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Academic year: 2021

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@TITOLO PARTE = PARTE SECONDA

@TITOLO = GLI STRUMENTI PER LA GESTIONE DEL PRODOTTO

1 IL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

Già nel paragrafo 1.6 della Parte Prima, sono state descritte la forma e la composizione della curva del ciclo di vita del prodotto, assieme ad alcune tipologie; lo scopo di questo capitolo è di approfondire l'utilizzo di questo strumento nella gestione del prodotto.

La vita di un prodotto, dal momento della sua nascita a quello del definitivo abbandono, può essere descritta mediante una curva relativa all'andamento delle vendite nel tempo. La definizione del mercato rilevante è fondamentale per evitare confusioni e sovrapposizioni, che impedirebbero un uso coerente dello strumento: prima di tutto si dovrà quindi riferire il ciclo di vita a un mercato e/o a un segmento preciso.

1.1 L'uso del ciclo di vita nella gestione del prodotto

Il ciclo di vita del prodotto (CVP) offre, quindi, uno schema di riferimento per l'elaborazione delle strategie di marketing mix (figura 1.1), oltre che per il prodotto, anche per la distribuzione, per la comunicazione e per il prezzo. In questo lavoro ci si soffermerà comunque sull'uso del CVP per la gestione del prodotto.

Nella fase di introduzione le vendite presentano bassi tassi di crescita: si deve creare la domanda.

Il tempo necessario perché questo avvenga dipende dalla complessità del prodotto, dal suo grado di novità, dalla qualità della risposta alle esigenze del consumatore-utilizzatore e dalla presenza di prodotti sostitutivi. Nei rapporti con il mercato si privilegia l'efficacia , rinviando a fasi successive la cura dei problemi di efficienza. In pratica, gli ostacoli che il prodotto affronta in questa fase riguardano le difficoltà relative all'introduzione dell'innovazione, a cui si aggiungono condizioni di mercato, come la moda, la disponibilità di spesa, la concorrenza. Quest'ultima è spesso in una situazione di attesa nei confronti dell'impresa introduttrice, seguendo quella che Levitt [1965] definisce la "politica della mela usata", in attesa che siano altri a sperimentare i rischi relativi al lancio del nuovo prodotto, pronti ad accorrere per dare il "secondo morso" al mercato. La fase di introduzione è infatti la più rischiosa della vita del prodotto, l'innovazione può non essere capita, i minimi errori di marketing portano a conseguenze fatali per il prodotto che non ha ancora forza e solidità: l'attenzione va posta sulla rapida messa a punto del prodotto.

Se l'esperienza del consumatore non è immediatamente positiva e gratificante, l'introduzione può subire rallentamenti pesanti, anche per cause che poco hanno a che fare con il prodotto stesso.

Esiste però una relazione funzionale tra il tempo di accettazione iniziale e la completa diffusione del prodotto [Baker, 1985]: più rapidamente le vendite crescono, maggiore è l'opportunità per

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un'azienda di consolidare la sua posizione di leader di prodotto e di conquistare una posizione di supremazia sugli imitatori successivi.

Nella fase di sviluppo il prodotto inizia a manifestare e, succesivamente, a consolidare il proprio successo. Il tasso di crescita diviene più che proporzionale rispetto al tempo. Come già accennato in precedenza, i concorrenti cominciano a farsi intraprendenti. Questa presenza porta all'apparizione di prodotti di imitazione, rispetto al prodotto iniziale, assieme a prodotti migliorati, e differenziati, funzionalmente e nel design. E' il settore nel suo complesso che opera le prime modifiche sostanziali nell'offerta di prodotto, mentre le singole aziende, al di là di una messa a punto tecnica e produttiva, sono concentrate sull'inseguimento di una domanda in forte crescita. Il prodotto rimane perciò essenzialmente simile alla versione di lancio. In genere le vendite delle imprese crescono più rapidamente degli acquisti del pubblico, poiché il successo percepito del prodotto crea rapidamente spazi disponibili nella distribuzione, che funge da polmone temporaneo tra la disponibilità del prodotto e il suo acquisto da parte del consumatore.

In questa fase sembra che il mercato sia più ampio della reale capacità di assorbimento, creando spesso eccessive aspettative di vendita, che si trasformano rapidamente in un eccesso di offerta.

Verso la fine della fase, quando si cominciano a percepire i primi rallentamenti della crescita, diventa importante la differenziazione di marca. Gli attributi base del prodotto e il nome di marca sono gli aspetti fondamentali da comunicare.

La fase di maturità inizia con il declino del tasso di crescita delle vendite: queste continuano ad aumentare, ma il loro tasso di sviluppo è decrescente. Nel caso di beni di consumo durevole, il primo equipaggiamento è finito, o sta per terminare, occorre attendere il processo di sostituzione del parco esistente. Nel caso di beni di consumo immediato incomincia a farsi strada una certa abitudine al prodotto, l'effetto novità precipita, la fedeltà di marca diminuisce. In entrambi i casi occorre sollecitare la domanda attraverso l'introduzione di modifiche di prodotto, che lo rendano nuovamente appetibile, o che ne evidenzino usi nuovi e allargati. Il prodotto non deve più caratterizzarsi come classe, ma come singola marca, la cui identità dipende dalla diversità rispetto all'offerta della concorrenza. E' questa una fase percorsa da riposizionamenti e differenziazioni, in cui riprende una vitalità innovativa rallentata nel periodo di sviluppo. Alla ricerca di una nuova percezione da parte della clientela si accrescono gli attributi periferici del prodotto, il design, la confezione, i servizi, la garanzia. Aumentano le prestazioni di base, si migliorano le componenti, si enfatizzano le dimensioni della qualità, si arricchisce l'offerta di nuovi formati, si approfondisce e amplia la linea. I servizi logistici diventano importanti. Non è più solamente cruciale far conoscere la marca, ma sollecitare una preferenza per la marca; la concorrenza infatti è più forte, consolidata, conosciuta dal consumatore.

La fase di saturazione è quella in cui finisce la crescita e le vendite si stabilizzano. La saturazione può durare per periodi di tempo relativamente lunghi, o, più normalmente, essere il segnale dell'imminente declino. La concorrenza si fa sempre più aggressiva, i competitori combattono per strapparsi quote di mercato a vicenda, fino al raggiungimento di posizioni e accordi, anche non scritti, di rispetto. I prodotti perseguono differenziazioni sempre più marginali, che sono apprezzate da un consumatore ormai sofisticato nelle attese e nell'uso del bene. Al criterio di ampliamento della gamma si sostituisce quello di specializzazione. Per effetto di una certa condizione di stabilità dell'offerta, la fedeltà alla marca riprende forza. Difficilmente nascono nuovi concorrenti e le marche presenti costituiscono il campo di identificazione del consumatore, che oramai ha preferenze consolidate dalle precedenti esperienze sul prodotto, condotte durante le fasi più turbolente di sviluppo e maturità. Vengono approfondite le politiche di nicchia e quelle di allargamento periferico del mercato, alla ricerca di nuovi clienti potenziali, in precedenza esclusi perché considerati marginali. Prima di riconsiderare il prodotto, occorre essere ben sicuri che le opportunità di allargamento del mercato e di crescita siano state completamente esplorate. Ci si potrebbe trovare infatti di fronte a una situazione di saturazione

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apparente, che condurrebbe al perseguimento di politiche di prodotto premature e, per questo, errate.

Nella fase di declino le vendite diminuiscono a ritmo crescente. L'eccedenza di capacità produttiva induce molte imprese ad abbandonare il mercato più o meno rapidamente a seconda della situazione competitiva. Poiché lo spazio si restringe, per costringere i concorrenti all'abbandono, i produttori con una posizione più solida mettono in atto strategie aggressive di prezzo. Possono avvenire delle fusioni, mentre, nei rapporti con il mercato, si persegue l'efficienza. Dopo il periodo burrascoso di consolidamento concorrenziale si riducono le versioni del prodotto, non si perseguono strategie di recupero di clientele marginali, che si rivelerebbero troppo costose, ci si concentra sulla parte forte del mercato. Gli investimenti sul prodotto diminuiscono, poiché si fanno strada beni sostitutivi, e si percorre con forza la via dell'ottimizzazione: della produzione, delle componenti, della logistica distributiva, dei servizi (ricambi, assistenza), poiché la carta vincente è rappresentata dalle riduzioni di costo riversabili in diminuzioni di prezzo di vendita.

Si può anche seguire una scelta diversa, quella della rivitalizzazione del prodotto. Consolidata la posizione, con la scomparsa di gran parte dei concorrenti e non considerando i nuovi prodotti sufficientemente sostitutivi, può essere giudicato vantaggioso un investimento di "rifondazione"

del prodotto, certamente inferiore a quello di lancio, ma pur sempre di ammontare considerevole.

Il prodotto viene quindi rilanciato, con novità significative, che possono far ripartire le vendite a tassi crescenti. Può venire individuato un uso nuovo, reso essenzialmente possibile da limitate modifiche di prodotto, da un aggiornamento delle prestazioni e degli elementi estetici, accompagnato dal ringiovanimento dell'immagine. L'estensione o il prolungamento della vita del prodotto passa per una pianificazione anticipata, costruita sulla base della lettura del ciclo di vita.

Infatti, al modificarsi dei fattori ambientali (concorrenza, abitudini di consumo, valori, tecnologie, ecc.), oltre al lancio del nuovo prodotto andrebbe pianificato, e ripianificato, il suo ciclo di vita. La sua crescita può seguire quattro diverse strade o una loro combinazione (nella figura 1.2), sia successiva che contemporanea:

@ELENCO = 1. la promozione di un maggiore utilizzo del prodotto fra i consumatori abituali;

@ELENCO = 2. lo sviluppo di un utilizzo differenziato del prodotto tra i consumatori abituali;

@ELENCO = 3. un ampliamento degli utilizzi possibili del prodotto da parte di nuovi consumatori;

@ELENCO = 4. lo sviluppo di utilizzi completamente nuovi per la tecnologia di base del prodotto.

Il caso del personal computer può servire da esempio. Là dove esisteva un solo posto di lavoro relativo al prodotto ora se ne conta più d'uno, le attività svolte tramite l'uso del bene si sono ampliate significativamente (calcoli, statistiche, data base, scrittura, grafica, programmazione, modellizzazione, ecc.). Nuove categorie di utilizzatori si sono affacciate oltre a quelle tradizionali: dai manager ai consulenti, medici, avvocati, insegnanti. Il microprocessore è entrato in un numero di altri prodotti difficilmente elencabile.

Un uso ulteriore del concetto può riguardare le decisioni di lancio di nuovi prodotti. L'analisi della situazione e le previsioni relative all'andamento futuro definiscono il quadro per l'immissione sul mercato di prodotti sostitutivi. Così, nel momento in cui l'azienda considera che il prodotto si trovi alla fine della fase di saturazione, può lanciarne uno nuovo, sostitutivo. In

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questo caso si dovrà considerare che l'uscita del nuovo accelererà la scomparsa del vecchio, in tempi molto più brevi rispetto a un suo declino "naturale".

E' vero però che risulta sicuramente preferibile, per l'azienda, essere parte attiva nell'abbandono di un proprio prodotto, piuttosto che lasciare questo compito alla concorrenza. In altre parole è preferibile "uccidere" il proprio prodotto, sostituendolo con un altro nuovo, mantenendo così la posizione di mercato, piuttosto che resistere allo stremo, cedendo poi quote ai nuovi prodotti concorrenti. A questo proposito, nei settori dove la pressione competitiva è molto forte, si assiste a una diminuzione progressiva della durata dei cicli di vita dei prodotti, dovuta a una crescente sostituzione con nuove proposte, secondo una continua rincorsa/anticipo della concorrenza.

Nella gestione dell'immagine del prodotto il ciclo di vita (si veda figura 1.3) può costituire un modello ordinativo dei momenti di passaggio [Romano, 1989]. Alla fase di introduzione corrisponde il momento di lancio dell'immagine, in cui viene perseguito il posizionamento e vengono definiti i confini dell'immagine voluta e comunicata. Nella fase di sviluppo si completa un primo consolidamento dell'immagine, relativo al raggiungimento dell'immagine percepita da parte della maggioranza del mercato. Durante la fase di maturità avviene un allargamento dell'immagine in cui vengono sviluppati gli elementi collaterali e periferici, rispetto al nucleo centrale promosso nel momento del lancio e del primo consolidamento. In saturazione avviene il secondo consolidamento accompagnato da eventuali correzioni. Queste si potrebbero rendere necessarie sia per un riposizionamento dovuto a necessità di mercato, sia per la forte presenza della concorrenza, che provoca mutamenti nell'immagine confrontata e quindi in quella percepita. La fase di declino è caratterizzata dal riposizionamento dell'immagine, relativo ai cambiamenti nel marketing mix in fase di abbandono o di rilancio del prodotto.

Il concetto di ciclo di vita è applicabile inoltre a elementi diversi dal prodotto, ma che a questo fanno riferimento, come la linea, la tipologia di prodotti e il settore, fino alla stessa impresa [Rispoli, 1976].

Il ciclo di vita della linea riguarda l'andamento nel tempo delle vendite dell'insieme di prodotti appartenenti alla stessa. E' costituito dalla risultante dei cicli di vita dei prodotti, componenti la linea. E' il caso, ad esempio, di una linea di saponi composta da diverse profumazioni e livelli di cosmesi (normale, neutro, per pelli delicate, ecc.). Il ciclo di vita della tipologia di prodotto è composto dai cicli di vita delle linee di prodotti offerte dalle diverse imprese; riguarda, nell'esempio, i cicli di vita delle linee di saponi solidi. Il ciclo di vita del settore comprende l'insieme dei cicli di vita delle tipologie di prodotto, ad esempio saponi solidi, liquidi e in polvere. Esistono delle forme tipiche di cicli di vita di prodotti appartenenti a particolari settori<P10M><P255D><$FSi veda il paragrafo 1.6 della Parte Prima del testo.><P10M><P255D>. L'analisi gerarchica dei cicli di vita consente di focalizzare con maggiore precisione l'ambito in cui si sviluppa il ciclo di vita del prodotto (figura 1.4).

Le vendite del settore possono essere ancora in una fase di crescita (sviluppo o maturità) mentre quelle di una singola linea sono già in declino. Normalmente ciò avviene soprattutto per i primi entranti, i cui prodotti, più vecchi, vengono superati dalle innovazioni successive proposte dagli imitatori. L'analisi della situazione del CVP del settore o della tipologia di prodotto va condotta per identificare ulteriori possibilità di sviluppo, tramite nuovi prodotti sostitutivi o rilancio di vecchi, anche se il singolo prodotto si trova nella fase di declino. L'uso a fini di previsione va perciò regolato attraverso la combinazione di più CVP, tra loro gerarchicamente composti: il CVP del settore, della tipologia di prodotto, della linea di prodotti, del singolo prodotto.

Il ciclo di vita dell'impresa considera lo sviluppo nel tempo del suo valore aggiunto, che tiene conto dello sviluppo delle dimensioni e del livello di integrazione verticale. Anche se non si tratta di uno strumento utilizzabile per la gestione del prodotto, ne è la risultante. Il profilo del

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ciclo di vita dell'impresa è infatti composto dai cicli di vita delle linee che costituiscono la sua offerta nel tempo.

L'utilità dell'uso del concetto di ciclo di vita del prodotto emerge evidente in considerazione degli stimoli che porta nella gestione del prodotto [Levitt, 1965]:

@ELENCO = 1. genera una politica di prodotto attiva anziché reat-tiva;

@ELENCO = 2. produce la necessità di un piano a lungo termine, studiato per ridare al bene slancio al momento giusto, in un'ottica di gestione complessiva della strategia di prodotto;

@ELENCO = 3. sollecita nelle aziende una visione più ampia della natura del prodotto che propongono, non limitandola all'uso iniziale.

Come già accennato<$FSi veda il paragrafo 1.5 della Pare Prima del testo.>, il processo di adozione di un prodotto, e perciò il suo ciclo di vita, presentano generalmente categorie diverse di acquirenti in ogni fase. Al momento dell'introduzione il prodotto sarà acquistato soprattutto da un gruppo definito di pionieri (figura 1.5), il cui gusto per la novità e predisposizione al rischio, assieme alla disponibilità a sperimentare, sono estremamente elevati. I pionieri sono affascinati dalla possibilità di poter introdurre nuove idee e soluzioni, devono essere sottoposti a una sfida in cui misurare la propria capacità. Si tratta di un numero relativamente piccolo, che però, all'interno di gruppi di potenziali utilizzatori, può ricoprire posizioni di sollecitatore all'acquisto.

La loro collaborazione è importante, non solo per lo sviluppo successivo delle vendite, ma anche per la messa a punto del prodotto. L'interesse principale per questo gruppo è relativo al nuovo concetto di prodotto.

Negli innovatori, presenti soprattutto nella fase di sviluppo, il gusto della novità e del rischio sono temperati da una elevata richiesta di servizi accessori. Accanto a una tecnologia affidabile e a un alto rendimento ottenibile con il prodotto, cercano assistenza tecnica e applicativa, che sono disposti a pagare. Sensibili ad aspetti di prestigio e stima, ricoprono sovente ruoli di leadership.

La loro posizione deve essere mantenuta attraverso l'adozione anticipata di prodotti, ma non sottoposta a cedimenti tramite acquisti di beni con rischio troppo elevato di fallimento.

La maggioranza innovatrice arriva all'acquisto verso il termine della fase di sviluppo e nel periodo di maturità del prodotto. Si tratta di clienti che badano soprattutto alle caratteristiche di rendimento e di affidabilità, anche se sono sensibili alla possibilità di essere tra i primi a godere di una novità di successo. Sono disponibili ad accettare aggiornamenti e modifiche di prodotto, se giustificate. In genere si trovano a scegliere tra un'offerta allargata rispetto alle tipologie precedenti, e quindi sono disposti a uno sforzo d'acquisto inferiore.

La maggioranza ritardataria è composta dagli acquirenti che arrivano al prodotto al momento delle fasi di maturità e saturazione del ciclo di vita. L'offerta è al massimo della sua espansione, la conoscenza del prodotto e dei suoi utilizzi è diffusa, le diverse versioni si sono moltiplicate e i prezzi sono stati ridotti. Ci si trova perciò in una situazione di acquisto estremamente tranquilla, in cui il prodotto rappresenta una ovvia soluzione al problema identificato. La propensione al cambiamento è bassa e il prodotto deve presentare referenze credibili e numerose. Una certa pressione sociale convince l'acquirente della maggioranza ritardataria che ulteriori ritardi all'acquisto lo porrebbero in una situazione di retroguardia sociale. Ha necessità di servizi di assistenza, ma avverte il problema con difficoltà poiché è molto sensibile al prezzo. A volte rinunciano all'aiuto, confidando di riuscire da soli, salvo ritornare sui propri passi, ma solo se spinti da esperienze disastrose. Preferiscono una certa diminuzione di efficienza d'uso, piuttosto del pagamento della consulenza relativa. La fedeltà alla marca è spesso elevata.

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Nella fase finale del ciclo di vita, quella di declino, gli acquirenti che si avvicinano per la prima volta al prodotto sono detti ritardatari. E' il ricorso alla tradizione che domina le scelte di questo gruppo, l'acquisto di un bene avviene quando questo è parte della quotidianità, addirittura alla fine della sua vita. I ritardatari sono mossi da assoluto bisogno e da forte pressione sociale, ma privilegiano gli aspetti di prezzo e di sicurezza. Per giustificare l'acquisto, oltre le prestazioni del prodotto, il prezzo deve essere appetibile in sé. Per questo il prodotto non deve presentare alcun rischio o imperfezione d'uso ed essere proposto in versioni a lungo collaudate. La marca di solida tradizione fornisce un argomento di acquisto in più.

Esiste inoltre un effetto esperienza sul prodotto, che, nel corso del ciclo di vita, muta gli atteggiamenti e le attese degli acquirenti. Soprattutto nel caso di beni destinati alla produzione, a mano a mano che i clienti familiarizzano con il prodotto assegnano sempre meno importanza all'assistenza tecnica e le loro decisioni di acquisto, a meno che il prodotto non viva continui aggiornamenti e rivitalizzazioni, diventano più sensibili al fattore prezzo. Quando una famiglia di prodotti si trova all'inizio del ciclo di vita viene utilizzata da clienti generalmente inesperti, dal punto di vista dell'uso, della manutenzione e dell'ottimizzazione economica del suo impiego. E' per questo che nell'applicazione del prodotto diviene importante l'offerta di servizi, soprattutto di assistenza tecnica e di consulenza. Tipico è il caso dei grandi e medi elaboratori, in cui l'acquisto della nuova macchina non può essere concepito separatamente dall'acquisto di un pacchetto significativo di servizi accessori, il cui costo è in genere rilevante se rapportato al prezzo del bene. Nel tempo, con la crescita dell'esperienza del cliente, questi servizi si ridurranno, fino ad assumere connotazioni vicine alla garanzia di prodotto. Inoltre l'acquisto del prodotto sarà caratterizzato da una più attenta analisi delle componenti, scartando quelle non direttamente utilizzate, definendo la qualità in modo aderente all'impiego. Il livello di servizio richiesto passerà da prevalenza di assistenza a prevalenza di logistica.

Si può fare un ulteriore deduzione: che al variare delle fasi del ciclo di vita, mutando la tipologia dei consumatori, cambi anche l'elasticità della domanda rispetto al prezzo. Questa dovrebbe presentare carattere di rigidità nelle prime fasi, per divenire poi sempre più elastica a mano a mano che ci si avvicina alla fase di declino, nella quale l'elasticità negativa è massima.

La gestione del ciclo di vita del prodotto necessita quindi di una certa capacità di previsione del suo sviluppo, o almeno di anticipazione delle fasi più prossime, ma soprattutto di monitoraggio dell'andamento, per l'adozione delle politiche di marketing, e in particolare di prodotto, più adatte.

1.2 I limiti e le cautele nell'uso del CVP<>

Quattro sono gli aspetti principali del concetto di ciclo di vita che sono sottoposti ad analisi critica:

@ELENCO = 1. problematiche di definizione;

@ELENCO = 2. capacità di previsione;

@ELENCO = 3. identificazione della posizione del prodotto;

@ELENCO = 4. dipendenza e indipendenza del CVP.

Innanzitutto è importante evitare la confusione, a cui il concetto di CVP può portare, relativa all'utilizzo sovrapposto e sostitutivo di ciclo di vita di prodotto, marca, linea, ecc. Occorre

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definire se si sta parlando di una marca di prodotti (Seleco) o di una tipologia generale (televisori), particolare (televisori a colori) o addirittura di una classe (televisori a colori portatili). Dhalla e Yuspeh [1976], nel loro studio sulle sigarette, evidenziano come gli andamenti della vita di un prodotto, di una tipologia e di una marca possono seguire direzioni opposte. L'uso e l'estensione del concetto vanno quindi chiariti nettamente prima di ogni sua applicazione.

La capacità di previsione del CVP dell'andamento futuro delle vendite del prodotto è significativa solo in alcuni casi specifici, in cui siano chiaramente disponibili informazioni sulla dimensione del mercato, sugli utilizzatori di precedenti prodotti simili, sulla velocità di adozione della tipologia specifica di prodotto e limitatamente a prodotti che sostituiscano il preesistente senza aggiungere prestazioni che possono renderli attraenti per nuovi mercati e che non sono sottoposti a effetti moda. Come si nota, le condizioni di predizione sono piuttosto particolari e non frequenti nella pratica. Mentre è possibile individuare una funzione matematica che sia in grado di delineare il probabile andamento delle vendite a posteriori, a priori diventa assai difficile. La previsione si può limitare a riferimenti alla tipologia del prodotto (hi-low learning ecc.) per periodi limitati del CVP e non per l'intera durata. Nonostante i numerosi tentativi [Wind, 1982], sembra di poter concludere che i modelli di previsione del ciclo di vita sono di difficile utilizzo nella prassi aziendale. Troppe sono infatti le condizioni da rispettare:

@ELENCO = a) che non ci sia differenza nel tasso d'acquisto tra utilizzatori e non utilizzatori;

@ELENCO = b) che il tasso di acquisto e riacquisto siano uguali e costanti;

@ELENCO = c) che i consumatori presentino omogeneità di valori, comportamento, atteggiamenti;

@ELENCO = d) che venga escluso l'uso attivo delle variabili di marketing.

La lunghezza degli stadi del CVP tende a variare da prodotto a prodotto anche per la stessa tipologia, quindi lo studio per categorie va visto solo come somma di diversità, al massimo come ipotesi di riferimento, e non come archetipo. E' difficile prevedere quando si passerà da uno stadio all'altro, quanto durerà ogni stadio e quale sarà il risultato in termini di vendite. Spesso diviene difficile giudicare con esattezza in quale fase del ciclo di vita ci si trovi, poiché un rallentamento delle vendite potrebbe far pensare a una raggiunta maturità e invece riguardare un momentaneo stop di una fase precedente, a cui segue una successiva rapida ripresa. Poiché la verifica della posizione del prodotto è il fondamento per l'utilità del concetto del CVP, la certezza della posizione va ricercata attraverso una valutazione di più indicatori che confermino il risultato. Questi possono essere, oltre alla variazione percentuale delle vendite, il grado di copertura del mercato, la stabilizzazione delle quote di mercato, il CVP dei prodotti concorrenti, ecc. Un altro punto riguarda la determinazione dell'unità di misura temporale. La maggior parte degli studi pubblicati sul CVP utilizza una base annuale. Benché sia evidente che più breve è il periodo considerato, maggiori sono le possibili influenze di elementi fuorvianti, come la stagionalità e le fluttuazioni di mercato, occorre identificare un periodo "normale" per la tipologia di prodotto, considerando che i cicli di vita si stanno tendenzialmente accorciando.

Risulta inoltre sempre più importante la riduzione del tempo di informazione: possedere dati con sei mesi di anticipo può essere vitale. Questa situazione porta a un'analisi rischiosa, dove la lettura dei dati è inficiata dalla loro bassa attendibilità.

Il CVP può essere senz'altro considerata una variabile dipendente, determinata dalle azioni di marketing, e non viceversa. Gli interventi di marketing possono cambiare forma e durata del

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CVP, che non rappresenta una evoluzione naturale, ma è il risultato delle decisioni derivanti da tali azioni. Lo studio di Capeccia e Fiocca [1982] riporta il caso di un prodotto toiletries, un dentifricio, il cui ciclo di vita era strettamente dipendente dalle spese pubblicitarie, con uno stretto parallelismo di andamenti. Ne deriva che prima di abbandonare un prodotto, perché considerato in fase di declino, occorre essere sicuri che lo stesso non potrà avere vita ulteriore, non fidandosi delle prime apparenze desunte dal ciclo di vita. La sua misura è significativa nel lungo termine, ma può essere insufficiente nel breve. Ogni qualvolta le vendite sembrano rallentare, non si deve quindi cadere in una sorta di "frenesia da nuovo prodotto", poiché può trattarsi di momenti di assestamento fisiologici.

1.3 L'estensione nell'uso del CVP<>

Nonostante l'esistenza di evidenti limiti di applicabilità, il CVP ha avuto un notevole successo, sia per la felice semplicità e naturalità del concetto, sia per la sua adattabilità ad argomenti e situazioni diverse. In particolare, studi successivi hanno allargato il campo di applicazione del CVP, sia attraverso un suo uso combinato ad altri strumenti di analisi, sia attraverso la sua applicazione a fini di comprensione di situazioni e fenomeni collegati al prodotto.

Un primo suggerimento è quello di operare un'analisi congiunta tramite CVP e curva di apprendimento (CA). La curva di apprendimento è definita da un insieme di costi rispetto al volume totale di produzione. Questi costi si riducono a mano a mano che il volume totale della produzione aumenta; in particolare, il costo di un compito ripetitivo diminuisce secondo una percentuale fissa ogni volta che il volume di produzione raddoppia [Hax e Majluf, 1982]. La riduzione origina dalla capacità di svolgere meglio i propri compiti, ottenuta attraverso la sempre migliore conoscenza delle fasi e delle caratteristiche del proprio lavoro. I costi da considerare sono quelli di lavoro direttamente legati alla produzione, a cui andrebbero aggiunti anche quelli del personale tecnico, di marketing e della struttura manageriale, che, nel tempo, conseguono ciò che viene definito l'"apprendimento organizzativo". La curva di apprendimento viene quindi definita dall'andamento dei costi unitari di prodotto, al variare del volume cumulato di produzione.

Essa influenza il ciclo di vita del prodotto. Una curva di apprendimento ripida implica, ad esempio, un rapido abbassarsi dei costi, che dovrebbe accelerare la fase di sviluppo. Un apprendimento lento può prolungare la fase di introduzione, con evidenti riflessi sulla prestazione economica e finanziaria del prodotto (figura 1.6). Se l'analisi viene limitata al CVP, nel momento in cui le vendite diminuiscono, si può essere tentati di considerare finita la vita del prodotto.

Tuttavia, analizzando la CA ci si potrebbe rendere conto di possibili progressi nel settore produttivo tali da rilanciare o da giustificare investimenti sul prodotto.

La sola focalizzazione sulla CA può portare a forti riduzioni di costo, che possono però non trasformarsi in vantaggi di mercato a causa della situazione di invecchiamento del prodotto [Yelle, 1983]. L'analisi del caso della Ford Modello T è a questo proposito emblematica.

Nonostante le vantaggiose riduzioni di prezzo, ottenute attraverso una standardizzazione spinta che faceva scendere rapidamente la CA, l'auto venne abbandonata dal mercato e sostituita con modelli più aggiornati, costringendo la Ford alla chiusura degli stabilimenti per un anno, per ristrutturare la produzione, assai rigida, e permettere il lancio di nuovi modelli . L'analisi congiunta avrebbe evitato queste misure drastiche, poiché già da alcuni anni era evidente che il prodotto si collocava nella fase di saturazione, ammorbidita temporaneamente da un breve

"riciclo".

L'uso tradizionale del concetto di CVP porta a presupporre che tutti i prodotti, che si trovano nella stessa fase, affrontino rischi e opportunità simili, non distinguendo tra posizioni di mercato

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relativamente forti e deboli. Per ovviare a questo limite è stata proposto [Barksdale e Harris, 1982] un utilizzo congiunto del CVP e della matrice del Boston Consulting Group (BCG).

La matrice BCG classifica i binomi prodotto-mercato in quattro settori, secondo due dimensioni:

il tasso di crescita del mercato e la quota di mercato (figura 1.7). La posizione di ogni prodotto rispetto a queste due variabili è evidenziata da cerchi, la cui superficie rappresenta la dimensione del fatturato del prodotto. Ogni quadrante caratterizza la situazione dei prodotti contenuti, secondo una assegnazione di nomi vagamente immaginifici. I prodotti che si trovano nel quadrante 1 (alta crescita-bassa quota) sono definiti Gatti Selvaggi (Wild Cats) e possiedono piccole quote in un mercato in forte espansione, con un flusso di cassa negativo, e con un destino incerto. I prodotti del quadrante 2 (alta crescita-alta quota) sono nominati Stelle (Stars);

presentano un saldo nullo del flusso di cassa, ma richiedono investimenti continui per il mantenimento della posizione, anche se possiedono una forte attrazione in termini di prospettive future. I prodotti del quadrante 3 (bassa crescita-alta quota), Mucche da Latte (Cash Cows), generano un flusso di cassa fortemente positivo, che viene utilizzato per finanziare gli altri prodotti. Nel quadrante 4 (bassa crescita-bassa quota) si trovano i Cani (Dogs), che sono tenuti in vita fino a che mantengono la possibilità di autofinanziarsi, dopo di che vengono abbandonati. La sequenza numerica dei quadranti rappresenta il percorso virtuoso dei prodotti: da Gatti Selvaggi a Star, a Mucche da Latte, a Cani.

La matrice BCG ha il limite di ignorare la differenza tra prodotti nuovi, maturi e in declino; non verifica cioè la situazione del portafoglio in chiave dinamica, ma privilegia una lettura statica.

Poiché tra matrice BCG e CVP esiste un importante collegamento - infatti le fasi del ciclo di vita e il tasso di espansione del mercato sono determinati dal ritmo delle vendite - è possibile un utilizzo comune. Si possono così posizionare le classificazioni BCG su una curva del ciclo di vita (figura 1.8), evidenziandone la dinamica, e arricchendo le tipologie di prodotto con i "Neonati", i

"Veterani", le "Carcasse" [Barksdale e Harris, 1982]. I Neonati sono i prodotti in fase di lancio, su cui occorre sospendere il giudizio, fino al momento della crescita. La quota non è significativa e giudicabile; lo sviluppo del mercato è incerto poiché spesso si tratta di prodotti fortemente innovativi, che richiedono una fase di apprendimento da parte del consumatore. I Veterani sono prodotti di successo in una situazione di mercato in declino; se gestiti adeguatamente possono rivelarsi ancora forti generatori di cassa. Le Carcasse detengono piccole quote in mercati in declino. In genere dovrebbero essere eliminate dal portafoglio, poiché aggiungono un flusso negativo di cassa a scarsissime possibilità di sviluppo.

<>L'utilizzo congiunto offre una struttura di informazioni più ampia per la gestione del prodotto.

La classificazione dei prodotti che ne deriva sottolinea la situazione concorrenziale, la dimensione dinamica e la posizione nel portafoglio. Introduce inoltre un importante correttivo all'analisi del ciclo di vita, che non si basa più soltanto sul fatturato, ma anche sulla quota di mercato.

L'applicazione del concetto di CVP è stata studiata anche in relazione alla redditività dei prodotti [Abell e Hammond, 1986; Buzzel e Gale, 1988]. Indagini empiriche promosse su 450 aziende statunitensi hanno evidenziato un collegamento tra ROI, CVP, e dimensioni della gamma prodotti (figura 1.9), che sottolinea una crescita di redditività al diminuire dell'ampiezza della gamma in fase di declino. Ciò confermerebbe empiricamente le indicazioni che emergono, per la gestione dei prodotti, dal ciclo di vita.

Un collegamento ormai classico in letteratura è quello tra CVP e margini di profitto (figura 1.10). Secondo questo collegamento, nella fase di introduzione i profitti, a causa dell'elevato livello delle spese commerciali e di mancanza di esperienza produttiva, sono negativi. Questa situazione cambia nella fase di sviluppo e i profitti raggiungono il loro apice nella fase di maturità, per poi ricadere, pur mantenendosi positivi, nelle fasi di saturazione e declino. La complessità, che sempre esiste nella determinazione dei costi, non permette di costruire una

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relazione precisa fra stadio del ciclo e profitti; il modello suggerisce una buona approssimazione, ma deve essere adattato alle specifiche condizioni di mercato che ogni prodotto affronta.

Si può sottolineare, comunque, che il CVP, al di là dei suoi conosciuti limiti, rappresenta un modello di analisi significativo per la gestione del prodotto. Ciò non solo nell'ambito di un suo utilizzo unico, ma soprattutto là dove si accompagna ad altri strumenti. E' forse questa l'indicazione più interessante che emerge dalla letteratura e dalla applicazione operativa: il concetto di CVP va applicato con le dovute attenzioni alla gestione del marketing mix, e in particolare del prodotto; il suo utilizzo combinato ad altri modelli interpretativi può aumentarne l'attendibilità, evitando le trappole che ad esso sono collegate; l'uso congiunto rende più potenti ed efficaci anche i modelli "partner" (CA, BCG, ROI), ampliandone il campo applicativo.

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