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CAPITOLO II GOODWILL IMPAIRMENT

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CAPITOLO II

GOODWILL IMPAIRMENT

2.1 Criticità insite nell’Impairment Test

L’importanza degli asset intangibili per le imprese e l’economia in generale è un aspetto riconosciuto da tutti gli studiosi del fenomeno.

Molte ricerche hanno dimostrato che le regole di contabilità non riconoscono il valore economico degli intangibile assets (per esempio Amir 1996 e Hand 2003), di conseguenza la mancanza di informazioni intorno a tali beni è stata largamente indagata.

Nel 2007 lo stesso IASB ammetteva che le immobilizzazioni immateriali sono una classe di assets in significante incremento per un ampio numero di aziende e che le informazioni legate a questi assets sono un bisogno per tutti gli utenti. Lo IASB dichiara che il regolamento dettato dallo IAS 38, in materia di immobilizzazioni immateriali, è inadeguato per le circostanze attuali e che è doveroso pervenire ad un suo aggiornamento.

Tra gli intangibile assets quello che ha sempre presentato le criticità maggiori, anche dopo l’adozione degli IAS/IFRS è sicuramente l’avviamento.

Da sempre si possono rilevare numerosi dibattiti circa la natura e il trattamento contabile dell’avviamento. La mancanza e la continua ricerca di chiarimenti intorno a queste fondamentali domande è cresciuta nel tempo, insieme alla constatazione che, l’avviamento è diventato sempre più un componente critico per molte aziende nate nel moderno ambiente economico fondato sulla conoscenza (Tang, 2004).

È in questo contesto che molti paesi hanno abbracciato gli IFRS, che portano ad un nuovo e complesso approccio verso la contabilizzazione dell’avviamento.

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Il nuovo sistema differisce profondamente con i precedenti regimi della capitalizzazione e dell’ammortamento. L’approccio degli IFRS è molto lontano dall’arbitraria valutazione della vita utile dominante negli approcci preesistenti.

La letteratura comunque riporta anche una serie di forti dubbi circa il regime di impairment test, soprattutto intorno alla sua complessità percepita e alla sua concezione. La transizione verso i principi contabili internazionali rappresenta l’ultimo episodio della turbolenta storia della contabilizzazione dell’avviamento. Abbiamo deciso di trattare del principio contabile IAS 36, introdotto dello IASB, perché ha portato una rivoluzione nelle contabilizzazione ma soprattutto nel trattamento post acquisizione delle immobilizzazioni. Il nuovo regime incide soprattutto sull’avviamento comportando importanti conseguenze, non solo contabili.

Il goodwill, come abbiamo potuto constatare è argomento di molte ricerche da sempre per la difficoltà della sua definizione, per le regole contabili imposte e per i cambiamenti che ne hanno segnato la conformazione attuale.

2.2 Immobilizzazioni immateriali

Gli intangibile assets e di conseguenza l’avviamento sono classificati tra le immobilizzazioni che sono fattori produttivi con caratteristiche particolari; definiti “a fecondità ripetuta”. Questo vuol dire che permangono in azienda e vengono utilizzati per più cicli produttivi, e cedono la loro utilità gradualmente. Le immobilizzazioni sono fattori pluriennali perché il loro uso e la loro vita utile superano l’anno solare.

La caratteristica principale dell’immobilizzazione è che essa reintegra il proprio valore convertendosi in forma monetaria in più cicli produttivi. Ciò significa che, mentre per i beni a fecondità semplice è sufficiente attendere la conclusione del ciclo produttivo, che comporta l’insorgere di un ricavo e di un entrata come ritorno monetario, per le immobilizzazioni si deve attendere la conclusione di tutti i cicli produttivi a cui hanno partecipato durante la loro vita utile.

Esistono due categorie di immobilizzazioni: immobilizzazioni tecniche e immobilizzazioni finanziarie. Le prime, tipicamente, sono costituite da beni materiali

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come terreni, fabbricati, macchinari, ecc.., e da immobilizzazioni tecniche dette immateriali, ne sono esempi i brevetti, le licenze, le concessioni e l’avviamento.

Il legislatore italiano tramite il Codice Civile definisce le immobilizzazioni come gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente, optando per una classificazione fondata sulla decisione della destinazione operata dagli amministratori, piuttosto che sulla natura tecnica del bene. Il codice non precisa cosa si debba intendere con l’aggettivo “durevole”, infatti non fornisce uno specifico limite temporale; convenzionalmente un bene viene considerato durevole se il suo impiego va oltre la fine del prossimo esercizio.

Le immobilizzazioni immateriali sono una sottoclasse delle immobilizzazioni e sono costituite pur sempre da beni destinati ad essere impiegati durevolmente ma di tipo intangibile, ciò vuol dire che per esse manca il carattere della materialità. Questa caratteristica ha comportato che tali attività sono state da sempre rigidamente definite per non lasciare troppa discrezione agli amministratori, aprendo spesso numerose controversie tra legislatore e azienda, per ciò che costituisce immobilizzazione e ciò che non lo è. Questi assets incorporano comunque un diritto di utilizzazione e sfruttamento acquisito o prodotto internamente dall’azienda.

Il documento OIC n.24 precisa i tratti comuni a tutte le immobilizzazioni immateriali:

− l’assenza di tangibilità;

− il sostenimento effettivo di costi per la loro acquisizione o la loro produzione interna e la capacità di identificare e misurare tali oneri;

− l’utilità pluriennale, intesa come beneficio economico in termini di maggiori ricavi o minori costi, rispetto a quelli che si verificherebbero nel caso di assenza di tali beni.

Ai fini della definizione delle immobilizzazioni immateriali si sono dati per presupposti tanto il requisito dell’identificabilità; intesa come la capacità di distinguere l’elemento considerato dal più generale avviamento aziendale, e il requisito della controllabilità, da intendersi come capacità di fruire in esclusiva dei vantaggi da esso ritraibili.

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Ai fini dell’iscrizione non rileva invece la fonte di provenienza, nel senso che sono iscrivibili nell’attivo patrimoniale elementi che soddisfano le condizioni precedentemente descritte, indipendentemente dal fatto che essi siano disponibili a seguito di acquisto dall’esterno, produzione interna o acquisizione a titolo di godimento. L’unica eccezione è rappresentata dal caso dell’acquisto a titolo gratuito, proprio perché il documento n.24 ritiene non soddisfatta la condizione della attendibile misurazione del costo.

Le immobilizzazioni immateriali sono costituite da:

− costi d’impianto,

− costi di ampliamento;

− costi di ricerca e sviluppo, di pubblicità aventi utilità pluriennale;

− diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno;

− concessioni, licenze, marchi e diritti simili;

− avviamento.

Lo IAS 38 al paragrafo 9 dà una definizione degli intangibile assets che lo stesso documento OIC ha ripreso. Secondo il principio contabile internazionale le entità frequentemente consumano risorse o contraggono debiti per l’acquisizione, lo sviluppo, il mantenimento o il miglioramento di risorse immateriali quali, per esempio, le conoscenze scientifiche o tecniche, la progettazione e l’attuazione di nuovi processi o sistemi, le licenze, il patrimonio intellettuale, le conoscenze di mercato e i marchi.

Non tutti gli elementi indicati soddisfano la definizione di attività immateriale, ossia l’identificabilità, il controllo della risorsa in oggetto e l’esistenza di benefici economici futuri. Se uno degli elementi che rientrano nell’ambito del principio non soddisfa i requisiti, la spesa per acquisire o generare la stessa internamente è rilevata interamente nell’esercizio in cui è sostenuta.

Un’entità deve poi stabilire se l’immobilizzazione è a vita utile definita o indefinita, nel primo caso si ripartisce il costo dell’immobilizzazione con un criterio sistematico lungo la sua vita utile, applicando cioè l’ammortamento, nel secondo caso non si può procedere a tale procedimento non sapendo per quanto tempo l’attività contribuirà alla creazione di valore.

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In ogni caso l’attività deve essere sottoposta ad una verifica periodica del valore dell’asset, secondo il procedimento di impairment, quando ci sono indizi di una riduzione del valore del bene.

2.3 Avviamento

L’ avviamento può essere definito come l’attitudine di un’azienda a produrre utili in misura superiore a quella ordinaria. Deriva da fattori specifici che concorrono positivamente alla produzione del reddito e che si sono formati nel tempo in modo oneroso ma che non hanno un valore autonomo. L’avviamento è dato da incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù dell’organizzazione in un sistema efficiente ed idoneo a produrre utili.

Possiamo individuare due differenti accezioni di avviamento, si parla infatti di avviamento internamente generato o originario e avviamento acquisito esternamente o derivato.

Nella prima accezione, l’avviamento è il frutto di una gestione aziendale efficiente e di un’organizzazione del complesso dei beni aziendali, materiali ed immateriali e delle risorse umane. L’avviamento originario non è definibile in termini di oneri e costi ad utilità differita nel tempo e può essere identificato nel valore attuale di un flusso di futuri utili sperati e presunti; tale valore risulta quindi circondato da una certa aleatorietà.

Nella seconda accezione, quella di avviamento derivato, esso deriva dall’acquisizione di un’azienda, di una partecipazione o da un’operazione di conferimento d’azienda, di fusione o di una scissione. È un goodwill acquisito a titolo oneroso ed è costituito dall’eccedenza pagata nel prezzo d’acquisto rispetto al valore corrente dei beni e degli altri valori patrimoniali acquisiti.

Questo approccio di misurazione tenta di catturare il valore eccedente, rispetto al valore dei beni acquisiti, generato dall’azienda in funzionamento (going concern), ma è possibile che l’avviamento derivi più semplicemente dal sovrapprezzo pagato nell’acquisto (Churik 2005). Tale sovrapprezzo spesso è causato dalle contrattazioni

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tra parti e dall’esercizio di una forza contrattuale piuttosto che da un effettivo maggior valore degli elementi patrimoniali.

Il sovraprezzo pagato può essere interpretato in numerosi modi; può essere visto come il fair value di un asset non rilevabile ma acquisito, il fair value di un componente già avviato nel ciclo produttivo dal business preesistente o il fair value delle future sinergie generate dalla combinazione produttiva. In tutti i casi si indica un benefit futuro legato al valore del goodwill, che giustifica la sua classificazione come asset.

Da un punto di vista economico, l’avviamento è il surplus del valore netto di un’azienda, cioè equiparabile al valore attuale netto di un investimento. Ellis (2001) lo identifica con il valore attuale di una rendita economica o Residual Income, cioè il flusso attivo netto che un investimento genera con il tasso minimo di ritorno economico previsto. Il Residual Income è un importante misuratore di performance per il value based management.

Sebbene abbiamo tentato di definire l’avviamento è doveroso ammettere, come già abbiamo avuto modo di dire, che la definizione, la misurazione e la contabilizzazione del goodwill è sempre stata un’operazione molto controversa ed ancora oggi è una questione aperta che non trova un’unica soluzione.

Nel tempo generazioni intere di studiosi e professionisti hanno cercato di dare il proprio contributo nella spiegazione di cosa identifichi l’avviamento. Già nel 1929 John Canning scrisse: “contabili, studiosi, economisti e ingegneri hanno provato a metter mano alla definizione del goodwill, della sua natura e alla modalità di valutazione dello stesso. La caratteristica più facilmente rilevabile nell’immenso numero di scritti sull’argomento è la varietà di discordanze raggiunte.”

Carlin (2007) afferma che i teorici della contabilità hanno a lungo dibattuto e raramente concordato sulla natura di questa risorsa, in questo processo hanno generato una collezione di numerose e inconciliabili spiegazioni. Negli anni, dal 17° secolo fino ad oggi, sono state date, da autorevoli interpreti, svariate letture della natura del goodwill. Queste interpretazioni sono molto diverse tra loro, sia per l’evolversi dell’ambiente economico stesso, che per l’accresciuta consapevolezza degli studiosi

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della materia; ma soprattutto per l’impossibilità di pervenire ad un’unica definizione che concili tutti i pensieri.

È importante notare come la confusione concettuale, circa l’avviamento non si limiti solo al mondo della contabilità. Una concezione “legale” dell’avviamento è stata più volte tentata da numerosi giuristi mostrando, anch’essa, variazioni nel tempo ed inoltre spesso risulta sostanzialmente diversa dalle definizioni più diffuse fornite dai teorici dell’economia.

Se non è un compito facile poter comprendere affondo questa risorsa si può immaginare come sia arduo pensare di fornire le istruzioni per la sua misurazione e contabilizzazione. È proprio per questi aspetti che le regole di contabilizzazione che si sono susseguite nel tempo, nei vari paesi, non hanno trovato giudizi positivi diffusi. Con questo pensiero, se consideriamo l’ideale di armonizzazione dei principi contabili internazionali, possiamo comprendere come tale compito sia praticamente impossibile. L’intento degli IAS/IFRS è quello di accordare tutti gli studiosi e i professionisti intorno ad una regola contabile diversa da quella esistente nel proprio paese, che già dava adito a critiche diffuse.

Da un’attenta lettura dei principi contabili nazionali si può dare una definizione di avviamento secondo tale disciplina. L’avviamento è considerato la “qualità immateriale” di un’azienda. Immateriale significa che non si può percepire con i sensi, ma esiste perché è determinato da una serie di fattori propri dell’azienda.

Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno molto discusso a proposito dell’avviamento e del suo essere una qualità dell’azienda. Con un criterio semplicistico in passato si riteneva che l’avviamento fosse identificato con la clientela dell’azienda; con un rapporto proporzionale si intendeva che se un’azienda possedeva più clienti di un’altra risultava meglio avviata. Attualmente questa definizione è stata ampliata: infatti non solo la clientela di un’azienda viene considerata “avviamento”, ma nella definizione vengono inclusi anche una serie di altri fattori che ne determinano il successo quali:

− l’organizzazione interna;

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35 − la localizzazione;

− la notorietà;

− il brand.

Si possono poi aggiungere ai precedenti anche altri fattori. E’ evidente che nella definizione entrano tutti quegli elementi che se vengono considerati separatamente, hanno poco rilievo, ma se vengono considerati come un tutt’uno, danno “valore” all’azienda che li possiede in quanto tutti insieme determinano la possibilità dell’azienda di generare utili nel medio - lungo termine.

È infatti proprio l’avviamento la principale differenza tra un’azienda di nuova costituzione e una già presente sul mercato; un’azienda avviata è quella che, possedendo i requisiti elencati sopra, è in grado di generare profitti perché fa leva su una serie di qualità immateriali che è stata capace di creare nel tempo.

L’avviamento ha un ruolo determinante nella fase di acquisto di un’azienda: chi compra un’azienda “avviata” deve riconoscere un valore economico proprio a questa attitudine che ha l’azienda di generare profitti. Infatti, proprio per questo motivo, l’avviamento di un’azienda è oggetto di valutazione economica in fase di valutazione aziendale, nel caso di cessione.

Nella disciplina italiana, il documento numero 24 emanato dall’OIC tra i principi contabili, attribuisce rilevanza contabile solo all’avviamento derivato e impedisce ogni riflesso contabile all’avviamento originato internamente.

L’avviamento derivato, o più semplicemente l’avviamento, secondo il documento, si caratterizza per essere costituito da costi a utilità differita nel tempo, essere incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisto dell’azienda e non essere quindi scindibile dal complesso aziendale acquisito.

Se l’avviamento è frutto di una fusione o di una scissione, è rappresentato dall’eccedenza del costo di acquisizione della società incorporata o fusa, o del patrimonio trasferito dalla società scissa alla società beneficiaria, rispetto al patrimonio netto espresso a valori correnti.

Il primo accertamento per l’iscrizione nell’attivo patrimoniale dell’avviamento consiste nel valutare se la differenza tra costo sostenuto e valore corrente dei beni e

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degli altri elementi patrimoniali acquisiti sia dovuta ad un beneficio economico futuro. Incideranno al riguardo le prospettive reddituali e competitive caratterizzanti l’azienda acquisita. Se tale differenza risulta giustificata da favorevoli prospettive reddituali dell’azienda e si prevede che verrà recuperata con il flusso dei redditi futuri, essa andrà capitalizzata. Se invece la differenza fosse dovuta ad altre circostanze come un cattivo affare o motivazioni personali non vi sarà alcuna capitalizzazione quando invece un addebitamento al conto economico del periodo.

L'avviamento iscritto tra le attività deve essere ammortizzato in un periodo corrispondente alla sua vita utile, ma entro limiti ben definiti. L'ammortamento deve avvenire sistematicamente, preferibilmente per quote costanti, per un periodo non superiore ai cinque anni. Sono tuttavia consentiti periodi di maggiore durata, che comunque non devono superare i venti anni, qualora sia ragionevole supporre, in virtù di un’analisi specifica, che la vita utile dell'avviamento sia senz'altro superiore ai cinque anni. Le condizioni che possono giustificare l’adozione di un periodo superiore per l’ammortamento dell’avviamento, debbono essere specifiche e ricollegabili direttamente alla realtà e tipologia dell’impresa cui l’avviamento si riferisce. É il caso di imprese la cui attività necessita di lunghi periodi di tempo per essere portata a regime, ovvero imprese i cui cicli naturali siano di lungo periodo, come anche imprese operanti in settori in cui non si prevedano rapidi o improvvisi mutamenti tecnologici o produttivi e che, quindi, si assuma possano conservare per lungo tempo le posizioni di vantaggio da esse acquisite sul mercato.

In questo caso dovranno essere illustrate espressamente nella nota integrativa le ragioni specifiche che hanno indotto all’adozione di un periodo di ammortamento eccedente il limite di cinque anni.

In occasione della chiusura di ciascuno dei bilanci relativi ai periodi successivi a quello dell'iscrizione dell'avviamento tra le attività, dovrà essere effettuata una rigorosa analisi del valore dell'avviamento (impairment test), svolgendo un'attenta ricognizione per rilevare eventuali mutamenti intervenuti nei fattori e nelle variabili prese in considerazione al tempo della originaria rilevazione. Le eventuali riduzioni di

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valore che emergessero dall'analisi debbono essere tempestivamente registrate procedendo alla svalutazione esplicita della posta "Avviamento".

I principi contabili internazionali disciplinano l’avviamento attraverso i principi IFRS n.3, IAS n.38 e per quanto riguarda l’impairment dallo IAS n.36.

Secondo l’IFRS n.3 l’avviamento acquisito in un’ aggregazione aziendale rappresenta un pagamento effettuato dall’acquirente in previsione di benefici economici futuri derivanti da attività che non possono essere identificate individualmente e rilevate separatamente. Alla data di acquisizione, l’acquirente deve rilevare l’avviamento acquisito in un’aggregazione aziendale come attività; inizialmente l’avviamento viene misurato al costo di acquisto. Dopo la rilevazione iniziale, l’acquirente deve valutare l’avviamento acquisito al relativo costo, al netto delle perdite di valore accumulate. Il goodwill non deve essere ammortizzato; ma viene sottoposto a verifiche annuali per cogliere eventuali riduzioni di valore, o più frequentemente se specifici eventi o circostanze modificate indicano la possibilità che potrebbe aver subito una riduzione di valore, secondo quanto previsto dallo IAS 36.

Lo IAS 38 invece prevede che l’avviamento generato internamente non deve essere rilevato come un’attività. In alcune circostanze, viene sostenuta una spesa con il proposito di generare benefici economici futuri, ma ciò non si concretizza nella creazione di un’attività immateriale che soddisfa i criteri di rilevazione previsti nei principi contabili. Tale spesa è spesso descritta come un contributo all’avviamento generato internamente. L’avviamento generato internamente non è rilevato come un’attività perché non è una risorsa identificabile controllata dall’entità che può essere attendibilmente misurata al costo. Le differenze tra il valore di mercato dell’entità e il valore contabile delle sue attività nette identificabili possono risultare in un qualsiasi momento da una serie di fattori che condizionano il valore dell’entità. Tuttavia, tali differenze non rappresentano il costo di attività immateriali controllate dall’entità.

2.4 Impairment test sull’ avviamento

Le imprese che redigono il bilancio con gli IAS/IFRS non ammortizzano l’avviamento ma sottopongono tale asset ad impairment test, mentre le imprese che

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redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali, ai sensi dell’art. 2426 c.c, riducono l’avviamento con l’ammortamento ed anche con eventuali perdite di valore.

L’avviamento è una tipologia di immobilizzazione sulla quale non può essere singolarmente effettuato il test di impairment. Questo asset non può generare autonomamente dei flussi di cassa, perciò deve essere allocato ad un’unità generatrice di flussi finanziari che beneficia delle sinergie dell’aggregazione. L’allocazione dell’avviamento ad una CGU ed il calcolo del suo valore recuperabile presentano problemi particolari.

L’argomento mostra un’importanza notevole in Italia, in quanto né la dottrina aziendalistica, né i principi contabili nazionali forniscono un concreto procedimento di calcolo della perdita di valore subita dall’avviamento.

A norma dello IAS 38 l’attribuzione dell’avviamento ad una CGU e la sottoposizione di questa al test di impairment deve essere fatta ogni anno. Se l’attribuzione ad una specifica CGU non può essere effettuata in quanto sarebbe arbitraria, perché altre unità generatrici di flussi usufruiscono delle sinergie, l’avviamento deve essere allocato ad un gruppo di CGUs. La conseguenza è che, ai fini della determinazione del valore recuperabile del goodwill, occorre determinare il valore recuperabile non di una sola unità bensì dell’intero gruppo di unità alle quali esso è stato allocato.

Secondo il principio dell’impairment test, il goodwill è allocato in una CGU o un gruppo di CGUs che beneficeranno delle sinergie da esso generate, fin dalla sua data di acquisizione. L’attribuzione dell’avviamento avviene scegliendo l’unità generatrice di flussi di cassa che rappresenta il livello minimo all’interno dell’impresa al quale l’avviamento viene monitorato ai fini del controllo di gestione, ma non deve essere più ampia di un settore di attività o di un settore geografico come configurato dal documento IAS 14.

Si possono costituire due tipi di CGUs:

− CGUs di dimensioni ridotte, originarie, alle quali l’avviamento non è allocato, ma che contengono altri assets;

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39 − CGUs di dimensioni maggiori che comprendono quella alla quale è attribuito

l’avviamento e altri assets.

Qualora l’avviamento sia stato allocato per intero ad un’unità e l’azienda decida di dismettere una parte di essa, quando si determina l’utile o la perdita della dismissione, il valore contabile dell’avviamento deve essere ripartito fra il valore contabile della parte dismessa e il valore contabile della parte residua, in base ai valori relativi dell’una e dell’altra in modo proporzionale.

Se l’unità comprende attività immateriali a vita indefinita o non ancora disponibili per l’uso, l’impairment test deve essere condotto ogni anno, anche se non si verifica nessuno dei sintomi di riduzione del valore, già illustrati nel capitolo I.

Se all’unità è stato allocato l’avviamento, essa si sottopone ad impairment ogni anno ed anche in corso di esercizio se si verifica qualcuno dei sintomi indicati.

Quando il goodwill è stato generato dall’acquisto di una partecipazione si può verificare il caso che tale partecipazione non sia di maggioranza, in questo caso occorre tener conto, nel calcolo del valore contabile, della porzione di goodwill attribuibile ai soci di minoranza, perché il valore dell’avviamento è stato determinato in base alla percentuale di partecipazione acquisita nella società controllata. Quindi, solamente per determinare il valore contabile dell’unità per operare il confronto con il valore recuperabile, al valore contabile va aggiunto extra contabilmente quello della porzione di avviamento di pertinenza delle minoranze.

Prima di procedere al calcolo del valore recuperabile di un’unità che comprende l’avviamento, occorre stabilire se qualcuno dei componenti di tale unità sia affetto da perdite di valore. In tal caso prima si procede alla riduzione del valore contabile di tale attività e poi al calcolo del valore contabile e del valore recuperabile dell’intera unità. L’azienda, il complesso aziendale o più in generale l’unità a cui è stato allocato l’avviamento deve presentare valori contabili già al netto delle perdite di valore specifiche. Se l’avviamento è allocato ad un gruppo di unità, tale procedimento deve essere eseguito nei confronti di un’unità che è afflitta da perdite di valore.

Il calcolo più recente del valore recuperabile, effettuato per una CGU in un precedente esercizio può essere utilizzato anche per l’esercizio corrente, se le attività e

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passività, componenti l’unità, non si sono modificate in modo significativo dall’epoca dell’ultimo calcolo.

Un altro caso che permette di utilizzare una stima precedente si verifica quando il valore recuperabile, dell’esercizio precedente, eccedeva sostanzialmente il valore contabile, è inoltre permesso ricorrere a tale procedimento quando la probabilità, che l’attuale valore recuperabile sia inferiore al valore contabile, è remota.

Lo IAS 36 stabilisce che devono essere sottoposte ad impairment prima le CGUs più piccole e solo in seguito condurre il test su quella che contiene l’avviamento. Se il valore recuperabile delle unità è più basso del valore contabile, si deve effettuare una svalutazione, attribuendola dapprima all’avviamento fino a concorrenza del suo valore contabile, e poi pro quota agli altri assets secondo il loro valore contabile.

L’introduzione degli IFRS ha portato con se un significativo cambiamento nella modalità di valutazione dell’avviamento, alle imprese viene richiesto che il valore dell’avviamento non deve eccedere quello “reale”. Lo standard fornisce ai managers una considerevole discrezione sulla determinazione del valore dell’avviamento.

Nel test di impairment annuale i managers esercitano la loro discrezione nel calcolo del valore recuperabile. Conseguentemente il management che vuole mascherare informazioni rilevanti agli investitori ha un incentivo a dichiarare che il valore contabile del goodwill non è alto quanto il suo fair value, quando è vero l’opposto (Caplan, 2002).

Come tutti i nuovi fenomeni economici, il goodwill impairment è stato oggetto di numerose indagini, in particolare, da parte di chi non crede che questo fenomeno possa incrementare la qualità dell’informativa finanziaria, come sostenuto invece da altri.

In conseguenza all’introduzione degli IFRS ed in risposta a questa linea di indagine, una certa quantità di ricerche empiriche è emersa, suggerendo che la realizzazione dello IAS 36 ha migliorato il valore delle informazioni contabili in relazione all’avviamento. In queste ricerche è argomentato che l’impairment dell’avviamento può catturare, adeguatamente, i ribassi nel valore di questo asset più di quanto già facessero i sistemi contabili precedenti.

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Wines (2007) sostiene che lo IAS 36 permetta di soddisfare le necessità degli analisti e di ogni alto utente finanziario per le migliori rappresentazioni, garantite da tale approccio, per i beni intangibili.

Da quanto sopra esposto si può pensare che i ricercatori trovino solo benefici dall’introduzione dell’obbligo di impairment test; ma come visto inizialmente, la letteratura economica accentua anche una serie di dubbi legati alle valutazioni del fair value e del valore d’uso fondate su stime e giudizi spesso soggettivi. Questo ovviamente, se vero, non può che compromettere la validità delle informazioni piuttosto che esaltarla. Ci sono poi tutta una serie di studi e ricerche empiriche che valutano altri aspetti, altrettanto importanti, che avremo modo di esporre nel proseguo dell’esposizione.

2.5 Cash Generating Units e Avviamento

La conoscenza del regime di impairment test si è molto diffusa in anni recenti, l’alto numero di ricerche, intorno a questo fenomeno, dimostra quanto ancora ci sia rimasto da comprendere. È certamente il caso, questo, delle cash generating units e del loro ruolo all’interno del regime impostato dagli IFRS.

Le CGUs giocano un ruolo centrale nel processo di impairment test per l’avviamento, anzi potremmo definirle cruciali; una lettura delle previsioni intorno allo IAS 36 non può che confermare queste ipotesi. Dallo standard vengono richieste assunzioni e giudizi a cui non si potrebbe procedere senza la costruzione delle unità generatrici di flussi finanziari.

Il test di impairment riguardante l’avviamento ha luogo, infatti, solamente all’interno delle CGUs, queste unità sono delle astrazioni che non corrispondono a strutture operative organiche. Carlin (2010) sostiene che questo provoca difficoltà operative nell’allocare i flussi di cassa, e non solo, infatti si possono rilevare problemi di risk assessment e di misurazione dei valori chiave. La traslazione di nozioni concettuali astratte nel dominio di una materia pratica, come la contabilità, richiede cura ed attenzione per i dettagli.

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È inoltre rilevabile la considerevole discrezione esercitata nel definire l’unità e nell’apportarne i flussi, questa discrezione conferisce la capacità, agli amministratori, di gestire la tempistica e l’impatto delle perdite di valore del goodwill. Ovviamente questo non fa altro che ridurre la trasparenza e la comparabilità delle informazioni.

Lonergan (2007) si è preoccupato di definire il problema della tendenza di molte imprese a stabilire unità generatrici di flussi più grandi per minimizzare le future perdite. Questo perché configurare CGUs più consistenti, permette di compensare perdite derivanti da performance scarse, ripartendole su più asset. Questa tesi è stata sostenuta anche da Wines (2007), il quale concluse che esiste il rischio di un’ esagerata aggregazione nella definizione delle unità, in quanto le perdite possono essere confuse all’interno di unità più grandi dove sono aggregate più attività.

Carlin (2008) nel suo articolo dichiara che, definendo poche CGUs rispetto al numero reale di unità operative nell’organizzazione, il livello di trasparenza subisce delle forti riduzioni ed il rischio che una perdita di valore non venga riconosciuta nel periodo effettivo in cui si manifesta aumenta, questo perché, il numero di cash generating units a cui l’avviamento è stato allocato per l’impairment test, ha la capacità di influenzare la probabilità che una perdita sia rilevata.

Qualora gli elementi delle unità operative, i cui flussi di cassa sono imperfettamente correlati e i cui profili di rischio differiscono, sono configurati in un’unica CGUs piuttosto che due o più, e se si rileva una forte discrepanza tra valore recuperabile e valore di libro dei beni, appartenenti alle unità con performance migliori, la discrepanza serve da ammortizzatore per gli elementi con profili più rischiosi e performance scarse, allontanando la probabilità di scrittura dell’impairment.

Quando gli elementi non sono aggregati ad un alto livello l’effetto dell’ammortizzatore viene rimosso perché il surplus, tra valore recuperabile e valore di libro, contenuto negli elementi meno rischiosi e più performanti potrebbe non contrastare le mancanze degli elementi a più alto rischio e meno performanti, rimuovendo la capacità di evitare la scrittura dell’impairment. Quindi configurare un basso numero di CGUs di grandi dimensioni permette alle aziende di esercitare una forte discrezione e manovrabilità dei valori.

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Carlin (2010) ha condotto uno studio, in merito alla contabilizzazione dell’avviamento, su 200 grandi società per azioni australiane, per un periodo che copre gli anni dal 2006 al 2008 incluso, per le quali il goodwill era considerato come un asset base nel loro bilancio per l’intero periodo. Alla fine dell’anno 2006, come si desume dalla Tabella 1, il campione di 200 imprese registrava beni per un valore di $2.293.583 milioni che includevano avviamento per un totale di $71.773 milioni.

TABELLA 1

Rappresentazione del campione

Settore Totale dei beni Avviamento totale % di avviamento

Banca e assicurazione 1.917.028 22.855 1,19% Beni capitali 13.914 1.593 11,45% Servizi commerciali 11.602 2.345 20,21% Servizi ai clienti 10.251 3.950 38,53% Finanziario 37.847 2.894 7,65% Energia 15.308 1.624 10,61% Alimentare 59.944 10.639 17,75% Salute 14.753 4.518 30,62% Materiali 48.170 5.059 10,50% Media 23.355 1.787 7,65% Immobiliare 35.297 2.089 5,92% Retail 11.068 1.521 13,74% Software e Servizi 3.107 1.762 56,71% Teconolgia e comunicazione 36.865 2.191 5,94% Trasporti 55.074 6.946 12,61% Totale (=200) 2.293.583 71.773 3,13% Tabella 1: Campione di 200 società per azioni australiane per il periodo 1996–2006 (Carlin, 2010).

L’obiettivo di questo studio è di investigare il ruolo e l’effetto delle CGUs nell’impairment testing e nel reporting dopo l’introduzione dei principi contabili internazionali del 2005. Per questo scopo Carlin ha studiato, in particolare, due problematiche: il livello di aggregazione e i cambiamenti strutturali delle CGUs.

Per il primo aspetto è stato necessario ottenere il conteggio accurato di ogni unità generatrice di flussi, per tutte le imprese e dei segmenti prescelti per gli obiettivi di controllo interno in tutti gli anni di osservazione. Sono stati inoltre rilevati dati sul valore totale di avviamento attribuito ad ogni unità.

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Dobbiamo tenere in considerazione che lo IASB si è preoccupato di definire dei limiti di ampiezza delle CGUs stabiliti dal paragrafo 80 dello IAS 36, la regola sostiene che ogni unità o gruppo di unità, a cui è stato allocato l’avviamento, deve rappresentare il livello minimo all’interno dell’azienda a cui l’avviamento è monitorato ai fini del controllo di gestione, questo per non appesantire eccessivamente il sistema di reporting aziendale. Per contrastare un’ eccessiva aggregazione il paragrafo 80 prevede anche che la CGU non deve essere più grande dei segmenti definiti per il controllo interno.

TABELLA 2

Rappresentazione del campione

Settore Indice di sopravvivenza 2007 Indice di sopravvivenza 2008 Indice di novità 2007 Indice di novità 2008 Banca e assicurazione 84,55% 89,41% 26,35% 16,29% Beni capitali 81,84% 74,24% 35,30% 30,88% Servizi commerciali 82,33% 60,62% 17,62% 47,05% Servizi ai clienti 89,71% 87,12% 21,07% 15,83% Finanziario 71,45% 73,94% 25,68% 29,03% Energia 78,55% 100,00% 10,14% 0,00% Alimentare 74,44% 70,54% 25,71% 26,54% Salute 78,69% 69,80% 19,37% 30,51% Materiali 88,99% 82,70% 8,10% 23,82% Media 67,63% 72,56% 36,00% 32,69% Immobiliare 91,67% 75,69% 11,81% 18,06% Retail 84,31% 87,53% 22,49% 17,26% Software e Servizi 85,38% 78,46% 14,62% 21,54% Teconolgia e comunicazione 66,60% 81,63% 31,35% 24,15% Trasporti 62,75% 60,59% 50,92% 20,13% Totale (=166) 79,26% 70,66% 23,77% 23,58% Tabella 2: Rappresentazione del calcolo degli indici di sopravvivenza e novità sul campione di 166

società per azioni australiane per il periodo 1996–2006 (Carlin, 2010).

Lo studio della struttura si fonda su diversi indicatori che possono mostrare il grado di stabilità o cambiamento nella configurazione della struttura delle unità. Il primo di questi indicatori è l’indice di sopravvivenza delle CGUs, che è usato per misurare la proporzione di unità, definite da un’ azienda, che resiste da periodo a periodo. L’indice di sopravvivenza è completato dall’indice di novità, che si propone di misurare la

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proporzione di CGU che sono di nuova costituzione rispetto al periodo precedente di reporting. Una combinazione di questi due indicatori facilita la costruzione di una valutazione della stabilità di un portfolio di CGU per un’azienda.

La Tabella 2 riporta una sintesi del calcolo dei due indici per il campione di imprese considerate da Carlin, non sono state prese in considerazione tutte le 200 imprese per la mancanza di alcuni dati. Lo studio della tabella 2 suggerisce un sorprendente livello di volatilità nella struttura del portfolio di CGUs definito dalle aziende campionate.

I cambiamenti strutturali si possono manifestare per diversi motivi e in diversi modi, per esempio tramite l’aumento o la diminuzione di unità rispetto ai periodi precedenti; il frazionamento di una CGU in tante piccole parti; la combinazione di più unità in una sola o più semplicemente con il solo cambiamento di un’etichetta attribuita all’unità senza che vari la sua natura. Altri cambiamenti strutturali sono guidati da acquisizioni, disinvestimenti o ristrutturazioni.

L’indice di sopravvivenza è stato così calcolato:

t i t i t i CGU SCGU CSR , , , = [1] dove: = t i

CSR, indice di sopravvivenza di una CGU per ogni impresa i, nell’anno t;

SCGUi,t = numero di CGUs sopravvissute per ogni impresa negli anni seguenti

all’anno t;

CGUi,t = numero di CGUs per impresa i, nell’anno t.

Per il calcolo dell’indice di novità, invece, dobbiamo specificare che una CGU è considerata nuova se ha un’ etichetta nuova rispetto a quella definita negli anni precedenti. L’indice è calcolato dividendo il numero di nuove CGUs per il numero delle CGUs negli anni precedenti:

t i t i t i CGU NCGU CNR , , , = [2]

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dove:

CNRi,t = Indice di novità per impresa i, nell’anno t;

NCGUi,t = Numero di nuove CGUs per impresa i, nell’anno t, comparate con gli anni precedenti;

CGUi,t = Numero di CGUs per impresa i, nell’anno t.

La completezza e la qualità delle informazioni relative al goddwill a livello di cash generating unit è stata stimata esaminando, secondo i dati raccolti, in quale misura l’avviamento totale di ogni impresa può essere conciliato con la somma delle allocazioni di avviamento alle CGUs comunicate nell’informativa aziendale, perché contrariamente la qualità dei report risulterebbe troppo bassa.

L’aggregazione non è soltanto un problema di contabilizzazione dell’avviamento, è un problema di contabilità a livello generale. Le informazioni sensibili possono andare perse a causa di aggregazioni contabili spinte, e la non considerazione dei dettagli, ritenuti troppo poco importanti, riduce la qualità delle decisioni prese in base all’informativa aziendale. Perciò la decisione circa l’ammontare di dettagli da incorporare in ogni report è una delle fondamentali decisioni che un designer di sistemi informativi aziendali deve tenere in considerazione.

Riportiamo quindi i risultati dello studio di Carlin riguardante l’influenza delle CGUs sull’avviamento, ovvero quello del livello di aggregazione e quello della stabilità del portfolio di CGUs determinato dall’azienda. Il primo di questi fenomeni è primariamente problematico perché può infettare la robustezza stessa del processo di impairment test svolto dalle imprese. Il secondo è più relazionato alla trasparenza e alla consistenza.

Nonostante la ricerca riveli un aumento graduale del numero medio di CGUs definite nel tempo, è ugualmente chiaro che una porzione sostanziale di imprese ha mantenuto un numero limitato e insufficiente di CGUs. Questo è preoccupante perché suggerisce un’aggregazione elevata endemica e sistematica nelle unità, da parte delle imprese, che richiede uno scrutinio accurato da parte degli auditors.

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I risultati rivelano anche un alto grado di volatilità nel portfolio di CGUs definito dalle aziende, comportando sfide importanti per la trasparenza e la consistenza, nonostante i provvedimenti tecnici e particolareggiati programmati nello IAS 36 che perseguiva proprio tali obiettivi. Ciò non vuol certo dire che in questo ambito il regolamento abbia fallito, ma è evidente che lascia ampi spazi di miglioramento.

Un altro tema importante studiato da Carlin (2007) riguarda il tasso utilizzato per definire il valore d’uso delle unità generatrici di flussi finanziari. Questa è una fase molto delicata in quanto influenza la qualità dell’informativa, il tasso di attualizzazione incorpora il rischio legato agli asset e riflette il tasso di ritorno atteso dagli investitori. È richiesto un tasso specifico per misurare il valore d’uso di un insieme di assets, nel caso del test di impairment saranno rilevabili disparati tassi quando i rischi di mercato non sono consistenti tra le CGUs di un’azienda. Se un’unità è il più piccolo gruppo di assets che genera flussi di cassa che sono largamente indipendenti da altri gruppi di beni, è una ragionevole aspettativa che il rischio di mercato di ogni CGUs differisca, tuttavia in alcuni casi ciò non si realizza.

Inoltre la previsione che, il tasso utilizzato per determinare la perdita di valore dell’avviamento in una particolare CGU sia indipendente dalla struttura del capitale di un’azienda, suggerisce che il costo medio ponderato di un’azienda o di una business unit non sia il tasso corretto per determinare il valore d’uso di una CGU. Quella che è una fase già delicata nel caso di un solo asset si rivela ancora più complessa nel caso di una CGU.

Il problema dell’uso delle unità generatrici di flussi per il calcolo della perdita di valore dell’avviamento si presenta quindi non solo al momento della definizione delle CGUs ma anche alla considerazione dei flussi di cassa generati e quindi alla scelta del tasso di attualizzazione per la determinazione del valore d’uso per le unità.

Continuando nella disamina del principio contabile IAS 36 viene confermata la posizione importante che le CGUs occupano. Al paragrafo 72 lo IAS 36 richiede che le unità generatrici di flussi finanziari della stessa attività o delle stesse tipologie di attività devono essere identificate con criteri uniformi da esercizio ad esercizio, a

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meno che il cambiamento non possa essere giustificato. Con questo regolamento si è cercato di disciplinare la consistenza con cui le imprese definiscono le CGUs.

Viene inoltre stabilito, al paragrafo 87, che qualora un’entità riorganizzi la struttura del suo sistema informativo in modo tale da richiedere una modifica della struttura delle unità a cui è stato allocato l’avviamento, questo deve essere riallocato alle nuove unità interessate. Questa nuova allocazione deve essere fatta con il criterio del valore relativo, simile a quello utilizzato quando un’entità dismette un’attività facente parte di una CGU, a meno che l’azienda non dimostri che altri metodi riflettano meglio l’avviamento associato alle unità riorganizzate.

Rilette nell’insieme, queste previsioni, esaltano il forte desiderio di trasparenza, consistenza, comparabilità e alta informazione ricercati dai principi IAS/IFRS, anche nella fase di allocazione dell’avviamento alle unità generatrici di flussi finanziari.

2.6 Differenze di contabilizzazione dell’avviamento dopo l’introduzione degli

IAS/IFRS

La globalizzazione ha promosso una forte interdipendenza tra paesi e mercati dei capitali e conseguentemente è aumentata la domanda di un coordinamento globale nei regolamenti. Le imprese seguono i processi di globalizzazione e gli investitori mostrano un interesse crescente per gli investimenti internazionali. È assolutamente necessario, per questo scopo, creare un linguaggio contabile comune, cioè un insieme di standard contabili che siano patrimonio di conoscenza internazionale (McKinsey, 2002).

Come si può immaginare, i regolamenti nazionali possono differire considerevolmente tra i diversi paesi, per molte ragioni: culturali, di sistemi legali, di tassazione, di sistemi politici e di mercato dei capitali. Queste differenze possono causare problemi per le imprese, specialmente se hanno a che fare con più di un regolamento contabile e se ci sono importanti differenze tra le discipline. Queste differenze possono causare problemi anche a chi investe se vuole confrontare aziende i cui documenti contabili sono fondati su regolamenti differenti.

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La creazione di un unico insieme di principi contabili, ovunque, sembra una buona soluzione per facilitare le imprese nella costruzione dei reporting e per gli stakeholders nella lettura ed interpretazione dei documenti finanziari.

L’intento dello IASB è di presentare al mondo del business un’informazione finanziaria che può essere compresa da tutta la comunità.

L’adozione degli IFRS e gli impatti da essa prodotti, come già sottolineato, è influenzata dall’ambiente di reporting nazionale, specialmente nei paesi con codici orientati ad un modello di corporate governante rivolta allo stakeholder.

Studiando i singoli standard la maggioranza delle imprese italiane considerate riporta cambiamenti nel trattamento contabile delle tasse sul reddito, dei piani pensionistici, delle passività e degli intangibile asset. Le imprese italiane, soprattutto, subiscono cambiamenti per la contabilizzazione dell’avviamento.

L’adozione di principi contabili internazionali può causare effetti divergenti sulla rilevanza del valore degli intangibile assets per svariate ragioni. L’esclusione delle immobilizzazioni immateriali generate internamente, che obbliga le imprese a iscrivere in bilancio solo gli intangibile assets con un valore certo di acquisizione, può ridurre l’informazione, in merito a questa categoria di beni, fornita agli stakeholders. Cosa che ci interessa primariamente, l’adozione del regime di impairment test aumenta la discrezione nella stima del valore recuperabile dell’avviamento. Questo può portare due conseguenze opposte. Innanzitutto fornendo a chi investe informazioni “poco chiare” circa l’avviamento il suo valore può risultare manovrabile conducendo l’impairment test. Inoltre questo regime facilita comportamenti opportunistici in assenza di controlli forti esercitati dal sistema di corporate governante (Ramanna, 2008).

L’adozione dei principi contabili internazionali ha destato quindi molto interesse e numerose sono le ricerche che studiano i differenti effetti causati dalla transazione. Inizialmente venivano studiati argomenti relazionati alle possibili conseguenze generate dall’introduzione degli IFRS, come i costi ed altre potenziali problematiche; ricerche più recenti si sono concentrate sull’impatto della nuova disciplina per le imprese che aderivano al proprio sistema contabile nazionale.

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Una parte corposa di letteratura contabile lega tutti i problemi di implementazione degli standard internazionali all’esistenza di tanti sistemi contabili diversi. Inoltre uno studio condotto da Larson (2004) mostra che molte imprese europee non hanno intenzione di adottare volontariamente gli IFRS per la loro contabilità, esse all’epoca dell’introduzione dei principi preferirono mantenere la disciplina precedentemente in vigore nel proprio paese. Questo ha provocato lo sviluppo di due sistemi contabili paralleli in molti paesi, come in Italia, dove per le imprese quotate ed altre categorie l’adozione dei principi contabili internazionali è obbligatoria, mentre per altre è possibile continuare con la disciplina del Codice Civile e dell’OIC. Lo studio di Larson rivela anche che i maggiori impedimenti alla conversione sono dovuti alla differenza nei mercati del capitale nazionali, alla guida insufficiente per la prima applicazione degli IFRS e alla natura dei sistemi contabili nazionali che è fortemente influenzata dalle esigenze fiscali.

Concentrandoci sugli intangibile assets l’adozione dei principi contabili internazionali ha doppiamente cambiato il loro riconoscimento, l’ iscrizione in bilancio e la loro misurazione. Lo IAS 38 permette il riconoscimento delle immobilizzazioni immateriali solo se acquistate esternamente, singolarmente o all’interno di una business combination. Mentre la disciplina italiana rimette la loro iscrizione tra le immobilizzazioni secondo la destinazione d’uso, durevole o meno, prescelta dall’azienda.

Per quanto riguarda l’avviamento, la disciplina italiana prevede un ammortamento sistematico dell’asset lungo la sua vita utile e richiede una valutazione di quegli eventi straordinari che possono aver modificato il valore di tale bene. Gli IFRS, al contrario, annullano l’ammortamento, sostituendolo di fatto con l’impairment test, che non è un evento straordinario ma viene condotto annualmente.

Considerando le differenze tra la disciplina italiana e quella degli IFRS, ci si potrebbe aspettare che la transizione in Italia produca una riduzione del livello di informazione fornito.

Morricone (2009) ha dimostrato che nel periodo 1996-2006 su un campione di 267 imprese italiane, l’adozione degli IFRS aveva provocato una significativa diminuzione

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nella rilevanza degli intangibile assets. In particolare, la rilevanza del valore del goodwill risultava significativamente diminuita dopo l’adozione dei principi internazionali, come si può vedere esaminando la Tabella 3. Una variabile contabile è ritenuta rilevante quando il suo coefficiente è statisticamente significativo, segnalando un’ informazione importante per chi investe.

L’avviamento risulta cresciuto in valore del 4,1% conseguentemente all’applicazione dell’impairment test piuttosto che l’ammortamento. Le altre immobilizzazioni immateriali, invece, risultano diminuite per l’impossibilità di riconoscere come assets le immobilizzazioni immateriali internamente generate.

TABELLA 3

Differenza tra disciplina italiana e IFRS (valori medi 2004-2005)

Assets (migliaia di €) Italia IFRS ∆∆∆∆ t-value Power of T-test

Goodwill 36.8418 38.3439 4,1% -0,059 5,0% Marchi 2.8423 26.943 -5,2% 0,063 5,1% Licenze 85.878 85.670 -0,2% 0,005 5,0% Software 735 2.274 209,65 -1,358 27,4% Altri assets intangibili 44.226 31.206 -29,4 0,741 11,5% Costi di R&D 18.142 18.114 -0,2 0,001 5% N° imprese 156 156

Definizione delle variabili:

Godwill = ammontare netto di goodwill capitalizzato nell’anno t Marchi = valore di libro netto dei marchi capitalizzato nell’anno t Licenze = valore di libro netto delle licenze capitalizzato nell’anno t

Altri beni intangibili = tutti gli altri beni intangibili capitalizzati nell’anno t e non riconosciuti nelle altre categorie. Comprendono i costi differiti della disciplina italiana.

Costi di R&D = costi di ricerca e sviluppo capitalizzati nell’anno t.

Tabella 3: Rappresentazione delle differenze in media tra il valore degli assets nel 2004 nei due differenti regimi (Morricone, 2009).

Secondo lo IAS 38, ciò è giustificato dall’impossibilità di tutelare legalmente tali beni e nella non facile determinazione del loro valore. La forte crescita dei computer software è relazionata al riconoscimento da parte degli IFRS di questa classe di intangibile assets.

La differenza tra le immobilizzazioni immateriali nei due differenti regimi è rilevabile ma non ancora significativa. Questo è dovuto al fatto che le aziende si erano preparate contabilmente all’introduzione degli standard internazionali.

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Esaminando la Tabella 4 il modello 1 indica che l’adozione degli IFRS ha due opposti effetti sulla rilevanza del reddito netto e il valore di libro dell’equity. In particolare il valore di libro corretto degli intangibile assets capitalizzati (adjBVE) è rilevante in entrambi i regimi, ma la compulsiva adozione dei nuovi standard ha ridotto significativamente il suo valore. Contrariamente, il reddito netto corretto dalle spese per intangibili (adjNI) è rilevante solo nel regime IFRS.

TABELLA 4

Rilevanza del valore degli Intangible Assets: dati dal 1996 al 2006

Modello 1 Modello 2 Modello 3

Italia IFRS test

diff Italia IFRS test diff Italia IFRS

test diff adjBVE 1,28 0,57 1,.49* 2,50 1,46 9,75* 2,51 1,59 12,37* (5,63)* (3,59)* (11,50)* (4,80)* (11,66)* (6,72)* adjNI 0,71 2,08 1,67 0,79 1,55 0,47 0,79 1,45 0,36 (1,06) (2,46)* (1,41) (1,61) (1,40) (1,51) GOOD … … 4,26 2,60 8,99* 4,28 2,75 8,72* (9,54)* (5,74)* (9,59)* (6,58)* Net INT … … 3,90 1,61 8,77* … … (7,37)* (2,41)° Increment in R-squared - 1 vs. model 2 138,14* 26,12* - 1 vs. model 3 60,21* 12,61*

* significativo al livello del 1%; ° significativo al livello del 5%. Definizione delle variabili:

adjBVE = valore di libro dell'equity meno il valore totale degli intangible asset capitalizzati nell'anno t.

adjNI = reddito netto più intangible assets spesati nell'anno t.

GOOD = valore netto di avviamento capitalizzato nell'anno t.

NetINT = valore netto degli intangible asset capitalizzati nell'anno t, escluso l'avviamento.

Tabella 4: Rappresentazione della stima dei risultati dei modelli 1,2 e 3 per il periodo 1996-2006 (Morricone, 2009).

Si può rilevare che l’introduzione dei principi contabili influenza significativamente la rilevanza dei valori contabili. I coefficienti del modello 2 mostrano che la rilevanza del goodwill diminuisce significativamente dal 4.26 al 2.60 dopo l’adozione degli

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IFRS. Anche la rilevanza delle immobilizzazioni immateriali al netto dell’avviamento è diminuita notevolmente passando dal 3.90 al 1.61.

L’analisi del modello 3 conferma l’andamento dei precedenti modelli indicando che la maggior parte degli intangible assets non sono rilevanti.

Il cambiamento di rilevanza conseguito dall’avviamento può essere spiegato dalle differenze insite nelle due discipline. Secondo il sistema italiano oltre al sistematico ammortamento del bene, è richiesta una valutazione di ogni evento o cambiamento straordinario che può ridurre il valore dell’avviamento, come per ogni assets del bilancio. La differenza rispetto al regime degli IFRS è che il test di impairment sostituisce l’ammortamento con un procedimento ordinario, in quanto lo IAS 36 richiede che l’avviamento venga sottoposto al test ogni anno. Lo studio non rivela una differenza statistica nella valutazione di mercato delle imprese, che riportano una perdita del valore dell’avviamento sotto entrambi i regimi di contabilizzazione, c’è comunque un’indicazione che le perdite da impairment influenzino la rilevanza del valore dell’avviamento solo dopo l’introduzione degli standard internazionali. Questo suggerisce che l’impairment test fornisce a chi investe informazioni meno utili se comparate a quelle diffuse con l’ammortamento sistematico. La perdita della qualità informativa è dovuta alla maggiore discrezione nella valutazione dell’avviamento introdotta con l’impairment test.

Queste evidenze suggeriscono che in un ambiente caratterizzato da una debole corporate governance ed una bassa trasparenza finanziaria, come quello italiano, l’introduzione dell’impairment test dell’avviamento e la conseguente discrezione nella sua valutazione non genera un buon livello qualitativo dell’informazione. Anche per quanto riguarda altri intangible assets è rilevabile che anch’essi subiscono una riduzione della loro rilevanza.

Risultati di questo tipo sono dovuti alle peculiarità del sistema italiano; come altri studi (Hall, 2006) hanno dimostrato l’impatto sulle imprese dopo l’introduzione degli IFRS è causato dall’ambiente manageriale, economico, politico e contabile esistente al momento dell’adozione dei principi contabili internazionali.

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Questo effetto potrebbe comunque essere transitorio e nel tempo, con eventuali correttivi, o con una maggior comprensione della nuova disciplina potrebbe essere attenuato. Inoltre altri studi condotti su paesi europei, con sistemi contabili con caratteristiche difformi da quello italiano potrebbero generare ben altri risultati.

Cordazzo (2009) ha condotto uno studio sulla transazione verso gli IFRS per le imprese italiane e tedesche, la ricerca fornisce un assessment degli impatti sulle discipline nazionali seguenti all’introduzione dei principi contabili internazionali. Le analisi empiriche investigano non solo gli effetti dell’implementazione degli IFRS, ma anche gli effetti degli standard contabili sul reddito netto.

L’adozione in Italia degli IFRS e in particolare dello IAS 38, secondo la ricerca di Cordazzo, condotta su un campione di imprese italiane quotate, ha portato ad un incremento del 2,08% dell’equity e il 5,3% di reddito netto. L’aumento nell’equity è dovuto soprattutto alla sorprendente crescita dei costi di sviluppo di un’ impresa, la Fiat, che non aveva capitalizzato questi costi sotto il precedente regime nazionale. Tutte le altre imprese riportano un decremento per questo valore, dovuto al non riconoscimento di certi intangibile assets, che possono essere capitalizzati secondo la disciplina nazionale ma che non soddisfano i requisiti di capitalizzazione dello IAS 38. L’effetto positivo sul reddito netto, invece, non è dovuto solo al più basso carico di ammortamento riguardo alle immobilizzazioni immateriali, ma soprattutto all’impossibilità di ammortizzare l’avviamento in quanto sappiamo esso deve essere diminuito per il solo effetto dell’impairment test.

I risultati dell’analisi mostrano che la globale differenza tra l’equity, prima e dopo l’introduzione dei principi contabili internazionali in Italia, non è significativa, mentre il reddito netto è decisamente diverso rispetto alle rilevazioni effettuate con i principi contabili nazionali. Quindi, l’ipotesi che la transizione agli IFRS ha prodotto differenze nella contabilizzazione, secondo tale studio è parzialmente accettabile nel panorama italiano.

Churyk (2004) ha testato le stime iniziali di mercato dell’avviamento, prima e dopo l’introduzione dell’impairmet dell’avviamento, su un campione di imprese tratto da Compustat.

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Nel primo caso ha rilevato che al momento dell’iscrizione, il goodwill non risultava sopravvalutato, perciò il procedimento di ammortamento sistematico previsto non risultava giustificato, in quanto riduceva ogni anno il valore dell’avviamento anche se questo rispetto al valore riscontrabile sul mercato non risultava ridotto.

Dopo l’introduzione del procedimento di impairment, Churyk ha rilevato che, nella maggior parte dei casi, il goodwill subisce un impairment solo in due casi:

− quando esiste una significativa riduzione del prezzo delle azioni rispetto al prezzo che risale alla data di acquisizione;

− quando il valore di libro dell’avviamento è superiore al valore di mercato.

Conseguentemente il nuovo procedimento risulta più aderente alla realtà del mercato e le cause di impairment risultano facilmente rilevabili dagli occhi esperti di contabili e auditors.

L’autrice non considera nel suo studio le stime “artificiali” che i manager operano nel procedimento di impairment test e la discrezione loro regalata, ma statisticamente trova che questo nuovo regolamento è una buona sostituzione dell’ammortamento poco aderente alla realtà, valutando quindi positivamente l’emanazione dello IAS 36.

2.7 Conclusioni

Le ricerche empiriche rintracciabili in riguardo al trattamento del goodwill sono numerose e coprono un arco di tempo che va dall’introduzione degli standard internazionali fino ad oggi. Molte evidenziano che si sono verificati impatti, più o meno importanti, sulla contabilità e in generale sulla gestione delle imprese. In particolar modo l’introduzione degli IFRS 3 e gli IAS 36 e 38, in riguardo agli intangible assets, ha sicuramente paventato una piccola rivoluzione contabile e non solo.

L’aspetto più preoccupante non è costituito dai problemi che le aziende possono incontrare adottando una nuova modalità di contabilizzare i fatti aziendali, perché è un aspetto che un’adeguata guida da parte delle istituzioni e il tempo possono sicuramente risolvere.

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La problematica più forte è, senza ombra di dubbio, la possibilità che il nuovo regolamento possa affliggere la chiarezza dei documenti contabili, soprattutto perché ciò ero lo scopo primario di chi ha sostenuto e costruito l’impalcatura degli IFRS. L’armonizzazione tra documenti provenienti da aziende molto lontane, non solo geograficamente, e la trasparenza sono i fini dichiarati dalla nuova disciplina. Purtroppo la struttura stessa del nuovo regolamento e la “rilettura” operata dalle aziende, specialmente nel contesto di crisi finanziaria in cui ci troviamo, potrebbero compromettere proprio questi obiettivi.

Infatti molti articoli, per come sono stati concepiti, minano l’informazione prodotta per chi investe. L’articolo IAS 38 per esempio, escludendo tra le immobilizzazioni immateriali quelle internamente generate, non fornisce un adeguato livello informativo per questi assets. Lo IAS 36, nella rilettura operata dai manager, fornisce un’elevata discrezione, più di quanto facesse il precedente sistema di ammortamento. Infine, la crisi finanziaria e dell’economia reale, ha sicuramente compromesso le stime effettuate dalle aziende rendendo i documenti contabili poco aderenti alle singole realtà aziendali.

Ci sono comunque ricerche empiriche che sostengono esattamente l’opposto, come quella di Churyk (2004).

Purtroppo la situazione economica contingente, che si è, manifestata dopo l’introduzione degli standard internazionali, non ha aiutato una buona applicazione di questo nuovo regolamento. I problemi non sono solo insiti nella struttura della disciplina ma sono provocati dalla tipologia di assets considerati, caratterizzati da una certa aleatorietà; inoltre sono relazionati al sistema contabile previgente nei rispettivi paesi e indubbiamente alla lettura e applicazione che ne fanno gli operatori soprattutto oggi con la crisi dei mercati.

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