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1 CAP 1 L’EMERGERE DELLE CITTÁ IN EUROPA

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CAP 1 L’EMERGERE DELLE CITTÁ IN EUROPA

“Dio creò il primo giardino e Caino la prima città” (Abraham Cowley)

Come ha affermato la Commissaria Europea per le Politiche Regionali, Danuta Hübner, in occasione di un seminario tenutosi a Roma nel 2007 “l’Unione Europea è stata costruita come unione di Stati membri, ma sta diventando un’unione di cittadini e ciò va in parallelo con il ruolo che stanno assumendo le regioni e gli enti locali nell’elaborazione delle politiche e ai fini della partecipazione. L’Unione Europea sta tenendo conto di tale cambiamento e sta cercando di assecondarlo con un nuovo approccio politico e nuove strategie. In particolare, la Commissione sta ampliando la struttura di governo a più livelli e, in tal senso, ha adottato linee- guida sulla base delle quali i livelli nazionali hanno predisposto i rispettivi programmi e, a loro volta, le regioni e le autonomie locali hanno predisposto i propri programmi e strategie sulla base di quelli nazionali. In Europa, dunque, si sta affermando un sistema efficace di governo a più livelli”. 1

Nel contesto della Globalizzazione il vero nuovo protagonista appare dunque essere il territorio il quale si trova al centro di profonde trasformazioni che ne hanno mutato il ruolo e le modalità di gestione. A fronte di nuove iniziative legislative e della riforma della pubblica amministrazione (tra cui l’elezione diretta del Sindaco, che produce una forma di nuovo protagonismo istituzionale delle giunte comunali), nel corso degli anni Novanta si assiste non solo ad una ripresa del dibattito sul futuro della città, ma soprattutto ad una fase di interessante sperimentazione di nuove forme d’intervento, in parte sollecitate da direttive dell’Unione Europea, in parte dettate dalla necessità di rivedere in chiave ecologica e sostenibile le tradizionali azioni di trasformazione della città e del territorio. La vita politica ed amministrativa della città è perciò segnata in questi anni da un’intensa attività di pianificazione sostenuta dall’attività di Comunicazione. Pertanto, se da due secoli il soggetto politico per eccellenza è stato lo Stato, oggi col suo declino nello spazio unificato europeo, sembra riconfigurarsi un ruolo politico delle città, tant’è che si tende a parlare di “Europa

delle citta”. Benevolo afferma che: “le città nascono con l’Europa e in un certo senso fanno

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Atti del Seminario, Governi nazionali e regioni in Europa- Autonomia e cooperazione nei modelli di governance, Roma, 21 settembre 2007, www.federalismi.it

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nascere l’Europa; sono una ragion d’essere, forse la principale dell’Europa come entità storica distinta, esse continuano a caratterizzare la civiltà europea […].2

Le città sono riemerse come attori politici senza attendere riconoscimenti giuridici e attribuzioni formali di competenze ma semplicemente incominciando ad agire come soggetti politici, cioè attraverso la mobilitazione collettiva di nuovi soggetti, nuove risorse e strategie. La richiesta di maggiore autonomia statutaria e di riconoscimento giuridico delle città si scontra con il potere delle regioni le quali ne escono comunque vittoriose in quanto titolari di uno status giuridico riconosciuto e principali destinatarie dei finanziamenti europei. Il riemergere delle città viene dunque sfidato dal basso da nuove istanze localistiche (che rivendicano la protezione delle specificità delle collettività territoriali rispetto a politiche omologanti o sbilanciate in favore di gruppi o interessi più forti), dall’alto da quelle regionalistiche (che invece si richiamano all’omogeneità etnica, culturale, linguistica, geografica reclamando uno status quasi statale e opponendosi alla creazione di reti urbane aperte e flessibili. 3Se consideriamo però il principio di sussidiarietà, che proclama cioè che le decisioni debbano avvenire al livello territoriale più vicino al cittadino, allora sembrerebbe più legittimo favorire le città. Lo stesso principio però, al tempo stesso, legittima l’intervento “sussidiario” di organismi sovraordinati laddove necessario, tale da far concludere la preferenza verso le dimensioni più ampie di quelle delle comunità locali. Non solo, a questo si aggiunge una sorta di “mito dell’ Europa delle Regioni” che si riflette in documenti quali la Dichiarazione dell’Assemblea delle Regioni d’Europa (ARE) riunitasi a Basilea nel 1996, che rivendica per la Regione le più ampie capacità di azione a livello internazionale.

C’è da considerare però un aspetto importante: l’integrazione non è fatta solo di processi economici ma anche politici e culturali. Le città, sotto questo aspetto, hanno una carta vincente: sono contenitori di risorse culturali, capaci di mobilitazione politica ed hanno alle spalle una secolare tradizione di autonomia politica. Accanto all’Europa economica che si appoggia sempre di più alle Regioni, le città costituiscono la sua struttura portante dei valori, della cultura e dei progetti politici. Ciò che fa di un territorio una città non sono infatti solo gli aspetti economici, funzionali (l’agglomerato delle abitazioni, la dimensione dell’insediamento, il numero dei suoi abitanti, la divisione del lavoro, il prevalere di attività secondarie o terziarie…). Nell’idea di città vi è sempre un elemento culturale. Essa rappresenta un modello di convivenza le cui finalità vanno oltre la sussistenza e la

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L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, Laterza, Bari 1993, p.3

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riproduzione. La città è funzione di un progetto umano di convivenza che persegue aspetti quali l’interazione coi propri simili, la conservazione della memoria, la trasmissione di un patrimonio alle future generazioni. Sono luoghi nodali di sviluppo delle culture in senso antropologico perché racchiudono un complesso di simboli sedimentati nel corso della storia (dai monumenti, ai valori simbolici, ai modi di vita…). Sono sempre state luoghi d’incubazione e diffusione della cultura e delle sue trasformazioni capaci di riorientare valori e comportamenti. L’importanza che nel contesto della costruzione dello spazio europeo assumono sia la dimensione culturale sia la governance (come processo di autoregolazione non gerarchico) sono i motivi principali, ma non i soli, che portano a favorire le città proprio per la loro più ricca dotazione di risorse culturali.

La città dunque appare essere la vera protagonista, capace di scegliere le sue politiche, di realizzarle, di porle in evidenza per le sue peculiarità che la differenziano da altre. I motivi della sua crescente centralità nello scegliere le proprie politiche di sviluppo, di risoluzione di problemi e di valorizzazione delle peculiarità che la contraddistingue risiede anche nel fatto che esse sono riconosciute come i luoghi più vicini ai problemi, più vicini alle persone (per il mandato politico e democratico che ricevono con il consenso da parte degli elettori) nonché perché più vicini alle possibili soluzioni. È importante poi non sottovalutare un aspetto importante: benché le politiche europee abbiano come beneficiari finali i cittadini, agli occhi di questi sono i corpi intermedi a essere considerati i responsabili delle inefficienze del sistema producendo un’ulteriore affievolimento della percezione dell’Europa. Pertanto, soprattutto quando l’impatto delle politiche è molto forte sui territori, la partecipazione dei poteri locali è indispensabile.

Un altro argomento a favore di esse è che molte delle trasformazioni in atto nel Paese prendono origine proprio dalla dimensione locale per poi estendersi a livello nazionale, quindi è dalla trasformazione dei territori che sorge la spinta propulsiva del movimento rinnovatore dello sviluppo nazionale, spingendo l’acceleratore delle riforme che stanno contribuendo alla modernizzazione delle amministrazioni e alla semplificazione dei suoi rapporti col cittadino.

A fronte poi delle tendenze disgreganti della Globalizzazione, i territori riaffiorano come luoghi non solo geografici ma luoghi di appartenenza per scelta, a cui si desidera appartenere per condivisione identitaria, di valori economici, etnici, culturali e sociali; ogni territorio è portatore di identità e di preziose risorse che lo rendono protagonista nel contesto di ciascun paese. Nasce perciò una lunga marcia “marcia identitaria” di riscoperta del territorio. Una risposta locale ai modelli di sviluppo globalizzanti che si muove nella

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direzione di ricercare l’unicità del proprio stile di sviluppo e di valorizzare le peculiarità dei patrimoni locali (ambientali, territoriali, paesaggistici, culturali, identitari, artistici, produttivi, stili di vita) come valore aggiunto; un modello di sviluppo che richiede di impostare i sistemi produttivi sullo scambio di beni irriproducibili altrove. 4

Si delinea dunque un’idea di Europa più complessa, composta oramai non solo da stati membri ma anche dalle numerose e diversificate realtà territoriali locali che, rompendo il loro isolamento, muovono nella direzione di un movimento di ricostruzione “dal basso” delle forme di municipalità in quanto forme di autogoverno e autonomia. Movimento che produce “reti” ovvero sistemi di relazioni e di flussi verso un federalismo municipale che si alimenta di queste autonomie per una “globalizzazione dal basso”. Le Reti Municipali, oltre ad elevare il rango di città piccole e medie, assumono un ruolo strategicamente rilevante che le porta a diventare le nuove protagoniste nel contesto decisionale europeo, divenendo in molti casi promotrici delle politiche, fino ad ora prevalentemente dipendenti dagli accordi fra gli stati nazionali.

Ed è proprio grazie alle loro capacità progettuali e di gestione del territorio che sviluppano nel contesto dei programmi di finanziamento europei che, le sfide della competitività, dell’innovazione e della crescita potranno essere superate. L’integrazione tra globale e locale rappresenta la chiave di lettura dell’Europa dei prossimi anni. I territori rappresentano importanti laboratori in cui si costruiscono modelli di crescita e di sviluppo. È su di essi che la strategia di Lisbona (sulla crescita competitiva) fonda il suo successo. La competitività dei sistemi si gioca cioè a partire dai territori per poi propagarsi ad una dimensione globale. Forti municipalità generano regioni forti e queste ultime stati forti. Ovviamente perché un tale sistema complesso funzioni è necessario un efficace sistema di multi-level governance che raccordi le dimensioni nazionali con quelle territoriali, che sappia far esprimere tutti i fattori di sviluppo che sono la ricchezza dei territori, che sia capace di coinvolgere una pluralità di attori nella gestione di un bene comune quale quello rappresentato dal territorio, che è la fonte primaria della costruzione della ricchezza.

1.2 Come e quando è avvenuto il riconoscimento delle autonomie locali

Le politiche territoriali non rientrano tra le competenze attribuite all’Unione Europea, ma di fatto il territorio è entrato nell’agenda politica comunitaria dalla fine degli anni ‘80 ed è

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divenuto campo strategico d’intervento dei Fondi Strutturali nel corso degli anni ‘90. L’assunzione del principio di “coesione economica e sociale”, a garanzia di una distribuzione equilibrata collettivamente vantaggiosa degli effetti del mercato unico e dell’unione monetaria, è all’origine di un interesse crescente da parte delle istituzioni comunitarie per l’opportunità e la praticabilità di politiche territoriali e urbane a scala continentale. All’elaborazione dei documenti d’intento programmatico, dei quali lo Schema

di Sviluppo dello Spazio Europeo rappresenta l’esperienza per molti aspetti più significativa,

ha fatto seguito la messa a punto di iniziative d’intervento strutturale finalizzate, nei casi di

Interreg e Urban, alla cooperazione transeuropea per lo sviluppo territoriale e alla

rivitalizzazione delle città europee. Espressione emblematica di questa maggiore attenzione nei confronti delle autonomie locali la troviamo nell’enunciazione del principio di

sussidiarietà e nell’istituzione del Comitato delle Regioni (art.198 A del TUE) ad opera del

Trattato di Maastricht nel 1990, oltre che nella politica di coesione economico-sociale. Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre maggior coinvolgimento delle Regioni nella fase elaborativa delle politiche e dei piani di sviluppo. Si tratta di una svolta decisiva che prende atto del ruolo di primo piano che spetta alle autonomie locali quali soggetti strategici per l’attuazione delle politiche di sviluppo e riconversione del territorio e come portatori di esperienze e di esigenze concrete dei cittadini. Esse non esercitano più un ruolo attivo nella fase discendente (quella dell’attuazione delle normative) ma ora anche nella fase ascendente (nei processi decisionali e legislativi). Questo perché si riconosce la fondamentale funzione di cinghia di trasmissione dei governi locali e regionali verso i governi centrali delle istanze territoriali.

In questo processo un ruolo importante è rappresentato dal Comitato delle Regioni, un organo con funzioni di tipo consultivo, un’assemblea politica pensata per dare voce agli enti locali e regionali nel cuore dell’Unione Europea. La sua istituzione ha consentito di affrontare due questioni fondamentali. In primo luogo, dato che circa tre quarti della legislazione europea è applicata a livello locale o regionale, ha permesso ai rappresentanti di questi livelli di governo di avere un ruolo nel processo decisionale. Il secondo elemento è la preoccupazione che i cittadini restassero tagliati fuori dal governo dell’Unione Europea: con il coinvolgimento dei rappresentanti elettivi ad essi più vicini, il Comitato assume un preciso significato in termini di valorizzazione della cittadinanza europea, in virtù del fatto che avvicina maggiormente i cittadini alle istituzioni europee. Il Comitato viene consultato ogni qualvolta vengano avanzate nuove proposte in settori che interessano la realtà locale e

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regionale5 e dal 2004 (anno in cui viene firmato il Trattato Costituzionale) ne è stato rafforzato ulteriormente il ruolo di “tutore della sussidiarietà” .

La Commissione ha peraltro sollecitato nel Libro Bianco sulla governance europea (2001) un dialogo più organico con le autorità regionali e locali per la definizione delle politiche europee, sottolineando così l’importanza del partenariato tra i vari livelli, ed ha anche sottoscritto un Protocollo di cooperazione con il Comitato, attribuendogli un ruolo più attivo, migliorando la programmazione dei lavori e rafforzandone la funzione consultiva. La legge che ha dato il via alla partecipazione delle regioni alla fase ascendente è la cosiddetta Legge Loggia (legge n°131 del 5 giugno 2003). Con l’ “accordo generale di

cooperazione” del 16 marzo 2006, sono state stabilite le modalità di partecipazione delle

regioni, nelle materie in cui hanno competenza legislativa, ai Consigli dell’Unione Europea, ai gruppi di lavoro e ai comitati del Consiglio e della Commissione.

Altri due settori in cui le regioni svolgono un ruolo centrale per l’attuazione delle politiche comunitarie sono quelli dell’energia e del clima. Gli enti locali e regionali sono gli attori più indicati perché conoscono il territorio, le sue potenzialità e criticità e quindi sono in grado ad esempio, di individuare l’opportunità di sviluppare una particolare fonte di energia alternativa e, soprattutto, conoscono di più gli attori locali per potersi rivolgere loro attraverso strategie di comunicazione e sensibilizzazione più mirate e quindi più efficaci. 6 In sede europea, esiste inoltre una fortissima esperienza di forme associative di enti regionali e locali che mette in luce il crescente dinamismo delle autonomie e l’intento di incidere maggiormente. Conferma ne sono i vari coordinamenti europei delle regioni: dall’Assemblea delle regioni d’Europa, al Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, alla Conferenza delle regioni periferiche marittime d’Europa, fino alla Conferenza delle assemblee legislative regionali d’Europa ed infine la Rete europea degli enti locali e regionali per l’attuazione della convenzione europea del paesaggio (legge ER n. 5 dell’aprile 2007).

Si registrano poi anche alcune aperture comunitarie oltre al Comitato delle Regioni, quali: il partenariato (introdotto nel 1998 per i fondi strutturali) e l’art. 203 del Trattato UE che ammette che un esponente delle regioni possa rappresentare lo Stato nel Consiglio Europeo, a condizione che abbia la capacità di assumere gli obblighi per lo Stato membro (qui il soggetto è portatore del sistema locale ma anche di quello statale); è stato anche varato un

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Secondo il Trattato sull’Unione Europea del 1992, questi settori sono cinque: coesione economica e sociale, reti transeuropee, sanità pubblica, istruzione e cultura. Il Trattato di Amsterdam del 1997 ne ha poi aggiunti altri cinque: politica occupazionale, politica sociale, ambiente, formazione professionale e trasporti.

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Rocco Cangelosi, Il ruolo del Comitato delle Regioni nel processo decisionale comunitario e l’attività delle regioni

italiane presso le istituzioni comunitarie, in Atti del Convegno “Il ruolo delle automie locali italiane nell’Europa delle

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nuovo organismo, il GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) che promuove la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale al fine di rafforzare la coesione economica e sociale. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le forme di cooperazione progettuale sostenute e finanziate dall’Unione Europea. L’intento è quello di porre in stretta relazione gli obiettivi tradizionali della politica di coesione economica e sociale europea con il tentativo di accelerare i processi d’integrazione territoriale all’interno dei territori dell’Unione. Ne è un segnale significativo la crescente richiesta di creare Euroregioni e reti di regioni e di città, tendenza che si accentuerà nella programmazione 2007-2013 grazie ai nuovi Programmi Operativi transfrontalieri, transnazionali ed interregionali finanziati dal FESR. La Commissione Europea e gli Stati membri puntano ad ottenere i risultati fissati nell’ Agenda di Lisbona, delegando alle regioni e alle città il ruolo di attore principale nel costruire un’azione politica e amministrativa integrata e convergente, al fine di assicurare una crescita ed uno sviluppo policentrico, diffuso su tutto il territorio comunitario e coerente con gli investimenti pubblici elargiti in loro favore.

Si delinea pertanto una realtà più complessa composta non solo più da Stati membri ma da nuove realtà che si intersecano rispetto alle frontiere amministrative e di sovranità nazionale, ponendo in comune competenze proprie ed in parte concorrenti con quelli dei Governi centrali, per perseguire finalità ed obiettivi di sviluppo e di crescita condivisi. La politica di coesione ha rappresentato nel periodo 2000-2006 circa il 35% delle spese di bilancio comunitario e, oltre all’agricoltura, hanno assunto particolare rilievo la politica di ricerca e sviluppo (che rappresenta più della metà delle risorse complessive), azioni in materia di ambiente, energia, trasporti, politica per le imprese, istruzione e cultura.

In Italia tutto questo assume un’ulteriore importanza dopo la riforma del 2001 dell’art. 117 della Costituzione e la successiva Legge 131/2003 che disciplina il potere concorrente delle regioni e delle province autonome di concludere accordi con enti esteri per cooperare nel campo economico, culturale e sociale al fine di generare co-sviluppo per le rispettive comunità locali. Sin dall’inizio della programmazione, le regioni sono state titolari di specifici programmi di sviluppo, responsabili della gestione di importanti risorse finanziarie che hanno contribuito all’adeguamento delle dotazioni infrastrutturali ed al sostegno degli investimenti del sistema delle imprese. I programmi URBAN hanno comportato un coinvolgimento attivo delle autorità municipali. Le programmazioni integrate territoriali (Patti Territoriali, PIT…) hanno comportato un nuovo protagonismo da parte dei soggetti locali tradizionalmente destinatari passivi delle politiche di sviluppo.

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La programmazione 2000-2006 ha costituito una sorta di laboratorio in termini di sviluppo di competenze specifiche degli enti locali in qualità di soggetti attuatori della politica di coesione dell’Unione Europea.

Nel periodo di programmazione 2007-2013, la parte prevalente della strategia del Quadro Strategico Nazionale sta avvenendo tramite programmi operativi regionali monofondo (FESR o FSE). Le regioni possono poi attribuire la responsabilità di attuazione degli interventi ad autorità locali (province, comuni). Infine la Commissione considera essenziale al perseguimento degli obiettivi di coesione anche la cooperazione territoriale; non solo dunque le autorità regionali ma l’intero sistema delle autonomie locali, un partenariato esteso anche agli attori economici e sociali ed agli organismi più rappresentativi della società civile, ma con un ruolo particolare assegnato al partenariato istituzionale, maggiore espressione degli interessi della collettività. L’obiettivo è quello di favorire una maggiore rispondenza delle politiche alle situazioni reali del territorio. L’Italia inoltre ha riconosciuto il valore strategico della cooperazione transfrontaliera e interregionale per la nascita di collaborazioni tra regioni di uno stesso paese o di paesi diversi con problemi comuni. Un valore aggiunto per i territori dacché permette uno scambio di best practise.

Il ruolo e l’attiva partecipazione delle autonomie territoriali italiane all’attuazione della politica europea di coesione riflette il processo di decentramento di competenze che si sta attuando nell’ordinamento istituzionale italiano che comporta nuove funzioni e nuove responsabilità soprattutto da parte delle amministrazioni regionali. Tale decentramento presuppone però un rafforzamento della capacità amministrativa ed un’effettiva modernizzazione tali da consentire la capacità di gestione dei Fondi comunitari e di dotarsi di adeguate risorse tecniche e umane. Ecco perché i programmi finanziati nel quadro delle politiche strutturali comunitarie prevedono adeguate dotazioni di risorse per sostenere le amministrazioni responsabili nei processi di elaborazione ed attuazione delle politiche. Per esempio per l’assistenza tecnica, il monitoraggio e la valutazione degli interventi, le attività di informazione e comunicazione.7

1.3 Il potere politico delle città in Europa

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Raymondo Michele, La politica di coesione UE ed il ruolo delle autonomie locali, in Atti del Convegno “Il ruolo delle automie locali italiane nell’Europa delle regioni”, Roma, maggio 2007.

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Quale potere oggi hanno le città e quali sono i motivi particolari che fanno di esse degli attori politici importanti in Europa? Weber sosteneva che una dimensione essenziale della città è l’aspetto politico. La città è essenzialmente un fenomeno politico, un’entità sociale in condizione di esercitare forme di autogoverno. Si può parlare pienamente di città solo per quei centri in cui i cittadini formano un’unità sociale atta a governare se stessa. La città nella prospettiva di Weber, è una società completa, come lo stato o la polis greca, capace di darsi proprie politiche e ordinamenti. Possiamo dunque riassumere i motivi del potere politico delle città in cinque capacità che le contraddistinguono.8

1) La capacità di definire il proprio territorio. Si tratta della possibilità di creare aree

metropolitane, ovvero di coordinarsi con i comuni limitrofi per costituire un nuovo livello di governo (una sorta di “metropolizzazione dal basso”, basata su accordi volontari tra i comuni), dall’ altro di concentrare servizi e infrastrutture nella città con un bacino d’utenza di dimensione regionale (“metropolizzazione dall’alto”). Quest’ultimo modello riproduce su scala regionale il modello centro-periferia dello stato centrale volto ad alleggerire la regione e a sostituire la frammentazione derivante da una negoziazione diretta tra stato centrale e città di ogni dimensione con una gerarchia coerente su scala regionale basata sullo scambio tra concentrazione delle funzioni e fornitura efficace di servizi. Si potrebbe definire un modello di metropolizzazione “alla francese” volto ad alleggerire la regione parigina.

2) La capacità di creare reti policentriche, cioé di stabilire legami diretti di cooperazione e

scambio tra di loro, sia di dialogare direttamente con Bruxelles e di coordinarsi per influenzarne le politiche. Una sorta di “politica estera” delle città. Un esempio di questo tipo di cooperazione è quello di Eurocities, un’associazione fondata nel 1986 che riunisce un centinaio di città europee e che tematizza non solo le prospettive di sviluppo economico ma anche le condizioni di vita nelle città dal punto di vista dell’ambiente, dell’integrazione sociale, della cultura. Si propone di favorire lo scambio di esperienze e di buone pratiche oltre che di esercitare un’influenza diretta sulle politiche dell’Unione Europea affinché vengano presi in considerazione gli interessi e gli obiettivi specifici delle città e maggiori livelli di autonomia finanziaria e di accesso diretto ai mezzi finanziari

3) La capacità di procurarsi risorse. Rimane il punto debole delle città, a tutt’oggi uno

degli elementi maggiori di dipendenza delle città dai governi centrali. Le città possono però ricorrere a due vie: il ricorso alla partnership con i privati e la costituzione di reti di città utili alla valorizzazione dell’accesso a infrastrutture e servizi e l’accesso diretto ai fondi europei

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Chiara Sebastiani, Dal sistema degli Stati all’Europa delle Città, appunti di Governo locale, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Bologna.

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che incentivano forme di partnership transnazionali. Diverse città hanno infatti attivato forme di rappresentanza diretta dei propri interessi a Bruxelles tramite Uffici ad hoc (le Antenne Europee). Anche in questo campo però le città devono fronteggiare la concorrenza delle regioni. In Italia ad esempio, per evitare i rischi di una eccessiva frammentazione è riconosciuto alle sole regioni la possibilità di avere uffici diplomatici a Bruxelles. Tuttavia le città hanno saputo inventare modalità alternative quali la condivisione di spazi con l’ente regionale (è il caso di Bologna e Verona) o con associazioni di categoria quali le Unioncamere (Torino).

4) La capacità di fare le politiche invece di essere semplicemente oggetto di esse. Vi sono

città che si sono reinventate la loro immagine, il loro territorio, il loro sviluppo. Gli ambiti di policy-making che vedono le città protagoniste sono le politiche del territorio, quelle sociali (integrazione, mediazione culturale), quelle in materia d’ambiente, di promozione del patrimonio culturale e della sicurezza.

5) Sono i luoghi privilegiati della formazione dell’opinione pubblica e di mobilitazione collettiva. Rappresentano cioè i luoghi in cui si confrontano individui, gruppi e associazioni

sempre più radunati non solo fisicamente ma connessi anche virtualmente attraverso reti civiche, forum on-line, piazze tematiche che contribuiscono alla creazione dello spazio pubblico europeo e rappresentano laboratori di sperimentazione di democrazia partecipativa.

1.4 Il contesto italiano, la regione Toscana.

Inizialmente in Italia, nel rapporto Stato-Unione Europea, le regioni non esistevano perché non avevano nessun ruolo, neanche quello di attuare il diritto comunitario. Con la promulgazione della Carta Costituzionale però oltre a puntare sull’idea di unità della nazione, si è al contempo riconosciuto il principio di decentramento amministrativo sancito nell’art. 5 “La Repubblica è una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali;

attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. È solo negli anni Ottanta e Novanta che si sono affermate anche nel diritto

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italiano l’inevitabilità e l’importanza del ruolo regionale nel dialogo comunitario, con importanti riconoscimenti legislativi. La riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001 ha poi ampliato le materie di legislazione concorrente tra cui i rapporti internazionali e con l’Unione Europea e soprattutto a livello di governo del territorio, trasferendo alle autorità locali il momento decisionale e gestionale. Le Revisione Costituzionale ha quindi portato ad una maggiore responsabilità delle autonomia locali, considerando il decentramento amministrativo la vera chiave di svolta per rendere più forte il legame tra amministrazioni e cittadini e portando la gestione della “cosa pubblica” sul territorio. Nel 2005 è stato anche creato un Comitato dei ministri, formato anche dalle regioni, per partecipare alla formazione del diritto comunitario.

L’Italia conta 8101 comuni, più della metà dei quali (5836) hanno una popolazione di meno di 5000 abitanti e sono storicamente organizzati in sistemi territoriali intorno a centri urbani di piccole e medie dimensioni. Nel quadro della Globalizzazione dei mercati, la risposta locale che essi hanno avanzato è stata quella di ricercare la propria identità e di riqualificare un proprio modello di sviluppo che li valorizzasse. È un percorso che riguarda quasi tutte le regioni italiane ma è particolarmente accelerato in quelle caratterizzate da un sistema regionale fortemente policentrico (Veneto, Emilia Romagna, Toscana). Esempi in Toscana sono il polo universitario di Grosseto, il distretto multisettoriale nel polo empolese e il vivaismo di Pistoia.

Quello a cui si sta assistendo è una ridefinizione dei ranghi delle città: le città più importanti non sono quelle più grandi ma quelle capaci di offrire servizi rari alla persona e all’impresa, attività di eccellenza produttiva, culturale, artistica. La consapevolezza del significato di questi percorsi si rintraccia anche in documenti istituzionali come i Piani di Sviluppo della Regione Toscana, dove la ricchezza futura della regione è individuata nella valorizzazione delle peculiarità identitarie dei più di 50 sistemi territoriali locali (la “Toscana delle Toscane”).

In questi percorsi si colloca l’esperienza italiana della Rete del Nuovo Municipio che riunisce molti piccoli comuni toscani e prende il via con la “Carta del Nuovo Municipio” (sottoscritta ad Empoli e successivamente presentata e discussa ai Social Forum di Porto Alegre 2002, Firenze, Parigi 2003).

Secondo la Carta, la città (il municipio) è considerata un’ importante protagonista collettivo della rete alternativa neo-globale di cooperazione e di sviluppo alternativo che (come vedremo più dettagliatamente in seguito parlando del tema della partecipazione) promuove, attraverso processi partecipativi strutturati, l’impegno dei comuni nel fare società locale,

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stimolando la crescita degli attori locali portatori di energie virtuose verso la costruzione dello sviluppo locale autosostenibile, valorizzando esperienze di economia etica, di azione sociale, ambientale, solidale e di costruzione di cittadinanza inclusiva. Molti sono i segni di questo percorso neomunicipalista e delle sue valenze nella rifondazione dei contenuti (nuovi modelli di futuro fondati sul benessere) e delle forme della politica (nuovi istituti della democrazia).

Il “nuovo municipio” si costruisce come un percorso finalizzato a trasformare gli enti locali da luoghi di amministrazione burocratica in laboratori di autogoverno. Si configura come un progetto politico che valorizzi le risorse e le differenze locali rifiutando l’eterodirezione del mercato unico, promuovendo processi di autonomia cosciente e responsabile.9

1.5 Il quadro normativo comunitario relativo alle città

Alla nuova dirompente forma di protagonismo istituzionale delle città, l’Unione Europea ha fornito una risposta fatta di comunicazioni, libri verdi, risoluzioni, pareri, strategie e programmi. Di seguito ne vengono descritti alcuni, a mio avviso, più utili a fornire un quadro della situazione.

- Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione Europea (1998). Ha

favorito l’inclusione delle tematiche riguardanti l’ambiente urbano nelle linee direttrici della Commissione per i programmi di sviluppo regionale 2000-2006. In questo documento si legge: “Considerato il ruolo fondamentale delle città nello sviluppo regionale e le disparità

esistenti tra le regioni dell’UE, per garantire un’ efficace politica regionale è importante che tali risorse finanziarie siano più esplicitamente collegate alle esigenze e alle potenzialità urbane nelle diverse regioni. Tale condizione può essere soddisfatta inserendo espressamente la dimensione urbana nella programmazione dei Fondi Strutturali. Ciò consentirebbe inoltre di rafforzare la legittimità e la responsabilità degli attori locali, grazie al coinvolgimento dei responsabili delle decisioni locali e all’ampliamento del partenariato.

- Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE-1999): redatto dagli stati membri in

collaborazione con la Commissione Europea, è rivolto al conseguimento di comuni obiettivi di sviluppo territoriale. Delinea infatti direttive chiare ed estremamente precise, anche se non vincolanti, per le politiche territoriali degli stati membri e per quelle settoriali dell’Unione

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Europea. Dedica un capitolo al patrimonio naturale e culturale messo in pericolo dai processi di modernizzazione socio-economica. In esso si afferma che i paesaggi culturali d’Europa, le città e molti monumenti naturali e storici costituiscono il patrimonio europeo. Di conseguenza la conservazione di tale patrimonio deve essere uno dei principali obiettivi della moderna pianificazione urbana e territoriale in tutte le regioni dell’Unione Europea.

Questi due documenti sono i primi in cui l’Unione Europea ha manifestato la volontà di suggerire coerenti indirizzi di sviluppo per il territorio dei paesi membri ed hanno creato le condizioni per l’inclusione delle tematiche urbane nel quadro complessivo dei Fondi Strutturali 2000-2006.

Lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo rappresenta il primo atto concreto di un’attività di cooperazione in materia di governance territoriale avviata tra gli Stati europei e le istituzioni comunitarie già dagli anni Ottanta. Tra le azioni del programma vi è il comune impegno a tener conto dello spazio europeo nella destinazione dei Fondi Strutturali. In questa prospettiva si inserisce l’iniziativa Urban in quanto elabora una precisa metodologia di programmazione ed utilizzazione dei fondi strutturali che hanno avuto il merito di introdurre nelle politiche di sviluppo i principi di efficienza, efficacia e valutazione.

- L’iniziativa URBAN ha avuto un ruolo fondamentale di apripista per l’impostazione

delle recenti politiche di sviluppo urbano nell’Unione Europea. L’efficacia di Urban viene riconosciuta nel documento “La programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006:prima

valutazione dell’iniziativa Urban (giugno 2002) dove si sottolinea che i punti di forza di

Urban possano rappresentare un riferimento per le future politiche europee. Tali punti di forza consistono in:

- nell’intervenire su “aree bersaglio”, ridotte, in modo da massimizzare i risultati;

- nell’impostazione integrata, cioè nella sua capacità di interconnettere ambiti differenti (area del sociale, dell’ambiente, economica) per fornire risposte coerenti ai multiformi problemi dell’area d’interesse;

- nella flessibilità, cioè la zona d’interesse varia a seconda delle priorità nazionali; - nell’importanza data al partenariato locale pubblico e privato;

- nell’ uso di modelli di governance che accorciano le distanze tra Europa ed i cittadini (logica di progettazione “dal basso”).

La stagione dei programmi Urban, che ha preso il via negli anni ‘90, è stata sicuramente un’esperienza che ha lasciato degli insegnamenti e prodotto nuovi saperi nelle pubbliche amministrazioni. Ha portato l’esperienza dell’intersettorialità, dell’integrazione e ha introdotto meccanismi di gestione innovativi. La Commissione ha voluto dare una spinta

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verso la non rigidità dei progetti urbanistici; ha preteso non dei semplici progetti di trasformazione urbana ma progetti che avessero alla base una strategia, un piano di riferimento all’interno del quale collocare gli interventi stessi. Alla Commissione interessava al di là della tecnica, come gli interventi si collocavano all’interno del contesto. Il singolo progetto di trasformazione è una fase di un progetto molto più ampio che deve avere un orizzonte temporale a lungo termine (10-20 anni) e che deve rispondere ai criteri di

concentrazione, selettività, intenzionalità (sapere cosa vuole il progetto) e progettazione integrata. Quest’ultima esplica i suoi benefici in virtù del fatto che produce una visione

unica di sviluppo e consente di evitare di cambiare continuamente priorità ogni volta che si lancia un nuovo bando. La progettazione di un territorio non è una vetrina fine a se stessa ma un modo per mettere in pratica le sue capacità.10 L’apporto di URBAN è stato anche quello di introdurre meccanismi di gestione innovativi che portano i finanziamenti pubblici a diventare il volano di quelli privati producendo un effetto moltiplicatore. La seconda generazione di piani ha avuto un notevole effetto moltiplicatore: solo il 25% dei finanziamenti sono stati ministeriali, il resto è stato reperito dai privati. I finanziamenti pubblici rappresentano lo start up ma a livello locale devono poi essere le amministrazioni a reperire il resto. 11

Possiamo dunque concludere che i programmi Urban hanno avuto un ruolo di acceleratore del cambiamento delle politiche urbane e la capacità di costruire un diverso approccio alle problematiche urbane (considerate nella loro complessità e relazione con altri processi in atto nelle aree urbane) e al modo di progettare. Per progettare non s’intende più esclusivamente intervenire sull’aspetto fisico della città ma costruire forme di coordinamento tra gli interventi urbanistici e le politiche sociali di assistenza alle fasce di popolazione debole, incentivare la nuova imprenditorialità, coinvolgere il mondo privato, dare importanza alla partecipazione, costruire sinergie, maggiore accortezza nella definizione dei quadri finanziari e nella formulazione dei progetti. Se si considera che nel nostro Paese, l’intervento sulla città si è limitato sempre all’aspetto fisico, possiamo ben capire la rottura portata da tali programmi nelle formule d’intervento.

Un documento di valutazione di Urban è l’ “Ex- post Evaluation Urban Community

iniziative (1994-1999) (Valutazione ex post di URBAN I) in cui si sottolinea l’importanza di

stanziare i Fondi Strutturali per gli interventi urbani direttamente alle regioni e l’importanza

10

Albino Caporale-Direttore Generale DG Sviluppo economico Regione Toscana, Politiche urbane e sviluppo

economico nelle strategie della Regione Toscana, tratto dal Convegno “Progetti urbani Integrati: rigenerazione urbana

ed eco-sostenibilità, Viareggio, ottobre 2008.

11

Federico della Puppa- Project Manager di Urban Italia “Apriamo i muri” Comune di Venezia, Convegno di Viareggio, ottobre 2008.

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di promuovere le conoscenze utili alla realizzazione di questi programmi, l’apprendimento dall’esperienza e lo scambio transazionale delle buone pratiche.

In questi anni si sono sviluppati anche dei dibattiti sulle problematiche urbane come:

- “La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo” (1998- 1999) (COM (97) 197). Si tratta di un documento presentato in occasione dell’European urban forum tenutosi a Vienna, in cui si dichiara necessario il rafforzamento del ruolo delle città europee in quanto “luoghi di integrazione sociale e culturale, fonti di prosperità economica, di

sviluppo sostenibile e basi per la crescita della democrazia.” In questo convegno furono

messi a fuoco alcuni importanti tematizzazioni dello sviluppo urbano: quello sociale e della crescita dei servizi, quello ambientale, della rigenerazione strutturale, quello dei trasporti e quello della governance. In riferimento a quest’ultimo aspetto si misero in evidenza sia gli aspetti del multilevel governance (governance verticale) sia quello della governance orizzontale (cioè i partenariati con gli stakeholders).

Le informazioni presenti nel documento di valutazione ex-post di Urban I, sono state poi recepite e si sono rese utili per la preparazione del:

- Terzo Rapporto sulla politica di coesione economica e sociale (febbraio 2004) che

sottolinea come più del 10% dei finanziamenti europei siano destinati alle aree urbane e valuta la possibilità di utilizzare i fondi per lo sviluppo urbano sostenibile nella politica di coesione, in vista della nuova programmazione 2007-2013, inserendo lo sviluppo urbano nella rubrica della cooperazione territoriale.

In seguito poi all’incontro dei Ministri dell’UE nel novembre del 2004 a Rotterdam sulle politiche urbane è stato redatto il:

- Documento Quadro per la futura politica urbana comunitaria. Il documento individua

come obiettivi prioritari quelli della competitività, della coesione sociale e della qualità ambientale e precisa come il raggiungimento degli stessi presupponga un metodo integrato (che connetta competitività economica, inclusione sociale e qualità ambientale), la partnership tra attori pubblici e privati e la cooperazione tra i diversi livelli di governo (locale, regionale, nazionale, europeo).

Un forte richiamo alla centralità delle città nello sviluppo dei paesi membri si riscontra anche nella:

- Proposta di Regolamento del Consiglio. Si attribuisce alle città il ruolo trainante nella

costruzione della competitività e della coesione dell’Unione. La proposta sostiene l’importanza per la politica di coesione di supportare in modo appropriato la rigenerazione urbana quale fattore decisivo per intervenire sulla qualità della vita dei cittadini dell’Unione,

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risolvere situazioni di grave disagio sociale e di degrado economico ed ambientale. In questo senso si fanno propri gli indirizzi maturati nello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo

(SSSE-1999) e nel “Terzo Rapporto sulla politica di coesione economica e sociale” (febbraio 2004).

Nella Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al fondo

europeo di sviluppo regionale (luglio 2004) la Commissione individua nelle città i nodi ed i

poli di eccellenza territoriale, chiamandole ad assumere, nella stagione programmatoria 2007-2013, un ruolo propulsore dello sviluppo. L’indirizzo è dunque quello di volere fare delle città i più importanti centri di spesa dei Fondi Strutturali e in particolare del FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale). In linea con la strategia di Lisbona si intende cofinanziare i programmi atti a migliorare le città dal punto di vista dell’accessibilità, dei servizi, della qualità ambientali, rendendole perciò più attraenti e competitive. Le città, nella loro dimensione fortemente territoriale, rappresentano uno dei contesti locali per uno sviluppo più equilibrato che prevede la creazione di comunità sostenibili sia nei centri urbani che in quelli rurali; inoltre la dimensione territoriale della politica di coesione mira ad una maggiore coerenza con le altre politiche settoriali. L’Italia è stata chiamata a presentare un

Quadro Strategico Nazionale (QSN) con l’obiettivo di indirizzare le risorse ricevute nelle

diverse regioni italiane. Il Documento Strategico Preliminare Nazionale continuità,

discontinuità, priorità per la politica regionale 2007-2013 (Comitato di Amministrazioni

centrali per la politica di coesione 2007-2013, 2005) rappresenta uno dei documenti propedeutici alla definizione del QSN e fa riferimento alle tre dimensioni dell’azione pubblica: città, sistemi produttivi, aree rurali. Indica inoltre come prioritari quei progetti a sostegno del posizionamento delle città nell’offerta dei servizi di eccellenza, che assicurino cioè una valorizzazione dello spazio urbano. Nello stesso documento viene riconosciuto il carattere anticipatorio della programmazione 2000-2006 rispetto alle indicazioni della Commissione Europea per il periodo 2007-2013. Di fatti già nella prima programmazione si definivano le città come “priorità strategica” ed ha rappresentato un’esperienza utile a consolidare questioni come il decentramento, la cooperazione tra i diversi livelli di governo, l’approccio integrato, il raccordo tra programmazione regionale e comunale.

Gli esiti positivi dei processi innescati e soprattutto l’innovazione introdotta nelle pratiche delle amministrazioni locali nella cooperazione tra i diversi attori (istituzionali, privati…), spingono il documento a sottolineare la necessità di aumentare il valore aggiunto dei progetti comunali, di migliorare l’impianto strategico, di superare debolezze. I must da rispettare

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riguardano in particolare: miglioramento della qualità della gestione, più decentramento e più semplificazione nella gestione finanziaria e amministrativa

Nelle Linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 (Commissione

delle Comunità Europee, luglio 2005) si sottolinea il valore e l’importanza delle città nel

contribuire alla crescita e all’occupazione, la creazione di reti e il raggiungimento di uno sviluppo equilibrato tra le città più forti economicamente e le altre che lo sono meno. La programmazione 2007-2013 altro non è che la prosecuzione dell’esperienza del 2000-2006, che ha visto l’Italia fra i paesi più avanzati in termini di promozione di forme efficaci di partenariato non solo coi soggetti istituzionali ma anche con gli attori economico-sociali ed i rappresentanti della società civile.

Le nuove caratteristiche della politica di coesione comunitaria sono la promozione di un’economia fondata sullo sviluppo sostenibile, in linea con gli obiettivi di Lisbona.

Le città sono poste al centro dell’azione in quanto sedi di funzioni “nobili” essenziali per la promozione dell’innovazione e del trasferimento di conoscenza e, allo stesso tempo, hanno un ruolo chiave per la lotta all’esclusione sociale e al degrado ambientale. L’Unione ha bisogno di città innovative e dinamiche che possano costituire un’efficace catena di trasmissione degli effetti delle politiche.

Il perseguimento di questi obiettivi passa attraverso:

- l’aumento della multidimensionalità dei programmi (infrastrutture, economia, società, ambiente… cioè coniugare materiale ed immateriale);

- l’attenzione verso i problemi specifici delle zone urbane (esclusione sociale, criminalità…);

- la definizione di strategie partecipative ed integrate;

- interventi per lo sviluppo dell’imprenditoria, dell’occupazione; - la riqualificazione di zone urbane e industriali;

- la valorizzazione del patrimonio storico e culturale;

- la dotazione di piani di sviluppo a medio-lungo termine con la partecipazione anche del settore privato;

La Commissione, inoltre ha predisposto un documento sul contributo delle città per la crescita e l’occupazione intitolato:

- Politica di coesione e città: il contributo delle aree urbane alla crescita e

all’occupazione nelle regioni (2005). È un documento presentato in occasione dell’incontro

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indicazioni utili all’attuazione di un approccio più integrato tra le politiche economiche, sociali e ambientali. Inoltre viene ampliato il quadro presentato dalle Linee Guida del luglio 2005, toccando aspetti quali: accessibilità ai servizi, mobilità, cultura, imprenditorialità, innovazione e conoscenza, istruzione, pari opportunità, sicurezza per i cittadini, governance, partenariato pubblico-privato, scambio di esperienze. Riguardo a quest’ultimo aspetto, nel capitolo dedicato al contributo delle città alla crescita e all’occupazione, viene riconosciuto come obiettivo rilevante il miglioramento della competitività delle aree urbane anche attraverso la creazione di reti tra città utili alla promozione delle buone pratiche e alla diffusione dei risultati. Le reti come nuovi attori collettivi al fine di aumentare il loro peso in sede europea.

Degno di nota è anche il:

- Programma Cultura 2007-2013. Si tratta di una nuova generazione di programmi

europei per la cooperazione culturale. Gli obiettivi che si intendono perseguire sono quelli di incoraggiare la cooperazione culturale tra gli Stati membri, promuovere le diversità culturali nel rispetto del principio di sussidiarietà, promuovere il patrimonio culturale comune incentivando un dialogo interculturale. Nello specifico, il programma si propone di sostenere la mobilità transnazionale degli operatori del settore culturale e incoraggiare la circolazione delle opere d’arte e dei prodotti artistici e culturali. Si delinea perciò uno strumento globale coerente e completo utile ad offrire un contributo alla formazione di una identità europea partendo dal basso. La strategia si sviluppa su tre livelli d’intervento.

Il primo livello d’intervento si sostanzia in interventi di sostegno diretti ad azioni culturali quali “Progetti di cooperazione multiannuale”, o progetti sperimentali di un anno orientati verso la creatività e l’innovazione.

Il secondo livello si prefigge di sostenere le organizzazioni culturali che a livello europeo contribuiscono alla cooperazione culturale, promuovono reti culturali o agiscono come “ambasciatori” della cultura europea.

Il terzo livello riguarda invece attività di sostegno per la raccolta e la diffusione di informazioni nel settore della cooperazione culturale, per i punti nazionali di contatto e per le analisi e gli studi nel settore della cooperazione culturale. Il programma, oltre a questi tre assi principali, prevede delle “azioni speciali” quali azioni di particolare risonanza per incrementare il senso d’identità europea e la promozione di premi per attività di grande rilevanza artistica e culturale. Tra le azioni speciali merita un accenno il progetto “Capitali

Europee delle Cultura”; concepito per contribuire a valorizzare la ricchezza, la diversità e il

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dell’Unione europea, è stato inaugurato dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 1985, su iniziativa di Melina Mercourie. Secondo il progetto, ogni città deve stabilire un programma di manifestazioni culturali che valorizzi il proprio patrimonio storico e culturale e, ogni anno, la Commissione europea destina una sovvenzione alla città prescelta. Sin dalla sua istituzione, l’iniziativa ha conosciuto un successo in costante aumento. I numerosi visitatori che le diverse capitali attirano contribuiscono a consolidare il suo impatto culturale e socioeconomico.

Nel 1990, i Ministri della Cultura lanciarono un evento simile, il "Mese culturale europeo" ma che durava per un periodo inferiore di tempo ed era indirizzato in particolare alle nazioni dell'Europa centrale e orientale. Nel 1991, gli organizzatori delle differenti città europee della cultura crearono una rete che permettesse lo scambio e la diffusione delle informazioni, anche per gli organizzatori degli eventi futuri. Questa rete portò avanti, fino al 1994, uno studio sull'impatto della città europea della cultura dalla sua creazione. Il progetto attualmente è finanziato attraverso il programma cultura 2000. Il Parlamento Europeo e la decisione del Consiglio del 25 maggio 1999 integrano questo evento nel quadro comunitario e introducono una nuova procedura di selezione per le capitali del periodo 2005-2019. Questo, per evitare la feroce competizione finalizzata all’ottenimento dell’ambito riconoscimento; per cui, ogni membro dell'UE avrà l'opportunità di ospitare a turno la capitale. Con la Decisione 1622/2006/CE, l'azione comunitaria a favore della manifestazione «Capitale europea della cultura» per gli anni dal 2007 al 2019 è stata aggiornata quanto alle modalità ed alle procedure. Fino al 2004, le Capitali europee della cultura erano selezionate dagli Stati membri all’unanimità. D’ora in poi, la Capitale europea della cultura sarà selezionata ogni anno dal Consiglio su raccomandazione della Commissione, la quale terrà conto del parere del Parlamento europeo e di quello di una giuria composta da sette personalità di spicco della scena culturale.

Alla luce di quanto emerso attraverso l’avvicendamento dei documenti citati, è possibile cogliere l’impegno profuso nel corso degli ultimi anni dall’Unione Europea, nel cercare di affinare gli obiettivi e le strategie per lo sviluppo urbano, fornendo non solo risorse economiche ma anche indicazioni sulle priorità d’intervento, sugli approcci progettuali, sulle modalità di azione, sottolineando l’importanza di una partecipazione quanto più estesa possibile verso soggetti coinvolti sia direttamente che indirettamente nei processi di rigenerazione urbana. Le linee comunitarie hanno cercato di valorizzare quanto più possibile

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le pratiche positive delle esperienze precedenti e di porre rimedio ad alcuni loro limiti, rimarcando la necessità di cooperazione, di reti fra città.

La voce delle città

In tutti questi anni, non sono mancate occasioni per le città di far sentire la propria voce, per ribadire la loro importanza e centralità nello sviluppo dell’Unione e nella realizzazione della politica di coesione europea, mirando ad accrescere il loro ruolo in ambito comunitario. Questi eventi sono per lo più dei Summit promossi in concomitanza di Consigli d Ministri europei delle città.

1998 Convegno “La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo”

(Vienna, European Urban Forum, 1998). Le città furono definite “luoghi di integrazione

sociale e culturale, fonti di prosperità economica, di sviluppo sostenibile e basi per la crescita della democrazia”. Vennero inoltre messe a fuoco alcune importanti tematizzazioni

dello sviluppo urbano: quello sociale e della crescita dei servizi, quello ambientale, quello della rigenerazione strutturale, quello dei trasporti e quello della governance.

2002 I Summit delle Città Europee.

In tale occasione, circa 250 Sindaci hanno sottoscritto la Dichiarazione Londra volta alla

promozione di maggior spazio di una migliore integrazione delle città nelle politiche comunitarie in materia di sviluppo urbano.

2003 II Summit europeo delle città (Milano).

Approvata la Carta dei Sindaci, nota come “Dichiarazione di Milano”, con cui i Sindaci sottoscrivono gli obiettivi di Lisbona e Goteborg e mettono in luce l’esigenza di una crescita non solo economica ma volta alla promozione di uno sviluppo solidale, rispettoso della qualità della vita e dell’integrazione delle categorie più svantaggiate. Nel documento i Sindaci hanno avanzato altri importanti aspetti su cui accrescere il loro coinvolgimento, quali l’investimento nella costruzione di forme di partenariato orizzontali e verticali nella gestione dei programmi di sviluppo urbano finanziati dalle politiche comunitarie.

“ “ III Summit europeo delle città ( Noordwijk).

Le città europee espressero con forza l’importanza del loro ruolo per lo sviluppo e la competitività del sistema europeo rivendicando risorse e poteri gestionali diretti.

Il documento redatto in questa occasione è stato la Dichiarazione di Noordwijk che ha specificato le richieste al Consiglio, al Parlamento e alla Commissione Europea, in termini

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finanziari e di politiche, e ha ribadito la necessità di un maggiore coinvolgimento delle città nelle politiche urbane europee.

* Per informazioni su chi si occupa delle città nell’Unione Europea consultare “Appendice cap.1”

1.6 Le città negli scenari della Globalizzazione: peculiarità, criticità e nuovi attori emergenti

Lo scenario disegnato in questa fase della società contemporanea ha dato vita ad una forma inedita di società che ha di conseguenza riplasmato anche gli scenari urbani. I processi di integrazione europea, di globalizzazione, la messa in discussione degli stati nazionali e della loro capacità direttiva su economia e società, hanno determinato un’evoluzione per le città sotto diversi aspetti. Da un punto di vista propriamente geografico le città e le regioni tendono a perdere di significato; la moltiplicazione dei processi e delle reti che le attraversano impediscono una certa uniformità sociale o politico-territoriale. D’altra parte, l’autonomia raggiunta nei confronti dello stato consente forme di mobilitazione politiche e sociali a livello territoriale, confermando così le città come attori politici e sociali in grado di ristabilire unioni su un territorio e di generare eventuali conseguenze sullo sviluppo economico. 12

Secondo Sassen Saskia,13 una famosa sociologa urbana contemporanea, in un simile

contesto dei processi di globalizzazione sostenuti dallo sviluppo senza precedenti dei trasporti, dal rilievo strategico della logistica, dall’incidenza rivoluzionaria delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, le città acquistano una rilevanza, su scala planetaria, pari o superiore a quella che hanno avuto nel periodo delle città-stato, delle repubbliche marinare e delle leghe di città mercantili. Tali mutamenti impongono di ripensare alla concezione tradizionale delle città che le vede come sottounità dei rispettivi stati nazionali. Esse oggi sono i nodi di una rete di flussi di merci, di conoscenze e di idee; sono i terminali di flussi virtuali, i luoghi in cui i processi astratti di comunicazione si “materializzano” in rapporti faccia a faccia, le merci in valori d’uso, le conoscenze in applicazioni e le idee in

12

Le Galès P., “Quali interessi privati nelle città europee?”in Bagnasco A. e Le Galès P.(a cura di), Le città

dell’Europa contemporanea, Liguori Editore, Napoli, 2001 pp. 249-275.

13

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pratiche. Sono i supporti indispensabili dei processi globali. Si va affermando a livello mondiale il ruolo di quelle che la Sassen definisce “città globali”, caratterizzate dalla rilevanza di infrastrutture, piattaforme logistiche, capitali, processi finanziari.

Nel XIX secolo, le città non costituivano i luoghi di produzione per eccellenza delle maggiori industrie; la creazione della ricchezza aveva altrove il suo centro. Il ruolo delle città si è rafforzato quando, agli inizi degli anni ‘80, la finanza e i servizi specializzati sono divenuti la componente dominante delle transazioni internazionali.

Le città oggi simboleggiano i luoghi strategici per la gestione dell’economia globale, la produzione dei servizi avanzati e lo svolgimento delle operazioni finanziarie. Sono anche piazze di mercato transnazionali; luoghi chiave per l’insediamento delle strutture che provvedono ai servizi avanzati e alle telecomunicazioni, due fattori indispensabili per l’attuazione e la gestione delle attività economiche globali. L’aumento dei servizi alle imprese (finanziari, legali, gestionali, di innovazione, sviluppo, pubblicità, trasporti, sicurezza…), la privatizzazione di imprese pubbliche, l’apertura ai mercati azionari e agli investitori stranieri, l’offerta di servizi di lusso (negozi, alberghi, ristoranti) sono i fattori caratterizzanti della nuova economia urbana.

Spinte da un lato, dai processi di globalizzazione, a competere per attirare risorse e imprese, le città europee sono incentivate dall’altro, alla creazione di sistemi di cooperazione reticolari per la realizzazione di infrastrutture come l’alta velocità, la creazione di circuiti di città d’arte, sistemi di reti telematiche o reti universitarie, che si sviluppano su scala urbana, regionale, transnazionale o addirittura transeuropea. Alcune città si sono talmente evolute negli “spazi” di mercato transnazionali che hanno finito con l’avere più cose in comune fra loro che con le rispettive aree regionali e nazionali.

I nessi che collegano le città attraverso i confini nazionali determina la nascita di Sistemi

urbani transnazionali che non sono solo economici (costruiti attraverso i circuiti

multinazionali di aziende affiliate o come più recentemente accade, attraverso il mercato azionario globale) ma avvengono anche attraverso i gemellaggi, che rappresentano una sorta di politica estera delle città. Questo aspetto è approfondito anche da Manuel Castells14 secondo il quale, la nuova città nasce conseguentemente alla creazione della moderna struttura sociale, la Società delle Reti, caratteristica questa, dell’Era dell’Informazione che stiamo vivendo. Per cui la città assume una forma urbana assolutamente originale che Castells definisce “città informazionale”, che è diverso dal dire “dell’informazione”; mentre infatti il termine “informazione” sottolinea l’importanza dell’informazione nella società, il

14

(23)

termine “informazionale” invece, indica l’attributo di una specifica forma di organizzazione sociale in cui lo sviluppo, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività e potere grazie alle nuove condizioni tecnologiche. L’introduzione delle tecnologie informatiche e della comunicazione hanno contribuito a ridisegnare una nuova geografia fatta di network e nodi urbani dislocati in tutto il mondo. Castells definisce le città regioni metropolitane rappresentate da “costellazioni dislocate in territori

vastissimi”.

Lo sviluppo delle telecomunicazioni, di internet, l’automatizzazione degli scambi e di tutte le operazioni commerciali ha favorito la decentralizzazione spaziale di tutte le attività sociali e la globalizzazione dei mercati e più in generale dell’economia. Anche i vecchi centri industriali si vanno progressivamente trasformando in luoghi di produzione dell’informazione. Secondo Castells le trasformazioni che stanno vivendo le città nell’era dell’informazione si organizzano lungo tre linee che presentano tendenze contrapposte: le

funzioni, il significato e la forma. Questi trend mettono in crisi le città che, come sistemi

sociali di comunicazione, dovrebbero invece agevolare i processi comunicativi e la governabilità.

Il primo trend, quello delle funzioni, si riscontra nell’opposizione tra globalità e localismo, ovvero tutti i processi caratterizzanti di questa società sono organizzati sotto forma di reti globali che si contrappongono a tutti quegli aspetti quali lavoro, tempo libero, identità culturali e partecipazione politica, che si manifestano essenzialmente come locali.

Per quanto riguarda il secondo trend, quello del significato, le contrapposizioni si manifestano tra l’individualismo e il comunitarismo. Mentre infatti l’individualismo si concentra sugli interessi e sull’immaginario individuale, il comunitarismo sull’ identità condivisa, sul sistema di credenze da cui dipende l’identità. Le città, in quanto aggregati di persone, sono costrette a vivere la crisi rappresentata dalla contrapposizione fra individuo e collettività.

Infine, il terzo elemento di contrasto emerge dal fatto che le metropoli sono fatte di spazi

fisici e spazi dei flussi . Gli spazi fisici si riferiscono all’organizzazione delle esperienze

limitatamente alla loro collocazione geografica, mentre gli spazi dei flussi elettronici, indipendentemente dal contesto specifico di riferimento, creano dei network interattivi di relazioni tra attività ed individui collocati in luoghi fisicamente separati.

Efficace risulta la definizione attribuita da Le Galès e Bagnasco alle città, in questa nuova configurazione, come “luogo geometrico degli attori sociali in rete”.15

15

(24)

Ma quali sono i nervi scoperti di questo complesso sistema? Quali sono le contraddizioni che insidiano le nuove città globali?

Le città sono ormai l’elemento cardine delle politiche di sviluppo, il luogo della produzione e accumulazione della ricchezza ma nel contempo rappresentano il luogo delle contraddizioni della modernità. Più in generale, la nuova sfera urbana sembra essere attraversata da un movimento bidirezionale, generato dalla progressiva separazione degli spazi, di inclusione nei network transterritoriali da un lato e dall’altro di esclusione da essi. Si pensi ad esempio alle aree rurali depresse e ai sobborghi cittadini che vengono sempre più tagliati fuori dalla nuova geografia delle reti. (Castells, 2003). L’emergere delle nuove disuguaglianze fra le

città è un argomento trattato anche dalla Sassen nel suo libro “Le città nell’economia globale”, dove spiega che il fattore determinante è rappresentato dalla forte concentrazione

che caratterizza i settori dell’economia urbana che fa sì che oggi soltanto un numero limitato di città svolga un ruolo strategico. Così, città un tempo dominanti si trovano ad essere scalzate via dalla loro posizione, mentre città ubicate in zone di confine possono divenire improvvisamente importanti. Le nuove città globali possono per di più sottrarre alle capitali o ai capoluoghi di provincia una parte degli affari, della domanda di servizi specializzati e degli investimenti.

È questa una delle contraddizioni della complessità che caratterizza la società gobalizzata: le città, da un lato, sono incoraggiate a mettersi in rete per promuovere il “prodotto città” con i servizi che esso offre aumentando così la visibilità delle strategie territoriali sul piano internazionale. La rete diventa cioè uno strumento efficace per le strategie di marketing urbano contribuendo su scala europea a costruire e mantenere un ruolo nello scenario nazionale ed internazionale e a porsi come attori collettivi per affermare sempre più un proprio spazio culturale e politico. Dall’altro lato però, la globalizzazione le obbliga a competere per catturare investitori. Nella realtà dei fatti è la competitività a dominare; le politiche urbanistiche sono sempre più impostate intorno all’obiettivo di rendere la città attrattiva, capace di attirare risorse dall’esterno. Il recupero delle aree storiche ad esempio, prima ancora che mosso da esigenze di salvaguardia e protezione di questi patrimoni, in virtù del loro valore culturale e identitario, può nascondere l’esigenza primaria di offrire qualcosa da “vendere”, di ottenere qualche entrata per incrementare il bilancio. Questo tipo di marketing urbano è diventato un terreno su cui le città sono costrette a presentarsi se non vogliono restare ai margini dei flussi finanziari e di investimento internazionali.

Lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione che sta alla base della globalizzazione, costituisce un ulteriore fattore di differenziazione. Per stare nella

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