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CAPITOLO III I RAPPORTI TRA L’AZIENDA DATINI DI PISA E LA SICILIA

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Academic year: 2021

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61 CAPITOLO III

I RAPPORTI TRA L’AZIENDA DATINI DI PISA E LA SICILIA Dall’analisi della documentazione mercantile è possibile ottenere, oltre a notizie

dettagliate sulle merci e sui traffici internazionali, anche numerose informazioni sui fatti di natura extra-economica. Dopo una breve descrizione dei caratteri estrinseci delle missive, in questo capitolo verranno messe in evidenza le relazioni tra il Datini e il suo collaboratore stanziato a Palermo, a fianco del quale compaiono un buon numero di assistenti, dipendenti ed amici che operano nei mercati isolani; si analizzeranno poi temi come la pirateria, gli eventi bellici, le carestie, le pestilenze e quindi il tasso di mortalità, che rendono il contenuto del documento di straordinario interesse per qualsiasi studioso e fanno della lettera

mercantile un documento “universale”, proprio per l’infinità di notizie in essa contenute; in ultima analisi si prenderanno in considerazione gli aspetti legati all’invio delle missive da e per la Sicilia e al funzionamento del sistema postale di fine Trecento.

Le lettere commerciali contrassegnate coi numeri dal 6505 al 6557, contenute nella busta 534.20 sono firmate da Ambrogio Bini ed indirizzate alla “Compagnia i(n) Pisa”.

La scrittura adottata è la mercantesca mentre la lingua, come in precedenza detto, è il volgare di tipo toscano. La caratteristica più evidente del modo di scrivere dei mercanti è come il linguaggio ricalchi le espressioni di uso orale, ragion per cui trattandosi del volgare fiorentino, nel testo abbondano le “h” davanti alle consonanti “c” e “g” (tra le parole più ricorrenti: chose, chostà, anchora, ghalea, paghatore). A complicare la lettura dei documenti contribuiscono la mancanza di punteggiatura,lo scarso uso delle “doppie” e l’assenza di accenti nelle parole: per comprendere il senso di un termine occorre sempre quindi contestualizzare il vocabolo all’interno del testo e, quando è possibile, ricercare simili parole con cui poter effettuare un confronto.

La struttura formale della lettera mercantile appare “rigorosa”1. Tutte le lettere infatti cominciano con la classica invocazione simbolica e verbale “Al nome di Dio”, seguita dalla

1

Frangioni Luciana, Organizzazione e costi del servizio postale alla fine del Trecento. Un

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62 data in cui si inizia a scrivere la lettera2. L’invocazione religiosa e i numerosi richiami alla divinità che interviene in soccorso del mercante e dei viaggiatori testimoniano il legame ancora forte esistente tra la fede cristiana e l’attività commerciale svolta da questi. Per quanto riguarda la datazione delle lettere, il Bini utilizza lo stile dell’Incarnazione fiorentina, in base al quale l’inizio dell’anno viene fatto coincidere con il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione del Signore. Questo aspetto va tenuto altamente in considerazione per quelle lettere inviate dal 1° gennaio al 24 marzo, in quanto bisogna retrodatare l’anno indicato durante questo lasso di tempo di un anno per ricondurlo allo stile della Natività da noi oggi utilizzato, mentre l’indicazione dell’anno torna a coincidere con lo stile normale dal 26 marzo al 31 dicembre. Fino al doc. 24, infatti, la datazione riportata dall’autore è quella dell’anno 1383 e solo nella successiva lettera del 5 aprile compare il 1384.

Il primo paragrafo della missiva riporta, in forma quasi standardizzata, indicazioni sulle precedenti lettere ricevute ed inviate, sugli itinerari lungo i quali la lettera ha viaggiato, sui navigli utilizzati e suoi loro proprietari. Nel corpo centrale del documento invece non si segue uno schema di scrittura ben preciso; solitamente il primo argomento trattato riguarda la vendita dei panni e i sistemi di pagamento che vengono utilizzati per saldare i conti, dei quali si dirà dettagliatamente nel capitolo IV.

Alla vendita dei panni seguono solitamente le informazioni sul grano (costi e luoghi dov’è possibile acquistarlo) e sui prodotti alimentari tipici del mercato siciliano: formaggi, tonnina e zucchero. Dato che il mercante non si specializza su un solo tipo di merce ma si interessa di qualsiasi mercanzia possa risultargli vantaggiosa, nei documenti affiorano varie tipologie di prodotti, da quelli agro-alimentari appena citati - e non solo -, a quelli manifatturieri, quand’anche la richiesta di “merce umana”. Pur rimandando l’approfondimento sugli articoli commerciati al capitolo successivo, occorre qui precisare che le indicazioni che troviamo nelle lettere da Palermo a Pisa non coprono solo l’area di produzione riguardante la Sicilia, ma offrono un più ampio quadro dei prodotti manifatturieri provenienti da tutta

2

Solo nei Doc. 5 e 37 di fianco alla formula “al nome di Dio” compare la parola “amen”, mentre l’unico documento a non riportare alcun tipo di informazione ad inizio lettera, iniziando

direttamente con il testo, è il doc. 49. Questa anomalia può essere spiegata dal fatto che quello che ci risulta il primo foglio potrebbe non esserlo, in quanto mancano le usuali formule d’apertura della lettere mercantile e il discorso si apre con “P(er)ò q(u)a àne tanti chatalaneschi che lonbardi…”.

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63 Europa: le lenzuola padovane, i canovacci e le tele di Borgogna, i drappi di Lucca, i fustagni di Milano, le cuoia d’Alessandria sono solo alcuni dei prodotti lavorati che vengono

immessi nel circuito commerciale dell’isola.

Nella parte conclusiva della lettera troviamo generalmente indicazioni riguardanti eventi politici, religiosi e sanitari che influenzano, in positivo o in negativo, il mercato siciliano - che verranno trattati nel secondo paragrafo di questo capitolo.

Il contenuto della lettera si concludeva con ulteriori due indicazioni: la prima riguardava le quotazioni delle principali mercanzie (come nel documento 32 dove si informa che: “Grano cie n’è suto chativa richolta, ughuano vale a Termine/ t. 20 ½ i(n) 21 salma, a Girgienti t. 20 salma e a Chastello a Mare/ t. 20 salma valie f. 3 salma./ Tonina on. 75 C bar(ili) charichata e spaciata./ Formagio t. t. 13 cant. charichato e spaciato, chaci/ chavali t. 22 cant.” 3); ed in ultima analisi venivano riepilogati i tassi di cambio sulle principali piazze italiane, presenti in chiusura nei docc. 1-13, 16-21, 26, 27, 30 e 34, dove vengono riportate le quotazioni dei cambi con riferimento alla piazza di Palermo - indicata nelle lettere con l’espressione “P(er) chostà” -, di Genova, di Napoli e, in sole quattro occasioni, di Roma4

. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente interessante dato che conoscere con esattezza la quotazione dei cambi monetari poteva dar luogo a non pochi guadagni.

3

Doc. 32, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 16-09-1384. Altri esempi si possono trovare nel doc. 2, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 07-06-1383: “Grano q(u)a de la banda dentro no se ne può avere punto, a Girgenti t(arì) 14/ e pochi venditori. Formagio t(arì) 16 e meno. Tonina no n’à pregio.”; nel doc. 12, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 23-08-1383: “Formagio vale charichato e spaciato f(iorini) 2 canti e darcene asai/ e chaci chavali vale charichato e spaciato f(iorini) 3 can. e dacine asai e non à/ richiesto nulla./ Zucheri d’una chotta on. 5 ½ di due chotte on. 11/ Altro no v’abiamo a dire.”; nel doc. 21, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-01-1384: “Q(u)a si regie che di Palermo no ci esce. Soronto t(arì) 19, Termini 18/ Chastello Mare 16 ½, Valone 15 e più, Sciacha, Marsala,/ Mazara 16 ½, Girgenti 17 (…) siatene avisati. Tonina on. 65. Formagio 16,/ chaci chavalli 25.”; nel doc. 30, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-08-1384: “Grano (…) vale a Termine/ t. 19, a Girgenti e Chastello a Mare t. 18 a Scia(cca) t. 17 e al Vallone/ t. 17 e no ci àne richiesta nulla p(er) niuno pasese./ Formagio ci vale charichato e spaciato f. II, chaci/ chavali f. 3 cantaro charichato e spaciato e no cie n’à richiesta/ nulla e àciene asai./ Zuchero d’una chotta on. 5 ½, di due on. 11./ Tonina ci vale i(n)tera on. 75 C barili./ Altro p(er) q(u)esta no v’abiamo a dire. I Dio vi ghardi.”.

4

Rimane poco chiaro il senso della parola “meq(u)esti”, riscontrata nei docc. 1, 3, 4, 6, 7, 8, 10, 11, 13, 16, 17, 19, 20, 21, che dovrebbe significare “meglio questi”.

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64 Dopo la firma e la data di chiusura, solitamente posteriore a quella di inizio di un paio di giorni, la lettera veniva piegata in tre parti e legata utilizzando uno spago che veniva fissato alla carta tramite la ceralacca.

Altre importanti indicazioni sono fornite sul tergo della lettera. Qui si specificavano il nome del destinatario - nel nostro caso la documentazione è inviata a “Franciescho di Marco e chompangni” o anche “Francescho da Prato e compangni” - e la sede in cui doveva essere consegnata la missiva, ovvero “i(n) Pisa”. Giunta a destinazione, il ricevente poneva in alto l’indicazione dell’anno corrente e, subito sotto, specificava il luogo di provenienza - “da Palermo” -, e il giorno e il mese d’arrivo.

Un così alto numero di pagine e di lettere comportava una costante spesa per il mercante che doveva provvedere all’acquisto del materiale scrittorio, quindi della carta, dello spago e della ceralacca per chiudere e sigillare, dell’inchiostro e delle penne per scrivere. Una delle richieste fatta dal Bini al pratese è proprio l’invio di “balle II di piuma, cioè di chotesta pena voi avete, e fa=/ te sia delle migliore ve n’è e noi provederemo se cie ne potesimo/ ispaciare una sorta, siché fate di mandala p(er) lo primo/ e direteci lo chosto.”5.

5

Doc. 33, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 17-09-1384: “Mandateci balle II di piuma, cioè di chotesta pena voi avete, e fa=/ te sia delle migliore ve n’è e noi provederemo se cie ne potesimo/ ispaciare una sorta, siché fate di mandala p(er) lo primo/ e direteci lo chosto.”; nel doc. 49, dell’8 dicembre1384, il Bini è informato dell’avvenuto invio della merce: “Avisati siamo chome p(er) deta nave ci mandate p(er) noi propi II/ balle di piuma de la migliore, sia chon Dio q(u)este chiedemo p(er)/ provare se niuno pro se ne potese fare.”, e nel doc. 52 (AdP, lett. da Palermo a Pisa del 20-12-1384) le balle risultano essere correttamente arrivate: “I bomerali e aghuti e stochi e piuma e

stangnio e ongni chosa voi/ mandato ci avete abiamo ricieuto, siché sta bene./ P(er) altra l(ettera) v’aviseremo a chompimento.”.

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65 III.1 I COLLABORATORI E I DIPENDENTI

Abbiamo già sottolineato come il sistema aziendale del Datini abbracciasse l’intero bacino del Mediterraneo e come la rete di informatori ed operatori economici sparsi per l’Europa fornisse la possibilità al mercante pratese di organizzare i traffici commerciali più redditizi con estrema razionalità. Una così ampia organizzazione degli affari richiedeva un gran numero di collaboratori sempre in continuo spostamento e pronti a fiutare i migliori affari sulle principali piazze mercantili.

Crocevia dei mercati per la sua posizione strategica, la Sicilia non poteva rimanere fuori dall’orbita commerciale del Datini, che si adoperò, non appena tornato in Italia, ad inviare nella capitale del Regno un suo collaboratore.

Il primo operatore datiniano attivo sulla piazza di Palermo è Ambrogio Bini, fiorentino di nascita e trasferitosi nella città siciliana nel 1383.

L’intensa attività svolta è documentata dal 6 Giugno 1383 al 15 gennaio 1387 e si interrompe nel febbraio dello stesso anno quando il mercante cade in fallimento ed è costretto a fuggire prima a Termini Imerese e poi a riparare presso il piccolo centro abitato di Polizzi, lasciando perdere ogni sua traccia6.

Negli anni in cui lo vediamo operativo sulla piazza palermitana, il corrispondente del Datini si occupa direttamente dei negozi e informa dettagliatamente il suo superiore delle

condizione del mercato siciliano, delle vicende politiche legate ai “signori dell’isola” o ai sovrani angioini, delle carestie e delle numerose spedizioni piratesche che colpiscono le navi mercantili nei mari siciliani. Dalla corrispondenza epistolare con il fondaco di Pisa emerge infatti la funzione delle lettere quali fondamentali mezzi di conoscenza per rimanere informati su persone, merci e anche luoghi lontani, come nel caso del breve cenno fatto alla sfortunata sorte del signore di Metellino (oggi l’attuale Mitilene) e del suo castello che a seguito di cause non specificate, cadde in rovina7. Lontano dalla sua terra, Ambrogio si

6

Melis Federigo, Aspetti della vita economica medievale…, pag. 191, nota 11. 7

L’isola, una tra le maggiori dell’arcipelago egeo, già dal XIII secolo era entrata nell’orbita commerciale dei genovesi che avevano ottenuto privilegi commerciali per l’esportazione delle merci del luogo (in particolare l’allume, ma anche prodotti orto-frutticoli e legname) e dalla metà

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66 informa sugli spostamenti dei colleghi8, sulla loro salute e su ogni notizia relativa alle

vicende interne dell’azienda Datini. Ricorrenti sono i suggerimenti che l’operatore

economico attivo sulla piazza palermitana fornisce al mercante pratese, informandolo della convenienza degli acquisti o della necessità di rimandare un affare per l’eccessivo costo o la scarsa qualità della merce9. Quando le risposte del Datini si fanno attendere, il mercante fiorentino non manca di sollecitare il pratese nel fornirgli nuove informazioni tramite missive, come quando lo prega affinché gli avvisi vengano fatti più di frequente, lasciando trascorrere meno tempo tra una lettera di risposta e l’altra10. Nella lettere del 30 ottobre il Bini lamenta la mancanza d’informazioni in tal modo:

del secolo successivo il predominio commerciale ligure si trasformò in controllo politico grazie alla famiglia dei Gattiluso, che instaurarono una signoria destinata a durare fino a quando la caduta di Costantinopoli in mano turca non segnò le sorti della sovranità genovese. Ciò potrebbe spiegare l’interesse del Bini nel fornire una tale notizia al suo superiore. Nel doc. 14 (AdP, lett. da Palermo a Pisa del 15-09-1383) così viene comunicata la notizia dell’avvenimento: “Averete saputo chome lo Chastello di Metelino si dirupò e morì lo sin=/ gnore e molta gente e II isole si sono volte soto sopra/ e uno grande giudicio i Dio ne ghardi cristiani”.

8

Doc. 2, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 07-06-1383: “E avisati siamo chome Francescho vostro s’è ito a stare a Prato/ e che tiene lo traficho a Vingnione e chostì, e anche lo farà i(n)=/ n altri luoghi, è chosa ch’a noi piace asai d’ongni suo bene.”; Doc. 7, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-07-1383: “Avisati siamo chome Istoldo e Mano siete chostà p(er) F(rancescho) di Marcho/ e chosì ve ne abiamo r(isposto) e piaceci asai e bene ci piace voi/ siate ati in ogni parte avere delle chose”; “Avisati siamo chome Francescho istà a Prato”.

9

Doc. 10, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 15-08-1383: “Se de’ pani di Prato ci mandarete II balle di q(u)egli ch(i)esti v’abiamo, avisiamo/ ne farete bene e poichè Francescho istà làne si ne potrà mandare/ asai se utile vi vedrà, siché starà bene.”; Doc. 16, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 11-10-1383: “Noi solecitiamo di spaciare q(u)anto si può i(n) vostri pani e bene/ averemo charo voi ne facesi pro p(er)ò che facendo pro voi/ v’avazeresti i(n) q(u)esto paese di fare delle chose ma se no fia/ ora fia un’altra volta che meglio si farà siché p(er) la pri=/ ma volta ne si vole p(er)ò

abandonare che chon Dio i(n)=/ nazi tuto dì ci si potrà fare di buone chose e bene/ siamo avisati d’aprire gli ochi nel credere e chosì faciamo/ siché chol’aiuto di Dio ongni chosa andrà bene.”; Doc. 23, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 23-03-1384: “Vegiamo chome vi diliberasti di no chiedere grano p(er) ora, crediamo abiate/ fato il meglio però che da poi è di q(u)a forte montato, ma i(n)nazi/ era buono p(r)ovidere tuto sarà istato p(er) lo meglio.”.

10

Doc. 11, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 15-08-1383: “E ci venuto la destriera manava Giovani Charoci adì 20 e p(er) lui/ nulla ci scrivesti ch’adì 13 partì di chostà, fate d’avisarci/ più speso ne fatte.”; Doc. 21, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-01-1384: “Abiamo meraviglia asai di voi che q(u)a è venuto Giovani di Dome=/ nicho e II altri navili e p(er) niuno l(ettere) ci avete mandato,/ avisiamo p(er)chè avete trope facende siché a noi non avete/ potuto avisare p(er) lo inazi ci aviserete e di ciò vi preghiamo.”.

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67 “Ma sono venute l(ettere) di chostà adì 27 di q(u)esto e sono fate i(n) Pisa adì 14

di q(u)esto/ p(er) la barcha di Francischo Martello da Levanto, sianci forte maravigliati di voi/ chome no ci avete avisato e l(ettere) ci sono sute asai da Lorenzo Cianpolini e/ da molti altri siché vi preghiamo che voi da Livorno vi faciate tenere avisati/ q(u)ando barche o d’altri navili venghono a l’isola che voi iscriviate e/ bene non abia a venire q(u)a in ogni luogho del’isola dove ariverà/ ci fieno poi mandate siché p(er) Dio teneteci avisati che q(u)a ci venghono/ si radi navili che a noi è molto nicisario esere avisati p(er) sapere/ novelle delle chose di q(u)a si traghono chome si reghono di chostà e sendo/ noi ispesi avisati p(er) voi e p(er) noi fia buono.”11

.

Ricevute le attese notizie, nel commento della lettera inviata a Pisa nei primi giorni di novembre il mercante esprime la propria soddisfazione e confida al Datini che “piaceraci asai voi ispeso ci avisiate e così faremo noi a voi, che voi/ sapete che p(er) lo scrivere ispeso si fano cierti avisi il p(er)chè utile/ asai ne seghue, siché starà bene.”12.

Dovendo far conto con un gran numero di collaboratori ed operatori economici di altre aziende, di assoluto rilievo sono le informazioni che il Bini riferisce al suo maggiore per diffidare di coloro che non sono ritenuti meritevoli della fiducia del grande mercante per i propri traffici, al fine di ridurre al minimo i rischi di una cattiva collaborazione. In diverse occasioni il mercante fiorentino conferma il rapporto di fiducia che esiste col pratese, come si evince dalle lettere del novembre 1384, quando Ambrogio si rivolge al suo superiore che “noi no siamo p(er) inpaciarci/ chon p(er)sona altro che chon voi di chose a chomune e p(er)ò/ provedete si s(er)vire bene e avisarci ispeso.”13. Che i rapporti lavorativi si basino

11

Doc. 42, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 30-10-1384. 12

Doc. 44, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 03-11-1384. Dopo aver tanto scritto, in alcune lettere, in mancanza di nuove informazioni, troviamo scritto che: “A q(u)esti dì pasati v’abiamo iscrito p(er) più lett(ere) e p(er) tute v’abiamo avisato dele chond=/ izioni e valute di q(u)a, da poi c’è pocho di nuovo p(er) ora.” (Doc. 25, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 05-04-1384); oppure che: “P(er)ché iscritto asai v’abiamo e di nuovo nulla abiamo faremo/ senza più dirvi.”(Doc. 9, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 01-08-1383).

13

Doc. 44, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 03-11-1384; Doc. 46, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 10-11-1384: “Chome v’abiamo deto q(u)esto traficho vogliamo p(er) voi e p(er) noi/ e pocho chon

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68 sulla fiducia e sulla fedeltà si intuisce anche quando, per la conclusione di un affare, il Bini chiede al Datini di fornire della merce all’amico Baldassare Gennaro di Tomeo, che di frequente doveva entrare in affari con il fiorentino perché come dice lo stesso Ambrogio “egli sane chome io gli voglio”; al contrario, nella lettera del 28 dicembre 1384 il Bini sembra diffidare delle proposte avanzategli da un collaboratore della compagnia degli Alberti e rifiuta ogni affare che gli viene presentato: “fusimo alchuna cosa/ cho’ loro e noi, di no deto gli abiamo tornasi cho’ noi molte/ chose dice, ma nullla voglio dare udienza.” 14

. Il lavoro svolto dal mercante residente a Palermo prevede numerosi spostamenti, che lo portano lontano dalla propria sede e pertanto delle volte impossibilitato a rispondere, come afferma nella lettera del 16 Maggio 1384 dove dice che: “p(er)ò no posiamo iscrivere, p(er)ò non abiamo tenpo, p(er)ò/ lo lengnio si vole partire i(n) q(u)esta ora./ Abiateci p(er)

ischusati p(er)ò no vi posiamo iscrivere a chonpimento ma/ subito p(er) la via di Napoli v’aviseremo di tuto q(u)anto sarà/ di bisongnio.”15

o come nel doc. 33, quando egli stesso scrive che: “q(u)esta sera si parte una nave p(er) chostà venire/ si vi poso pocho scrivere ma p(er) lo primo altro pasagio/ v’aviserò a pieno di tuto p(er) modo istarà bene”. Gli

spostamenti dovevano essere frequenti: nel documento 12, datato 23 agosto, Ambrogio viene atteso “ogimai di giorno i(n) giorno”, mentre nella lettera successiva del 31 dello stesso mese si afferma che “Anbruogio verà chostà a l’otobre se Dio piacerà/ e chon voi i(n)sieme si farà alchuno bene.”16; in realtà il viaggio previsto ad ottobre slitterà al mese successivo, in quanto fino al 29 dello stesso mese il Bini non troverà alcun passaggio per

altre p(er)sone c’inpacieremo se voi farete q(u)ello/ ci diciesti a bocha, siché avisateci speso a ciò, noi avisati/ siamo e noi seghuiremo poi sichondo ci direte.”.

14

Doc. 35, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 08-10-1384: “Fategli fornire a Baldasare Genaro di Tomeo di chi è la ch……/ dove sta il Bate è mio amicho e s(er)viraci bene anchora/ fornite C bomorali di grandi, egli sane chome io gli voglio,/ siché a lui fate fornire ongni chosa e p(er) lo inazi tuto dì/ vi chiederò de l’atre chose tute p(er) voi e p(er) noi e chon Dio/ i(n)nazi faremo q(u)alche bene.”; Doc. 53, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 28-12-1384: “Q(u)a è venuto Nicholò p(er) gli Alberti e p(er) q(u)ello io posa chonp…/ … e ci vogliono avere afare, siché siatene/ avisati a noi pure da intorno p(er)chè fusimo alchuna cosa/ cho’ loro e noi, di no deto gli abiamo tornasi cho’ noi molte/ chose dice, ma nullla voglio dare udienza./ Altre chose molte dicie lasciaremo stare.”.

15

Doc. 28, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 16-05-1384. 16

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69 raggiungere Palermo17. Non essendo ancora partito a fine novembre18 e non avendo certezze di sicure partenze da Palermo, si informa “che ora/ è suta nolegiato una nave chastelana p(er) Lodovicho Chasa=/ nuova e p(er) Nicholaio di Falchone che vane a charichare a Marsala/ di là da Trapani se altro pasagio no ci fia se ne verà suso/ ma se altro ci fuse charichase più preso vi verebe inazi ch’an=/ dare a Marsala, siché i(n) su lo primo ne verà./ Dite vi diciamo se Anbrugio è p(er) venire o no, p(er)ò cho’ lui voresti par=/ lare di che come vi diciamo p(er) lo primo fia chostà e alora/ potrete dare ordine sia p(er) fati di Roma che dite e sì p(er) tute/ altre chose p(er) l’avenire.”19. Un secondo viaggio fuori dalla Sicilia dev’essere avvenuto a cavallo tra il marzo e l’aprile del 138420

, come conferma la lettera del cinque aprile dove lo si vede impegnato a Firenze21, ed ancora a fine maggio quando la sua presenza è attestata a Savona22. Lungo il periodo estivo pare che gli spostamenti si

interrompano, per poi riprendere solo a metà settembre, con un viaggio a Prato, e a metà ottobre, con il ritorno in sede da una località non specificata23. Durante il periodo di assenza del Bini, i lavori a Palermo vengono svolti da collaboratori che si prendono cura delle

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Doc. 17, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-10-1383: “Chome v’è deto Anbruogio fia chostà subito e potrete/ dare ordine di fare alchuna chosa i(n)sieme.”; Doc. 18, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 29-10-1383: “P(er) lo primo navilio verà/ chostà Anbruogio se Dio piacerà”.

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Doc. 19, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-11-1383: “P(er) anchora non à trovato Anbrugio pasagio p(er) chostà venire, chome/ lo troverà chosì ne verà”.

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Doc. 20, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 11-12-1383. 20

Doc. 23, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 23-03-1384: “Vegiamo chome dite n’avete iscrito pocho p(er) l’atesa d’Anbruogio/ e chome no volete fare niente p(er) q(u)a p(er) ifino a tanto che chon Anbruogio/ non arete parlato. Da poi vi fia istato e da lui sarete a pieno avisato,/ siché istarà bene./ lettera 24, copia, del 24.03.84 “Vegiamo chome ne dite voi n’avete iscrito pocho p(er)chè di giorno i(n)/ giorno voi aspetavate Anbruogio e chome dite no volete fare niente/ p(er) q(u)a i(n)fino a tanto chon Anbruogio non avete parlato, da poi vi sarà giu=/ nto e da lui sarete istati bene avisati de le chondzioni di q(u)a.”.

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Doc. 25, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 05-04-1384: “Abianvi detto p(er) altra chome noi ricevemo lett(ere) d’Anbruogio chome era/ giunto salvo e abiamo chome se n’andò a Firenze e da poi fia tornato e fa=/ to ora q(u)anto fia suto di bisognio.”.

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Doc. 29, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 31-05-1384: “Vegiamo chome Anbruogio era ito a Saona che Dio l’abiabia/ mandatto salvo, ora sarà chostà tornato p(er) q(u)ane venire,/ che Dio lo mandi a salvamento.”.

23

Doc. 32, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 16-09-1384: “Siamo avisati chome Anbruogio nostro era ito a Prato e poi p(er)/ lo primo se ne dove(v)a venire, che Dio lo mandi salvo./” e doc. 36 “Di poi averete auto l(ettere) p(er) Lodovicho e averete veduto chome/ Anbruogio gunse q(u)a e la roba ci mandasti ricievemo, siché sta bene.”.

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70 transazioni economiche e della corrispondenza, come già accennato nel primo capitolo - dove ho evidenziato le differenti mani che compaiono nei documenti -, e come evidente da alcuni commenti del mercante fiorentino nelle sue lettere. Nel doc. 33 ad esempio, appena tornato nella sede siciliana Ambrogio scrive a Pisa quanto fatto dai collaboratori in sua assenza: “Anchora vedrete p(er) una l(ettera) vi fano q(u)esti miei chome/ àno venduti i sete pani achatamo”24.

Se il Bini è il referente principale del Datini, una vasta gamma di personaggi ruota intorno all’attività commerciale svolta nell’isola alla fine del Trecento: mercanti, armatori, lanaioli e garzoni sono citati nelle lettere perché intrattengono costanti rapporti con l’azienda

palermitana. Nel suo saggio Economia e storia della Sicilia trecentesca nei documenti dell'Archivio Datini, il Giunta annota tra i collaboratori del Datini operanti nella Sicilia orientale Gherardo Pacini, per la piazza di Messina, Baldo Vilanuzi, stanziato a Catania, e per la Val di Noto Cristiano del Migliore, Arrigo Sassolini e Biagio di Donato,

rispettivamente attivi a Modica, Noto e Pozzallo25. Nella sola Palermo, il Melis individua tra i collaboratori Giovanni Abbatelli, nato in Sicilia, e alcuni dipendenti di compagnie

fiorentine quali Agnolo di ser Pino, Bartolo Bonciani, Giovanni Corbizi, Salvestro Nardi e Vannuccio Petrucci.

Uno dei collaboratori più citati è Stoldo di Lorenzo di ser Berizo, socio del Datini nella compagnia di Firenze e protagonista di alcuni passi delle lettere inviate da Palermo a Pisa. Nei primi anni passati al servizio di Francesco, Stoldo viene impiegato dal maggiore presso il fondaco pisano, insieme al compagno Matteo di Lorenzo di Matteo Boninsegna 26 . Per entrambi si tratta di una sorta di gavetta, che dovranno affrontare prima d’aver maturato la giusta esperienza per essere associati alla guida di una compagnia. Dopo aver lavorato per la compagnia di Domenico d’Andrea, Stoldo inizia l’esperienza presso il fondaco di Pisa già

24

Doc. 33, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 17-09-1384. 25

Giunta Francesco, Economia e storia della Sicilia trecentesca nei documenti dell'Archivio Datini, in Studi dedicati a Carmelo Trasselli, a cura di Giovanna Motta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1983, pp. 399-407.

26

Doc. 7, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-07-1383: “Avisati siamo chome Istoldo e Mano siete chostà p(er) F(rancescho) di Marcho/ e chosì ve ne abiamo r(isposto) e piaceci asai e bene ci piace voi/ siate ati in ogni parte avere delle chose, sia chon Dio se/ a Dio piacerà, v’aviseremo i(n) p(er)chè utole farete di q(u)a.”.

(11)

71 dagli ultimi giorni del gennaio 1383, periodo in cui fu aperta ufficialmente l’azienda, e l’arrivo in sede poco tempo dopo del collaboratore Manno d’Albizo degli Agli, gli permetterà di svolgere numerosi viaggi, per lo più a Firenze, e di seguire sempre più da vicino le sorti dell’azienda fiorentina che creerà col Datini nel 1390. La presenza a Pisa di Stoldo è documentata dalle lettere inviate da Palermo. Curiosamente in diverse lettere, il Bini sembra far confusione nello scrivere, in quanto se normalmente le comunicazioni sono dirette a Francesco Datini, in alcuni passi - e spesso nello stesso periodo - il mittente cambia il soggetto riferendosi chiaramente all’impiegato della sede pisana. Nel 1384 il Bini infatti lo cita direttamente nella missiva del 17 settembre, chiedendo di tenerlo spesso avvisato sui rapporti con Niccolò dell’Abate, e in quella del 3 di novembre, dove si prega l’agente di Pisa di fornirgli informazioni sulla salute del Datini, caduto in malattia27. Due mesi dopo è ancora il Bini ad interessarsi stavolta delle sue condizioni di salute dopo la notizia della febbre che lo aveva colpito mentre era fuori da Pisa, domandando al pratese di tenerlo informato.

Tra i personaggi che incontriamo nel carteggio un posto di rilievo merita Giovanni Carocci, operatore pisano attivo in Sicilia nel commercio di grano e panni, protagonista di uno dei tanti spiacevoli episodi di pirateria e di prigionia. Nelle due lettere inviate il 20 luglio 1384 da Bona - località dove viene condotto in prigionia - a Pisa, entrambe trascritte integralmente dal Ventura28, è lo stesso mercante reso schiavo ad informare dell’accaduto gli amici e colleghi Francesco Datini e Domenico di Bartolo Carocci. La vicenda trova eco anche nei documenti inviati da Palermo all’azienda pisana. Le prime lettere di cui

disponiamo vedono Giovanni Carocci operare nel commercio del grano (“Giovani Charoci

27

Doc. 33, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 17-09-1384: “Mandavi i(n) q(u)esta una l(ettera) madò a Nicholò del Bate,/ fate di daglielle e a te Stoldo ti priegho vi vadi/ ispeso e avisami chome istà la chosa.”; Doc. 44, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 03-11-1384: “Avisato sono da Nicholò e da la dona e vegho chome p(er) ora/ no sono p(er)venire p(er)ò dichono Francischo è malato (…), e te Stoldo ti priegho/ tu vi vadi speso e solecitagli ne venghino e faresi molto p(er) me/ e sapi di loro i(n)tezione e me avisa…”.

28

Ventura Domenico, Cronaca di un riscatto. Dalle lettere di Giovanni Carocci, mercante pisano

"schiavo" in Tunisi (1384-1387), in “Ricerche storiche”, vol. XXII, 1992, pp. 3-20, con la

trascrizione del primo documento del 20.07.1384 da Bona a Pisa, dove si dice che: “Esendo partiti di Cicilia, sopra Ustica miglia 20 trovamo una galea e una galeotta di saraini e, dopo date, battaglie, fumo presi e menati a Buona in Barberia e venduti, e nave mandarono a Tunisi e la vendero”.

(12)

72 ave achatato 1100 salme di grano di fuori, a Sciacha/ e Marsala”) e dei tessuti, con l’invio di “balle VII di pani”, e il 29 novembre 1383 si da notizia del ritorno in Sicilia a bordo della nave di Bernardo Ginestra (doc. 19). Nella documentazione proveniente da Palermo non abbiamo notizia diretta della cattura ad opera dei saraceni, ma nel doc. 41, e nelle due copie (docc. 42 e 43), si fa menzione dell’avvenuta liberazione del mercante, dietro il pagamento di un riscatto di 500 dobre29. In realtà il periodo di prigionia cui sarà costretto Giovanni Carocci si prolungherà fino ai primi mesi del 1385, e solo nel marzo riapparirà nella

documentazione datiniana, impegnato nelle consuete attività commerciali tra l’isola, il porto di Gaeta, e la Toscana30.

Le altre persone che più di frequente compaiono nei documenti del mercante fiorentino sono armatori di navi e i loro nomi si ritrovano nella parte iniziale della lettera, quando si danno informazioni sulla portata, le condizioni e le rotte dei navigli, o più raramente in chiusura di lettera. Antonio Arne, Bartolomeo Carbone, Antonio Jacopi, Nicoloso di Sodo, Pietro di Fazio e Simone Ferraro sono tra i più assidui proprietari di barche tramite cui viene inviata la roba da smerciare, mentre solo in un paio d’occasioni compaiono Arnaldo del Mao e Francesco Martello, anch’essi delegati al trasporto di mercanzie per le aziende Datini.

Alcuni brevi ma interessanti commenti vengono riservati infine alle condizioni di salute dei collaboratori del pratese. Ad inizio novembre ad esempio si fa riferimento a

“Franchisco” (ma non possiamo sapere se è il Datini in persona) che “è malato” e qualche giorno dopo abbiamo notizia che il già citato marinaio Bartolomeo Carbone viene sostituito

29

Doc. 41 e Doc. 42 (copia del precedente), AdP, lett. da Palermo a Pisa del 30-10-1384: “Da Tunisi è venuto a Trapani la nave di ********/ chonta chome Giovani Caroci e uno altro era reschatato e che/ p(er) lo primo pasagio o q(u)a o chostà verà”.

30

Un importante studio sull’attività svolta da Giovanni Carocci è stato condotto da Cesare Ciano in A bordo della nave di Giovanni Carrocci nel viaggio da Porto Pisano a Palermo

(1388-1389), in “Economia e Storia”, XIII, 2, 1966, pp. 141-183, dove, attraverso l’analisi di un “codice

particolare” che “assomma in sé […] il «giornale generale e di contabilità» e il «giornale di carico», o se si vuole, di «boccaporto»”, l’autore dà notizia del personale di bordo, del tonnellaggio della nave utilizzata durante la navigazione, del percorso marittimo e del cabotaggio effettuato dal naviglio, delle merci e dei costi delle spedizioni avvenute tra il 1388 e il 1399.

(13)

73 a causa di un non specificato malanno da Pietro di Fazio, che si occuperà del trasposto delle 200 salme di grano caricate a Termini e da inviare in Toscana31.

Ben più spazio trovano invece le notizie legate ai più fidati dipendenti del pratese; in tal caso gli avvenimenti privati prendono il sopravvento sui fatti economici ed emerge la reale preoccupazione per la salute degli amici-colleghi, come nel caso della febbre terzana che colpisce a Firenze Stoldo di Lorenzo, documentata nelle lettere del dicembre 138432. Dalla speranza di una pronta guarigione il Bini passa, nelle stesse lettere, a dover commentare, con sentito dispiacere, fatti ben più tragici, come quando dalla casa palermitana esprime il suo cordoglio per la morte dell’amico Matteo di Lorenzo, avvenuta il 26 ottobre 1384, ma ricordata dal fiorentino solo dopo due mesi, auspicando che “I Dio gli faci veragie

p(er)dono e lunghamente sanza noi/ possa stare”33 .

31

Doc. 44, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 03-11-1384: “Avisato sono da Nicholò e da la dona e vegho chome p(er) ora/ no sono p(er)venire p(er)ò dichono Francischo è malato io scrivo/ loro asai ne venghino poche diliberato àno d’esere q(u)ane/ nodimeno io ne scrivo loro q(u)ello mi pare e te Stoldo ti priegho/ tu vi vadi speso e solecitagli ne venghino e faresi molto p(er) me/ e sapi di loro i(n)tezione e me avisa che pure q(u)a avesi la dona/ di loro pocho vi do o venghino o no ma chome sai avendo io/ q(u)a la dona i(n) pocho tenpo sarò francho e varami asai lano,/ siché fata m’avisi q(u)ello ti dichono a ciò io posi provedere/ a q(u)ello bisongnio mi fane.”; Doc. 47, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 11-11-1384: “Diciemovi p(er) l’utima dì X di chomo p(er) Bartolomeo Charbone amalò/ a Termini charichando e p(er)tanto egli è rimaso q(u)a e p(er) padro=/ ne vi viene suso Petro de Fazio, siatene avisati.”; Doc. 48, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-11-1384: “Chome detto v’abiamo p(er) la nave di Pettro di Fazio che prima avevamo detto/ Bartolomeo Charbone egli mallo siché i(n)… rimase e vienvi lo detto/ Pettro p(er) lui vi mandiamo salme CC di grano di Termine e bella roba/ p(er) voi e p(er) noi.”.

32

Sulla malattia di Stoldo: Doc. 52, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 20-12-1384: “Avisati siamo Istoldo è a Firenze malato, di ciò asai ci dis=/ piacie, di poi sarà ghuarito chosì piace a Dio sia.” e ancora nella stessa lettera: “Atendiamo Stoldo sia ghuarito e venuto a Pisa e asai ci piacierà/ abiamo l(ettere) da lui p(er) vedere sia ghuarito noi daremo a tuto/ buono chompimento, siché starà bene.”; Doc. 53, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 28-12-1384: “Siamo avisati come Stoldo era a Firenze cho’ la terzana, di poi avisia=/ mo sarà ghuarito e così ci piacierà.”.

33

Sulla morte dell’amico Matteo: Doc. 52, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 20-12-1384: “Asai ci dispiace che lla benedeta anima di Mateo sia pasata/ di q(u)esta vita, piacia a Dio p(er) sua pietà l’abia auta./ Grande dano n’è q(u)esta sua morte e asai cieriputa=/ mo i(n) dis…tazia ora tuti abiamo a fare il peso e più/ no se ne può, Dio gli p(er)doni.”; Doc. 53, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 28-12-1384: “Della morte di Mateo ci grava asai e più no se ne può./ I Dio gli faci veragie p(er)dono e lunghamente sanza noi/ possa stare e chosì piacia a Dio.”.

(14)

74 Dovendo svolgere una grande mole di lavoro, il Bini, così come gli altri grandi mercanti, decide di servirsi dell’opera di giovani apprendisti che vengono lentamente inseriti nella struttura aziendale e nel mondo del commercio.

Per i nuovi garzoni che intraprendono la strada della carriera di mercante l’attività principale svolta nei primi anni è la trascrizione delle lettere, opera che richiedeva molto tempo e soprattutto molta attenzione. Ricopiare un testo anche di parecchi fogli e scritto con una calligrafia non sempre di facile comprensione (per noi come per i contemporanei di allora) dava una notevole responsabilità ai giovani apprendisti. Oltre all’attività amanuense le mansioni dei giovani garzoni si dividevano essenzialmente tra il servizio prestato nella bottega associata all’azienda e, dopo qualche anno di esperienza dietro il bancone, i viaggi verso i centri fieristici dove avrebbero provato a vendere le merci che il mercante non era riuscito a piazzare nella propria città. Nel carteggio i richiami a tali missioni sono

frequentissimi: in numerosi documenti si può riscontrarel’operato di un garzone che, carico di panni, si avvia verso la sede in cui si tiene la fiera34.

Leggendo i documenti sembra anche che i garzoni avessero il ruolo di sollecitare i creditori al pagamento del denaro dovuto per un carico di panni35 e, nonostante la giovane età, il potere di svolgere in prima persona le operazioni di compravendita, per cui al Bini, rimasto in sede a Palermo, non rimane altro che aspettare il ritorno del proprio dipendente prima di poter comunicare l’esito delle trattative al Datini36

.Non sempre i viaggi commerciali andavano a buon fine, motivo per cui l’itinerario del garzone poteva arricchirsi di nuove tappe, nel tentativo di riuscir a vendere tutta la merce in altri nuovi mercati: nel doc. 12 vediamo protagonisti due giovani garzoni, l’uno proveniente da Siena ed in viaggio per conto di Bartolomeo di Boninsigno, l’altro dipendente della Compagnia dei Covoni, che

34

Doc. 44, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 03-11-1384: “Deto v’abiamo che ongni pano a chomune p(er) voi e p(er) F(rancescho) di Bonachorso/ e vostri propi, mandati abiamo a la fiera q(u)ando i gharzoni to=/ rnati sarano v’aviseremo q(u)anto fato averano e tuto pro=/ vederemo fine se ne farà chome più tosto si potrà”.

35

Doc. 20, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 11-12-1383: “già abiamo/ mandato lo gharzone gli vadi a solecitare che mille/ ani ci pare avervigli rimesi e bene gli solecitiamo q(u)anto si può.”.

36

Doc. 18, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 29-10-1383: “q(u)ando fia torato lo/ giovane vi diremo q(u)ello fia seghuito.”.

(15)

75 dopo essersi recati a Palermo e non aver concluso gli affari sperati si avviano verso una non specificata fiera per vendere i propri panni37.

La presenza nel carteggio di figure femminili è rara e riscontrabile in sole due occasioni: nella lettera 49 (e nella relativa copia, doc. 50) 38, dove si fa riferimento a donna Lorenza e nella lettera del 12 dicembre 1383 in cui il Bini informa dell’arrivo a Palermo di suor Biagia da Cortona, probabilmente di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa39.

37

Doc. 12, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 23-08-1383: “El giovane sanese ci vene p(er)

Bartolomeo di Bonsignio ci arechò pani/ asai e nullo cie ne potte ispaciare, poi se n’andò alla/ fiera e simile q(u)ello de’ Chovoni, siché no vi maravigliate/ de’ vostri ch’ogni volta no si puone fare q(u)ello altri vorebe.”; nel doc. 30, (AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-08-1384) si informa nuovamente che: “lo giovane ci viene p(er) Bartolomeo di Bonsingnio no ci àne vendu=/ to mai nulla e aportò pani asai, ora se ne vane/ alla fiera di Chatania.”.

38

Doc. 49, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 08-12-1384: “Piacimi a la Lorenza vada Stoldo speso e che la chonfori/ cho’gli aglieti chosì fa tu Stoldo poche no sepe pigliare/ partito di venirne mecho dispiacimi asai Franciescho/ no sia ghuarito e che no venghino p(er) insino al marzo e p(er)tanto/ fa tu Istoldo di sapere s’alora venghono o no, a ciò io partito/ pigli che l’antenzione mia ène se no vogliono venire di ma=/ ndare p(er) la Lorenza, siché ti priegho tu sapi la loro i(n)tenzione/ e me n’avisa e io provederò poi a q(u)ello bisongnierà.”; Doc. 50, AdP, lett. da Palermo a Pisa del XX-XX-XXXX: “Piaceci a la Lorenza vadi Stoldo e che la chonforti co’gli aglieti chosì/ fa tu Stoldo poche no sepe pigliare partito di venire mecho/ dispiacimi asai Francischo no sia gharito e che no venghino p(er) insi=/ no al marzo e p(er)tanto fa tu Istoldo di sapere s’alora verano/ o no, a ciò io partito pigli che l’antenzione mia ène se no/ vogliono venire di mandare p(er) la Lorenza, siché ti priegho/ tu sapi loro i(n)tenzione e me n’avisa e io provederò/ poi a q(u)ello fia di bosongnio.”. 39

Doc. 19, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-11-1383: “Q(u)a è arrivata Suora Biagia da Chortona che si dice è santa, viene/ dal sepolcho àci fato fare q(u)a pro si cione asai e meso q(u)a/ di nuovi a penioni di mortilità I Dio faci q(u)ello deba esere lo meglio”.

(16)

76 III.2 IL CONTENUTO “EXTRA-ECONOMICO” NEI DOCUMENTI DI

AMBROGIO BINI

Ad inizio capitolo è stato accennato quanto le lettere del Bini siano ricche di notizie riguardanti gli eventi di carattere “extra-economico”. In realtà, una tale attenzione è dovuta proprio al fatto che ogni avvenimento- politico, sanitario o religioso che esso sia - ha notevoli ripercussioni dal punto di vista commerciale e per tal motivo va scrupolosamente annotato e fatto sapere al maggiore, affinché anche dalle situazioni più sconvenienti si riesca a ricavare quanto più possibile. Le notizie riguardanti guerre, azioni piratesche, schiavitù, maltempo, epidemie e morìe vanno tempestivamente aggiornate affinché possano essere elaborate accurate strategie di mercato in grado di trarre profitto dalle nuove

situazioni economiche che si vanno definendo. Un conflitto armato, la morte di un regnante, il diffondersi di una pestilenza, i danni di un temporale potevano danneggiare la struttura economica di un paese, ostacolando le normali attività commerciali e influendo direttamente sull’efficacia del servizio postale e delle vie di trasporto, sul livello demografico della

popolazione, sulle sue capacità d’acquisto e sul suo livello di produttività.

Lo studio del documento mercantile permette quindi di evidenziare la capacità del mercato di adattarsi e modificarsi in base agli eventi che abbiamo definito di natura

“extra-economica” e mettere in risalto le capacità d’analisi degli operatori mercantili pronti a sfruttare al meglio ogni tipo d’occasione.

Come già detto, le vicende del Regno di Sicilia trovano un puntuale riscontro nelle lettere del Bini, che in più di un’occasione si sofferma, anche con dettagliate indicazioni, sui fatti politici più importanti della fine degli anni Ottanta.

Le informazioni più dettagliate riguardano la contesa tra Luigi I d’Angiò, fratello del re di Francia Carlo V, e Carlo III Durazzo, figlio di Lodovico di Durazzo ed erede del Regno d’Ungheria, entrambi in lotta per essere designati successori di Giovanna I e titolari del Regno di Napoli. Nonostante i numerosi matrimoni infatti, la regina angioina non aveva avuto eredi diretti al trono e la questione sul dominio sulle terre del Mezzogiorno

continentale si inseriva in un più ampio scontro che non riguardava solo i due contendenti di stirpe angioina, ma vedeva il coinvolgimento dei due pontefici Urbano VI e Clemente VII, protagonisti della separazionedella Chiesa d’Occidente. In seguito alla morte di Gregorio

(17)

77 XI, il conclave era tornato nel 1378 da Avignone nella città di Roma e la scelta dei cardinali era ricaduta sull’italiano Bartolomeo Prignano - che prenderà il nome di Urbano VI -,

d’origine campana e intenzionato a mantenere sotto il suo controllo i territori del Regno. Nell’ottobre dello stesso anno veniva contemporaneamente eletto al soglio pontificio da quei cardinali francesi che non avevano riconosciuto la legittimità dell’elezione del

pontefice romano, Roberto di Ginevra che si insediava nella curia avignonese con il nome di Clemente VII. Quest’atto, che dava inizio al lungo scisma d’Occidente, spinse i sovrani europei ad appoggiare ora l’una, ora l’altra parte e il complesso gioco d’alleanze che si venne a creare intorno ai due papi avrebbe determinato le sorti del Regno di Napoli. In un primo momento Giovanna aveva appoggiato la curia romana, ma ben presto la regnante si distaccò dal Perpignano. I contrasti erano nati in seguito alla richiesta del riconoscimento della sovranità feudale del pontefice sui territori del Regno di Napoli e dopo l’appoggio che Urbano VI aveva dato al regnante ungherese Luigi e a Carlo di Durazzo, unico discendente maschio della casata dei Durazzo, il quale poteva vantare il diritto alla successione nei due regni angioini di Napoli e d'Ungheria. Il matrimonio che Carlo aveva celebrato un decennio prima a Napoli con Margherita d’Angiò, nipote di Giovanna, fortificava ancora di più la posizione del Durazzo che avrebbe potuto riunire sotto la sua persona entrambe le corone. Vedendo messa a rischio la sua reggenza, Giovanna manifestò il suo favore nei confronti di papa Clemente VII. I sospetti della regnante di Napoli non erano per nulla infondati. Agli inizi del 1379 Carlo III Durazzo aveva già iniziato a preparare il suo viaggio verso le terre meridionali e, trovando appoggio nei numerosi alleati del partito guelfo (molti dei quali in Toscana), giunse l’anno successivo a Roma per essere nominato Capitano e Gonfaloniere della Chiesa di Roma. Da far suo, nei primi giorni del giugno 1380 Clemente VII aveva intavolato le trattative per convincere Luigi I d’Angiò ad intraprendere una spedizione armata verso il Sud d’Italia, proponendo nel frattempo a Giovanna di adottare il fratello del re di Francia - un tempo suo nemico - per contrastare gli ambiziosi progetti di Carlo

Durazzo. Tale atto scatenò l’ira di Urbano VI che dapprima scomunicò Giovanna e nel 1381 nominò Carlo titolare del “Regno di Sicilia”, denominazione che includeva oltre la sovranità sull’isola, anche quella sui territori peninsulari del Meridione. In risposta, Giovanna decise d’adottare il favorito di Clemente VII, promettendogli la corona del regno se fosse riuscito a contrastare l’ascesa del rivale pretendente al trono. Carlo Durazzo batté sul tempo i suoi

(18)

78 avversari: dopo aver ricevuto l’incoronazione da Urbano, si diresse verso Napoli e dopo aver vinto l’opposizione di Ottone di Brunswick - quarto marito di Giovanna - presso Anagni, entrò nella capitale del Regno. Presa Napoli, il 2 settembre Carlo III occupò Castelnuovo e imprigionò la regnante a Castel dell'Ovo, dove rimarrà fino alla morte. La conquista del Regno fu subito minata dalla spedizione che in Francia il papa Clemente VII aveva organizzato e che dopo lungo tempo era ormai pronta a partire. Col consenso del pontefice, Luigi d’Angiò con un vasto seguito di cavalieri e fanti (a seconda delle fonti il numero oscilla dai 20.000 ai 60.000 soldati), diede inizio nel giugno del 1382 alla sua lunga marcia verso il Meridione d’Italia, dopo aver ricevuto da Clemente la nomina a Duca di Calabria - titolo che veniva dato ai primogeniti dei sovrani di Napoli - e, subito dopo, l’investitura del Regno di Sicilia e di Gerusalemme. Oltrepassato l’arco alpino, Luigi cercò di reclutare il maggior numero di uomini nelle città del Nord Italia a lui amiche, per poi incamminarsi verso il Meridione lungo il versante adriatico, al fine di aggirare il blocco dei centri toscani filo-guelfi, che davano appoggio alla politica di Carlo Durazzo. L’estenuante cammino, spesso privo di luoghi di rifornimento, aveva indebolito le fila delle truppe e decimato il numero di cavalli a disposizione del francese, che giunse in Campania solo alla fine di ottobre. Costantemente inseguito da Carlo, alle prese con il rigido inverno e con alcuni focolai di pestilenza, Luigi effettuò solo sporadiche scorrerie nel Meridione e dovette attendere la primavera del 1383 per tornare all’attacco in Puglia, dove ottenne il favore dei baroni locali e il titolo di Re di Sicilia e di Gerusalemme, come ci ricorda un passo della lettera del Bini d’inizio ottobre: “Lo Ducha s’inchoronò di Taranto e da fa suo sforzo, e già/ à preso grande parte de la Puglia. I Dio mandi pace tra cristiani”40

. In suo aiuto accorsero anche il nuovo re francese Carlo VI e Clemente VII: il successore di Carlo V - morto nel 1380 - allestì un’armata condotta dal comandante Enguerrand de Coucy (che vedremo protagonista delle vicende legate alle conquista d’Arezzo), mentre il pontefice preparò una flotta pronta ad intervenire nel mar Tirreno contro le armate navali del Durazzo.

L’importanza degli avvenimenti trova riscontro nelle lettere degli ultimi mesi dell’anno

40

La notizia dell’incoronazione (avvenuta il 30 agosto) dovette arrivare al Bini con notevole ritardo se nelle precedenti lettere del 15 e del 25 settembre non si fa menzione di tale avvenimento ed occorre attendere fino ad ottobre per trovare, nel doc. 16 (AdP, lett. da Palermo a Pisa del 11-10-1383) tale informazione.

(19)

79 1383, quando il Bini riferisce al Datini dell’evolversi, delle volte incerto, della situazione politica e militare del Mezzogiorno41. In particolare si presta attenzione agli spostamenti navali delle “VI ghalee del Ducha” giunte a Trapani, alla quale si aggiungono, giorno 31 settembre (stando a quanto scritto dal mittente), altre 5 imbarcazioni (di cui un brighantino) che il giorno prima avevano catturato una nave proveniente dal porto di Napoli. Da quanto ci dice il Bini l’equipaggio, composto da greci e napoletani, fu risparmiato grazie

l’intervento dell’Ammiraglio del Regno, Manfredi Chiaramonte42

, mentre solo poco tempo dopo viene data la notizia dell’attesa di una dozzina di barche che si recano nell’isola per far carico di bischoto43. Ed ancora si fa riferimento a delle galee al servizio del Duca d’Angiò che partite la sera del 22 ottobre, e dirette verso Napoli, non portarono a termine il proprio viaggio a causa del maltempo facendo perdere per giorni le proprie tracce, prima che a dicembre giungesse la notizia del loro arrivo a Messina e del successivo viaggio verso Palermo44.

Di fronte all’attacco delle truppe clementiste, Urbano VI partì verso Napoli per incontrare e rafforzare l’alleanza con il Durazzo dopo che alcuni contrasti erano sorti col sovrano. A fine settembre, nella località di Aversa, avvenne l’incontro tra il papa romano e il re, un incontro che nato con intenti rappacificatori, non fece altro che inasprire il rapporto tra i due. Nei tre

41

Doc. 17, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-10-1383: “Altro no c’è di nuovo senò si dice bugie asai di fati de’ Re/ e del Ducha se nulla sentiremo ve lo diremo”.

42

Doc. 18, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 29-10-1383: “Q(u)a sono sute VI ghalee del Ducha e ora ce ne sono venute/ 4 e uno brighantino e dì 30 presono uno navilio veniva da Napoli/ charicho di grecho che di napoletani, e a preghiera de lo Amiraglio/ non à auto dano, siché salvo è stato. Di poi adì 31 se ne/ sono ite a Trapani p(er) esere i(n) chonserva cho’le sei”.

43

Doc. 19, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 12-11-1383: “Delle ghalee del Ducha v’abiamo detto andorono a Trapani a cho……/ e s’àno 9 e 2 ghaleotte e 1 briggantino aspentonsi in q(u)esti pochi dì/ che verano p(er) lo bischoto ci s’è fato p(er) loro”.

44

Doc. 19: “Adì 22 la sera, si partì di q(u)a le ghalee del Ducha p(er) ire a Napoli adì 23/ si mise una fortuna a lo……. …… di chè p(er) le più gente avisono/ sieno arivate male, i Dio l’abi fate salve. Lo birghantino/ era cho’ loro si rupe a l’isola di S… e loro lasciò andare.”; la stessa notizia viene riportata nella successiva lettera dell’11 dicembre (Doc. 20, AdP, lett. da Palermo a Pisa): “Come p(er) altra lett(era) di del pasato vi diciemo che adì 22 si partirono di q(u)a le ghalee/ del Ducha e che si mise adì 23 maltenpo e ci n’à fetto, p(er) anchora nulla se ne sa/ dove si sieno arinate e sperasi p(er) la più giente sieno ite meno che bene/ i Dio ne seghui q(u)ello deba esere lo meglio.” e in più si aggiunge che: “Noi v’abiamo deto p(er) altre l(ettere) chome de le ghalee del Ducha nulla si sapeva,/di poi c’è suto nuovo chome furono a Mesina e chostà ne sono/ venute, siché non ebono dano.”.

(20)

80 incontri avvenuti negli ultimi giorni d’ottobre, Urbano V, non tollerando l’ingerenza del regnante negli affari della Chiesa e nella nomina dei cardinali vescovi, minacciò il sovrano di gravi sanzioni, mentre Carlo, sentendosi attaccato, decise il primo di novembre

d’arrestare il pontefice, tenendolo prigioniero per alcuni giorni prima di raggiungere un pacifico accordo e liberarlo. In un passo della lettera del 12 novembre Ambrogio Bini, probabilmente dopo aver saputo dei contrasti e del grave atto del Durazzo, vedendo ritardare l’ingresso del pontefice a Napoli (“Abiamo da Napoli lo Papa vi doveva entrare adì 8 di q(u)esto”), si augura che presto possa tornare la pace tra i due alleati45

. La minacciosa

presenza di Luigi fece sì che il papa e il re tornassero a collaborare insieme contro il comune nemico: il primo giorno dell’anno 1384 Luigi fu dichiarato dalla Chiesa di Roma eretico e ribelle, mentre Carlo continuava la lunga e logorante guerriglia contro l’invasore angioino. Nel frattempo, con sempre meno uomini e cavalli, in attesa di rinforzi dalla Francia ma privo ormai di risorse economiche e di viveri, Luigi era stato costretto ad impegnare i suoi gioielli per pagare il carico di grano speditogli a Taranto e a prolungare lo sforzo bellico fino all’estate successiva, quando nel luglio dell’84 riuscirà a conseguire l’ultimo successo, ovvero la conquista di Bari. Sulle condizioni di povertà in cui versava l’Angiò si sofferma il Bini che ci parla di un uomo “molto i(n)vechiato che più di 60 ani mostra/ e che mangia i(n) piateli di tera, siché le navi e gioeli si soleva/ vedere sono disfati e dicie che poveramente istà, siché/ vedete i suoi pechati dove si sono venuti a purghare.”46. Tra il 20 e il 21 settembre del 1384 il condottiero angioino moriva47, e la contesa del Regno di Napoli

45

Doc. 19: “Abiamo da Napoli lo Papa vi doveva entrare adì 8 di q(u)esto, i Dio ve lasci/ entrare chon pacie e ci posso p(er) la scristienitada”.

46

Nel doc. 20 si dà largo spazio alla sorte di Luigi, dapprima con i commenti sulla sfortuna

economica del condottiero (“Sapianvi dire novella chome q(u)a è tornato uno di q(u)esta tera/ andò a Taranto chon u’charicho di grano e si lo vende al Ducha e, in a=/ feto, d(enari) non aveva àgli dato una parte dela chorona che lo decimo/ che una nobile chosa d’adornamenti e vale s(oldi) asai a lo pe=/ ngnio p(er) f. 2200 debela portare a Genova e rachatare/ e simile àne uno f………glio di perle portava al peto p(er) f. 90…/ siché vedete chome va l’Angiò che si strugie p(er) lo sole chaldo.”) ed in seguito con la notizia citata sopra.

47

La notiza della morte del Duca d’Angiò viene riportata dal Bini nella lettera iniziata a scrivere in data 4 ottobre e chiusa solo due giorni più tardi; il mercante fiorentino comunica di aver appreso dall’equipaggio di due galee genovesi giunte a Palermo giorno 5 e provenienti da Napoli la notizia della morte di Luigi. Doc. 34, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-10-1384: “Q(u)esto dì V è gunto q(u)a le due ghalee di genovesi della Guardia/ venghono da Napoli, chontono chome lo Ducha è

(21)

81 cessava definitivamente, lasciando nelle mani di Carlo Durazzo le sorti dell’Italia

Meridionale almeno fino al febbraio dell’86, quando durante un viaggio in Ungheria, questi verrà assassinato.

Un altro importante evento storico del quale ci informa la documentazione datiniana riguarda la presa d’Arezzo da parte del comandante di ventura Enguerrand de Coucy e la successiva riconquista da parte di Firenze della città aretina48. Falliti alcuni tentativi di governo signorile, Arezzo viveva nella seconda metà del XIV secolo un periodo di grave crisi politica e di forti tensioni sociali, dovute ai costati scontri tra la fazione dei guelfi e quella dei ghibellini. Tale clima di instabilità aveva permesso in più di un’occasione il saccheggio della città da parte di gruppi mercenari assoldati ora dall’una, ora dall’altra fazione. Il comandante Enguerrand VII, signore di Coucy e conte di Soissons, era stato assoldato da Luigi d’Angiò al fine di sostenere l’ambizioso progetto di conquista del Meridione d’Italia e si accingeva a valicare le Alpi col suo esercito e dar battaglia agli gli oppositori. La notizia dell’imminente spedizione del capitano francese giunge sino in Sicilia, tanto che Ambrogio Bini si adopera a fare sapere al Datini che un tale evento sicuramente permetterà al genovese Lorenzo Ciampolini di concludere degli ottimi affari nella vendita del grano, prevedendo che al passaggio delle truppe francesi seguirà un aumento degli acquisti da parte delle popolazioni colpite dalle razzie. Durante la discesa verso il Regno di Napoli, il capitano di ventura si lasciò andare, infatti, col suo seguito a ripetuti saccheggi, sia in Lombardia che in Toscana, danneggiando quelle città che avevano appoggiato il rivale di Luigi, Carlo III Durazzo49. Arezzo, che era sotto il controllo di un luogotenente del Durazzo, divenne l’obbiettivo di conquista da parte dell’esercito del Signore di Coucy, che negli ultimi giorni di settembre riuscì facilmente a far sua la città.

morto, i Dio/ gli faci pacie ma pechato n’è che no morì già fà 50 ani prima/ che tropo dano à fato al paese di Napoli siché vedete/ chome stane.”.

48

Già nel 1337 Arezzo era stata ceduta alla città del Giglio ed era stata posta sotto il controllo della fazione guelfa per un breve periodo, prima di riottenere l’indipendenza.

49

Doc. 36, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 15-10-1384: “P(er) la letera di dì 23 ci dite chome lo chomune di Firenze àne achatato MIII staia di/ grano vechio da Lorenzo Cianpolini a t. 4 staio p(er) amore che la giente del siri/ di Chuci pare voglia vernare i(n) Toschana e p(er)tanto lo chomune del tuto/ se n’è ischoperto nimicho, e che p(er) aviso lo grano vi pare varà e che v’àne/ achatatori di gran soma a t. 4 e p(er)ò dite che se noi vegiamo da mandarne/ una soma a pregio si posa utile fare lo faciamo, e che di ciò faremo voi/ chontento sarette.”.

(22)

82 L’avvenuta conquista trova eco nelle lettere di fine ottobre, quando il Bini informa il suo superiore che Arezzo è stata presa da “lo siri di Choscì”. La notizia viene appresa

dall’agente stanziato a Palermo tramite le lettere di Lorenzo Ciampolini che, giunte in Sicilia - e più precisamente a Patti - tramite un naviglio genovese, vengono inviate nel capoluogo siciliano50. Le successive missive confermano la conquista da parte del francese e ipotizzano la fortunata vendita di grano da parte di Lorenzo Ciampolini, della quale si

chiede esplicitamente conferma51.

L’avventura aretina del comandante di ventura durò però breve tempo. La morte di Luigi d’Angiò, avvenuta il 21 settembre di cui il comandante Enguerrand venne a conoscenza solo ai primi d’ottobre, fece arrestare la discesa del condottiero verso il Sud della penisola.

Rimasto privo del sostegno - economico e politico - di Luigi, il Signore di Coucy vendette il 5 novembre del 1384 al comune di Firenze la città d’Arezzo, in cambio di 40’000 fiorini e di un lasciapassare per il ritorno in patria52.

Le lettere del mercante stanziato a Palermo oltre a dare un ampio quadro dei risvolti politici di fine secolo ci informano delle tensioni che caratterizzano i rapporti tra i vari gruppi mercantili attivi nel commercio mediterraneo.

50

Doc. 38, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 24-10-1384: “Ierse… dì XXVII di q(u)esto venono q(u)a l(ettere) fate chostà dì 14 di q(u)esto/ i(n) mano di genovesi p(er) una barcha di Francescho Martello pose/ a Pati preso a Mesina e q(u)a mandò l(ettere) che v’erono di q(u)elle/ di Lorenzo Cianpolini e chontono chome lo siri di Chosci à preso [Arezzo]”.

51

Doc. 42, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 30-10-1384: “Molte l(ettere) ci à q(u)a mandate Lorenzo i(n) Genovesi e chontono chome/ lo siri di Chosci a preso Arezo di che p(er) q(u)esta novella a noi pare che Lorenzo/ debia debia avere fato vendizione di grano costà ora no lo so q(u)ello/ à fato, ma se noi una l(ettera) da voi avesimo auto, l’averemo saputto/ e p(er) aventura sapiendolo potremo fare alchuno bene e p(er)tanto/ a voi priegho vi piacia i(n) tenerci ispesi

avisati./”; Doc 43: “Molte l(ettere) ci à mandato q(u)a Lorenzo Cianpolini i(n) Genovesi e chontono cho=/ me al sire di Chosci à p(r)eso Arezo di che p(er) q(u)esta novella a noi pare/ Lorenzo debia avere fatto vendita di grano ora nollo so q(u)ello à fatto/ ma solo una lett(era) da voi avessimo l’avemo saputo e p(er) aventura sapiendo=/ lo potremo fare alchuno bene e p(er)tanto a voi pregho vi piacia spesso/ tenerci avisati.”.

52

La conquista fiorentina viene accolta con piacere dal Bini che si esprime così nel doc. 49, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 08-12-1384: “De’ fati d’Arezo siamo avisati q(u)anto dite, abiamo di poi/ l(ettere) da lolo di Lodovicho che sono fresche e abiamo ve=/ duto chome Arezo è di fiorentini, piaceci pure sia co’ no=/ stro bene avereteci di poi avisato.”.

(23)

83 Nel luglio del 1383, la possibilità che i frequenti scontri navali tra genovesi e catalani si risolvessero in una vera e propria guerra portarono Ambrogio Bini ad informare il suo maggiore che, se il conflitto tra i due gruppi fosse iniziato, l’afflusso dei panni spagnoli sarebbe diminuito sensibilmente e che le altre produzioni avrebbero trovato un mercato libero dalle abbondanti produzioni tessili iberiche importate53. Uno degli effetti più

immediati della guerra era infatti l’interruzione dei normali flussi commerciali causata dai blocchi lungo le vie di comunicazione e dall’aumento del costo delle merci. Questo il commento del Bini sulla contesa tra Carlo III e Luigi I che impedisce il consueto

svolgimento delle attività mercantili: “De le 4 ghale furono in chotesti mari e detta ghaleota de’ Re/ Charlo siamo avisati, siché sta bene. I Dio dia loro/ grazi vadino a disarmare

q(u)elle e tute l’atre e lascino/ fare la merchatantia che Dio disfaci chi la sturba.”54 .

Igor Mineo ha sostenuto che la Sicilia “dell’ultimo Trecento non conosce la guerra, se non per brevi tratti e attraverso episodi che non consentono una comparazione con la dimensione - sociale e istituzionale - che le attività belliche assumono in altre aree d’Europa”55. Dello stesso parere è Stephan Epstein che analizza gli effetti dei conflitti sottolineando le

conseguenze che questi hanno sull’economia e sulla popolazione isolana. Lo studioso tende a ridurre il peso della guerra come fattore di blocco dell’economia e come causa principale dei processi di redistribuzione e reinsediamento della popolazione56. I pur numerosi scontri tra la Sicilia e il regno di Napoli erano avvenuti per lo più in mare e, dopo l’accordo di pace siglato nel 1372, il conflitto aveva perso di vigore e le ostilità erano andate avanti con limitati e sporadici attacchi nei centri situati lungo la costa settentrionale dell’isola. Se una delle conseguenze dirette degli scontri era la perdita di uomini, va ricordato che i

contingenti armati impegnati negli scontri erano composti da un basso numero di

combattenti e che i soldati facevano parte del seguito armato delle più potenti personalità

53

Doc. 8, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-07-1383: “Se la ghuera di chatalani chomincerà chon genovesi ragionate q(u)a no ci/ potrà venire chatalaneschi e spaceransi bene degli altri ci sieno.”. 54

Doc. 21, AdP, lett. da Palermo a Pisa del 04-01-1384. 55

Mineo Ennio Igor, Note su guerra e aristocrazia in Sicilia tra il primo e il terzo decennio del

Quattrocento, in “Cheiron”, vol. XXIII, 1995, pp. 49-65, distribuito in formato digitale da “Reti

Medievali”, pp. 1-9, cit. p. 3. 56

Epstein Stephan R., Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1996, p. 84 e seguenti.

(24)

84 dell’isola, il che non pregiudicava la presenza di lavoratori agricoli e artigianali nelle città e il normale svolgersi delle attività produttive; gli scontri poi generalmente avevano breve durata e le spese finanziarie non dovevano incidere troppo sulle casse del governo isolano. Il commercio del grano infine non venne mai meno, il che assicurò alla corona una sicura entrata fiscale ed ai mercanti un costante, seppur ridotto, giro d’affari anche nei periodi di guerra più duri con gli angioini.

Più influenti sull’economia isolana furono invece le lotte interne scatenate dai contrasti tra le più importanti e potenti famiglie aristocratiche di fine secolo. La divisione dell’isola tra i quattro vicari non aveva messo fine ai dissapori della nobiltà isolana e la rivalità tra la fazione dei latini, cui facevano capo i Chiaramonte e i Ventimiglia, e quella dei catalani, capeggiata dagli Alagona, aveva prodotto un costante stato di guerriglia civile che danneggiava il commercio interno. La debolezza del potere centrale e il dominio delle famiglie comitali ognuna su una parte del territorio isolano creavano i presupposti per una suddivisione del mercato siciliano che, a seguito del collasso del sistema monetario comune, si andava sempre più a chiudere in circuiti commerciali subregionali. Gli scambi tra le diverse aree diminuirono sempre di più, a causa delle ostilità tra le famiglie magnatizie e per la frammentazione monetaria dovuta alla creazione di zecche locali, ognuna posta sotto il controllo di un diverso signore57. L’attività militare causò quindi l’indebolimento del potere centrale e la creazione di domini territoriali sempre meno aperti allo scambio, il che

produsse inevitabilmente una rottura dei rapporti commerciali interni nell’isola.

Altrettanto influente sull’economia del Regno era l’attività svolta da pirati e corsari nei mari intorno all’isola. Il fenomeno della pirateria, ben radicato nelle acque del Mediterraneo e ancor più in quelle siciliane da secoli, trova un abbondante riscontro nel carteggio

dell’Archivio Datini. Le lettere mercantili ci offrono numerosi casi di imbarcazioni, cariche di uomini e di mercanzie, che rimangono vittime di scorrerie e assalti pirateschi. L’attività di corsa alla fine del XIV secolo era aumenta in concomitanza con il prevalere del

commercio marittimo su quello terrestre: con la differenzazione dei noli, l’aumento del tonnellaggio delle navi e la nuove tecniche di navigazione, lo spostamento dei grandi carichi

57

“Per questo periodo sei diversi tipi di coni signorili, tutti entrati nell’uso comune; si ha notizia anche di altre emissioni a Messina e Catania sotto l’egida puramente formale della corona”, Epstein Stephan R., Potere e mercati in Sicilia, cit. p. 88.

(25)

85 di merci non avveniva più lungo i dissestati e pericolosi percorsi stradali della penisola, ma con l’utilizzo della galea grossa o da mercato58

. I convogli navali dovevano quindi far i conti con le azioni piratesche, considerate come una delle tante altre sciagure che potevano condizionare il viaggio, non meno delle cattive condizioni metereologiche o degli imprevisti che potevano nascere durante la navigazione costiera. Se il cabotaggio poteva causare la rottura delle imbarcazioni a causa degli scogli o dei bassi fondali marini, la navigazione in mare aperto aumentava in maniera esponenziale i rischi di attacchi pirateschi, in quanto le pesanti navi cariche di mercanzie non potevano contare sul sistema di fortificazioni

realizzato lungo le coste e non potevano nemmeno competere contro le ben più agili e veloci imbarcazioni dei pirati. Nel tentativo di arginare il fenomeno venivano affiancate ai convogli mercantili delle galee da guerra e lungo le coste andavano intensificandosi le costruzioni di torri di vedetta e strutture difensive per far giungere a buon fine la spedizione commerciale. Uno dei motivi per il quale si assiste ad un minor numero di azioni piratesche nel versante settentrionale dell’isola è forse dovuto proprio al sistema difensivo che era stato creato in principio per arginare gli attacchi angioini nei centri costieri e che permetteva un più sicuro viaggio delle imbarcazioni sul versante settentrionale59. Dagli studi condotti dal Ventura, le razzie invece risultano più numerose nella parte sud-orientale della Sicilia, per la carenza di strutture difensive e per la presenza dei maggiori caricatori dell’isola che

spingevano i corsari a concentrare la loro azione proprio sul lato meridionale.

Il principale porto dove le imbarcazioni dei pirati venivano armate prima della spedizione e dove queste tornavano una volta ultimata la razzia era Trapani, come dimostrano i numerosi riferimenti che troviamo nella documentazione mercantile. A fine agosto nel porto della città posta all’estrema punta occidentale dell’isola giungono dapprima una nave di catalani la quale “fu presa i(n) Sardingnia” ed in seguito un’imbarcazione “de Laghiera” che ha

58

Ventura Domenico, Pirateria, guerra ed economia in Sicilia tra medioevo ed età moderna, in

“Annali del Mezzogiorno”, vol. XIX, 1979, p. 27.

59

Rimaneva però compito arduo provvedere alla difesa dell’intero litorale isolano in quanto non era presente una flotta ben organizzata e coordinata capace di respingere i numerosi attacchi nemici, i soli centri costieri provvisti di importanti fortificazioni e castelli erano solo quelli di Palermo, Catania, Messina e Siracusa, mentre le torri di vedetta - quando effettivamente funzionanti - svolgevano una funzione difensiva più nei conflitti interni che non contro le minacce provenienti dall’esterno. Cfr.Ventura Domenico, Pirateria, guerra ed economia in Sicilia tra medioevo ed età

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