Conclusioni
Il 9 maggio 20161 il presidente statunitense Obama ha firmato il Protect and Preserve
International Cultural Property Act, detto anche Engel Bill, dal nome del deputato che
l'ha proposto. La nuova legislazione si ricollegava alle richieste della Risoluzione 2199 affinchè gli stati adottino gli strumenti per contrastare lo sfruttamento che l'Isis impone sulle antichità siriane ed irachene.
« As part of America’s effort to degrade and destroy ISIS, we need to do all we can to cut off resources for this terrorist group. Today, we’re putting a new tool to use. [My] legislation will crack down on the trafficking of looted Syrian artifacts, which has put millions of dollars in the hands of ISIS extremists »2.
La normativa, in breve, imponeva divieti nell'importazione di beni culturali provenienti dalla Siria, salvo in casi di restauro o protezione del reperto. A sostegno di ciò si prescriveva una forte interazione fra le varie agenzie federali, inclusi il Dipartimento della difesa e quello della sicurezza nazionale. Le restrizioni alle importazioni sarebbero rimaste effettive fintanto che la crisi in Siria non fosse risolta, con la previsione di una futura collaborazione fra il governo degli Stati Uniti e quello siriano per un accordo bilaterale a contrasto del traffico illecito.
Il testo approvato sicuramente ha segnato un importante passo in avanti, ma per porre un reale freno al fenomeno serve fare molto di più. Come suggerisce D. Lehr3, ad esempio, per un'effettiva azione a riduzione dei finanziamenti al "Califfato", le restrizioni andrebbero allargate anche ai beni provenienti da Libia e Yemen, aree dove l'Isis tende sempre più a introdursi, visto il periodo di caos politico che stanno vivendo entrambi i paesi.
Le azioni individuali dei singoli stati come la legislazione statunitense appena descritta, o il lavoro delle agenzie investigative nazionali, come l'italiano nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, rappresentano validi strumenti per combattere il fenomeno, ma per una loro maggiore efficacia, questi dovrebbero essere inseriti all'interno di un comune piano di azione a livello globale. Eppure, nonostante il problema sia conosciuto e si riconosca la necessità di una soluzione tempestiva, non
1 President Signs Engel Bill to Stop ISIS From Looting Antiquities, U.S. Committe of the Blue Shields press release, 2016, disponibile al sito http://uscbs.org/news/president-signs-engel-bill-stop-isis-looting-antiquities/
2 Deputato E. L. Engel, membro della House Committee on Foreign Affairs, Ibidem.
3 D. Lehr, Protecting Cultural Heritage, One Act at a Time, the Huffington post.com, 2016, disponibile al sito http://www.huffingtonpost.com/deborah-lehr/protecting-cultural-herit_b_9889182.html
esiste ancora un' iniziativa comune a livello internazionale. Questa mancanza, almeno in parte, è riconducibile all'estrema complessità che caratterizza il fenomeno. Come visto nel corso dello studio qui presentato, il traffico illecito di antichità è formato da una varietà di fattori che rendono ben difficile il raggiungimento di una soluzione. Ad esempio, i molteplici attori che vi prendono parte e la vastità delle aree interessate, rendono quasi vano ogni tentativo di monitoraggio. Quest'ultimo poi è maggiormente ostacolato dall'uso dei nuovi mezzi di comunicazione, su tutti i social media, nella vendita dei reperti trafugati, che permettono una celerità maggiore e un contatto diretto con gli acquirenti.
Un altro fattore di disturbo, e che negli strumenti adottati fino ad oggi non è stato preso in considerazione, se non marginalmente, è costituito dal lato della domanda di antichità da parte del mercato. Infatti, come analizzato nello studio, vi è quasi un parallelismo fra instabilità politica e crescita della domanda nei beni provenienti dall'area colpita. Si può affermare che una parte del mercato manchi di una forma di eticità tale da soprassedere a documentazione falsa o provenienza non definita e confusa pur di venire in possesso di tale reperti. Esistono campagne di sensibilizzazione (come la già ricordata #United4heritage) e testi convenzionali a proibizione dell'acquisto di oggetti esportati illegalmente, ma, visti i dati del volume annuo della compravendita di reperti illeciti, essi sembrano non avere una reale efficacia. Una legislazione, anche a livello nazionale, atta a porre un tangibile contrasto al fenomeno, dovrebbe contenere al suo interno delle misure dedicate al lato della domanda, cioè degli acquirenti. Ad esempio, esistono già strumenti per controllare se un oggetto a cui si è interessati sia trafugato o venga da paesi coinvolti dal traffico illecito, ma sono ancora adoperati unicamente su iniziativa volontaria. Dovrebbero diventare la norma prima di ogni acquisto, magari anche previsti da qualche normativa posta a regolamentazione. Tuttavia, come già accennato, iniziative di singoli stati o di organizzazioni internazionali sono rese deboli da una mancanza di reale volontà di cooperazione da parte della comunità internazionale. Un maggiore coinvolgimento delle Nazioni Unite nel contrasto del problema potrebbe portare a un azione collettiva. Finora l'ONU ha lasciato ai singoli stati l'adozione degli strumenti adatti a fermare il traffico illecito auspicando a una collaborazione fra essi. Esso dovrebbe invece porsi al “timone” della comunità e stabilire così principi guida per arrivare a una soluzione tangibile del problema. In aggiunta, occorrerebbe inserire all'interno delle missioni di peacekeeping o di recovering, la protezione del patrimonio culturale come punto cardine, poiché in situazioni post conflittuali il traffico illecito è
praticato da parte della popolazione civile per la propria sussistenza. Inoltre, sarebbe di notevole impatto, come suggerisce una parte della comunità scientifica tra cui D. Lehr4, presentare i crimini perpetrati contro il patrimonio culturale davanti alla Corte Penale Internazionale, così da creare un deterrente per future minacce.
In conclusione, almeno nel breve termine non sembra raggiungibile una auspicata azione comune, almeno che non si consideri realmente la minaccia posta dal terrorismo al patrimonio culturale mondiale come una questione di sicurezza internazionale e le venga dato il posto di primo piano che merita. Il patrimonio culturale ha subito danni irreparabili e continua a subirne, e con esso anche noi tutti, dal momento che ogni reperto perso rappresenta un pezzo della storia comune che svanisce.
4 Ibidem.