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INTRODUZIONE Il problema dell’approvvigionamen

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il problema dell’approvvigionamento energetico è stato storicamente affrontato mediante una sua suddivisione in sottoproblemi distinti ed indipendenti tra loro: produzione di energia elettrica, produzione di energia termica e mobilità.

A partire dagli anni ’70, con l’emergere delle problematiche ambientali e della dipendenza economica dai combustibili fossili, si è cercato di raggiungere, in ciascuno dei tre settori separatamente, elevati valori nei rendimenti energetici dei sistemi di produzione e di utilizzazione. Solo negli ultimi anni è emersa l’idea di poter incrementare l’efficienza del sistema globale collegando tra loro, in maniera opportuna, i tre settori visti. Il principale esempio di una tale intuizione è lo sviluppo dei sistemi cogenerativi volti all’integrazione delle produzioni di energia elettrica e termica.

Inoltre, le recenti evoluzioni nei sistemi elettrici dei Paesi economicamente sviluppati hanno visto l’affermarsi di tecnologie ad elevato rendimento (cicli combinati) ed una crescita esponenziale del numero di siti volti allo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili. Se da un lato le prime risultano essere programmabili ma poco modulabili, le seconde sono caratterizzate da una aleatorietà talmente forte da costringere alcuni Paesi (es. Germania) a rallentare il tasso di installazione di nuovi impianti, al fine di garantire la sicurezza del sistema.

Entrambe le situazioni suggeriscono, quindi, la necessità di mettere a punto una tecnologia di accumulo dell’energia in grado di fasare produzione e carico.

L’utilizzo dell’idrogeno come risorsa energetica nel settore dei trasporti è un’idea figlia di queste due esigenze: esso, se da un lato può costituire un efficiente vettore in cui accumulare l’energia elettrica prodotta in surplus, dall’altro può fungere da ponte tra il sistema elettrico ed il settore dei trasporti consentendo di ottenere benefici effetti sull’efficienza energetica del sistema globale. Inoltre, essendo la combustione dell’idrogeno caratterizzata da basse emissioni inquinanti (in teoria solo acqua, in pratica anche ossidi di azoto), questo sembra essere predisposto per un utilizzo nel settore della mobilità urbana.

Allo scopo di realizzare questo ponte è necessario, tuttavia, sviluppare dei sistemi che consentano di utilizzare questa sostanza come propellente per veicoli urbani in modo efficiente e garantendo prestazioni soddisfacenti.

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A tal proposito, le due principali tecnologie oggi a disposizione sono il motore a combustione interna (MCI) e le celle a combustibile. Queste ultime, se da un lato offrono la possibilità di raggiungere elevatissimi rendimenti, dall’altro si trovano in una fase di sviluppo ancora poco matura per la loro applicazione su vasta scala. Il motore a combustione interna invece, pur con rendimenti notevolmente inferiori, rappresenta una tecnologia matura, soggetta a continue innovazioni, e per questo affidabile.

L’utilizzo dell’idrogeno come carburante in questi propulsori, tuttavia, richiede una nuova messa a punto del sistema motore. Questo particolare propellente, infatti, possedendo caratteristiche di combustione totalmente differenti da quelle degli altri combustibili, presenta diverse problematiche a livello applicativo (insorgere di combustioni anomale, autonomia del veicolo,…).

A parte un primissima fase pionieristica (il primo accenno ad un MCI alimentato ad idrogeno risale a R.V. Cecil nel 1920), la ricerca nel campo degli H2ICEs (Hydrogen Internal Combustion Engines) si è svolta in due fasi riconducibili, essenzialmente, ai periodi storici di interesse nei confronti della cosiddetta “economia dell’idrogeno”.

Nella prima di queste fasi (1970-1985) il tema dell’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico è stato affrontato perlopiù nelle sue problematiche generali: produzione e stoccaggio. Già al tempo, comunque, si pose l’attenzione sulla possibilità di adottare tale sostanza come propellente per i mezzi di trasporto. Le prime ricerche in tal senso misero in luce le principali attrattive di una tale idea (elevati rendimenti ed emissioni limitate ai soli ossidi di azoto) ma evidenziarono anche come i motori alternativi alimentati ad idrogeno siano caratterizzati da un’elevata tendenza a combustioni anomale. Per questo motivo, la quasi totalità degli studi del tempo ebbero l’obbiettivo di mettere a punto tecnologie e strategie di gestione in grado di ovviare a tale inconveniente, mantenendo le emissioni di ossidi di azoto entro livelli contenuti ([1], [2]).

Utilizzando motori alimentati mediante carburatore il fenomeno del ritorno di fiamma risultava, infatti, particolarmente gravoso. Ciò condusse, già all’epoca, all’idea di ricorrere a tecniche di diluizione termica della carica mediante la ricircolazione dei gas esausti (EGR, Exhaust Gas Recirculation) o l’introduzione di acqua in camera di combustione. Accanto a tali intuizioni, l’attenzione fu posta sulla realizzazione di un sistema di alimentazione del combustibile che riuscisse a minimizzare l’eventualità di combustioni anomale e, contemporaneamente, a massimizzare le prestazioni erogate dal motore. A tale

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scopo, in quegli anni vennero ideati sistemi ad iniezione indiretta temporizzati o, addirittura, sistemi ad iniezione diretta del combustibile. Le tecnologie a disposizione, tuttavia, non consentirono di realizzare sistemi con prestazioni soddisfacenti prima che, a causa del minore interesse globale sull’argomento, le ricerche fossero sospese.

Nella seconda fase (1995 – oggi), facendo tesoro degli enormi sviluppi che nel frattempo hanno caratterizzato il settore dei motori a combustione interna e dell’elettronica per la loro gestione, la ricerca si è concentrata sullo studio dei diversi sistemi di alimentazione ([3], [4], [5], [6]) e sul tuning dei parametri operativi del motore ([7], [8]) tralasciando, tuttavia, di definire in modo chiaro quale fosse la struttura motoristica più adatta al combustibile idrogeno. Questo ha condotto ad una lunghissima serie di lavori sperimentali che, spesso, sembrano assumere validità solo nel proprio caso specifico senza godere di alcuna estrapolabilità. Affianco a tale mole di studi empirici, si è assistito alla proliferazione di modelli, perlopiù quasi-dimensionali ([9], [10]) e multidimensionali [11], volti alla simulazione degli H2ICEs che tuttavia, pur mostrando buone capacità predittive, non sono mai stati utilizzati all’atto pratico.

Alla luce di tutto ciò, in questo lavoro, inserito nel quadro del progetto “H2 Filiera Idrogeno” di cui l’Università di Pisa è uno dei principali partner, è stato affrontato il problema della progettazione di un motore a combustione interna alimentato ad idrogeno immaginando di dover ripartire da zero e cercando di capire quali siano le scelte progettuali ed operative più opportune nel caso si utilizzi questo particolare combustibile. Per questo è stato opportuno suddividere lo studio in due parti:

· Una prima parte in cui, basandosi sulla letteratura disponibile, si è cercato di fare uno stato dell’arte sullo sviluppo di questo tipo di tecnologia e di rianalizzare in senso critico le soluzioni finora proposte.

· Una seconda parte in cui è stato sviluppato un modello zero-dimensionale del motore per la valutazione di alcune delle problematiche teoriche emerse dall’analisi della letteratura ed è stata condotta, mediante questo, un’analisi sulle configurazioni motoristiche più adatte al variare delle specifiche tecniche richieste al veicolo. Infine è stato possibile rianalizzare le soluzioni proposte in letteratura integrando l’analisi teorica con i risultati ottenuti mediante l’utilizzo del modello.

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PARTE 1

ANALISI CRITICA DELLA

LETTERATURA TECNICA

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1. STATO DELL’ARTE NELLA PRODUZIONE DI

VEICOLI AD IDROGENO

La realizzazione di veicoli dotati di motori a combustione interna alimentati ad idrogeno risale già agli anni’30 del secolo scorso quando la Norsk Hydro Power (Norvegia) produsse alcuni piccoli furgoni. In essi lo stoccaggio del carburante avveniva sottoforma di ammoniaca e per questo era necessario dotarli di un reformer in grado di effettuare il passaggio ad idrogeno gassoso a bordo.

Nel 1973, l’Ingegner Massimiliano Longo presentò alla discussione finale della sua tesi di dottorato presso l’Università del Lussemburgo un’Alfa Romeo 1300GT alimentata a idrogeno. La conversione del sistema motore al nuovo carburante venne effettuata riducendo il rapporto di compressione di 2/3, sostituendo il carburatore con un miscelatore e aggiustando opportunamente la fasatura delle valvole al fine di evitare ritorni di fiamma. Già questo veicolo mostrò notevoli riduzioni dei consumi e delle emissioni tuttavia, essendo il motore concepito per un combustibile diverso, le prestazioni erogate erano nettamente inferiori alla controparte alimentata a benzina, riuscendo a raggiungere al massimo i 96km/h contro i 135km/h originari.

Longo concluse che «una potenza maggiore si sarebbe potuta ottenere solamente con un motore dedicato particolarmente alla combustione dell'idrogeno, ma questo avrebbe richiesto l'interesse di una qualche industria nazionale per progettare e realizzare un propulsore in grado sfruttare totalmente l'energia che l'idrogeno può rilasciare e che è tre volte quello della benzina. L'impegno e gli investimenti necessari per un nuovo motore erano infatti al di fuori delle mie possibilità».

Nel corso degli anni’70 del secolo scorso si assistette, poi, ad un proliferare di veicoli propulsi sia con celle a combustibile che con motori a combustione interna alimentati ad idrogeno. Un esempio ne sono gli autobus realizzati dall’Ing. Roger Evan Billings in collaborazione con la General Motors. Questi mezzi, dimostrando l’effettiva possibilità di utilizzare il nuovo carburante nel settore della mobilità urbana, erano tuttavia caratterizzati dai limiti evidenziati dall’Ing. Longo.

Ad oggi, le due principali case produttrici che operano nel settore degli H2ICEs sono la Ford e la BMW. Queste aziende hanno basato i loro programmi di sviluppo su due soluzioni tecniche radicalmente opposte: la prima utilizza idrogeno stoccato sottoforma di

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gas compresso mentre la seconda utilizza idrogeno liquido. Sebbene entrambe le case abbiano studiato sistemi di iniezione diretta, nella maggior parte dei veicoli da loro prodotti si adottano tecniche con iniezione indiretta vicino alla valvola di aspirazione (Port Fuel Injection).

Tra i diversi veicoli realizzati dalla Ford possono essere citati lo shuttle-bus E-450 e le Focus Wagon e Cmax. Il primo è un mezzo dotato di motore 6.8L Triton V-10 sovralimentato in grado di erogare 140kW di potenza e in cui il carburante è stoccato a 350bar in un serbatoio da 104L, garantendo così un’autonomia di circa 200km. Le Focus sono invece equipaggiate con dei motori da 2.3L (Fig. 1), sempre sovralimentati, da 82kW in grado di percorrere fino a 150km con 2.8kg di combustibile.

Figura 1. Motore Ford 2.3L e motore BMW 6L

Il prodotto di punta della BMW è la “Hydogen 7”, realizzata basandosi sul motore della 760Li. Questo è un propulsore 6L V-12 capace di erogare fino a 210kW (Fig. 1) senza essere sovralimentato. In questo veicolo, l’idrogeno viene trasportato sottoforma di liquido criogenico a 20K e convertito allo stato gassoso solo una volta uscito dal serbatoio (Fig. 2). Quest’ultimo è in grado di contenere fino a 8kg di carburante, garantendo un’autonomia di oltre 200km.

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2. STOCCAGGIO A BORDO

Il principale tema da affrontare a monte della progettazione del sistema motore è quello riguardante la scelta della forma nella quale l’idrogeno deve essere trasportato a bordo del veicolo. Tale aspetto, infatti, influenzando in modo radicale le prestazioni del veicolo, assume un ruolo chiave nella definizione delle caratteristiche dell’H2ICE da realizzare. I principali sistemi di stoccaggio dell’idrogeno a bordo e le loro caratteristiche salienti, rilevate in letteratura, vengono riportate in tabella 1.

Tabella 1. Sistemi di stoccaggio a brodo dell'idrogeno

Da tale analisi della letteratura è emerso come, attualmente, esistano due sole tecniche effettivamente ingegnerizzabili: lo stoccaggio sottoforma di gas compresso in serbatoi ad elevata pressione e lo stoccaggio sottoforma di idrogeno liquido.

Tra queste due opzioni la migliore sembra essere la prima infatti, seppure lo stoccaggio sottoforma di idrogeno liquido garantisca un maggiore rendimento volumetrico del motore

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(e, quindi, una maggiore densità di potenza dello stesso) ed una maggiore densità energetica (e, quindi, a parità di volume esterno del serbatoio, una maggiore autonomia), il costo energetico ed economico necessari per la sua realizzazione e la sua utilizzazione risultano eccessivi (la liquefazione dell’idrogeno richiede circa il 30% del suo potere calorifico inferiore). Inoltre, l’utilizzo della forma liquida comporta il minore periodo di quiescenza (“dormancy”) tra tutti i sistemi analizzati oltreché un rilevante aumento del peso del sistema di stoccaggio che, a sua volta, comporta maggiori consumi (Tabella 2).

Tabella 2. Confronto tra diversi sistemi di stoccaggio a parità di volume esterno del serbatoio [12]

Una soluzione che cerca di mediare tra le due precedenti, e per questo risulta particolarmente interessante, è quella di utilizzare serbatoi crio-compressi dove l’idrogeno gassoso si trova ad elevate pressioni e basse temperature (80K) così da aumentarne la densità (Fig. 3).

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3. PROPRIETÀ FISICO-CHIMICHE

DELL’IDROGENO

Al fine di comprendere a pieno tutti i fenomeni e le problematiche connesse all’utilizzo dell’idrogeno come carburante per motori a combustione interna, risulta utile condurre un’analisi preliminare delle proprietà fisico-chimiche di questo combustibile gassoso e confrontarle con quelle dei combustibili che più tradizionalmente vengono utilizzati nel settore dell’autotrazione (Tabella 3).

Tabella 3. Proprietà fisico-chimiche di idrogeno, metano e benzina

Idrogeno Metano Benzina

(vapore di iso-ottano)

Peso Molecolare [kg/kmol] 2,016 16,043 107,0

Viscosità cinematica a 300K [mm2/s] 110 17,2 1,18

Conducibilità termica a 300K [mW/(m*K)] 182,0 34,0 11,2 Coefficiente di diffusione in aria a NTP [cm2/s] 0,61 0,189 0,05

Potere calorifico superiore [MJ/m3] 12,10 37,71 233,29

Potere calorifico inferiore [MJ/m3] 10,22 33,95 216,38

Energia rilasciata dalla combustione di un kg di miscela stechiometrica [MJ]

3,37 2,56 2,79

Limiti di infiammabilità (% in volume) 4-75 5,3-15,0 1,2-6,0

Minima energia di accensione [mJ] 0,02 0,28 0,25

Velocità laminare di fiamma a NTP [m/s] 1,90 0,38 0,37-0,43

Temperatura adiabatica di fiamma [K] 2318 2190 ≈2470

Temperatura di autoaccensione [K] 858 813 ≈500-750

Quenching gap a NTP [mm] 0,64 2,03 ≈2,0

Emissività normalizzata della fiamma a 200K e 1atm 1 1,7 1,7

Da tale confronto emergono le principali caratteristiche dell’idrogeno in forma molecolare (H2):

· È un combustibile gassoso dotato di una densità particolarmente bassa;

· Richiede, per una combustione stechiometrica, la minore quantità di aria su base volumetrica, ma la maggiore su base massica;

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· Il suo potere calorifico è il maggiore su base massica, ma il minore su base volumetrica;

· Essendo, teoricamente, l’acqua il suo unico prodotto di combustione, esiste una notevole differenza tra i suoi poteri calorifici superiori (HHVs) ed inferiori (LHVs); · L’energia liberata dalla combustione di un’unità di massa di miscela stechiometrica

aria/H2 rimane, comunque, la maggiore;

· Possiede, inoltre, elevati valori delle proprietà di trasporto (viscosità cinematica, conducibilità termica e coefficiente di diffusione in aria).

Analizzando le proprietà che riguardano più da vicino il fenomeno della combustione, è possibile notare come l’idrogeno possegga:

· Un vastissimo campo di infiammabilità in aria (Fig. 4).

Figura 4. Campo di infiammabilità delle miscele idrogeno-aria [14]

· Un basso valore della minima energia di accensione (Fig. 5).

Figura 5. Minima energia di accensione per miscele di idrogeno-aria (cerchi), metano-aria (quadrati) e eptano-aria (triangoli) in funzione del rapporto di equivalenza ߶ [15]

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· Un’elevatissima velocità di fiamma e, quindi, combustioni particolarmente brevi (Figure 6 e 7). Ciò è dovuto, principalmente, al fatto che la cinetica chimica della combustione dell’idrogeno comprende reazioni di ramificazione della catena veloci e termicamente neutre, mentre l’ossidazione degli idrocarburi comporta, solitamente, reazioni di catena lente ed endotermiche associate alla dissociazione dell’idrocarburo stesso.

Figura 6. Velocità laminare di fiamma dell’idrogeno (linea continua) e della benzina (O) per varie composizioni dell’aria comburente a pressione e temperatura ambiente [15]

Figura 7. Variazione della durata della combustione in funzione del rapporto di equivalenza per due diversi istanti di accensione [16]

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· Una temperatura adiabatica di fiamma dello stesso ordine degli altri combustibili (Fig. 8).

Figura 8. Temperatura adiabatica di fiamma dell’idrogeno al variare del rapporto di equivalenza ߶ [15] · Un’elevata temperatura di autoaccensione (858K).

Queste differenze, insieme alla bassa luminosità della sua fiamma, conferiscono alla combustione dell’idrogeno caratteristiche molto differenti da quelle degli idrocarburi.

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4. L’IDROGENO COME COMBUSTIBILE PER MCI

Dall’analisi appena effettuata risulta chiaro come l’idrogeno possegga alcune caratteristiche che lo rendono un combustibile ideale per i motori a combustione interna e altre caratteristiche che ne rendono problematica l’effettiva utilizzazione.

Ciò rende necessario, al fine di una corretta analisi dei problemi che affliggono gli H2ICEs (H2 Internal Combustion Engines) e delle loro possibili soluzioni, avere un quadro chiaro delle interazioni tra le proprietà del combustibile ed i fenomeni che avvengono nel sistema-motore.

La bassa densità dell’idrogeno implica, nonostante l’elevato potere calorifico su base massica, un basso valore del potere calorifico su base volumetrica. Questo comporta, a sua volta, problemi di stoccaggio (la quantità di energia stoccata nell’unità di volume risulta nettamente inferiore a quella degli altri combustibili, riducendo drasticamente l’autonomia del veicolo a parità di volume del serbatoio) ed un minore rendimento volumetrico. Quest’ultima conseguenza è dovuta anche all’elevato rapporto aria/combustibile su base massica richiesto per la combustione stechiometrica dell’idrogeno. Il basso rendimento volumetrico è la principale causa della bassa densità di potenza caratteristica dei motori alimentati ad idrogeno (Fig. 9).

Figura 9

Il fatto che l’unico prodotto teorico di combustione sia l’acqua è alla base dell’elevata differenza tra i poteri calorifici superiori ed inferiori (come già detto). Inoltre, l’assenza di atomi di carbonio nel combustibile, fa sì che le uniche emissioni inquinanti siano, praticamente, solo quelle dovute agli ossidi di azoto (Fig. 10).

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L’idrogeno possiede un quenching gap particolarmente corto. Questo comporta maggiori perdite termiche nel motore (dato che con esso si riduce anche lo spessore dello strato limite intorno alle pareti del cilindro) e rende possibile la combustione anche in spazi particolarmente ristretti. Quest’ultima peculiarità costituisce uno dei maggiori fattori che rendono gli H2ICEs particolarmente predisposti al backfire: da un lato conferisce alla fiamma la capacità di attraversare la valvola anche quando questa è quasi chiusa e, dall’altro, crea la possibilità che la combustione si prolunghi, all’interno dei giochi e delle cavità della camera di combustione, durante tutta la fase di espansione e di scarico consentendo ai gas combusti caldi, contenuti in queste regioni, di fuoriuscirne proprio durante la fase di aspirazione.

Gli elevati valori delle proprietà di trasporto, se da un lato consentono una più facile dispersione dell’idrogeno fuoriuscito nel carter (migliorando la sicurezza del motore) ed una migliore omogeneizzazione della carica all’interno del cilindro (la quale, per ovvi motivi, contribuisce ad un funzionamento più regolare), dall’altro contribuiscono all’elevata tendenza al backfire e comportano un elevato coefficiente di scambio termico convettivo (Fig. 11).

Figura 11

Le fiamme di idrogeno ed aria sono caratterizzate da una bassa luminosità. Questa proprietà diminuisce la quantità di calore scambiato con le pareti del cilindro per irraggiamento e, quindi, riduce le perdite termiche del motore.

Il vasto intervallo di infiammabilità in aria, che l’idrogeno possiede, comporta combustioni più complete, maggiori regolarità di funzionamento del motore ed avviamenti a freddo più facili. Il minimo valore operativo del rapporto di equivalenza φ è molto minore rispetto a

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quello degli altri combustibili, permettendo di operare con miscele povere in condizioni stabili, di adottare tecniche di regolazione per qualità e non per quantità (evitando le perdite fluidodinamiche tipiche della valvola a farfalla) e, inoltre, di adottare tecniche di diluizione termica (EGR o iniezione di acqua). L’adozione di miscele povere, diminuendo la temperatura di fiamma, consente anche di ridurre le perdite termiche.

Sia l’adozione di tecniche di diluizione termica che la minore temperatura di fiamma consentono di ridurre le emissioni di ossidi di azoto.

La possibilità di adottare una regolazione per qualità, la maggiore completezza delle combustioni e le minori perdite termiche contribuiscono ad aumentare il rendimento termico degli H2ICEs tuttavia, l’adozione di miscele povere, comporta minori rendimenti volumetrici e, quindi, minori densità di potenza del motore.

Il vasto intervallo di infiammabilità è, insieme alla bassa energia di ignizione delle miscele idrogeno-aria, alla base della tendenza ad avere combustioni anomale (Fig. 12).

Figura 12

L’elevata velocità di propagazione di fiamma, anche per miscele povere, comporta un rilascio di calore talmente veloce che la combustione ha breve durata, dando origine ad una combustione a volume quasi costante, garantendo una buona regolarità e docilità di funzionamento del motore anche ai regimi elevati, generando una rapidissima crescita di

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pressione a seguito dello scoppio della scintilla e, infine, diminuendo il tempo a disposizione per la formazione degli ossidi di azoto.

La combustione a volume pressoché costante contribuisce ad aumentare il rendimento termico e la densità di potenza del propulsore tuttavia, a causa dell’elevata velocità di crescita della pressione, il motore può risultare eccessivamente rumoroso o, addirittura, incorrere nel fenomeno del battito in testa.

L’elevata velocità di combustione conferisce agli H2ICEs, rispetto ai propulsori tradizionali, una minore sensibilità ai campi di moto della carica, diminuendo gli effetti della forma della camera di combustione e dei moti di organizzazione della carica (swirl, tumble, squish) (Fig.13).

Figura 13

L’elevata temperatura di autoaccensione delle miscele idrogeno-aria conferisce all’idrogeno una naturale predisposizione per i motori ad accensione comandata (SI ICE, Spark Ignition Internal Combustion Engine) e consente, almeno in linea teorica, di adottare rapporti di compressione maggiori con gli ovvi benefici a livello di rendimento termico e potenza erogata.

Infine, un problema emerso dalle analisi dei dati sperimentali è quello della degradazione delle proprietà dell’olio lubrificante. I principali responsabili di tale fenomeno sono, evidentemente, i gas che trafilano tra cilindro e pistone (Fig.14).

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Figura 14

Alla luce di quanto detto è possibile individuare i seguenti vantaggi derivanti dall’utilizzo dell’idrogeno come combustibile nei motori a combustione interna:

· Maggiore regolarità di funzionamento, testimoniata dai bassi valori dei coefficienti di variazione ciclica della pressione indicata media effettiva (COVIMEP);

· Maggiore rendimento termico dovuto, soprattutto, alle minori perdite termiche e alle combustioni più regolari, complete e a volume quasi costante anche nel campo delle miscele ultra-povere;

· Minori perdite fluidodinamiche, grazie alla possibilità di adottare una regolazione per qualità sulla maggior parte del campo operativo del motore e alla minore, se non assente, necessità di conferire dei moti organizzati alla carica alimentata; · Minori emissioni: le uniche non trascurabili sono quelle costituite dagli ossidi di

azoto, ma anche queste, grazie all’adozione di miscele povere, sono contenute; · Maggiore facilità di avviamento a freddo, grazie alla bassa energia di accensione

dell’idrogeno.

A tali benefici fa da contraltare l’insorgere delle seguenti problematiche che, in letteratura, vengono indicate come gli ostacoli principali allo sviluppo degli H2ICEs:

· Maggiore tendenza a combustioni anomale.

· Minore autonomia del veicolo, legata alla bassa densità del combustibile.

· Minore densità di potenza, anche questa dovuta alla bassa densità dell’idrogeno e alla necessità di operare con miscele povere al fine di evitare combustioni anomale e ridurre le emissioni di ossidi di azoto.

Ulteriori problemi citati in letteratura sono quelli connessi alla maggiore rumorosità del propulsore (dovuta alla rapida crescita di pressione a seguito dell’accensione della miscela), all’elevata velocità di degradazione delle proprietà dell’olio lubrificante e, più in generale, alla compatibilità dei materiali con l’idrogeno e con l’alta concentrazione di acqua nel motore.

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5. PRINCIPALI PROBLEMATICHE DEGLI H

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ICEs

5.1. COMBUSTIONI ANOMALE

Nei motori a combustione interna ad accensione comandata (Spark-Ignition Internal Combustion Engine, SI ICE) una combustione si definisce normale quando ha inizio nel punto e nell’istante in cui scocca la scintilla e procede gradualmente da quel punto fino a raggiungere tutte le altre zone della camera. Quando la combustione non avviene secondo questo schema essa viene detta anomala [17].

Basandosi sulla modalità con cui si determina l’accensione, le combustioni anomale possono essere classificate in due categorie principali:

· Combustioni anomale per accensione a superficie; · Combustioni anomale per autoaccensione;

L’accensione a superficie consiste nell’accensione della carica fresca ad opera dei punti caldi presenti nel cilindro. Essa può avvenire prima (preaccensione, preignition) o dopo (postaccensione, postignition) che scocchi la scintilla. In entrambi i casi si ha la formazione di una fiamma turbolenta a partire da ogni punto di innesco della miscela che, successivamente, si propaga attraverso il cilindro in maniera analoga alla fiamma originata dalla scintilla. Il fronte di fiamma globale, dato dalla sovrapposizione di tutti i fronti di fiamma generatisi, è completamente differente da quello che si avrebbe nel caso di combustione normale.

L’autoaccensione è, invece, quel fenomeno di accensione spontanea di tutta o parte della miscela, che si verifica in particolari condizioni di pressione e temperatura, localizzato in zone lontane dalla candela. L’autoaccensione di tutta la carica è un fenomeno molto raro. Frequente è invece l’autoaccensione di quella parte della miscela, ancora incombusta, che si trova davanti al fronte di fiamma (end-gas). In questo caso l’autocombustione prende il nome di detonazione (knock), o “battito in testa”.

Le due tipologie di combustioni anomale sopracitate non si escludono a vicenda dando vita, attraverso loro diverse combinazioni, a varie forme di combustione anomala. Una loro possibile classificazione è quella riportata da J.B. Heywood [18] (Fig.15).

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Figura 15. Classificazione delle anomalie di combustione nei MCI [18]

Negli SI H2ICEs i regimi di combustione anomala più frequenti sono, fondamentalmente, tre: detonazione (knock), preaccensione (preignition) e ritorno di fiamma (backfire).

5.1.1. KNOCK

Il fenomeno della detonazione (knock) consiste nell’autoaccensione della miscela lontana dalla valvola di iniezione, davanti al fronte di fiamma. Questo conduce ad un rapidissimo aumento di pressione (Fig. 16), con conseguente aumento della rumorosità e delle vibrazioni, e ad un possibile danneggiamento del motore [14]. La detonazione innesca onde di pressione all’interno dei gas presenti in camera di combustione, queste, provocando la rottura del film di olio lubrificante che aderisce alle pareti, aumentano l’attrito tra pistone e cilindro, con conseguente usura anticipata del motore e surriscaldamento aggiuntivo che, a sua volta, favorisce l’innesco della detonazione nel ciclo successivo [17].

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Figura 16. Andamento della pressione nel cilindro in funzione dell'angolo di manovella nel caso di (a) combustione normale, (b) knock leggero e (c) knock pesante per un motore a singolo cilindro di 381cc a 4000rpm e WOT [18]

Gli effetti principali di questo fenomeno sono:

· Produzione di rumore e vibrazioni fino al danneggiamento del motore · Stress meccanici di componenti

· Crescita delle temperature e conseguente innalzamento delle emissioni di NOx

Al fine di ridurre la tendenza degli SI H2ICEs all’autoaccensione dell’end gas, si adottano misure atte alla riduzione della velocità di crescita della pressione piuttosto che alla minimizzazione della durata della combustione (già sufficientemente piccola). Tali misure sono:

· Minimizzazione della temperatura della carica alimentata · Adozione di rapporti di equivalenza (φ) poveri o ultrapoveri

· Adozione di rapporti di compressione (Compression Ratio, CR) minori · Riduzione dell’anticipo di accensione (Ignition Timing, IT)

Figura 17. Knocking Region al variare (a) della temperatura di alimentazione della miscela, del rapporto di equivalenza e del rapporto di compressione e (b) del rapporto di equivalenza, del rapporto di compressione e dell'anticipo di accensione (°CA BTDC) in un motore CFR a 900rpm, WOT con Tin=311K nel caso (b) [19]

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Un’ulteriore strategia per minimizzare le possibilità di incorrere nel knock è quella di ricorrere a diluizioni termiche mediante l’iniezione di acqua, il ricircolo dei gas esausti (Exhaust Gas Recirculation, EGR) oppure con l’aggiunta di appositi additivi. Martorano [17] suggerisce, inoltre, di parzializzare l’aria in ingresso e di adottare misure per il raffreddamento delle pareti del cilindro.

5.1.2. PREGNITION

La bassa energia di ignizione, tipica della miscele H2-aria, rende i motori a combustione interna alimentati ad idrogeno (H2ICEs) predisposti al fenomeno della preaccensione (preignition), che consiste nell’inizio della combustione prima dello scocco della scintilla. Questo comporta un aumento del tasso di rilascio di calore che, a sua volta, implica una rapida crescita della pressione all’interno del cilindro, oscillazioni acustiche e maggiori rilasci di calore che aumentano la temperatura delle pareti del cilindro. Quest’ultimo effetto può condurre ad un ulteriore anticipo dell’accensione della miscela nel ciclo successivo (la preaccensione è un fenomeno che si autoesalta) fino a causare un backfire [15].

Da un punto di vista fisico-chimico L.M. Das [14] distingue la preaccensione che avviene durante la fase di aspirazione da quella che avviene durante la corsa di compressione. La prima è conseguente al superamento del secondo limite di esplosività (Fig.18) causato, a pressione quasi costante, dall’aumento della temperatura della miscela dovuto allo scambio di calore con pareti calde, gas residui o punti caldi. La seconda è, invece, conseguente al superamento del terzo limite di esplosività causato dal contemporaneo aumento di temperatura e, soprattutto, pressione della miscela.

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Gli effetti che una preaccensione può avere sul motore variano dal semplice aumento della rumorosità al danneggiamento dello stesso. Seppure la preaccensione possa ritenersi, entro certi limiti, un fenomeno non grave, esso, a causa della sua autoesaltazione, è il precursore del backfire e per questo motivo deve essere inibito.

Per raggiungere tale obbiettivo, i parametri motoristici sui quali agire sono i seguenti: · Temperatura della carica alimentata;

· Pressione di alimentazione; · Rapporto di equivalenza (φ);

· Rapporto di compressione (Compression Ratio, CR); · Anticipo di accensione (Ignition Timing, IT);

Le strategie con le quali gestire tali variabili verranno illustrate nella sezione dedicata al backfire (Sez. 5.1.3) dato che, al fine di evitare quest’ultimo, occorre impedire l’insorgere della preaccensione.

5.1.3. BACKFIRE

Il fenomeno del “ritorno di fiamma” (backfire) si ha quando l’accensione della miscela durante la fase di aspirazione (dovuta ad una preaccensione) induce la combustione all’interno dei condotti di aspirazione. Questo è un fenomeno tipico di tutti i motori ad idrogeno che utilizzano carica premiscelata e, in genere, è tipico degli alti regimi di funzionamento anche se, occasionalmente, può verificarsi anche durante operazioni con miscela molto povera a regimi di minimo.

Le conseguenze di una tale anomalia nella combustione variano dal semplice spegnimento del motore alla completa distruzione del sistema di alimentazione [14].

Gli effetti del ritorno di fiamma vengono analizzati in modo particolarmente interessante in [5]: effettuando una serie di prove su di uno SI H2ICE con alimentazione del combustibile mediante PFI, vengono esposte le variazioni che l’insorgere del backfire (al 100° ciclo) hanno sulla pressione massima (Fig.19), sulla pressione indicata media effettiva (Fig.19) e sugli andamenti della pressione in funzione dell’angolo di manovella (Figure 20 e 21).

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Figura 19. Variazione della pressione massima (pmax) e della pressione indicata media effettiva (IMEP) con

l'insorgere del backfire (ciclo n°100) [5]

Figura 20. Confronto tra gli andamenti della pressione nel cilindro in caso di: combustione anomala, prima fase di backfire, fase terminale di backfire, ciclo con spegnimento [5]

Tale studio mostra come, nelle prime fasi del backfire, sia possibile notare (Fig. 19) una decrescita dell’IMEP seguita, solo dopo alcuni cicli, da un crollo della pressione massima. Il backfire si alterna poi, per tre volte, a combustioni normali fino allo successivo spegnimento del motore.

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Le prime fasi che conducono al ritorno di fiamma, 100°ciclo, sono evidenziate nel diagramma delle pressioni in figura 22 (sx), dove è possibile notare come la pressione inizi a crescere a 80°CA BTDC, cioè prima dello scocco della scintilla. La pressione di picco, in questo caso, rimane elevata perché il gas combusto è compresso dal pistone, ma il lavoro prodotto dal ciclo è quasi nullo a causa dell’aumento del lavoro di compressione. La pressione alla valvola di aspirazione mostra, in questo caso, un aumento verso la fine della fase di espansione, proprio a causa del backfire generato dalla preaccensione della miscela alimentata.

Figura 22. Andamento della pressione al variare dell'angolo di manovella nel prima fase (100°ciclo, fig. a sx) e nelle ultime fasi, prima dello spegnimento, (110° ciclo, fig. a dx) di un backfire [5]

L’ultima fase del ritorno di fiamma, prima dello spegnimento, è mostrata in figura 22 (dx). In essa è evidente un picco, intorno ai 90°CA BTDC, nella pressione di aspirazione dovuto al backfire. Tale evento conduce alla combustione della maggior parte dell’idrogeno prima che questo entri nel cilindro e, quindi, allo spegnimento del motore.

Le principali cause, citate in letteratura, dell’insorgere del backfire sono le seguenti: · Punti caldi nella camera di combustione (depositi e particelle calde dovute alla

parziale combustione dell’olio lubrificante, candela, gas residui, valvole di scarico, etc.): grazie alla bassa energia di accensione e all’esteso campo di infiammabilità delle miscele H2-aria, essi possono causare l’accensione della miscela;

· Energia residua nel circuito di accensione: a causa della bassa concentrazione di ioni nelle fiamme H2-aria è possibile che l’energia per l’accensione non si depositi completamente nella fiamma e ne rimanga, una parte, nel circuito di accensione

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finché le condizioni nel cilindro non consentano una seconda, indesiderata, combustione durante la fase di espansione;

· Induzione nei cavi di accensione: nei motori con più cilindri, l’accensione controllata in un cilindro può causare, quando i cavi elettrici non sono adeguatamente isolati, un’accensione indotta in un altro cilindro;

· Combustione nella zona alta del cilindro che persiste fino all’apertura della valvola di aspirazione accendendo la carica fresca. Questa può essere causata dal piccolo quenching gap dell’idrogeno che consente alla combustione di avere luogo anche negli interstizi della camera di combustione e nei giochi tra pistone e cilindro. · Autoesaltazione della preaccensione. La preaccensione, come già visto, si verifica

negli H2ICEs a causa della bassa energia di accensione e dell’esteso campo di infiammabilità delle miscele H2-aria. Un’accensione prematura fa sì che la miscela bruci prevalentemente durante la fase di compressione causando, quindi, un aumento della temperatura dei gas in camera di combustione. Tale aumento induce la formazione di punti caldi e l’aumento della temperatura delle pareti del cilindro che, a loro volta, porteranno, nel ciclo successivo, ad un’accensione incontrollata ancora più anticipata finché, ciclo dopo ciclo, non si avrà un ritorno di fiamma. Questo meccanismo può anche condurre ad un battito in testa.

Secondo Verhelst [10], la bassa energia di accensione viene troppo spesso ritenuta la principale causa del backfire: l’accensione tramite masse calde è maggiormente correlata alla temperatura di autoaccensione (temperatura alla quale la miscela si accende spontaneamente) che alla minima energia di accensione (definita come la minima energia della scintilla che consente di accendere la miscela) quindi, data l’elevata temperatura di autoaccensione delle miscele H2-aria, sembra altamente improbabile che le masse calde possano indurre il backfire così frequentemente. Tutto ciò è supportato anche dal fatto che la concentrazione di depositi e particelle calde, nei motori ad idrogeno, è molto bassa (esse sono generate, unicamente, dalla parziale combustione dell’olio lubrificante). A supporto di questa tesi l’autore fa notare che, nei motori ad accensione spontanea alimentati con idrogeno, sono necessari rapporti di compressione maggiori rispetto a quelli alimentati con combustibili tradizionali e che, inoltre, in letteratura sono presenti anche esperimenti condotti su motori in cui i punti caldi sono stati ridotti al minimo (cilindri puliti attentamente, operazioni non lubrificate, eliminazione dei gas residui, candele raffreddate, valvole di scarico raffreddate) e comunque, anche in questi casi, sono stati rilevati dei

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ritorni di fiamma. Infine c’è da notare che fenomeni di backfire si verificano anche nel caso di utilizzo di miscele povere e, quindi, basse temperature.

La tendenza del propulsore ad incorrere nei ritorni di fiamma è, dunque, connessa sia a parametri progettuali che a variabili operative del motore stesso.

I principali parametri progettuali sui quali agire al fine di minimizzare tale tendenza sono: · Il rapporto di compressione CR

In letteratura è presente una certa ambiguità sulla relazione tra backfire e rapporto di compressione: alcuni autori ne consigliano la riduzione (diminuendo, così, le temperature nel cilindro), altri ne consigliano l’incremento, al fine di minimizzare la quantità di gas residui e di aumentare il rapporto tra la superficie ed il volume della camera di combustione (aumentando, così, gli scambi di calore verso l’esterno e, quindi, raffreddando la carica presente nel cilindro). Entrambi i meccanismi sono corretti e ciò indica l’esistenza di un rapporto di compressione ottimale (Fig. 23).

Figura 23. Effetti del rapporto di compressione sulla tendenza al backfire

· La forma della camera di combustione

Vengono consigliate camere discoidali, al fine di ridurre la turbolenza, e con un basso valore del rapporto corsa diametro (C/D), al fine di migliorare il raffreddamento del cilindro.

· Il sistema di alimentazione del combustibile

Al fine di eliminare totalmente il rischio di incorrere nel backfire è consigliabile l’adozione dei sistemi ad iniezione diretta (Direct Injection, DI). Nel caso si adotti un sistema ad iniezione indiretta la migliore soluzione è quella della PFI (Port Fuel Injection) con iniezione sequenziale controllata.

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· Scelta dei materiali

È importante evitare l’utilizzo di materiali, come il platino, che possano fungere da catalizzatori per le reazioni di ossidazione dell’idrogeno.

· Il sistema di accensione

I cavi elettrici di accensione devono essere opportunamente isolati per evitare scariche incontrollate. Le candele devono essere opportunamente posizionate [20] e raffreddate.

· Le valvole di aspirazione e scarico

Devono essere, per questioni termiche, almeno quattro e, se possibile, raffreddate. · Sistema di raffreddamento

Deve essere il più possibile omogeneo al fine di evitare la formazione di punti caldi.

· Scelta olio lubrificante

Deve essere adottato un olio lubrificante con la minore quantità di ceneri, al fine di minimizzare la presenza di particelle e depositi caldi in camera di combustione. · La presenza di giochi ed interstizi in camera di combustione

In letteratura sono riportati studi sulla connessione tra il fenomeno del ritorno di fiamma e la presenza di interstizi all’interno della camera di combustione. Gli interstizi sono regioni in cui l’idrogeno brucia molto lentamente e questo può consentire il protrarsi della sua combustione fino alla fase di aspirazione durante la quale i gas caldi combusti possono fuoriuscire dagli interstizi ed accendere la carica fresca alimentata. Lee et al. [21] dimostrano che, mentre i volumi interstiziali intorno alla candela non hanno un ruolo fondamentale nei fenomeni di backfire, i giochi tra la zona alta del pistone ed il cilindro e quelli delle fasce elastiche risultano avere un effetto non trascurabile. Nelle prove condotte, gli autori sono riusciti ad aumentare il rapporto di equivalenza BFL (BackFire Limit), rispetto ai pistoni convenzionali, del 5.7% aumentando il gioco tra la zona alta del pistone ed il cilindro e dell’11% aumentando i trafilamenti (e, quindi, minimizzando il riflusso dei gas caldi dagli interstizi al cilindro). Quest’ultimo non è, però, un metodo di pratica utilità in quanto comporta, oltre che problemi di sicurezza, anche minori efficienze del motore. Da tale analisi si conclude che disegnando accuratamente il cilindro, eliminando il più possibile i giochi e gli interstizi, la resistenza al backfire può essere incrementata.

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· Adozione di tecniche di diluizione termica

Attraverso l’iniezione di acqua in camera di combustione o l’utilizzo della ricircolazione dei gas esausti (EGR) è possibile diluire la miscela presente nel cilindro e, nel primo caso, abbassarne la temperatura.

Una volta progettato, o dato, il motore è possibile operare sulle seguenti variabili operative per evitare l’insorgere del ritorno di fiamma:

· Il rapporto di equivalenza φ

Fissato il rapporto di compressione del motore, la pressione e la temperatura della carica aspirata, il rischio di backfire pone un limite superiore al rapporto di equivalenza adottabile (Backfire Limit, BFL).

· Istante di iniezione nel caso di PFI

Posticipando l’istante di iniezione la tendenza al backfire viene ridotta perché l’aria aspirata assume un effetto refrigerante su pareti e punti caldi del cilindro. · Temperatura e pressione della carica aspirata

All’aumentare di questi due parametri, ovviamente, la tendenza a combustioni anomale risulta esaltata.

· Periodo di incrocio delle valvole (Valve Overlap Period, VOP)

Huynh et al. [22] affermano che il fenomeno del backfire è, spesso, il risultato del riflusso della miscela verso il condotto di aspirazione durante il VOP: se, durante questo periodo di incrocio, la miscela è sottoposta a preaccensione, la fiamma che ne consegue è in grado di propagarsi nel condotto di aspirazione. Quando il VOP è sufficientemente piccolo, comunque, il backfire non può avvenire neanche ai carichi elevati, rendendo così la riduzione dell’angolo di incrocio una strategia di efficacia universale per la prevenzione di tale anomalia della combustione.

5.1.4. TECNICHE DI DILUIZIONE TERMICA

Al fine di minimizzare la tendenza a combustioni anomale e, contemporaneamente, abbattere le emissioni di ossidi di azoto dei motori a combustione interna alimentati con idrogeno, sono state messe a punto delle tecniche di diluizione termica della carica:

· Ricircolazione dei gas di scarico (Exhaust Gas Recirculation, EGR) ü EGR caldi umidi

ü EGR freddi secchi (composti principalmente da azoto molecolare) · Diluizione con acqua

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EGR – EXHAUST GAS RECIRCULATION

Uno dei maggiori vantaggi dell’EGR è la possibilità, adottando un convertitore catalitico trivalente (TWC) per abbattere le emissioni di ossidi di azoto, di operare con miscele stechiometriche senza incorrere in combustioni anomale. Questo consente di avere basse emissioni a quei carichi che, regolando per qualità, le avrebbero elevate (0,5≤Φ≤1,02) con rendimenti maggiori del caso in cui si adottasse una regolazione per quantità.

Questa tecnica viene adottata, in un motore alimentato con miscele di idrogeno e gas naturale, da Hu et al. [23]. Dal loro studio emerge come la maggiore capacità termica della carica intrappolata comporti minori temperature di combustione, maggiori ritardi di accensione e minori velocità di fiamma. Quest’ultimo effetto conduce alla necessità di adottare un maggiore anticipo di accensione; ad una minore e posticipata velocità di rilascio termico (Heat Release Rate, HRR) massima; a valori maggiori del Flame Development Angle (angolo di manovella in cui brucia dallo 0% al 10% della carica), del Rapid Burning Angle (angolo di manovella in cui brucia dal 10% al 90% della carica) e della durata totale della combustione e, infine, ad un aumento dei coefficienti di variazione ciclica.

Safari et al. [24] analizzano le differenze tra l’uso di EGR (Exhaust Gas Recirculated) caldi umidi e l’uso di EGR freddi secchi.

I primi, avendo una maggiore capacità termica (dovuta alla maggiore quantità di acqua in essi presente), comportano minori temperature di combustione e, quindi, minori emissioni. Sempre a causa della maggiore quantità di acqua, utilizzando EGR caldi umidi aumentano sia il ritardo di ignizione (ignition delay) che la durata della combustione.

La tecnica con EGR freddi secchi (T≤70°C) consente maggiori rendimenti volumetrici e, grazie alle minori perdite per scambio termico con le pareti del cilindro rispetto al caso precedente, maggiori rendimenti termici. Questi fattori concorrono entrambi a conferire al motore una maggiore densità di potenza.

Anche in [25] è presente un’analisi di questo tipo. Questa evidenzia come, sia nel caso di EGR caldi umidi che nel caso di EGR freddi secchi, il rendimento termico sia minore di quello ottenibile mediante l'adozione di una tecnica di diluizione con aria. Tale differenza è maggiore ai bassi carichi, dove la temperatura massima è contenuta anche nel caso della diluizione con aria, mentre tende ad annullarsi ai carichi maggiori (rapporti di equivalenza

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maggiori) dove le minori temperature che caratterizzano le strategie con EGR consentono di avere minori perdite termiche.

L'utilizzo di EGR freddi consente rendimenti più elevati rispetto al caso di EGR caldi e ciò si ripercuote sulla potenza erogata dal motore: a parità di quantità di combustibile iniettato, la maggiore potenza è fornita dalla diluizione con aria mentre la minore è fornita dagli EGR caldi.

In entrambi gli studi, dunque, la tecnica utilizzante EGR freddi viene indicata come preferibile rispetto a quella con EGR caldi. Gli EGR freddi, però, non consentono COV accettabili ai bassissimi carichi.

La massima percentuale di gas ricircolati è, secondo Verhelst [10], di circa il 50% e comunque, grazie alla maggiore velocità di fiamma dell’idrogeno, maggiore di quella per motori a benzina. Hu et al. [26] affermano che tale valore dipende dal regime: ad un regime maggiore corrisponde una maggiore turbolenza e, quindi, una maggiore tolleranza ai diluenti.

INIEZIONE DI ACQUA

Al fine di prevenire, contemporaneamente, i fenomeni di knock e backfire è possibile utilizzare una strategia di alimentazione che preveda l’uso di miscele povere ai bassi carichi e l’iniezione di acqua agli alti. Ciò consente anche un notevole abbattimento delle emissioni di ossidi di azoto [14].

Grazie al suo elevato calore latente di evaporazione e alla sua elevata capacità termica, l’acqua risulta un ottimo diluente, consentendo un notevole abbattimento delle temperature anche se introdotta in modeste quantità.

Tabella 4. Caratteristiche del motore utilizzato nelle prove di Subramanian et al. [8]

Tipo di motore Ad accensione comandata (SI), 4T, raffreddato ad acqua Numero di cilindri 1 Alesaggio 85mm Corsa 90mm Cilindrata 510cc Rapporto di compressione (CR) 9:1 Potenza misurata 13bhp

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Tabella 5. Condizioni operativa per le prove condotte da Subramanian et al. [8]

Regime 2500rpm

Posizione valvola a farfalla WOT

Anticipo di accensione MBT

Caratteristiche H2O iniettata Tamb, 3bar, spray nel collettore di

aspirazione

Intervallo di Φ (e Fuel Flow Rate, FFR) 0,6 (0,65kg/h) à 0,8 (0,78kg/h) Interavallo di %H2O introdotta 0 à 6

Prove condotte da Subramanian et al. [8] (Tabella 4 e Tabella 5) consentono di trarre numerose indicazioni sull’influenza che l’iniezione di acqua ha sulle prestazioni del propulsore infatti, aumentando la quantità di acqua introdotta, vengono osservate le seguenti variazioni:

· Aumento della coppia, a parità di FFR (Fuel Flow Rate), probabilmente dovuto alle minori perdite per attrito.

· Notevole riduzione nella temperatura dei gas di scarico (Exhaust Gas Temperature, EGT) (Tabella 6).

Tabella 6. Variazione della EGT per varie percentuali di acqua iniettata e per vari FFR [8]

FFR \ %H2O 0% 6% ΔT0%-6%

0,65 kg/h 455°C 420°C 45°C

0,78 kg/h 530°C 480°C 50°C

· Riduzione del rendimento volumetrico, soprattutto agli elevati FFR. Tale riduzione dipende dal tempo impiegato dall’acqua ad evaporare: minore è questo tempo e maggiore sarà il decadimento del rendimento volumetrico. Dunque, essendo i casi con maggiori FFR caratterizzati da temperature più elevate, saranno proprio questi a subire maggiormente questo effetto (Tabella 7).

Tabella 7. Variazione del rendimento volumetrico per varie percentuali di acqua iniettata e per vari FFR [8]

FFR \ %H2O 0% 6% Δ0%-6%

0,65 kg/h 78,5% 77,5% 1%

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· Concentrazione di ossigeno nel motore invariata, nonostante il minore rendimento volumetrico. Questo costituisce un notevole vantaggio rispetto ad altri diluenti gassosi.

· Minori temperature e, quindi, minori emissioni di ossidi di azoto (Tabella 8) e di idrocarburi incombusti (derivanti dall’ossidazione parziale dell’olio lubrificante), minori velocità di rilascio termico (HRR) (Tabella 9) e minori lavori di compressione.

Tabella 8. Variazione nelle emissioni di NOx per varie percentuali di acqua iniettata e per vari FFR [8]

FFR \ %H2O 0% 6% Δ0%-6%

0,65 kg/h 1500ppm 500ppm 1000ppm

0,78 kg/h 7500ppm 3000ppm 4500ppm

Tabella 9. Variazione dell'HHRmax per diverse percentuali di acuqa iniettata [8]

%H2O 0% 6% Δ0%-6%

HHRmax 81 J/°CA 51 J/°CA 30 J/ °CA

· Curva di rilascio termico più graduale, con una campana più larga e più bassa, che è indice di una combustione più dolce e, quindi, minori stress meccanici sul motore. · L’istante di accensione (IT) deve essere anticipato (da 3°CA BTDC per 0%H2O a 6°CA BTDC per 6%H2O) al fine di compensare la minore velocità di combustione conseguente all’iniezione di acqua.

· Maggiore pressione dei gas di scarico, a causa del maggiore ritardo di ignizione (ignition delay) e della maggiore durata della combustione.

· Maggiori coefficienti di variazione ciclica dell’IMEP (COVIMEP), che indicano una minore regolarità della combustione (Tabella 10).

Tabella 10. Variazione del COVIMEP per varie percentuali di acqua iniettata e per vari FFR [8]

FFR \ %H2O 0% 6% Δ0%-6%

0,65 kg/h 3,3% 4,5% 0,8%

0,78 kg/h 1,7% 2,6% 1,2%

· IMEP sostanzialmente invariata, nonostante la combustione più lenta, grazie alle minori perdite per attrito.

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Bleechmore et al. [25], studiando le diverse tecniche di diluizione termica negli H2ICEs, effettuano diluizioni termiche mediante iniezione di acqua con percentuali variabili fino all’8,5%, mantenendo fissati il valore della pressione indicata media effettiva (IMEP= 600kPa) ed il rapporto di equivalenza (stechiometrico). L'iniezione di acqua viene effettuata mediante l'iniettore Orbital (Sez. 6.1.9).

Da tale analisi emerge che, fissato l'anticipo di accensione, l'iniezione di acqua non ha significativi effetti sull'efficienza termica tuttavia, proprio l’iniezione di acqua, permette di anticipare l’accensione consentendo, così, maggiori efficienze.

Sempre mantenendo fissato l'istante di accensione, questo studio rileva, in analogia con [8], come aumentando la percentuale di acqua iniettata diminuiscano sia la velocità di crescita della pressione che le emissioni di ossidi di azoto mantenendo, comunque, il COVIMEP entro limiti accettabili.

La tecnica di diluizione termica mediante l’introduzione di acqua risulta, dunque, un’efficace strategia per abbattere le emissioni di ossidi di azoto e la tendenza a combustioni anomale negli H2ICEs tuttavia mostra, sulla lunga durata, problemi di compatibilità con i materiali e problemi di lubrificazione.

5.2. AUTONOMIA DEL VEICOLO

A causa della bassa densità dell’idrogeno, la quantità di energia stoccata nell’unità di volume risulta nettamente inferiore a quella degli altri combustibili riducendo drasticamente, a parità di volume del serbatoio, l’autonomia del veicolo.

Per ovviare a questo inconveniente, o almeno per limitarne gli effetti, è possibile agire su tre fronti: la massimizzazione del rendimento termico del veicolo (al fine di minimizzare i consumi), il sistema di stoccaggio a bordo del combustile ed il sistema di alimentazione dello stesso.

Avendo escluso le soluzioni che prevedono uno stoccaggio chimico o sottoforma liquida, il trasporto di idrogeno sottoforma di gas compresso richiede l’utilizzo di serbatoi ad elevata pressione (300-700bar). Questi, considerando un volume di 200L ed una pressione di 350bar, consentono di trasportare una massa di idrogeno pari a circa 5kg (600MJ) che, in termini di energia stoccata, equivalgono a 13kg di benzina. È evidente, quindi, come la bassa densità dell’idrogeno gassoso comporti una limitata autonomia del veicolo.

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Rimandando l’analisi dei sistemi di alimentazione e delle misure per massimizzare il rendimento del motore alle sezioni dedicate (rispettivamente 5.1 e 6), è interessante analizzare come variazioni nella pressione di alimentazione del idrogeno al motore incidano in maniera considerevole sulla capacità di sfruttare il serbatoio: variando la pressione di iniezione da 5bar a 40bar, senza utilizzare compressori ausiliari, la massa di idrogeno residua nel serbatoio passa da 80g (1,6% del totale stoccato) a 640g (12,8% del totale stoccato). Ciò rende questo parametro una variabile chiave nella progettazione del sistema.

5.3. DENSITA’ DI POTENZA

I motori alimentati con idrogeno sono, in generale, caratterizzati da bassi rendimenti volumetrici e, quindi, da basse densità di potenza. Questo è dovuto, essenzialmente, alla bassa densità del combustibile e alla necessità, dettata dal rischio di incorrere in combustioni anomale, di adottare miscele povere.

Fissata la cilindrata, al fine di massimizzare la potenza erogata da un H2ICE è necessario agire su due fattori: il rendimento volumetrico del motore e la tendenza ad avere combustioni anomale dello stesso.

Il rendimento volumetrico può essere incrementato agendo, essenzialmente, sul sistema di alimentazione e stoccaggio del combustibile, sia a livello progettuale (scegliendo il sistema più idoneo) sia a livello operativo (scegliendo, opportunamente, le pressioni e le fasature). La tendenza a combustioni anomale manifesta il suo effetto sulla densità di potenza attraverso il limite, che essa comporta, al rapporto di equivalenza massimo adottabile (φBFL).

È dunque evidente come, al fine di massimizzare la densità di potenza del propulsore, sia la fase di progettazione del motore a svolgere un ruolo chiave: sebbene attraverso una corretta gestione dei vari parametri operativi nelle diverse condizioni di funzionamento del motore sia possibile evitare combustioni anomale massimizzando la potenza erogata, tale massimizzazione avrà sempre una soluzione di bordo dettata dalle condizioni al contorno imposte da parametri scelti in fase di progettazione (rapporto di compressione, tipo di sistema di alimentazione e pressioni adottate da questo).

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6. PARAMETRI PROGETTUALI DEL MOTORE

Note le problematiche che affliggono i motori a combustione interna alimentati ad idrogeno, è possibile individuare una serie di misure da adottare nella scelta di materiali, componenti, sistemi e altre variabili progettuali:

· Rapporto di compressione (CR) [in letteratura varia da 7.5:1 a 14.5:1]

Un suo aumento comporta maggiori temperature e pressioni all’interno del cilindro ed una migliore espulsione dei gas combusti che, a loro volta, implicano una minore durata della combustione consentendo, dunque, di posticipare l’accensione. Nonostante la minore durata della combustione, le maggiori temperature fanno sì che il motore abbia maggiori perdite termiche tuttavia, grazie all’aumento del rendimento teorico del ciclo, si assiste, complessivamente, ad un aumento del rendimento termico al freno (Brake Thermal Efficiency, BTE).

Fissata la temperatura di alimentazione della carica fresca, un aumento del rapporto di compressione, implica una riduzione del massimo rapporto di equivalenza adottabile per non incorrere in anomalie di combustione (φBFL).

Dunque, mentre per evitare combustioni anomale è consigliabile una sua riduzione e, al contrario, per massimizzare il rendimento (e, quindi, l’autonomia del veicolo) un suo aumento, al fine di massimizzare la densità di potenza del propulsore esiste un valore ottimale del rapporto di compressione, che è il giusto compromesso tra l’aumento della BTE e il decremento del φBFL. Tale valore ottimale è, comunque, maggiore rispetto a quello per i tradizionali motori a benzina (Fig. 24).

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· Giochi e interstizi

È opportuno, al fine di minimizzare la tendenza a combustioni anomale, ridurre i giochi tra la parte alta del pistone ed il cilindro, i giochi delle fasce elastiche e gli interstizi in generale.

· Candele

La posizione della candela influisce sulla durata della combustione, sul valore del gradiente di pressione e sulla potenza specifica. Analizzando i motori a benzina, Martorano [17] afferma che per ridurre la tendenza al knock è consigliabile una posizione della candela il più centrale possibile (eccezionalmente l’uso delle due candele) per velocizzare la combustione in modo che duri meno del ritardo di ignizione dell’end-gas.

Yamin et al. [20], analizzando uno SI H2ICE, affermano che non esistono sostanziali variazioni nella potenza erogata, nei consumi specifici e nelle emissioni al variare della distanza della candela dal centro della testata. Tuttavia, al fine di minimizzare la tendenza al knock, viene consigliato un XSP (rapporto tra la distanza della candela dalla parete più vicina ed il diametro del cilindro) pari a 0,29.

È preferibile adottare candele raffreddate, per evitare elevate temperature degli elettrodi, e non in platino, per evitare preaccensioni e ritorni di fiamma.

· Alesaggio

Un interessante studio sugli effetti che il variare del diametro del cilindro ha sulle prestazioni di un motore alimentato ad idrogeno è riportato in [26]. In esso viene evidenziato come minori alesaggi comportino una minore pressione massima ma una maggiore pressione all’apertura della valvola di scarico (Exhaust Valve Open, EVO), causando onde di pressione di elevate ampiezza e frequenza allo scarico. Inoltre, aumentando l’alesaggio, nel caso di iniezione diretta, aumenta la quantità di carica bruciata nella fase di premiscelamento.

Infine, ricercatori del College of the Desert [27] affermano che un elevato rapporto diametro su corsa diminuisce la tendenza a combustioni anomale.

· Sistema di accensione

È opportuno mettere a terra o cambiare la resistenza elettrica dei cavi di accensione per evitare accensioni incontrollate. Inoltre, nei motori multi cilindro, si consiglia di migliorare l’isolamento tra i cavi dei diversi cilindri per evitare scariche indotte.

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Infine, nei motori alimentati ad idrogeno, è necessario adottare un sistema di accensione ad elevato voltaggio, come richiesto dalle miscele H2-aria, aumentando il voltaggio di accensione secondario, utilizzando uno spinterogeno oppure riducendo la distanza tra gli elettrodi.

· Lubrificazione

La scelta dell’olio lubrificante deve tenere conto dell’elevata concentrazione di acqua nel cilindro di un H2ICE. A tale scopo possono essere adottati oli demulsionanti oppure oli idrofili che, comunque, contengano poche ceneri (al fine di minimizzare i punti caldi) [10].

· Ventilazione del blocco motore

Questo è, negli H2ICE, un aspetto non trascurabile ai fini della sicurezza. È raccomandata una buona ventilazione al fine di disperdere l’idrogeno che fuoriesce dal cilindro e dal sistema di alimentazione.

· Camera di combustione

Data l’elevate velocità di fiamma dell’idrogeno è possibile adottare, come già detto, camere di combustione a bassa turbolenza riscontrando un benefico effetto sia sull’efficienza del motore che sulla tendenza a combustioni anomale.

· Valvola a farfalla

Questo componente, indispensabile nei tradizionali motori a benzina, viene utilizzato solo ai bassissimi carichi (per avere combustioni stabili con limitate emissioni di idrogeno incombusto) e, in alcuni casi, ai carichi massimi (per limitare le emissioni di ossidi di azoto).

· Valvole di aspirazione e scarico

Devono essere, come detto a proposito della minimizzazione della tendenza al ritorno di fiamma, almeno quattro e, se possibile, raffreddate. Inoltre è necessario adottare materiali opportuni, tenendo conto della bassa lubricità dell’idrogeno. · Sistema di alimentazione del combustibile

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6.1. SISTEMI DI ALIMENTAZIONE DEL COMBUSTIBILE

Il tipo di sistema di alimentazione del combustibile e la sua corretta gestione influiscono in maniera determinante sull’autonomia del veicolo, sulla tendenza del motore ad avere combustioni anomale e sulla densità di potenza dello stesso risultando, dunque, elementi chiave del sistema.

Su questo argomento è disponibile una vastissima letteratura (Tabella 11) che, pur esplorando un’ampia gamma di sistemi, non è però riuscita a produrre una soluzione definitiva: seppure siano state filtrate alcune tecnologie oramai obsolete, non è stata ancora individuata una tecnica universalmente riconosciuta come la migliore da adottare nei motori ad idrogeno.

Tale fenomeno è, probabilmente, legato al fatto che la scelta del sistema di alimentazione non è affatto univocamente determinata, dovendo essere frutto di un’attenta analisi e pesatura, alla luce dei propri obbiettivi, dei diversi vantaggi e svantaggi di ciascuna tecnologia.

Ai fini della nostra analisi è possibile suddividere le tecniche esistenti in due macrocategorie: strategie tradizionali e strategie avanzate.

Della prima classe fanno parte: · Tecniche con carburatore

· Iniezione indiretta nel collettore di aspirazione · PFI (Port Fuel Injection)

· DI (Direct Injection)

Della seconda fanno parte: · Dual Mode

· LH2 (Liquid Hydrogen)

· HAJI (Hydrogen Assisted Jet Injection) · Sistema Orbital

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6.1.1. CARBURATORE

Il carburatore (Fig. 25) è la tecnologia storicamente adottata nei motori a benzina, prima dell’avvento dei sistemi di iniezione, e per questo la più matura e la più semplice.

Figura 25. Schema esemplificativo di un carburatore

Essa, tuttavia, soffre di un’elevatissima tendenza a combustioni anomale (in particolare al backfire) dovuta al fatto che idrogeno ed aria vengono miscelati già nelle prime parti del sistema di alimentazione. La premiscelazione è alla base anche del basso rendimento volumetrico caratterizzante questi sistemi.

L’elevata tendenza a combustioni anomale (che impone bassi valori del rapporto di equivalenza massimo adottabile) ed i bassi rendimenti volumetrici comportano, dunque, densità di potenza particolarmente basse nei motori che adottano questa tecnica.

6.1.2.

INIEZIONE

INDIRETTA

NEL

COLLETTORE

DI

ASPIRAZIONE

L’iniezione indiretta nel collettore di alimentazione è una tecnologia che va incontro all’esigenza di minimizzare la pressione di iniezione dell’idrogeno, al fine di migliorare lo sfruttamento del serbatoio. Essa è caratterizzata da un migliore miscelamento rispetto sia alla PFI che alla DI.

Questa strategia è, comunque, da ritenere insoddisfacente a causa dei bassi rendimenti volumetrici, degli elevati coefficienti di variazione ciclica della pressione media effettiva e dell’elevata tendenza a combustioni anomale. Il backfire, inoltre, costituisce un problema particolarmente serio perché, nel caso si verifichi, porterebbe alla distruzione di tutto il sistema di alimentazione (nel caso di motori pluricilindrici vengono coinvolti i condotti di

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aspirazione di tutti i cilindri e non solo quello del cilindro in cui è avvenuto l’anomalia di combustione). Anche in questo caso, a causa dei bassi rendimenti volumetrici e della predisposizione ad avere combustioni anomale, si registrano densità di potenza molto basse.

6.1.3. PORT FUEL INJECTION (PFI)

La Port Fuel Injection (PFI) è una tecnica di alimentazione del combustibile nei motori a combustione interna che prevede l’iniezione dello stesso direttamente a monte della valvola di aspirazione (Fig. 26).

Figura 26. Struttura (top) e rappresentazione dell’iniezione di idrogeno (bottom) in un sistema PFI

Questa strategia cerca di mantenere i vantaggi dell’iniezione indiretta e, contemporaneamente, minimizzarne gli svantaggi rispetto all’iniezione diretta. Essa, infatti, gode di:

Figura

Figura 3. Efficienza dei diversi sistemi di stoccaggio a bordo dell'idrogeno [13]
Figura 7. Variazione della durata della combustione in funzione del rapporto di equivalenza per due diversi istanti  di accensione [16]
Figura 8. Temperatura adiabatica di fiamma dell’idrogeno al variare del rapporto di equivalenza  ߶ [15]  ·  Un’elevata temperatura di autoaccensione (858K)
Figura 22. Andamento della pressione al variare dell'angolo di manovella nel prima fase (100°ciclo, fig
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