• Non ci sono risultati.

Capitolo IV

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo IV"

Copied!
84
0
0

Testo completo

(1)

118

Capitolo IV

Il controllo sociale delle prostitute a Pisa.

In questo capitolo verranno affrontate una serie di tematiche relative alla sorveglianza delle prostitute, compito affidato all’Ufficio Sanitario.

Nel primo paragrafo verrà tracciato un quadro di lungo periodo in merito alle politiche di controllo della prostituzione seguite nel cinquantennio preunitario da parte dei governi granducali, mentre nel secondo l’analisi riguarderà la struttura urbanistica, demografica, economica e sociale della città in questo periodo di cambiamento.

Nel terzo paragrafo parlerò dello stato generale della sanità a Pisa, sia per quanto riguarda questioni cliniche e statistiche che per quanto concerne lo sviluppo della facoltà medica e dell’ospedale Santa Chiara.

Nei paragrafi successivi esporrò i risultati derivanti dallo studio delle fonti archivistiche prodotte dall’Ufficio Sanitario di Pisa. Le piccole dimensioni della città non devono trarre in inganno circa il volume di lavoro spettante ai Delegati di PS e ai medici dell’Ufficio Sanitario e in particolare del Sifilicomio, poiché la estesa e popolosa campagna pisana e soprattutto la vicinanza di Livorno, comportavano un continuo movimento di prostitute che obbligava le questure delle due città a mantenere contatti ordinari e spesso conflittuali sul tema della prostituzione.

Nel quarto paragrafo verranno descritte brevemente, poiché le fonti in merito non sono molto corpose, le caratteristiche del Drappello di Pisa di PS, la sua consistenza e il suo organico, concentrandosi in particolare sulle guardie e sui Delegati di PS che hanno gestito l’Ufficio Sanitario. Successivamente verrà presa in considerazione la figura molto poco conosciuta dell’Ispettore Sanitario e Medico Visitatore Emilio Moretti, il quale manterrà l’incarico per tutto il periodo studiato, e dei suoi collaboratori addetti alle visite delle prostitute.

Nel quinto paragrafo verrà analizzato il dispositivo di sorveglianza sulle prostitute sotto molteplici aspetti, come la gestione ordinaria della politica dei cambi di residenza fra rispetto delle regole e continue infrazioni, le misure messe in campo contro la prostituzione clandestina attraverso una politica di ripetuti arresti per infrazioni al

(2)

119

regolamento, la sorveglianza scaturita da denunce fatte da soggetti molto diversi tra loro ma tutti preoccupati dello scandalo pubblico recato dagli atteggiamenti di molte donne e di alcuni uomini. In questo contesto, per quanto i verbali degli interrogatori non possano considerarsi una fonte sempre credibile, cercherò di dare voce alle prostitute attraverso l’analisi di alcuni casi particolarmente rappresentativi della dinamica relazionale.

Nel sesto paragrafo verranno prese in considerazione le altre due facce della prostituzione, quella dei tenutari e quella dei maschi che, sotto svariate vesti, si trovavano ad entrare in contatto con la PS e con le prostitute. Questi soggetti maschili, che possono essere spietati clienti, onesti padri di famiglia, avventori sprovveduti, militari ubriachi, mecenati romantici, mariti, fidanzati, fratelli, si trovarono ad interagire in molti modi con le forze dell’ordine, sia come imputati di disordini e crimini che come aspiranti mallevadori delle donne alle quali erano legati.

Nel settimo paragrafo verrà analizzata la gestione di lungo periodo dell’Ufficio Sanitario di Pisa, prendendo in considerazione aspetti statistici e fiscali, sullo sfondo delle vicende storiche che vedevano interagire Pisa, Livorno, Roma.

4.1) Il controllo della prostituzione nel Granducato di Toscana. Dalle

Istruzioni sulla tolleranza delle pubbliche prostitute del 1855 alla ricezione

del Regolamento Cavour.

Come ho accennato nel secondo e nel terzo capitolo, molta storiografia sostiene che nel cinquantennio preunitario nel governo granducale toscano emergano alcuni elementi di liberalità e moderazione, specie in relazione ad altri sistemi di governo presenti nella penisola.

Non è questa la sede per discutere una simile tematica, sebbene non sia discutibile il fatto che il governo granducale ottocentesco, come diceva Oriani, non rinunciò ad affidare al buongoverno competenze e libertà d’azione molto estese.1

Tuttavia, almeno per quanto riguarda la gestione della prostituzione, sembra che le politiche seguite dai governi preunitari toscani fossero ispirate da una certo

1 Si veda il terzo capitolo, paragrafo 3.2.

(3)

120

disinteresse e lassismo di fondo basato su metodi non particolarmente violenti, soprattutto se rapportati a quelli piemontesi.2 Inoltre non vi sono prove di ordinanze particolarmente repressive nel corso della prima metà del secolo.

Questa tendenza, a mio avviso, gioca un ruolo non secondario nella concezione secondo cui le politiche sulla prostituzione toscane fossero molto moderate, poiché in ogni caso la Toscana intraprese la via del regolamentazionismo poliziesco in piena autonomia.

Dal lavoro di Michela Turno, emerge come la classe dirigente toscana ottocentesca avesse introiettato alcune tematiche proprie dell’illuminismo leopoldino, rimanendo saldamente legata ad uno spirito paternalista e autoritario. Questa visione del mondo ebbe ripercussioni di lunga durata che influenzarono alcuni aspetti della vita sociale, come ad esempio le politiche statali di controllo della prostituzione. In questo contesto, nei cinquanta anni preunitari, le politiche seguite dal Granducato e dal Regno di Sardegna prendono due strade in parte diverse.

Turno, partendo dall’analisi del Codice Penale toscano rimasto in vigore fino al 18893, individua una periodizzazione che investe i periodi 1814-1845 e 1848-1855.

Durante il periodo dell’occupazione francese, nel 1810 il governo emanò uno stralcio di legislazione ricalcata sul modello parigino che introdusse per la prima volta il concetto di notorietà della meretrice.4 Le prostitute non vennero concentrate in particolari quartieri, mentre nello stesso anno venne istituito anche a Pisa un servizio sanitario composto da chirurghi fiscali con il compito effettuare le visite. Le donne riscontrate malate venivano inviate in luoghi di cura o presso la propria abitazione, mentre era loro vietato di prostituirsi fino a che non fosse avvenuta la completa guarigione.5

2

Nel periodo che va dagli anni ‘80 del ‘700 agli anni ‘10 dell’800, le fonti prodotte dal buongoverno non sembrano accennare alla prostituzione. Canosa R., Sesso e Stato, p. 27.

3

Nel codice penale toscano, il Titolo VI riuniva tutti i reati contro la morale (dallo stupro al lenocinio) secondo una logica distante dalla standardizzazione che caratterizzerà il regolamento Cavour. Molti reati, come lo stupro ad esempio, erano puniti diversamente in base alla tipologia del soggetto vittima della violenza (se prostituta o donna onesta ad esempio), mentre nel caso specifico della prostituzione il codice dichiara semplicemente come il meretricio fosse sottoposto al controllo della polizia amministrativa, senza specificare altro. Come sostiene giustamente Turno, una simile realtà rifletteva senza dubbio l’esistenza di una prassi consolidata che non richiedeva ulteriori specificazioni. Turno M., Il

malo esempio, pp. 31-34.

4 Si veda a tal proposito il primo capitolo, paragrafo 1.3. 5 Canosa R., Sesso e Stato, p. 27.

(4)

121

Successivamente al 1814, le norme sulla prostituzione tollerata furono abrogate dai Lorena. Il sostanziale vuoto legislativo che ne derivò, sembra testimoniare un disinteresse di fatto della classe dirigente toscana verso la prostituzione. Nei trentacinque anni successivi alla sconfitta di Napoleone, la prostituzione a Pisa e in Toscana fu controllata con estemporanei provvedimenti ad hoc in casi di emergenza, mentre la sua sorveglianza ordinaria doveva esplicarsi più che altro attraverso una prassi consolidata.

Nel 1830 viene emanato il Regolamento sulle visite da farsi alle donne tollerate. Composto di sette articoli, esso obbliga in sostanza dei chirurghi fiscali ad eseguire tre visite mensili alle prostitute.6

Rimasto in vigore fino al 1855, questo sistema vide sgretolarsi le sue fondamenta dalla metà degli anni ’40, quando svariati scandali circa il comportamento di alcuni poliziotti misero in dubbio la sua credibilità. Nel luglio del 1845, il Governatore di Livorno, scoprì che l’ex sotto ispettore di Pisa aveva ripetutamente abusato del suo potere estorcendo denaro alle prostitute visitate.7 Questa ingerenza della polizia rispetto agli emolumenti per le visite fu lamentata anche dal chirurgo fiscale di Pisa Emilio Moretti, futuro ispettore sanitario della città, il quale non condivideva il fatto che delle tre visite previste, una fosse senza alcun motivo eseguita dal sotto ispettore che ne incassava la diaria.8 Nel 1846 il buongoverno abolì la pratica degli emolumenti concepita dalle istruzioni del 1830.

Fra l’estate e l’autunno del 1846, in seguito ad un dibattito durato circa due anni circa la necessità di una legislazione unitaria, vengono presentati due progetti di regolamento sulla prostituzione molto diversi fra loro.

Il primo, redatto a Livorno, era composto di 77 articoli e ispirato a quello della città di Bruxelles; il secondo, redatto a Pisa, era composto da soltanto 13 articoli e stabiliva che la iscrizione nei registri poteva avvenire solo per richiesta della donna alla polizia, mentre proponeva di abolire la riscossione di qualsiasi tassa sul meretricio.9 Sebbene le autorità avessero mostrato un maggior interesse per il testo livornese, le proposte di regolamento rimasero lettera morta.

6 Turno M., Il malo esempio, p. 83. 7

Ibidem.

8 Ivi, p. 84. 9 Ivi, p. 86.

(5)

122

Bisogna attendere gli anni 1848-49 per osservare una presa di posizione certa della politica verso il meretricio. In seguito alla presenza di truppe straniere nel territorio granducale, nel 1849 viene istituita la visita medica obbligatoria per le donne arrestate per libertinaggio. Questo, secondo Turno, segna un punto di svolta decisivo nella politica prostituzionale toscana. In poco tempo il Regio Fisco si trovò a dover rimborsare cifre molto alte per le visite effettuate, e per questo motivo fra il 1851 e il 1854 venne redatta una prima bozza di regolamento chiamata Norme sulla tolleranza della pubblica prostituzione che contemplasse anche aspetti fiscali. Il testo si ispira evidentemente a quello belga, condannando senza mezzi termini la prostituzione esercitata fuori dalla sorveglianza dello stato.10

Sulla base di questo testo, ma con delle significative variazioni, vengono emanate le Istruzioni sulla tolleranza delle pubbliche prostitute (17 marzo 1855).

Sebbene per la prima volta venga regolamentata la prostituzione pubblica – patente, postriboli, visite e apparato fiscale - anche solo uno sguardo sommario alle norme contenute nei 55 articoli regolamento rivela una certa differenza di impostazione rispetto ad esempio alle coeve Istruzioni provvisorie piemontesi del 1857. Gli articoli più duri delle Norme vennero cancellati, mentre il tono e il linguaggio sono privi del disprezzo per la prostituta tipico del Regolamento Cavour.

In particolare, sono le norme per la registrazione e la cancellazione a risultare diverse da quelle piemontesi.

Nel primo caso, la patente era accordata a donne ch avessero compiuto 18 anni, sane e senza pendenze giudiziarie in corso ma con precedenti per libertinaggio, senza figli e senza l’opposizione della famiglia. Le regole per la cancellazione sembrano invece simili a delle autocertificazioni, giacché l’art. 28 dice che “non è impedito alle tollerate di renunziare ogni qualvolta vogliano alla patente, e di abbandonare le case di tolleranza, sempreché ne diano preventivo avviso alle delegazioni”.11 Nelle Istruzioni toscane, in breve, era più facile che la donna potesse riabilitarsi senza eccessivi impedimenti di sorta.

10 Ivi, p. 91.

(6)

123

Se questo aspetto non è affatto secondario, poiché le registrazioni e cancellazioni nei decenni successivi saranno sottoposte a ben altra legislazione, le Istruzioni del 1855 erano comunque un testo pienamente regolamentazionista.

Insomma, quanto detto evidenzia senza dubbio una realtà di lungo periodo caratterizzata da una certa flessibilità della polizia e della magistratura nei confronti delle prostitute. Inoltre, come confermano le fonti pisane, sembra che la principale preoccupazione delle autorità fosse diretta ad evitare la pubblicità dello scandalo scaturito da certi comportamenti, piuttosto che la criminalizzazione secca della prostituta. Secondo Turno, in Toscana vigeva una sostanziale confusione interpretativa rispetto a tutta una serie di figure sociali dalla dubbia moralità (la semplice scostumata e la prostituta ad esempio) che lo stato non ebbe interesse ad etichettare in modo specifico. Infine, le norme relative alla cancellazione mettono in luce come il panorama giuridico fosse caratterizzato dal concetto di “presunzione d’onestà” delle donne accusate di prostituzione abituale.12

Il contesto descritto è sotto tutti gli aspetti figlio del suo tempo, sebbene una diversa tradizione politica e giuridica avessero creato le basi per un percorso autonomo non corrispondente al più rigido regolamentazionismo che faceva breccia in altre realtà italiane, sulla base di una minor frattura e un originale rielaborazione dell’impronta napoleonica.13

Tuttavia, l’idea di Turno secondo cui l’estensione del Regolamento Cavour abbia rappresentato un vero e proprio strappo, una rottura netta col passato, a mio avviso è poco condivisibile. Nel dibattito e nei progetti di legge fra gli anni 30-40, emerge come una larga fetta della classe dirigente e amministrativa avesse una spiccata predilezione per il regolamento belga.

La Toscana, che approvò il suo regolamento e ne affidò la competenza alla polizia due anni prima del Piemonte, citata dal Sarnelli per i progressi fatti contro la prostituzione nella città di Livorno,14 non può essere considerata una realtà estranea ai principi che introdusse il Regolamento Cavour al punto di creare uno strappo netto col passato.

12

Ivi, p. 22.

13 Menichetti G., Per una lettura storico-sociologica della provincia pisana fra 8-900, in Una città tra

provincia e mutamento: società, cultura e istituzioni a Pisa nell’età della restaurazione. Mostra

documentaria 16 novembre – 21 dicembre 1985, Archivio di Stato, Pisa, 1985, p. 20.

(7)

124

In ogni caso le Istruzioni ebbero vita molto breve, sostituite dal Regolamento Cavour dopo solo cinque anni dalla loro approvazione.

4.2) Struttura urbana, popolazione, istruzione, economia a Pisa

.

In termini generali, è possibile sostenere che la Pisa ottocentesca appartenesse a quel genere di città partecipi solo in parte e in modo tardivo al processo di industrializzazione e inurbamento caratteristico di altre città italiane del centro nord. Sul piano urbanistico, secondo Masetti, Pisa rimane sostanzialmente una piccola città caratterizzata da una stasi urbanistica e una forte persistenza dell’assetto medievale della città. Ancora nel 1864 la quasi totalità della città si trova entro la cinta muraria progettata da Cocco Griffi nel XII secolo. Se fra il 1865-1874 si apre un decennio di rinnovamento edilizio volto a dare una immagine borghese alla città, occorre attendere il ventennio a cavallo fra 8-900 per assistere ad un reale primo mutamento urbanistico, segno di un processo di crescita economica e demografica non esplosivo. Tuttavia, nonostante una crescita senza impennate ma costante nei decenni, anche a Pisa affluiva un discreto movimento di proletari dalle campagne, in buona parte donne impiegate nella nascente industria cotoniera.15

Questo aspetto non è secondario per ciò che riguarda la gestione della moralità pubblica e della prostituzione. Sebbene infatti Pisa non rappresenti un esempio ideale della politica urbanistica di sventramenti seguenti agli anni 70, alcune aree come quella dell’odierna Piazza Dante rappresentarono una spina nel fianco delle autorità per lungo tempo, giacché nel dedalo di vicoli che all’epoca caratterizzava la parte retrostante Via dell’Arancio avvenivano continui disordini e problemi legati alla prostituzione clandestina e all’aggregazione in genere delle classi pericolose. Lo stravolgimento urbanistico della città medievale, dovuto anche a questioni prettamente igieniche, avvenne solo parzialmente e piuttosto tardivamente, rendendo

15

Masetti A., Pisa, storia urbana. Piante e vedute dalle origini al secolo XX, Pisa, 1964, pp. 63-67. Cfr. Gestri L., Origini e primo sviluppo dell’industria a Pisa e provincia (1815-1914), in Una città tra provincia

(8)

125

più difficili le operazioni di controllo del territorio e della popolazione da parte della polizia dei costumi.

La popolazione della provincia aumenta in modo costante ma senza boom particolari, passando da 150.587 a 239.208 fra il 1810-1860 con un aumento medio annuo di circa 1800 individui. Nel quarantennio successivo continua approssimativamente questo trend, portando la popolazione a 274.568 nel 1880 e a 307.782 nel 1900.16 Per quanto riguarda la città di Pisa, si passa da 27.271 abitanti nel 1810 a 44.915 nel 1860, con un incremento medio di circa 350 unità all’anno. Nei quattro decenni successivi si passa da 53.356 nel 1880 a 60.957 nel 1900, con un incremento medio annuo di 400 unità. In breve, la popolazione di Pisa è poco più raddoppiata nel corso dell’800,17 un aumento non trascurabile ma che, come diceva l’assessore comunale all’igiene Antonio Feroci, “non è minimante temibile”.18

Quello che interessa e che emergerà in seguito, è notare come a fronte di un aumento lento ma costante della popolazione, in gran parte proletaria e femminile, corrisponda solo minimamente una crescita del numero di tollerate. Questo appare ancora più importante se rapportato ai seguenti parametri.

Secondo i resoconti di Feroci, fra il 1881-1888 la popolazione del comune di Pisa vedeva, in linea con la media di molte altre realtà, una leggera supremazia del sesso femminile non scalzata dalla presenza di circa 1500 militari.19

Secondo il censimento del 1871, ben oltre il 50% della popolazione aveva meno di 30 anni, il 58% non era sposata (maschi e femmine in eguale proporzione), il 34% sposata, circa l’8% vedova, con una leggera supremazia femminile.20

Come più volte ho accennato in questo lavoro, nella mentalità del tempo regnava un’angoscia costante dovuta al vistoso processo di inurbamento delle classi pericolose. La crescita dell’immigrazione femminile era percepita come un rischio grave per la moralità e la sanità cittadine, in quanto le giovani proletarie erano costantemente

16

Bandettini P., La popolazione della Toscana dal 1810 al 1959, Camera di Commercio di Firenze, Firenze, 1961, p. 271.

17

Ivi, p. 297.

18

Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, Nistri, Pisa, 1877, p. 107.

19 Feroci A., Pisa e la sua provincia. Notizie statistico-sanitarie dell’anno 1888, Tipografia Vannucchi,

Pisa, 1889, pp. 353-4. Feroci dice come i circa 50.000 abitanti del comune fossero ripartiti al 50% fra la città vera e propria e i paesi rurali satellite come Calci.

(9)

126

sospettate di esercitare la prostituzione clandestina. Non vi è dubbio che, se le ansie della classe dirigente e delle autorità in merito fossero state fondate, il numero delle tollerate avrebbe dovuto crescere molto nel corso degli anni, ma la realtà pisana si mantiene decisamente stabile nel tempo, testimoniando come le paure della borghesia avessero un fondamento esclusivamente ideologico legato alla visione del ruolo della donna nella società.

Più o meno in linea con il dato nazionale, il livello di istruzione medio lasciava molto a desiderare.21 E’ già stato notato come la situazione dell’alfabetizzazione a Pisa non fosse prospera, ma occorre disaggregare i dati per valutare il livello d’istruzione in città e campagna.

Nel 1863, a Pisa, in base alle relazione del prefetto Luigi Torelli, il tasso di analfabetismo provinciale era del 75%, 68,2% nei maschi e 83,2% per le femmine. Questo dato, escludendo Pisa e Volterra, ammontava al 90%. Nella città capoluogo il tasso di analfabetismo era del 58% in media, con una netta differenza fra la situazione dentro le mura e nelle aree rurali circostanti. Infatti era analfabeta il 49% degli abitanti cittadini contro circa il 70% di quelli di Calci ad esempio, mentre entro le mura si riproponeva la stessa sproporzione maschi-femmine, con il 49% dei maschi analfabeti contro il 67% delle femmine.22 Secondo i dati riportati da Feroci per il 1871, in città l’analfabetismo femminile scende al 47% e quello maschile al 37%, mentre ancora nel 1901 i dati sono rispettivamente del 42% e 26%.23 Questo significa nel corso di un quarantennio l’analfabetismo femminile diminuisce di circa il 25%. Come emergerà nei paragrafi successivi, le prostitute registrate nella città sembrano seguire il trend nazionale descritto nel terzo capitolo. Probabilmente la loro provenienza spesso rurale, unita ad una condizione economica che difficilmente poteva aver spinto le famiglie ad occuparsi della loro educazione scolastica in età infantile, fece si che le prostitute registrate a Pisa mantenessero quasi invariati nel tempo tassi di analfabetismo molto

21

Scardozzi M., L’istruzione femminile a Pisa e provincia nell’ottocento, in (a cura di) Fasano Guarini E., Galoppini A., Peretti A, Fuori dall’ombra. Studi di storia delle donne nella provincia di Pisa (secoli XIX e

XX), Plus, Pisa University Press, Pisa, 2006 pp. 155-207.

22 Ivi, pp. 155-6.

(10)

127

simili a quelli delle popolazioni rurali intorno all’80%, con una forte sproporzione nei confronti della popolazione femminile cittadina.

Nello stesso censimento del 1871 risulta anche che circa il 50% della popolazione cittadina fosse occupata, con una netta preponderanza maschile. Infatti su 12.850 occupati in città, ben 9248 sono uomini a fronte di 3327 donne, per la stragrande maggioranza occupate nel settore cotoniero cittadino.24

Quest’ultima asserzione permette di analizzare brevemente la realtà economica e lavorativa pisana nella seconda metà dell’800, la quale influenza chiaramente il movimento di donne proletarie dirette verso la nascente industria cittadina e quindi potenzialmente anche la loro esposizione ai rischi legati all’applicazione del Regolamento Cavour.

Come emerge dal lavoro di Gestri, la Pisa di metà ‘800 è una realtà tendenzialmente sonnolenta e legata a forme di organizzazione aziendale e del territorio figlie del panorama culturale di matrice leopoldina, dove iniziano a sorgere un gran numero di piccoli stabilimenti industriali legati principalmente al tessile che però faticano a recepire il modello capitalistico orientato verso la concentrazione della manodopera in singoli opifici.

Nella mentalità della classe dirigente pisana, predomina una visione nella quale si tenta di arginare il fenomeno della concentrazione della manodopera operaia nelle fabbriche e nei sobborghi, in vista del mantenimento dei sistemi tradizionali di produzione funzionali ad una certa organizzazione sociale.25 Questa caratteristica si riflette in un uso dei capitali molto diverso dal modello borghese classico, favorisce una grossa frammentazione industriale e soprattutto contribuisce in modo determinante a creare quelli che, sul lungo periodo, sembrano rappresentare i tratti salienti dell’economia pisana.

Da un lato la persistenza a oltranza e in gran percentuale del lavoro a domicilio, il quale implicava numerosi viaggi in città nel corso dell’anno; dall’altro il pendolarismo dalle campagne legato al lavoro a cottimo negli opifici. Entrambe queste modalità di accesso

24

Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, pp. 221 sgg.

25 Gestri L., Origini e primo sviluppo dell’industria a Pisa e provincia, pp. 34-35. Cfr. Menichetti G., Per

(11)

128

al lavoro femminile, impediscono una netta cesura fra settore primario e secondario tipica delle città propriamente industriali.26

D’altra parte il mantenimento di queste forme di pendolarismo industriale non faceva che alimentare le paure di un personaggio come Rinaldo Ruschi, esponente dell’aristocrazia cittadina e senatore del Regno, il quale si dichiarava preoccupato di come gruppi di operaie disinvolte sostassero al calar del sole fuori dalle mura prima di tornare alle loro case, peraltro soggette allo stereotipo secondo cui la fabbrica rappresenti l’antitesi delle femminilità onesta, produttrice di svilimento morale e fisico dell’angelo del focolare. 27

Se il settore agricolo rappresenta dunque ancora la quota maggioritaria della popolazione provinciale28, Gestri illustra come dagli anni 20 a Pisa inizi ad impiantarsi una vivace industria cotoniera sostenuta in gran parte da rinomate famiglie israelite pisane come i Nissim, Pontecorvo o i Gentiluomo. Nella città, nel 1863, esistevano 20 opifici cotonieri cittadini con circa 2271 addetti, di cui 2086 donne.29 In ogni caso, se i dati aggregati con realtà come Pontedera sbilanciavano decisamente il pendolo in favore della produzione a domicilio, il capoluogo sembra artefice di un processo di concentrazione industriale superiore a quello di centri minori, sebbene lo stesso Nissim avesse circa il 30% della sua produzione localizzata a domicilio nel 1872.30

Nonostante la crisi del settore cotoniero degli anni 60, la diminuzione dell’occupazione nel settore tessile fu meno marcata che altrove. Nel 1881 la manodopera femminile a domicilio e concentrata attiva nel tessile ammontava a oltre 15.882 addette contro 1690 maschi, mentre ancora nel 1893 erano attive circa 4000 donne negli opifici cotonieri pisani.31

26 Ivi, p. 42. Cfr. Tolaini E., La città di Pisa nella storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari, 1992, p. 141. 27

Dinucci G., Donne e fabbrica. Il lavoro femminile nella trasformazione industriale dell’area pisana:

dall’unità al fascismo, in (a cura di) Fasano Guarini E., Galoppini A., Peretti A, Fuori dall’ombra. Studi di storia delle donne nella provincia di Pisa (secoli XIX e XX), pp. 323-6.

28

Feroci dice che nel 1864 l’agricoltura era la quinta impresa per ordine di importanza della popolazione cittadina pisana, e che la maggioranza della popolazione urbana è occupata nel tessile e nei servizi. Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, p. 83.

29 Gestri L., Origini e primo sviluppo dell’industria a Pisa e provincia, pp. 36-40. 30

Ivi, p. 46.

31 Ivi, p. 76. Dinucci G., Donne e fabbrica, pp. 336, 339.Cfr. Gestri L., Origini e primo sviluppo

(12)

129

Le condizioni di lavoro generali, come illustra Dinucci, non si distanziavano da quelle di molte altre realtà italiane descritte nel terzo capitolo, con paghe decisamente inferiori a quelle maschili, turni fino a 12 ore, largissimo uso di lavoro minorile.32

Le fabbrichine, secondo l’appellativo popolare verso le lavoranti nei numerosi opifici tessili cittadini, affollavano il centro storico e provocavano le ansie anche dei loro compagni operai maschi, oltre a rappresentare la fetta più consistente dell’occupazione femminile non agricola della provincia. Descritte spesso come spavalde e disinvolte, esse vivevano in un contesto che abbastanza raramente era caratterizzato dalla cesura netta col mondo rurale, sebbene la loro vita materiale e morale fosse sostanzialmente diversa rispetto a quella delle tipiche ragazze delle famiglie mezzadrili sottoposte al rigido rigore patriarcale.33

Queste donne erano sottoposte ad una dura disciplina di fabbrica e concentrate negli stabilimenti localizzati selvaggiamente entro le mura, esposte dunque a situazioni igieniche molto precarie e ad una promiscuità generale che impauriva le autorità. Per coloro che invece emigravano stabilmente a Pisa, ci dice ancora Feroci, la situazione non era migliore nei nascenti quartieri operai.34

Come illustrerò nei prossimi paragrafi, queste considerazioni non trovano minimamente riscontro nella gestione della prostituzione cittadina. Le operaie pisane, quale che fosse la loro condizione personale, contribuirono in modo irrisorio al contingente di tollerate iscritte nei registri cittadini.

Nel contesto socio-economico descritto le donne giocano un ruolo primario ingrossando le fila del proletariato urbano, seguite a lunga distanza dalle lavoranti nell’abbigliamento, dalle domestiche e donne di servizio attive nei numerosi alberghi cittadini,35 sebbene queste attività subiscano un calo deciso di presenze a ridosso degli anni ’80.36

32

Dinucci G., Donne e fabbrica, pp. 333 sgg.

33

Ivi, pp. 345-6. Cfr. Biagioli G., Le donne contadine del mondo a metà, in Fuori dall’ombra. Studi di

storia delle donne nella provincia di Pisa (secoli XIX e XX), pp. 247 sgg.

34

Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, p. 86.

35

Intorno alla metà dell’800, è probabile che circa il 10% delle donne attive in città fosse dedita ai servizi domestici. Cfr. Strutture sanitarie a Pisa: contributi alla storia di una città (sec. XIII-XIX), Pisa,

Palazzo Lanfranchi 14 giugno-6 luglio 1986, Pisa, 1987, p. 252.

36 Feroci A., Pisa e i forestieri, Tipografia Mariotti, Pisa, 1880. In questo interessante opuscolo scritto da

(13)

130

Se le autorità credevano che l’inurbamento delle masse proletarie femminili e la loro concentrazione nelle fabbriche provocasse un effetto nefasto in quanto a moralità e sanità, i dati smentiscono seccamente questo assunto. Composto di giovani donne nubili e generalmente analfabete, il proletariato femminile sembra essere stato protetto più che rovinato dalla vita di fabbrica, almeno per quanto riguarda il rischio di cadere nella prostituzione. Anche sul lungo periodo, nonostante la crisi del tessile e l’inevitabile diminuzione dell’occupazione femminile, le prostitute registrate raramente avevano lavorato in fabbrica.

Questo dimostra come le angosce della classe dirigente fossero fondate sulla base di moventi ideologici, senza un’analisi razionale che avrebbe evidenziato come molti dei pregiudizi diffusi sulle fabbrichine fossero infondati. Prendendo spunto dai lavori di Foucault e Chevalier, emerge come il controllo della sessualità femminile e la sorveglianza sulle classi pericolose sembrino fondersi nell’immagine dell’operaia di fabbrica sospettata di prostituzione. Tutta questa costruzione culturale, che può essere considerata come una delle basi ideologiche del pensiero regolamentazionista, si presenta funzionale alla grande operazione biopolitica rappresentata dal controllo del meretricio di stato, rivolto all’addomesticamento di donne considerate pericolose per il corpo sociale.

4.3) La sanità a Pisa

.

Come ho già accennato, la rete assistenziale della Toscana preunitaria si presentava migliore rispetto a quella di altre realtà nazionali.37 L’ordinamento sanitario granducale fu sostituito dalla legge di pubblica sanità del 1865 modellata sulla legislazione

Egli passava in rassegna le cause di questo presunto tracollo che creava problemi alle molte strutture alberghiere e ricettive in genere. Oltre a proporre una serie di interventi urbanistici in città che agevolino e rendano piacevole il soggiorno degli stranieri e dei molti malati che scelgono Pisa come meta invernale per il suo rinomato clima temperato, egli sostiene che sia fondamentale spostare il carcere dal San Matteo e ripulire le strade dai moltissimi accattoni, mendicanti, vagabondi, e tutti i soggetti appartenenti alle classi pericolose. Emerge una visione molto affine alle teorie comunemente accettate, accompagnata da una visione profondamente moralistica della società e della missione etica spettante al funzionario dello stato.

(14)

131

piemontese del 1847.38 Secondo le relazioni di Antonio Feroci, medico, assessore comunale all’igiene e capo del Consiglio Provinciale di Sanità, le condizioni generali della città e della provincia pisane si presentavano tutto sommato buone rispetto ai tempi.39

Nelle relazioni per il 1877, 1888, 1889, emerge un certo ottimismo da parte del funzionario a riguardo della mortalità e delle condizioni igieniche generali. Nei tre documenti vengono presi in considerazione parametri diversi (come il clima, l’alimentazione, le abitazioni e i comportamenti sociali) e sviluppati in forma schematica.

Da essi risulta come “le condizioni generali siano buone sotto ogni riguardo.”40 Fra il 1888-9, su una popolazione comunale di circa 56.000 abitanti, i morti sono stati circa 1500, dei quali il 40% entro il quinto anno di età.41

Dai prospetti riportati per il 1881-89, risulta come tutta una serie di malattie come il tifo, morbillo, difterite, provocassero fra le 30-40 vittime annue, altre come il vaiolo invece solo 16. La sifilide provocava circa 35 morti l’anno in media, tutti entro secondo anno d’età e pari al 2,55% delle morti totali. Se quindi la mortalità sifilitica restava ad un livello non troppo basso, non c’è dubbio che le cause maggiori di mortalità fossero imputabili a malattie ben più dannose per il corpo sociale, come morti per cause varie post parto (119 nel 1888), TBC e carcinomi (47 morti ciascuno), apoplessia cerebrale (89 morti), bronchite (113 morti), tisi (161 morti), complicazioni cardiache (141 morti), enteriti e gastriti (136 morti).42

Le condizioni igieniche e abitative della popolazione, in città come in campagna, non sono delle migliori. Come dice il funzionario,

le case del ricco, in città come in campagna, poco hanno che non sia approvato dall’Igiene (…). Per contrario, il popolo della città è obbligato a scegliersi una casa nelle strade le più strette ove male circola l’aria, ove per pochi istanti penetra raggio di sole, in cui l’umidità

38

Salute, Risorse e struttura sociale nell’800 pisano, in Strutture sanitarie a Pisa Contributi alla storia di

una città. Sec. XIII-XIX, Pisa, 1986, p. 250.

39

Per una visione d’insieme sulla figura di Feroci, si veda Tarantino L., Un liberale conservatore: Antonio

Feroci, Tesi di Laurea Specialistica, Risorsa elettronica, Università di Pisa, relatrice Vinzia Fiorino, Pisa,

2012.

40

Feroci A., Pisa e la sua provincia. Notizie statistico-sanitarie dell’anno 1888, pp. 360-2. Cfr. Feroci A.

Pisa e la sua provincia. Notizie statistico-sanitarie dell’anno 1889, Tipografia Vannucchi, Pisa, 1890, p.

285.

41 Ivi, p. 309.

(15)

132

filtra in ogni dove. Pisa, coi suoi bei lungarni, con alcune strade vaste e ben areate, ha però un numero non piccolo di vicoli, ove il popolo minuto s’affolla, e dove si riuniscono mille elementi di malsania. Tali, per esempio, Via dei Rigattieri, delle Acciughe, dei Mercanti, dei Martellacci, dell’Arancio e Tavoleria, quel labirinto di vicoli che conduce i Piazza delle Vettovaglie; tutte queste strade possono considerarsi come un vaso di Pandora, che contengono quanto eravi di nefasto.43

Parlando della sanità a Pisa e del suo sviluppo nel corso del XIX secolo, non è possibile non soffermarsi su quelle che il funzionario considerava due delle eccellenze principali nell’economia e nella società pisane: la facoltà medica universitaria e l’ospedale del Santa Chiara.

Come dice Mario del Tacca,

quando la Toscana entrò a far parte del Regno d’Italia l’ordinamento del corso di laurea in Medicina e Chirurgia differiva da quello che vigeva in Piemonte. (…) Il parlamento del Regno deliberò il 31 luglio 1862 di autorizzare il Ministro dell’istruzione a riordinare gli studi universitari. Il regolamento, approvato con decreto reale il 14 settembre 1862, stabiliva all’articolo 17 che “nulla è innovato quanto agli studi delle facoltà Medico-Chirurgiche in Toscana. (…) Nel 1865 il Comune di Pisa prese una serie di iniziative per completare la Facoltà Medica e l’8 dicembre 1867 il Sindaco rivolse una richiesta ufficiale al Prefetto per ottenere l’istituzione degli insegnamenti mancanti per gli ultimi due anni del corso di laurea (tra cui dermosifilografia).44

Gli anni fra il 1865-68 risultano importanti per la medicina Pisana, poiché oltre alla costruzione del Sifilicomio che documenterò in seguito, prende corpo una collaborazione fra il Comune, il Prefetto e il dott. Cuturi, commissario del Santa Chiara per oltre un ventennio, che porta all’inaugurazione nel 1874 dell’edificio che ospita la Scuola Medica dell’università di Pisa in Via Solferino (attuale Via Roma) per opera dell’architetto Pietro Duranti.45

Bisogna in ogni caso attendere il 1883 per vedere il completamento delle cattedre per tutto il ciclo di studi. Questo si presenta come un anno importante nella storia medica pisana in relazione alla prostituzione per due motivi. In quell’anno a Celso Pellizzari, personaggio centrale di questo lavoro di cui parlerò in seguito, veniva assegnata la

43 Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, p. 61. 44

Del Tacca M., Storia della medicina nello Studio Generale di Pisa dal XIV al XX secolo, Primula Multimedia, Pisa, 2000, p. 149.

(16)

133

prima cattedra in dermosifilografia della storia medica pisana e, in conseguenza, veniva costituita la prima clinica dermosifilopatica universitaria cittadina diretta dallo stesso professore.

Fino a quel momento era stato il chirurgo Domenico Barduzzi ad occuparsi della sifilografia pisana, divenuto successivamente docente presso l’Università di Siena. La cattedra pisana invece fu nei decenni occupata da Guarnieri, dalla grande figura di Augusto Ducrey, scopritore del batterio responsabile dell’ulcera molle, da Mazza e da Lombardo.46

Questa breve introduzione permette di contestualizzare sul piano sociale, economico e sanitario i risultati della ricerca archivistica. La Pisa in cui operava il Regolamento Cavour era dunque una cittadina di provincia situata in un contesto generale tendenzialmente positivo, dove sembra che la conflittualità sociale sia abbastanza stemperata. Feroci dalla sua parla della “generale mitezza di queste popolazioni”, ma allo stesso tempo indica fra le cause del degrado urbano pisano la grandissima presenza di accattoni e soggetti molesti appartenenti alle classi pericolose che infastidiscono la popolazione onesta.47

In molti casi si trattava di donne sospette di prostituzione clandestina, per cui è importante capire come le autorità pisane fossero orientate nei confronti della questione venerea e prostituzionale, come il timore del contagio agisse nell’immaginario della classe dirigente verso le masse femminili inurbate.

In questo senso è utile confrontare due figure molto diverse fra loro sotto diversi punti vista, Feroci e Pellizzari.

La figura di Feroci, sebbene non direttamente impegnata nel controllo della prostituzione, impersona senza dubbio un elemento di continuità nella politica sanitaria pisana postunitaria, avendo ricoperto molti incarichi pubblici fra gli anni 60-80 del XIX nel comune e nel Consiglio Provinciale di Sanità.

46

Ivi, p. 166.

47

Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, p. 96, Cfr. nota 32. Nell’opuscolo Pisa e

i forestieri, il funzionario biasima l’atteggiamento a suo avviso capzioso di certa stampa che dipinge Pisa

come un luogo di continue risse nelle strade e sottoposta ad uno stato di alta tensione. Secondo la sua opinione la situazione non è così drammatica e questa macchinazione mediatica è opera di riviste che vogliono promuovere altre realtà turistiche a scapito di Pisa,. Feroci A., Pisa e i forestieri, pp. 4-5.

(17)

134

Fortemente moralista e conservatore, eticamente granitico nel condannare gli eccessi e i vizi della contemporaneità, legato ad una visione della donna tipicamente ottocentesca, Antonio Feroci dedica poche ma interessanti pagine in merito alla sifilide.48

Nella relazione per il 1888, dopo aver definito la sifilide “vero danno sociale” sostiene la necessità che “il legislatore provveda con sollecitudine se non per spegnere almeno per diminuire i danni arrecati dalla pestilenza.”49

Il morbo celtico - dice Feroci - è di per se gravissimo, costituisce un’infezione stabile, permanente, feconda in modo straordinario di ogni genere di lesioni organiche e di manifestazioni morbose. Tale malattia è realmente disastrosa, per i pericoli diverso che ha sempre seco, pericoli individuali, sociali, ereditari. Si è detta essere questa una malattia meritata, una specie di punizione per il colpevole, ma errano coloro che tengono tale opinione. Pur troppo i colpiti sono in maggioranza vittime dell’altrui depravazione. (…) La statistica della nostra città non è immune da questa macchia. Il problema è grave, gravissimo, e non può che risolversi che da uomini seri, i quali studino la questione senza preconcetti, che non volino con la mente in spazi immaginari, ma sorveglino i lupanai e le stamberghe dove si rimpiatta il vizio per provvedere utilmente.50

Sebbene il funzionario non si esponga in modo netto, emerge abbastanza chiaramente quale sia il suo indirizzo nel momento in cui consiglia di sorvegliare i lupanari, soprattutto considerando che la relazione viene pubblicata poco dopo l’emanazione del Regolamento Crispi che aveva visto fra i suoi più importanti artefici proprio Celso Pellizzari. Il consiglio di “non volare in spazi immaginari”, sembra richiamare un intervento di Antonio Catella datato agosto 1888 che rispondeva direttamente alla lettera inviata da Pellizzari a Francesco Crispi, definendo “lo studio del professore veramente basato su idee preconcette, sublimi, grandiose, umanitarie fin che si vuole, ma niente pratiche, fantasiose, niente applicabili allo scopo”.51

48

Le opere di Feroci sono costellate di considerazioni di questo tipo. Ad esempio si veda Feroci A., Pisa

e la sua provincia. Notizie statistico-sanitarie dell’anno 1888, p. 49. Cfr. Feroci A., Le condizioni igieniche di Pisa e del suo circondario, pp. 97-8.

49 Feroci A., Pisa e la sua provincia. Notizie statistico-sanitarie dell’anno 1888, p. 48. 50

Ivi, pp. 20-1.

51 Catella A., A proposito di una lettera del prof. Celso Pellizzari sulla prostituzione e profilassi pubblica

(18)

135

In ogni caso Feroci nelle sue relazioni parla poco della sifilide dando per scontata la necessità della sorveglianza, sebbene sia plausibile pensare che non fossero in lui presenti inclinazioni particolarmente vessatorie verso le prostitute.

Se però Pisa passa alla storia come una realtà apertamente abolizionista, lo si deve principalmente all’opera di Celso Pellizzari degli anni 80.

La gravità del contagio venereo, come testimoniano anche le fonti archivistiche, rappresenta un punto abbastanza fisso nella mente di un funzionario come Feroci, ben più radicato di Pellizzari nella società civile cittadina. Nelle relazioni, che sono divise mensilmente, per ogni mese l’assessore all’igiene dedica sempre alcune righe al grave problema che uccide oltre 30 persone all’anno a Pisa, quasi tutte nei primi mesi di vita. Stride evidentemente il tono e l’argomentazione di questi due importanti personaggi pisani negli anni 80 del XIX; l’uno che definisce la sifilide un fatto drammatico secondo le tematiche proprie del regolamentazionismo in versione moralista, l’altro che svilisce il fenomeno nel momento in cui dice che

nell’anno 1884, mentre la Commissione continuava i suoi lavori, ebbi la prima occasione di tenere per circa 5 mesi il piccolo sifilicomio annesso alla clinica di Siena (l’anno dopo sarebbe approdato a Pisa), e dal resoconto che stampai nell’Agosto posi in evidenza due cose: che in quel periodo di cinque mesi non ebbero luogo che sole 20 ammissioni al sifilicomio, che fra tutte le donne ammesse, solo due presentavano forme recenti di sifilide.52

Come illustrerò in seguito, la sua esperienza triennale nel sifilicomio di Pisa e nella clinica dermosifilopatica, segneranno in modo netto un cambio di rotta nella venereologia pisana.

4.4) Il personale governativo addetto all’Ufficio Sanitario

.

Il Drappello di Pubblica Sicurezza della provincia di Pisa, negli anni immediatamente successivi all’Unità, vive nel clima di incertezza amministrativa che caratterizza la politica di riorganizzazione centralistica conseguente all’estensione graduale della legislazione piemontese al resto della penisola. Bisogna attendere l’estate del 1865

(19)

136

affinché l’Ufficio Centrale di Pubblica Sicurezza assuma una fisionomia compiuta. Il 10 giugno dello stesso anno, infatti, dal Ministero dell’Interno giunge una circolare diretta al prefetto Luigi Torelli nella quale si richiede di compilare una lista contenente i nominativi dei funzionari di polizia presenti nella provincia.53

La condizione generale del servizio nella provincia non è affatto buona. Un gran numero di dispacci e relazioni intercorse fra il Ministero e la Prefettura dimostrano come nelle caserme pisane mancassero spesso anche oggetti di uso comune come attaccapanni o mobilio, mentre ancor più grave si presenta la situazione per ciò che riguarda l’equipaggiamento delle guardie.54 Il 16 giugno vengono promulgati i decreti governativi che riordinano il servizio di PS e definiscono l’organico degli ufficiali, il quale risulta composto dal Delegato Capo di Prima Classe Girolamo Pelissa, Delegato di Seconda Classe Cesare Palmieri, di Terza Classe Giuseppe Del Zoppo, di Quarta Classe Amilcare Lippi e Ulisse Ciuti.55

Questi ultimi tre personaggi, insieme all’applicato Bartolini, si occuperanno per buona parte del periodo studiato, in modo pressoché collegiale, della gestione dell’Ufficio Sanitario. Lo studio infatti dei fascicoli personali relativi alle prostitute, così come la maggior parte della documentazione prodotta dall’Ufficio Sanitario, mostrano come tre di questi quattro delegati - Ciuti, Lippi, Bartolini - fossero coinvolti in modo pressoché identico nel disbrigo delle pratiche, mentre quello che più di ogni altro compare come punto di riferimento dell’Ufficio Sanitario è Giuseppe Del Zoppo. Negli anni successivi il delegato di PS addetto a questa funzione è Carlo Ciampelli, attivo fino alla metà degli anni 80 quando fu gratificato con 50 lire e trasferito a Forlì. Al suo posto subentrerà per circa sei mesi il delegato Vallini, a sua volta sostituito dal 1 luglio 1885 da Raffaele Novara.56

Oscillanti fra lo zelo più rigoroso per il rispetto dei precetti della pubblica morale e pubblica salute e un paternalismo, talvolta benevolo, talvolta repressivo nei confronti delle prostitute, essi disimpegnarono il servizio con una discreta continuità nel corso

53 ASP, Ufficio Centrale di Pubblica Sicurezza, Inventario 44, categoria 16, Personale, b. 1, 1865.,

Protocollo generale n. 12734, n. 232.

54

Ivi, n. 18.941-8063; n. 2319 del 9/6/1865.

55 Ivi, Protocollo generale n. 12734, n. 232. Cfr. Protocollo generale n. 33881, divisione 4042.

56 ASP, PS, Categoria 15, Prostituzione, b. 577, 1886, Gratificazione al funzionario e agli agenti addetti

(20)

137

degli anni. A differenza di molte guardie, soggette spesso a provvedimenti disciplinari e trasferimenti, i delegati sembrano dunque più affidabili.

Le guardie di PS della provincia di Pisa, che Torelli fu autorizzato ad incrementare numericamente fin dalla fine del 1865,57 nell’ottobre del 1866 ammontavano a 33 unità,58 per diminuire in modo consistente a 23 nel 1867 e attestarsi intorno alle 16 unità alla metà degli anni 70.59 Fra le guardie censite nel 1866, compaiono anche quelle addette all’Ufficio Sanitario della città: Vito Bianchini, Francesco D’Amelio, Carlo Moccagatta, Pellegrino Reggiani.

Come emerge anche dal lavoro di Gibson, le guardie di PS erano spesso coinvolte in situazioni spiacevoli, tra cui scandali con prostitute, che portavano a frequenti cambi di personale per motivi disciplinari. D’altra parte vi sono alcuni agenti che hanno mantenuto l’incarico per diversi anni con piena soddisfazione dei superiori. In effetti, pur non esistendo fascicoli personali estesi sui poliziotti della buoncostume pisana, vediamo come esista una certa continuità temporale nel servizio prestato da alcuni singoli agenti, e vi sono pochissimi fascicoli contenenti provvedimenti disciplinari direttamente inerenti a mancanze avvenute nel servizio di sorveglianza sulla prostituzione.60 Carlo Moccagatta, ad esempio, è stato addetto all’Ufficio Sanitario dal 1862 al 1867, eseguendo un gran numero di arresti di clandestine e dimostrando una discreta conoscenza dei bordelli e delle persone che li frequentavano, tanto da ricevere una gratificazione di 20 lire insieme alla guardia Leopoldo Paoletti nel 1867 per lo zelo e la professionalità dimostrate.61 Moccagatta non è il solo agente della buoncostume ad aver ricevuto elogi e gratificazioni dal Ministero.

57 ASP, PS, Personale, b. 1, 1865, Fascicolo 6, n. 11173, divisione 3 , sezione 2 del 11/10/1865. 58

Ivi, n. 18941-8063.

59

ASP, PS, Personale, b. 50, 1867, Fascicolo 1, Personale e Disciplina, Protocollo generale n. 69, Ruolo

delle Guardie di PS. Cfr. ASP, Prefettura, Inventario 28, Personale Amministrazione Governativa, b. 1,

1876, serie 1, categoria 3, fascicolo 4.

60

Quanto appena detto è stato dedotto studiando i fascicoli relativi alle mancanze e alle punizioni inflitte ad agenti di PS. Le fonti, sotto questo aspetto, sembrano dimostrare come nel Drappello di Pisa i trasferimenti e le sostituzioni ammontassero dai 2 ai 7 al mese nel 1870, generalmente dovuti a semplici questioni logistiche, spesso per termine di servizio, altre volte per mancanze disciplinari di varia natura generalmente non collegate con la prostituzione come i frequentissimi ritardi sul lavoro. Nello stesso anno vengono sostituiti due agenti della buoncostume, Pellegrino Reggiani e Massimo Turchi. A tal proposito di veda ASP, PS, Personale, Categoria 17 , b. 127, 1870, Fascicolo 5, Riviste Mensili.

(21)

138

Il 4 ottobre 1869 il Prefetto e il delegato Del Zoppo chiedono al ministero una gratificazione per due degli addetti all’ Ufficio Sanitario di Pisa, Vito Bianchini e di Pellegrino Reggiani, poiché

hanno disimpegnato il servizio con zelo e attività, e senza stare ad enumerare i molteplici servizi per i quali i detti agenti sonosi distinti durante tale periodo, mi limiterò ad annunciare a codesto ministero che dai medesimi sono stati effettuati frequenti arresti nelle case di prostituzione di individui armati e di cattivi soggetti che spesso hanno opposto viva resistenza dove essi hanno dimostrato coraggio e fermezza; hanno poi scoperto e denunziato all’Ufficio Sanitario donne che si prostituivano clandestinamente effettuandone quindi l’arresto tutelando con oculata vigilanza la pubblica morale.62

La gratificazione, di 35 lire per Bianchini e 30 per Reggiani, viene accordata dal Ministero nel gennaio del 1870, quando viene compilata anche una tabella contente i nomi di coloro che nel 1869 hanno fatto parte dell’Ufficio Sanitario che sono: Vito Bianchini, Pellegrino Reggiani, Alessandro Bugatti, Massimo Turchi, Giuseppe Bertozzi, Cristoforo Sansovini a Volterra. 63

Anche negli anni successivi alcuni agenti si sono distinti per la continuità di servizio e per la professionalità dimostrata agli occhi del Ministero, e tra questi spiccano le guardie Giovanni Guarino, Cavallini e Battaglini, premiate con 25 lire di gratificazione nel giugno 1885, e ancora Cavallini, Cerami, D’Ercole premiati nel maggio del 1886.64 Esclusi in ogni caso agenti come il Moccagatta, Guarino, Cavallini, le guardie non erano stabili in questa mansione. Il Sansovini, ad esempio, fu di servizio da febbraio a luglio, mentre lo stesso Vito Bianchini fu traslocato a Venezia alla fine del 1869.65 Dallo studio dei documenti esistenti, è evidente come negli anni un gran numero di guardie abbia prestato servizio nella buoncostume pisana anche per brevissimo tempo prima del trasferimento. In alcuni casi i trasferimenti erano dovuti espressamente a motivi disciplinari.

62

ASP, PS, Personale, b. 127, 1870, Fascicolo 2, Stipendi, pensioni, gratificazioni, sussidi, Protocollo

generale n. 209, n. 31 del 4/10/1869.

63

Ivi, n. 31 del 16/1/1870.

64 ASP, PS, Prostituzione, b. 577, 1886, Gratificazione al funzionario e agli agenti addetti all’Ufficio

Sanitario, n. 779.

65 ASP, PS, Personale, b. 127, 1870, Fascicolo 2, Stipendi, pensioni, gratificazioni, sussidi, Protocollo

(22)

139

La guardia Massimo Turchi, addetta all’Ufficio Sanitario nella seconda metà degli anni 60, fu espulsa dalle forze di PS perché aveva dato prova più volte di cattiva condotta. Il 9 agosto 1870 egli si era assentato dal servizio di sorveglianza per recarsi in un postribolo che si sapeva frequentasse assiduamente. Inoltre dai rapporti emerge come egli fosse un violento con le donne. Nato il 18 luglio del 1844 a Terricciola, di ex professione bracciante, celibe, fra il 1868-69 riceve 4 ammonizioni per trascuranze di servizio, frequentazione di donne di dubbia fama, ubriachezza molesta, come avvenne una sera di ottobre del 1870 quando di ritorno da Livorno dette scandalo alla stazione. Di lui si dice che fosse “sano e robusto di costituzione che conosce il servizio, ma è trascurato nel medesimo, dedito all’ubbriachezza e a crear debiti e scandali”.66

Poco prima, a luglio, insieme alla guardia Agostino Parenti e all’usciere Pagni “anziché adempiere al servizio perlustrativo in Borgo, si recarono uniti al postribolo di Via Ramaioli n. 3 ove si trattennero circa 3 ore”.67 Episodi del genere non dovevano essere rari.

Il 14 settembre 1869, il brigadiere Giuseppe Cesaretti disse che

nell’eseguire il servizio di sorveglianza alle ore 12.30 della scorsa notte mi sono portato nel postribolo sito in via dei forni avendo avuto sentore che vi fosse la pattuglia composta dall’app. Astolfi e dalla guardia Stoncetti destinati a servizio perlustrativo. Le porte del suddetto lupanare erano chiuse, ma bussando mi è stato aperto dalla tenutaria e essendo penetrato, con sorpresa, ho rinvenuto entro in una camera gli agenti suddetti conversando fra loro e seduti su un divano con due bicchieri vuoti.68

L’Astolfi era un bracciante di Busto Arsizio nato il 18 luglio del 1834, e anch’egli fu punito più volte per mancanze.

Se il versante prettamente poliziesco del dispositivo disciplinare presentava dei chiari problemi legati alla natura stessa del compito e alla struttura del corpo di PS inquadrato militarmente, con conseguente rotazione di personale, i medici funzionari operativi nell’Ufficio Sanitario prestarono un servizio pressoché ininterrotto per parecchi decenni.

66

ASP, PS, b. 126, 1870, Personale, Fascicolo 1, n. 816 del 14/8/1870

67 Ivi, n. 816 del 4/8/1870. 68 Ivi, n. 2109 del 27/9/1869.

(23)

140

Emilio Moretti, Medico Visitatore e Ispettore Sanitario dell’Ufficio Sanitario cittadino, esercitò questo mestiere in realtà almeno dalla metà degli anni 40 in qualità di chirurgo fiscale,69 conservando l’incarico per tutti i 27 anni in cui fu in vigore il Regolamento Cavour. La sua figura è piuttosto oscura e compare pochissimo nelle fonti archivistiche studiate. Su di lui una nota del Ministero del 1880 dice che “il servizio sanitario in codesta città procede regolarmente grazie all’opera del Medico Visitatore Dott. Emilio Moretti, con l’importanza che nell’Ufficio Sanitario esplica nella lotta alla prostituzione clandestina”.70

La figura di Moretti è costantemente chiamata in causa dalla polizia dei costumi per la visita delle clandestine arrestate, per le visite bisettimanali e per quelle nei bordelli che egli svolge personalmente. Dallo studio delle fonti egli appare come un funzionario zelante ma ben poco brillante e senza particolare spirito di iniziativa, soprattutto se paragonato a personaggi del panorama medico pisano come Cuturi, Barduzzi, Pellizzari, che scriveranno e si esporranno in modo molto più netto.

Egli è preciso e puntuale nello svolgere le sue mansioni, ivi compresa la spedizione trimestrale dei moduli al Ministero sull’andamento generale dell’Ufficio Sanitario, ma appare molto sbrigativo nelle sue relazioni sulle visite svolte sulle sospette malate e non prende mai iniziative che lascino traccia in archivio. Su di lui non sono presenti né elogi né lamentele particolari, se non qualche inconveniente con i medici del comando militare.71 Moretti, in ottemperanza alla sua funzione medica, sembra un burocrate che, pur astenendosi dall’esprimere apertamente le sue opinioni, abbraccia in maniera convinta la filosofia repressiva del regolamento, collaborando a stretto contatto e in piena sintonia con la PS.

In virtù del servizio svolto, Moretti percepirà uno stipendio mensile di 83 lire.

Oltre a costui, i medici visitatori che negli anni 60 furono operativi nell’Ufficio Sanitario sono Giuseppe Pecori e Francesco Agostini, entrambi premiati con una gratificazione di 75 lire nel secondo trimestre del 1867.72 Se nella città la gestione delle visite aveva iniziato a funzionare in modo regolare fin dai primi anni 60, nelle aree rurali la

69

Turno M., Il malo esempio, pp. 84-85.

70 ASP, PS, Prostituzione, b. 374, 1880, Militari sifilitici, Statistica sulla prostituzione per l’anno 1880, n.

738.

71 Si veda l’ultimo paragrafo di questo lavoro.

(24)

141

situazione sembra in parte diversa. Nel Circondario di Volterra, Cascina, Pontedera, non vi erano medici visitatori governativi, per cui ogni qualvolta la PS locale avesse intenzione di far sottoporre a visita una donna sospetta malata, era costretta a richiedere l’intervento di medici della zona che rilasciavano il loro parere. Se nel pontederese il dottor Ciceroni collaborò felicemente con la Prefettura e la PS, svolgendo molte visite per le quali era stabilito un onorario di 2 lire,73diverso è il caso del medico piombinese Francesco Piazza.

Il 23 agosto 1865 il medico esegue una visita

sulla fanciulla Antonia Ceccarelli di quella città, perché informato che fosse affetta da malattia venerea e perché essendo quella fanciulla assai incline alla prostituzione potea recar danno alla pubblica salute (…) Il dottor Piazza, avendo ritrovato di fatto la Ceccarelli affetta da lue venerea, ha presentato la nota di onorario di lire 1. 74

Del Zoppo accorda la cifra al medico, ma il 22 di settembre Piazza scrive una lettera in cui dice di rifiutare categoricamente quella cifra ridicola che va contro

la giusta considerazione dell’offesa alla dignità professionale, perché per le norme vigenti in toscana assegnano ben altra retribuzione, specificatamente per quelle visite che sono accompagnate da parere orale e scritto dal medico75

Incredulo, il sottoprefetto risponde a Piazza dicendo che la cifra è invece quella prevista dal codice toscano e che il parere scritto cui fa riferimento è semplicemente un certificato e non una visita approfondita corredata da una rapporto ufficiale. Anche Del Zoppo, sulla stessa linea, nega l’aumento di onorario del Piazza e decide di inviare di nuovo i soldi. Alla fine di ottobre il medico “dichiara di persistere nel rifiuto dell’onorario assegnatogli, tanto più che di tale cifra non ne fa, né ha fatto mai, questione d’interesse”.76 Il Piazza non viene pagato, e con questo si dimostra come fosse maggiormente difficile gestire le rigide politiche statali in molte aree lontane dai principali centri amministrativi.

73 ASP, PS, Prostituzione, b. 3 bis, 1865, Fascicolo 6, n. 1578. 74

Ivi, n. 2565.

75 Ibidem. 76 Ibidem.

(25)

142

Come descriverò nei prossimi paragrafi, l’atteggiamento dei funzionari pisani non risulta essere particolarmente repressivo e intollerante verso le prostitute, convogliando invece le energie nel reprimere non tanto la persona quanto lo scandalo pubblico, la palese violazione del cliché moralmente accettato derivante dalla notorietà dell’atto della vendita del proprio corpo.

In molti casi i delegati di PS pisani non iscriveranno le donne arrestate per prostituzione clandestina e si impegneranno affinché le ragazze, specie se minorenni, tornino alle proprie famiglie. D’altra parte l’alta discrezionalità accordata a funzionari pienamente convinti della necessità delle misure adottate, insieme al continuo movimento prostitute, risse, insubordinazioni e infrazioni di vario genere, metteranno molte volte medici e poliziotti nelle vesti di carcerieri e giudici temuti, sfuggiti, spesso apertamente affrontati dalle prostitute.

4.5) La PS e la sorveglianza delle prostitute

Il primo aspetto che intendo analizzare riguarda la sorveglianza delle prostitute in relazione alla loro nota e costante mobilità. In tutta Italia ogni anno la stragrande maggioranza delle prostitute cambiava residenza, costringendo gli Uffici Sanitari ad un gran lavoro di scambio di informazioni sul conto delle stesse. Una volta partite da una località, erano obbligate a presentarsi entro 24 ore nell’Ufficio Sanitario della nuova città per rinnovare l’iscrizione. L’infrazione di questa norma autorizzava la PS a dare avvio a operazioni di ricerca che spesso sfociavano nell’arresto della prostituta. D’altra parte, il fatto che la maggior parte delle iscrizioni avvenisse su base volontaria induce a sostenere come esistessero in modo complementare due modalità di esercitare il controllo della prostituzione: una modalità che potremmo definire soft, imperniata sulla necessità della collaborazione e della docilità della prostituta; una modalità hard, susseguente al rifiuto o alla resistenza da parte della prostituta ai divieti e agli obblighi conseguenti alla sua iscrizione.

Come illustrerò meglio nel quarto paragrafo, nella città di Pisa annualmente venivano iscritte e cancellate per cambio di residenza circa il 70% delle tollerate. Per questo

(26)

143

motivo le occasioni di poter verificare il funzionamento delle due modalità descritte sono frequenti.

La meretrice contro nominata Pirolo Adele, essendo stata da quest’ufficio autorizzata a trasferire il suo domicilio in codesta città con l’obbligo di presentarsi fra giorni uno a codest’ufficio, il sottoscritto ne partecipa il sig. direttore e lo prega di voler avvertire in caso la medesima non abbia adempiuto al precetto dovuto.77

Così scriveva il delegato capo dell’Ufficio Sanitario di Napoli Piterà al direttore dell’Ufficio Sanitario di Pisa Moretti il 10 novembre 1865. Nel modulo stampato inviato a Pisa, il funzionario annota in margine le caratteristiche fisiche della Pirolo, dicendo come essa fosse di “giusta statura, corporatura snella, capelli castagni, occhi cerulei, fronte, naso e bocca giusti, mento tondo, viso ovale e dal colorito neutro”.78 Il 24 dello stesso mese, il delegato capo dell’Ufficio di Pisa Del Zoppo annotava che Adele Pirolo era “giunta e tornata nel postribolo in Via degli Archetti diretto da Giovanni Battista Bellucci”79. La donna, essendosi presentata nei termini e nei modi previsti, ed essendo risultata sana alla visita sanitaria, è autorizzata quindi ad esercitare tranquillamente la prostituzione. E’ conosciuta dalle autorità, è sana e “docile”.

Ben diverso si presenta il caso di Assunta Fabbri. Come dice il delegato Ulisse Ciuti il 2 ottobre 1865,

essendo stata trovata girovaga per questa città, la donna livornese Fabbri Assunta del fu Giuseppe di anni 24 nativa di Livorno, la quale supponevasi darsi alla prostituzione clandestina, fu fatta sottoporre alla visita sanitaria, e dal medico Pecori Giuseppe fu ritenuta attaccata da malattia sifilitica, per cui fu inviata in codesto sifilicomio per la conveniente cura.80

Il 2 di novembre la Fabbri viene rilasciata dal sifilicomio e, presentatasi all’Ufficio Sanitario, porge richiesta di trasferimento a Livorno. Il 27 novembre, il delegato della questura di Livorno annota che la Fabbri “non è finora comparsa a questo ufficio come le era stato prescritto, per cui si dispone di agire secondo la norma”.81 La documentazione su di lei finisce qui, ma è probabile che sia incappata facilmente

77

ASP, PS, Prostituzione, b. 3 bis, 1865, Fascicolo 1, n. 3414.

78 Ibidem. 79

Ibidem.

80 Ivi, n. 3354. 81 Ibidem.

(27)

144

ancora nelle maglie del regolamento, magari arrestata nuovamente per prostituzione clandestina.

Questo esempio mette bene in luce la tipologia delle interazioni fra le prefetture in merito agli spostamenti delle prostitute. Centinaia e centinaia di dispacci, lettere e informazioni di ogni tipo partivano e arrivavano tutti i giorni da ogni parte d’Italia e in particolare da Livorno, anche semplicemente per avvisare le questure dell’arrivo di prostitute.

Se dunque una prostituta sottostava alle norme contenute nel regolamento, era sottoposta a tutta una serie di obblighi ma non era braccata o costantemente a rischio di essere arrestata o denunciata.

Teresa Del Corso, ad esempio, prostituta livornese di 28 anni, chiede spesso permessi per spostamenti superiori ai tre giorni fra Pisa e Livorno che vengono regolarmente accettati senza la minima preoccupazione da parte dell’Ufficio Sanitario.82 Simile si presenta il caso della prostituta francese Vittoria Mallin la quale, presentatasi spontaneamente all’Ufficio Sanitario di Torino il 9 agosto 1862, chiede ed ottiene di esercitare regolarmente fino al settembre 1865. Munita di regolari documenti e con un atteggiamento che dalle fonti traspare come umile, tranquillo e modesto, la Mallin si sposta senza troppi problemi fra Torino, Genova, Livorno, Pisa, dove dopo una visita coronata da esito positivo, viene abilitata ad esercitare nella casa in Via dei Forni intestata a Elettra Mazzetti.83

Un ultimo esempio di sorveglianza soft, può essere quello di Giuseppa Conti, la quale nel giugno del 1865 porse regolare richiesta di cambio di residenza da Bologna verso Pisa. Una volta partita, per motivi personali la Conti decise durante il viaggio di fermarsi qualche giorno a Firenze. Scesa alla stazione, si recò rapidamente a comunicare la sua decisione all’Ufficio Sanitario fiorentino, ottenendo l’autorizzazione a fermarsi in città e comunicando a Pisa il ritardo.84

La sorveglianza hard poteva invece svilupparsi attraverso due modalità. Da un lato la ricerca, non sempre fruttuosa, di prostitute non ripresentatesi all’Ufficio Sanitario della

82

Ivi, n. 3241.

83 Ivi, n. 2230. 84 Ivi, n. 502.

Riferimenti

Documenti correlati

Comparing Tables 4 and 1, it is seen that, except for the stable trend-unstable seasonal case, the variance of the final estimation error accounts for (roughly) between

© The Author(s). European University Institute. Available Open Access on Cadmus, European University Institute Research Repository... weapons trade, fraud and money

Directive 2014/36/EU ‘on the conditions of entry and stay of third-country nationals for the purpose of employment as seasonal workers’ was adopted in order to meet the need

ϭϰ ƉƌŽƉƌŝŽĚŝƐƉŽƐŝƚŝǀŽŵŽďŝůĞ͘/ŽƵĐŚŽŵŵĞƌĐĞƐŽŶŽůĂŵĂŐŐŝŽƌĂŶnjĂĚĞŝĐŽŵƉƌĂƚŽƌŝƐƵ ĚŝƐƉŽƐŝƚŝǀŝ ŵŽďŝůŝ͘ /ů ƚĞƌnjŽ

Perhaps more than ever before, theorists from other disciplines, in particular political science and normative political theory, have joined the community of EU legal

Most of the analysis will instead be devoted to the new substantive framework within which EU legislation will take place, and which can globally be seen as an encouragement, by

Dal nostro punto di vista, il costatare che ogni immediatezza ci conduce ad un processo determinato di mediazione, ci persuade a ritenere che i nostri concetti

Yield management is an integrated, continuous and systematic approach to maximizing room revenue through the manipulation of room rates in response to forecasted patterns