrare efficacemente in un Paese straniero, deve essere consapevole che il proprio modello di business và necessariamente modificato ed adattato al contesto istituzionale del Paese - Obiettivo.

In questo processo di adattamento le modifiche che l’azienda deve apportare al proprio modello di business possono essere anche significative; è importante però che questi adattamenti non vadano ad intaccare le parti della proposizione di valore dell’azienda che le forniscono alla stessa vantaggi competitivi. Infatti se si fanno dei cambiamenti troppo radicali l’azienda rischia di snaturarsi e di dissipare anche i vantaggi garantitegli alla globalizzazione.

Quindi il punto di partenza di una efficace strategia di internazionalizzazione è l’identificazione della parte della proposta di valore che l’azienda ritiene di non modificare, qualunque sia il contesto in cui si trova a lavorare, in quanto fonte per la stessa di vantaggi competitivi.

Partendo da questo l’azienda deve, dopo aver analizzato il contesto istituzionale, capire dove e come modificare il proprio modo di fare business per adattarlo al contesto istituzionale del Paese - Obiettivo.

Di seguito riportiamo, a titolo esemplificativo, come Dell e come McDonald’s abbiano dovuto adattare il proprio modello di business a contesti istituzionali diversi da quello presente nella loro patria – gli Stati Uniti d’America – per raggiungere il successo anche oltre confine.

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Il modello di business che Dell adopera negli Stati Uniti e quello che adopera in Cina sono radicalmente diversi. Iniziamo col descrivere, per sommi campi, il primo.

In America Dell offre un’ampia varietà di configurazioni di computer, producendone anche su commessa, cioè con specifiche caratteristiche richieste loro dai clienti. Dell non usa distributori o rivenditori in quanto essa invia direttamente la maggior parte delle macchine ai propri clienti. La maggior parte degli ordini giungono in azienda attraverso Internet; basti pensare che nel 2003 quasi il 50% del fatturato dell’azienda nel Nord America derivava dal canale Internet. I punti di forza del modello di business sopra accennato sono la rapidità delle consegne e la quasi assenza di magazzino.

Nonostante quello brevemente descritto sia per Dell un modello di business vincente, l’azienda ha realizzato che quell’approccio alle vendite non si adattava al mercato cinese.

Quando l’azienda è entrata in Cina, infatti, lo ha fatto con una gamma ridotta di prodotti allo scopo contenere il livello del magazzino. Solo in un successivo momento è riuscita ad offrire ai clienti cinesi una gamma completa di prodotti. Questo è stato reso possibile grazie ad un massiccio uso di distributori locali, che hanno permesso di rendere più efficiente la catena del valore di Dell. Ulteriore differenza è data dal fatto che la popolazione cinese non è abituata a fare acquisti su Internet, prediligendo fare ordini tradizionali. Questo ovviamente si riflette sul fatturato di Dell Cina, il quale è generato prevalentemente da ordini giunti in azienda via fax o telefono.

A causa di un diverso contesto istituzionale, la medesima attività – assemblare e vendere computer – per essere svolta efficacemente, deve essere effettuata in maniera così differente in queste due nazioni. Un problema analogo è stato affrontato da McDonald’s quando ha scelto di entrare nel mercato russo dei fast food.

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McDonald’s ha dovuto rivedere radicalmente il proprio modello di business per adattarlo al mercato russo. In America l’azienda fa massicciamente uso dell’outsourcing, ma, quando nel 1990 ha provato ad entrare nel mercato russo, l’azienda non riuscì a trovare né partner locali né europei interessati al progetto.

Allora McDonald’s cambiò completamente approccio. Con il proprio partner – il comune di Mosca – ha selezionato ed assunto alcuni panettieri. Successivamente ha importato bestiame dall’Olanda, patate rosse dall’America. Fece arrivare agronomi dal Canada e dall’Europa, allo scopo di migliorare l’agricoltura locale con l’introduzione di nuovi sementi, nuove attrezzature e nuove pratiche di coltivazione.

Il passo successivo per McDonald’s fu la costruzione del McComplex di Mosca, una struttura di più di 100.000 piedi quadrati nel quale vengono prodotti hamburger, pane, patate fritte, prodotti di caseificio, ketchup, mostarda e la famosa salsa Big Mac. Dal reparto produttivo parte un nastro trasportatore che porta i prodotti al ristorante integrato nella struttura.

Per completare la sua opera l’azienda ha fatto giungere in Russia 50 manager americani allo scopo di insegnare ai dipendenti russi quali sono gli standard del servizio, quali sono e come devono essere adoperati degli indicatori della qualità e quali sono le procedure operative. Inoltre l’azienda ha inviato un team di 23 manager russi in Canada per un programma di 4 mesi di studio.

In conclusione McDondald’s ha creato in Russia un’azienda integrata verticalmente. L’azienda, comunque, è rimasta aggrappata al suo principio guida: vendere hamburger, patatine e Coca Cola in un ambiente pulito e velocemente. Quindici anni dopo aver servito il primo Big Mac a Mosca McDonald’s controlla

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l’80% del mercato russo dei fast food con un investimento pari a 250 milioni di dollari.

Quindi, per poter sopravvivere in un Paese straniero, un’azienda può essere costretta a modificare il proprio modello di business, stravolgendolo anche in parte; comunque l’azienda deve restare fedele ai propri principi – guida allo scopo di mantenere inalterata, qualunque sia il contesto in cui si trova ad operare, la parte della propria proposta di valore fonte per l’azienda di vantaggi competitivi.

1.4.2 Cambiare il contesto

L’espressione “cambiare il contesto istituzionale di un Paese” potrebbe sembrare in prima lettura molto forte ma, nella realtà, l’influenzare il contesto istituzionale è una pratica usata spesso dalle aziende, in particolare da quelle di grandi dimensioni.

Infatti, queste hanno un potere rilevante sul contesto istituzionale nel quale operano in quanto i prodotti o i servizi da loro offerti possono causare notevoli cambiamenti dei contesti stessi. L’influenza che le aziende possono esercitare è ovviamente maggiore se queste si trova ad operare in Paesi scarsamente sviluppati.

L’ingresso di una compagine straniera in uno Stato può causare mutamenti, non solo del contesto in generale, ma anche dei mercati dei prodotti, del lavoro e dei capitali. In particolare, se assumiamo la prospettiva dell’ingresso in un Paese in via di sviluppo, un’azienda, cambiando il contesto istituzionale del Paese ed influenzando i mercati dello stesso, può aiutarlo a sviluppare a pieno le proprie potenzialità.

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Di seguito riportiamo alcuni esempi, propostici dagli autori del modello, su come un’azienda possa mutare il contesto istituzionale di un Paese.

L’introduzione di nuove tecnologie può causare mutamenti che si ripercuotono su tutto il contesto. Nel 1991, ad esempio, fu lanciato il primo satellite asiatico per la trasmissione di canali televisivi. Questo fatto ha causato un radicale mutamento del contesto istituzionale asiatico ed in particolare di quello indiano.

In India, infatti, non solo il governo ha perso il monopolio delle trasmissioni televisive notturne, ma si è registrata anche una crescita esponenziale di tutto il settore televisiva, dovuta appunto alla nascita dei canali satellitari. Questo fenomeno di mutazione, però, non si è limitato al solo settore televisivo.

Infatti la crescita del settore televisivo ha causato un incremento esponenziale dei dati di audience. Questo incremento, dovuto all’avvento della televisione digitale, è stato il segnale della nascita di una classe di consumatori nuova per la realtà indiana: i “teledipendenti”.

Conseguenza di tutto ciò, verso la metà degli anni ’90 i canali televisivi satellitari sono divenuti un vibrante mezzo pubblicitario usato da molte aziende per il lancio di nuovi prodotti e servizi indirizzati appunto ai “teledipendenti”.

Inoltre, Come precedentemente affermato l’ingresso di un’azienda in un Paese straniero può causare mutamenti non solo del contesto in generale, ma anche dei vari mercati. Riguardo al mercato dei prodotti, ad esempio, la giapponese Suzuki con il suo ingresso in India nel 1981, ha provocato una rivoluzione qualitativa all’interno del mercato dei prodotti del Paese.

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I produttori di auto e motoveicoli, infatti, necessitano di una grande quantità di componentistica di alta qualità, la quale normalmente viene reperita presso fornitori locali. In India questi, assieme ai responsabili della funzione vendita di Suzuki e con esperti giapponesi nel controllo di qualità, hanno creato una task-force allo scopo di migliorare la qualità dei propri semilavorati.

Durante le seguenti due decadi il Total Quality Management si è esteso a macchia d’olio ad altre aziende indiane; fa riflettere il fatto che, nel 2004, le aziende indiane si sono accaparrate più premi Deming che qualunque altro stato, escluso il Giappone.

Attualmente i più importante produttori indiani di componentistica per auto e motoveicoli sono riusciti ad irrompere nel mercato globale e diversi di questi, come Sundram Fasteners, sono divenuti fornitore di aziende del calibro di GM.

L’ingresso di aziende straniere, quindi, può fungere da stimolo per il miglioramento degli standard qualitativi nei mercati dei prodotti, al punto tale da permettere alle aziende interne di competere anch’esse nel mercato globale.

Così come le aziende possono influenzare il mercato dei prodotti, queste possono farlo anche con riguardo al mercato dei capitali. Consideriamo ad esempio il mercato dei capitali brasiliano.

Quando diverse multinazionali hanno installato succursali nel Paese è sorta la necessità per queste di usufruire, in loco, di servizi di audit di qualità internazionale. Poche società di revisione brasiliane potevano fornire questo tipo di servizio ed allora le quattro più grandi società di audit a livello globale (Delitte Touche Tohmatsu, Ernst & Young, KPMG, PricewaterhouseCoopers) decisero di aprire a loro volta succursali in Brasile. La presenza di queste società ha elevato velocemente gli standard brasiliani di auditing e della comunicazione finanziaria.

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Similmente al mercato dei prodotti e dei capitali, l’ingresso di multinazionali in nuovi contesti può causare mutamenti anche nel mercato del lavoro. L’esempio a riguardo, riportato dagli autori del modello Five Context Framework è quello di Knauf.

L’azienda, leader europeo nella produzione di materiali edili, sta provando da anni a far crescere in Russia esperti nel settore. Durante gli ultimi 10 anni il gigante tedesco ha costruito nel Paese 20 fabbriche, con un investimento più di 400 milioni di dollari, ma, a detta dei loro manager, il loro investimento più importante è stato l’apertura, nel 2003, un centro educativo a San Pietroburgo. Questo, in collaborazione con la facoltà di architettura locale, allo scopo di far crescere nel Paese gli standard del settore edilizio.

Quando, come negli esempi sopra citati, un’azienda cambia il contesto istituzionale di un Paese, può anche aiutare lo stesso a sviluppare a pieno le proprie potenzialità, creando con questo, quindi, una sinergia vincente.

Un esempio lampante a riguardo è quello di Metro.

Metro Cash & Carry, una divisione del gruppo tedesco Metro ha cambiato il contesto portando benefici sociali in diversi Paesi europei ed asiatici. L’azienda di Düsseldorf, specializzata nel settore Ho.Re.Ca., è entrata in Cina nel 1996, in Russia nel 2001 ed in India nel 2003. Metro è stata la prima azienda del settore ad entrare in questi Paesi in quanto convinta che i collegamenti tra le aziende ed i produttori su piccola scala in aree rurali poteva essere fonte di vantaggio sia per questi due soggetti che, ovviamente, per se in qualità di intermediario.

A riguardo Metro ha investito in Cina nella catena del freddo perché questo le permette di consegnare pesce e carne di ottima qualità dalle regioni rurali ai centri urbani. Inoltre l’azienda ha fatto “pressioni” sul governo perché fossero innalzati gli standard qualitativi dei prodotti alimentari, così da impedire la vendita di prodotti scadenti ai consumatori meno abbienti e ha incentivato le aziende cinesi ad investire maggiormente nel settore dell’agricoltura biologica.

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Concludendo le aziende che scelgono di entrare in un Paese straniero devono considerare, come testimoniano gli esempi sopra citati, che possono modificare il contesto istituzionale del Paese nel quale scelgono di operare. Nel fare ciò dovrebbero cercare di generare sinergie vincenti tra l’azienda ed il Paese – Obiettivo così da arrecare vantaggi non solo a loro stessi ma a tutta la comunità.

1.4.3 Stare lontano dal Paese

Se un’azienda non può adattare la propria strategia al contesto istituzionale del Paese – Obiettivo oppure modificare il contesto istituzionale stesso, allora l’unica scelta logica che le si prospetta è quella di non entrare in quella realtà.

Di seguito riportiamo, a titolo esemplificativo, come Home Depot sia stata costretta ad abbandonare i propri insediamenti oltre confine in quanto incapace sia di adattare la propria strategia al contesto istituzionale dei propri Paesi – Obiettivo, che di modificare i contesti degli stessi.

Home Depot è una catena di negozi americana specializzata nella vendita di arredamenti per interni fai-da-te. Uno dei suoi punti di forza risiede nel contesto ambientale nel quale opera. Infatti, negli Stati Uniti, l’alto costo del lavoro incoraggia i possessori di case a montare da soli i mobili che acquistano. L’azienda, consapevole di ciò, si è specializzata da anni su questo particolare segmento di clienti e ciò le ha permesso di divenire l’azienda numero uno, negli USA, per l’arredo casa.

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Home Depot offre ai propri clienti prodotti dai bassi prezzi, ma di buona qualità. Per abbattere i costi, l’azienda fa affidamento a diverse istituzioni statali statunitensi, ad esempio dipende dalle autostrade americane per minimizzare il volume e quindi il valore del magazzino dei propri negozi. Inoltre è solita dare titoli azionari ai propri dipendenti, allo scopo di motivarli a fornire un servizio perfetto.

Home Depot tentò di sbarcare nei mercati emergenti aprendo nel 1998 due negozi in Cile e nel 2000 uno in Argentina. Nel 2001, comunque, l’azienda decise di vendere queste sedi estere sopportando una perita netta di 14 milioni di dollari. L’Allora CEO Robert Nardelli enfatizzò che la maggior parte della crescita futura di Home Depot sarebbe avvenuta nel Nord America.

Home Depot non considerò, infatti, che il proprio modello di business non è adattabile al contesto dei mercati emergenti.

In un Paese con un mercato dei capitali scarsamente sviluppato, ad esempio, i piani di stock option non sono un buono strumento per remunerare i propri dipendenti. Similmente in un Paese con infrastrutture scarsamente sviluppate si potrebbe avere difficoltà ad avere bassi volumi di magazzino.

Quindi le aziende attuali, trovandosi ad operare in un mondo “semi-globalizzato”, difficilmente potranno raggiungere il successo in un Paese straniero limitandosi a replicare la strategia che adottano nei mercati domestici. Quindi, per avere successo anche al di fuori dei confini del proprio Stato, le aziende potrebbero essere costrette ad adattare la propria strategia allo scopo di renderla efficace nel contesto istituzionale di un Paese straniero, oppure dovranno cercare di influenzare il contesto istituzionale del Paese oggetto di politiche di internazionalizzazione, oppure ancora fare contemporaneamente le due cose.

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