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Infiammazione locale e sistemica e sue conseguenze LIRS,SIRS,sepsi,MODS e peritonite terziaria 48

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Academic year: 2022

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LIRS, SIRS, sepsi, MODS e peritonite 48 terziaria

MOSHESCHEIN• JOHNMARSHALL

Più esteso è l’intervento – maggiore sarà il trauma chirurgico Maggiore è il trauma – più grave sarà la SIRS

Più grave è la SIRS – peggio starà il paziente

Peggio sta il paziente – più elevate saranno mortalità e morbilità

Infiammazione locale e sistemica e sue conseguenze

MOSHESCHEIN

Nel primo capitolo di questo libro abbiamo fatto riferimento al vostro pazien- te affetto da flogosi locale e sistemica causata da una malattia chirurgica di base, al trattamento da voi instaurato ed alle complicanze determinate da entrambi.In qua- si tutti i capitoli precedenti, vi abbiamo ripetuto che l’entità dell’infiammazione è correlata alla gravità del processo morboso ed all’entità dell’intervento chirurgico.

Vi abbiamo detto inoltre che più è estesa l’infiammazione – che avete più o meno provocato – più è probabile che si venga ad instaurare un’insufficienza d’organo e conseguente exitus. In questo capitolo, ci concentreremo sull’infiammazione – locale e sistemica – e sulle sue conseguenze. Gli eventi biologici coinvolti sono numerosissimi e complessi, ma cerchiamo di mantenere un atteggiamento sempli- cistico – non avete certo comprato questo libro per sentir parlare di citochine!

Background

Solo fino a qualche anno fa, per noi chirurghi, le cose erano molto più sem- plici. Una febbre post-operatoria o post-traumatica, un aumento dei globuli bian- chi, un deterioramento delle funzioni organiche, con o senza shock, avevano un solo significato, “sepsi”. E “sepsi” voleva dire “infezione”, di solito di natura batte- rica, da trattare con antibiotici. Perciò prescrivevamo i farmaci antimicrobici più

“potenti” e di ultimo grido disponibili sul mercato; cercavamo e drenavamo even- tuali raccolte purulente e pregavamo che l’“infezione” diminuisse. Alcuni dei nostri pazienti, però, continuavano a peggiorare, morendo lentamente per insuf- ficienza renale e/o respiratoria. Li seppellivamo, dando la colpa ad una “sepsi intrattabile” che, nel nostro cervello, significava un’infezione localizzata “da qual- che parte” nel sangue, nell’addome, nei reni o nei polmoni. Guardatevi intorno – non è così che ancora ragionano e si comportano molti dei vostri colleghi più anziani, dei vostri guru o maestri?

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Poi, all’inizio degli anni ’80, quando la terapia intensiva ed i reinterventi sono diventati più aggressivi, con conseguente aumento della sopravvivenza, abbiamo notato che molti dei nostri pazienti morivano di morte “settica” anche in assenza di infezione; non ne capivamo il motivo. Verso la seconda metà degli anni ’80, con i rapidi progressi della biologia molecolare, sono stati riportati numerosi dati che hanno dimostrato che le manifestazioni cliniche che ascrive- vamo alla “sepsi” o all’“infezione”, in realtà erano il risultato di una infiamma- zione – a sua volta alimentata da mediatori pro-infiammatori come le citochine.

Questo ha radicalmente modificato il nostro punto di vista sul paziente chirur- gico. Lo consideriamo “infiammato” dalla malattia e dal trauma operatorio, ma anche dalle complicanze post-operatorie e dalle terapie associate.Infatti, la mag- gior parte dei decessi post-operatori è dovuta all’infiammazione o all’infezione o alla combinazione di entrambe. Ma prima di procedere, dobbiamo spiegare la terminologia.

Terminologia

Prendete un coltello e tagliatevi un dito: prima o poi sul dito si manifeste- ranno i normali segni di flogosi – rubor, calor, tumor e dolor, causati localmente dai mediatori dell’infiammazione.Questa è la LIRS (Local Inflammatory Response Syndrome – sindrome da risposta infiammatoria locale).

Ora prendete un paziente con ferite multiple e profonde da arma da taglio dei tessuti molli. Oltre alla flogosi locale, andrà incontro anche ad una infiammazione sistemica, con segni come febbre, tachicardia e aumento dei globuli bianchi.Questa è la SIRS (Systemic Inflammatory Response Syndrome – sindrome da risposta infiam- matoria sistemica).Una SIRS si manifesta quando i mediatori pro-infiammatori della LIRS entrano in circolo, scatenando effetti sistemici. In ambiente chirurgico la SIRS è generalmente una conseguenza della LIRS.

Alcuni esempi comprendono la pancreatite acuta, l’emorragia retroperito- neale e la colecistite acuta. Occorre notare che, almeno all’inizio, la cascata pro- infiammatoria all’origine della SIRS è ben compartimentalizzata localmente, e che la SIRS rappresenta solo la punta dell’iceberg.

La LIRS e la SIRS possono insorgere sterilmente, senza una causa infettiva (trauma, necrosi dei tessuti, ustione), o per una causa infettiva (appendicite acuta).

Le seguenti manifestazioni cliniche sono tuttavia sovrapponibili.

Infezione: è un fenomeno in cui sono coinvolti agenti microbici che prolife- rano in un tessuto normalmente sterile. La risposta locale dell’ospite all’infezione è una LIRS, mentre la risposta sistemica è una SIRS. E qui arriviamo alla defini- zione di sepsi.

Una sepsi è attualmente considerata come la risposta sistemica all’infezione (SIRS) con isolamento di un agente microbico patogeno (sepsi=SIRS±infezione). In altre parole, la SIRS e la sepsi rappresentano un’identica risposta da parte dell’ospi- te, la prima in pazienti con colture microbiologiche negative e la seconda in pre- senza di una infezione documentata. Entrambe si manifestano con una notevole severità clinica e fisiopatologica.

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Si è ora stabilito che è possibile diagnosticare una SIRS nei pazienti in cui sia- no presenti 2 o più dei seguenti criteri: temperatura >38° C (100,4 F), frequenza cardiaca >90 battiti/min, frequenza respiratoria >20 respiri/min, globuli bianchi

>12000/ml. Con una soglia di inclusione così bassa sembrerebbe che la maggior parte dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico addominale in urgenza e tut- ti i pazienti operati e ricoverati in terapia intensiva, vadano incontro ad un certo tipo di SIRS. (In effetti qualcuno sostiene che facendo del buon sesso energico si può scatenare una SIRS clinica).

La noxa patogena, che determina la comparsa dei mediatori pro-infiammato- ri scatenanti la LIRS e la SIRS, produce anche una serie di mediatori anti-infiam- matori che determinano quella che Roger Bone (1943–1996, il “padre” della SIRS) ha denominato CARS (Compensatory Anti-inflammatory Response Syndrome – sin- drome da risposta anti-infiammatoria compensatoria).La CARS si manifesta clini- camente con immunodepressione e con maggiore suscettibilità alle infezioni, tipi- che del periodo post-operatorio di pazienti traumatizzati o sottoposti a un inter- vento di chirurgia maggiore. Concettualmente è l’equilibrio tra SIRS e CARS che determina l’outcome del paziente. Quando la CARS e la SIRS si equivalgono, il risul- tato è una omeostasi. Quando la SIRS non è ostacolata si sviluppa un’insufficienza d’organo. Quando prevale la CARS, dobbiamo fare i conti con una infezione pri- mitiva o secondaria.

Come per molte altre cose importanti della vita, il troppo stroppia e il trop- po poco può non bastare. Probabilmente questo vale anche per le risposte infiam- matorie ed anti-infiammatorie che, in una certa misura, sono benefiche, ma che quando sono fuori controllo risultano dannose. Tuttavia dovete comprendere che questi eventi sono estremamente complessi, caotici, non lineari ed imprevedibili; in alcuni pazienti gravemente traumatizzati la SIRS può non evolvere verso una insuf- ficienza d’organo, mentre in altri sì. La nonna aveva sicuramente ragione: il patri- monio genetico è fondamentale in tutte le cose.

Questa è sicuramente una versione semplicistica della realtà, in gran parte ancora oscura, ma Ralph Waldo Emerson (1803–1882) non diceva forse che: “È pro- va di grande cultura esprimere i concetti più elevati nella maniera più semplice”?

Dalla SIRS alla MODS (Multi Organ Dysfunction Syndrome)

Gli stessi mediatori pro-infiammatori, che localmente hanno un’azione bene- fica, quando prodotti in eccesso e diffusi in maniera sistemica, danneggiano il micro- circolo e di conseguenza risultano nocivi agli organi vitali. I mediatori infiammato- ri rilasciati dai macrofagi circolanti, attivati dal trauma o dalla malattia, determina- no un danno endoteliale diffuso, causando un’aumentata permeabilità dei capillari e l’avvio della cascata coagulativa, apoptosi ed infine insufficienza d’organo (pol- moni, reni, fegato, intestino ecc…). Le citochine (interleuchina-6), non solo favori- scono la coagulazione a livello locale, ma sopprimono anche la fibrinolisi, un mec- canismo compensatorio che favorisce la dissoluzione del coagulo in formazione.

Per questo motivo il vostro paziente con SIRS diventa gonfio ed aumenta di peso, i polmoni si riempiono di liquido, la mucosa gastrica sanguina, gli enzimi epatici

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aumentano, insorge una insufficienza renale e così via. Il paziente si auto-intossica con i propri mediatori infiammatori.Più grave sarà il danno d’organo, più organi saran- no coinvolti maggiore sarà la durata del loro coinvolgimento e meno probabilmente le condizioni del paziente miglioreranno.Quando si verifica l’insufficienza di tre orga- ni la prognosi è infausta; quando si aggiunge un quarto organo il dado è tratto.

Il fenomeno del “secondo colpo”

Immaginatevi un pugile sul ring. Ha appena ricevuto un forte colpo, si rialza in piedi, e a quel punto ne riceve un altro, più leggero del primo ma sufficiente a buttarlo al tappeto – ed è KO.

Allo stesso modo, i pazienti con SIRS sono vulnerabili a un secondo colpo; la loro risposta infiammatoria, messa in moto dal colpo iniziale, può essere facilmen- te aumentata da colpi di entità sicuramente minore. Pensate al vostro paziente come ad un pugile che sta invecchiando. L’urgenza addominale più l’intervento chirurgi- co costituiscono il primo colpo. Da ora in poi ogni ulteriore procedura (o compli- canza) è un possibile secondo colpo che può incrementare significativamente l’en- tità dell’infiammazione.

Trattamento di SIRS e MODS

La ricerca di munizioni magiche per arrestare la cascata della LIRS, SIRS e per modulare la CARS continua; nel frattempo che cosa possiamo fare per questi pazienti?

Per prima cosa dobbiamo adottare una terminologia corretta, distinguendo tra infezione e infiammazione locale, tra SIRS e sepsi sistemica. Dobbiamo render- ci conto che la LIRS e la SIRS non indicano sempre una infezione e che perciò può essere inutile somministrare antibiotici (Capp. 7 e 42).

Secondo, dobbiamo ripristinare e mantenere la perfusione degli organi per prevenire un danno ischemico che contribuirebbe all’instaurarsi dell’infiammazio- ne (Cap. 6).

Terzo, dobbiamo evitare di alimentare il fuoco infiammatorio, rendendoci conto che quello che facciamo e come lo facciamo possono fare la differenza. Un intervento chirurgico prolungato ed una manipolazione poco delicata dei tessuti comportano una maggiore infiammazione ed un incremento della SIRS e della LIRS. Reinterventi inutili e pianificati male, possono costituire un “secondo colpo”

in pazienti già compromessi.

Quarto, occorre intervenire rapidamente sui focolai settici (ad es. un ascesso) e non (tessuto necrotico), causa di LIRS e SIRS.

Quinto, dobbiamo tentare di preservare l’integrità della superficie della mucosa intestinale (attraverso una nutrizione enterale precoce) per prevenire la tra- slocazione dei batteri e delle endotossine, che possono contribuire all’instaurarsi della SIRS, della sepsi e della MODS (Cap. 41).

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Sesto, dobbiamo minimizzare i contributi iatrogeni alla LIRS e alla SIRS. Il paziente non deve essere continuamente danneggiato e crocefisso al letto con l’in- serimento indiscriminato di cateteri, sondini e aghi. Gli emoderivati possono esse- re dannosi e dovrebbero essere perciò utilizzati con giudizio (Cap. 40). Gli anti- biotici sono un’arma a doppio taglio, potrebbero infatti incrementare la SIRS con meccanismi diversi.

È impossibile dimostrare che le misure sopra menzionate siano in grado di diminuire la SIRS e la MODS, ma una gestione globale “corretta” è l’unica strategia che possiamo adottare per prevenire questo “horror autotoxicus”.

Peritonite terziaria

Nel Cap. 12 sono stati esposti i concetti di contaminazione peritoneale e di infezione ed i termini peritonite primaria e peritonite secondaria. Nel Cap. 46 leggiamo: “quando una peritonite persiste nonostante un adeguato controllo delle cause responsabili dell’infezione e ripetuti interventi chirurgici, prendete in consi- derazione una peritonite terziaria” . Di cosa si tratta?

Trattamenti chirurgici e di supporto aggressivi, discussi nel precedente capi- tolo, permettono di salvare, almeno inizialmente, quei pazienti che altrimenti sarebbero deceduti per una peritonite secondaria non controllata. Tuttavia il suc- cesso di tali misure ha dato vita ad un nuovo sottogruppo di pazienti. Prendiamone uno come esempio:

Uomo di 75 anni sottoposto a colectomia subtotale in urgenza con anastomosi ileo- rettale per un carcinoma ostruente del sigma (Cap. 25). Dopo sei giorni è sottoposto ad una re-laparotomia d’urgenza per una peritonite diffusa da deiscenza, documentata, del- l’anastomosi intestinale. Nel corso dell’intervento viene riscontrato in tutto l’addome materiale fecale. È eseguito un accurato lavaggio peritoneale e l’anastomosi è demolita; il retto è affondato (con un intervento di Hartmann) e l’ileo esteriorizzato mediante un’ileo- stomia terminale. L’addome è lasciato aperto come in una “laparostomia” (Cap. 46).

Durante una re-laparotomia programmata da effettuarsi 48 ore dopo vengono evacuate ulteriori raccolte di liquido purulento. Il paziente continua ad essere “settico” e si instau- ra una MODS. Una TC addominale mostra la presenza di liquido libero nella pelvi e nel- le docce parieto-coliche; una paracentesi diagnostica dimostra la presenza di micosi. Alla terapia antibiotica ad ampio spettro, a cui il paziente è già sottoposto, viene aggiunto un agente antimicotico. Le condizioni cliniche continuano a peggiorare; ad una re-laparoto- mia vengono repertati circa 200 cc di fluido peritoneale torbido, in cui vengono isolati S.

epidermidis e Candida. La terapia antibiotica viene modificata. La MODS peggiora, cau- sando il decesso del paziente dopo 5 settimane dall’intervento iniziale. Il conto dell’ospe- dale ammonta a 250000 $.

Conoscete questo tipo di paziente, vero? Probabilmente ce ne è uno che in questo momento si sta spegnendo nella vostra unità di terapia intensiva. Il ter- mine peritonite terziaria fu coniato proprio per descrivere questa situazione che si verifica tardivamente durante il decorso post-operatorio, si manifesta clinica-

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mente come SIRS con MODS e si associa ad una flora microbica peritoneale caratterizzata dalla presenza di funghi e di altri commensali. Questi microrga- nismi, generalmente a bassa virulenza, agiscono da marker della peritonite ter- ziaria e non da causa. La loro presenza riflette anche il grado di immunode- pressione globale del paziente, favorendo la superinfezione dell’addome ri- esplorato da parte di agenti patogeni resistenti agli antibiotici somministrati.

Un’ulteriore somministrazione di antimicrobici ed ulteriori interventi sono, a questo punto, inutili e possono contribuire alla superinfezione peritoneale. Il decorso generalmente fatale della peritonite terziaria, che concettualmente rien- tra nel complesso SIRS-MODS, indica che le risposte, meccaniche ed antibioti- che, alla grave peritonite hanno raggiunto il limite e che il paziente non può più essere salvato.

“La nostra abilità nel creare un certo tipo di terminologia supera la nostra capa- cità di trattare questi pazienti una volta che è insorta una MOF. La soluzione a MOF, MODS e SIRS è la prevenzione ” (Arthur E. Baue)

Abbiamo chiesto a John Marshall di Toronto, ideatore di molti dei termini utilizzati in questo capitolo, di spiegarci come prevenire e trattare la SIRS, la MODS e la peritonite ter- ziaria [i curatori].

Commento su invito

JOHNMARSHALL

Il mondo dei pazienti critici è un mondo strano. La sua genesi nasce con l’e- secuzione di una serie di imprese chirurgiche, inimmaginabili fino a 50 anni fa, e il suo sviluppo riflette l’espressione di processi che non hanno precedenti nella bio- logia evolutiva. Halsted o Kocher avrebbero potuto prevedere una epoca in cui i chirurghi trapiantano il fegato di un cadavere in pazienti cirrotici moribondi e sal- vano pazienti in arresto cardiaco per una ferita d’arma da fuoco al cuore? Le prin- cipali menti chirurgiche dell’epoca parlavano di “shock” poiché ritenevano che i pazienti con ferite morissero per un senso di paura devastante; solo successiva- mente, all’inizio di questo secolo, Alfred Blalock dimostrò che lo shock non origi- na dal cervello, ma è dovuto ad una deplezione di volume dell’apparato cardiocir- colatorio. Egli pose le basi per un concetto coraggioso e senza precedenti: il clinico, correggendo squilibri fisiologici acuti e fornendo un sostegno alle funzioni fisiolo- giche fondamentali, era in grado di prevenire o almeno di procrastinare la morte per una malattia acuta e letale.

Successivamente John Border (1926–1996), un chirurgo traumatologo che ha molto contribuito alla visione attuale della patogenesi delle malattie critiche, si impossessò di questi progressi concettuali, portando come esempio uno dei temi classici del cinema americano. La scena è quella di un campo di battaglia durante una guerra qualunque. Alcuni chirurghi stanno operando disperata-

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mente per salvare la vita di un bel soldato anonimo che è stato ferito. L’urgenza della loro missione è enfatizzata dalle rapide sequenze cinematografiche che mostrano i chirurghi e il pallone per anestesia che si gonfia e si sgonfia mentre il paziente inala l’etere. La situazione diventa disperata. Perle di sudore com- paiono sulla fronte del chirurgo e il movimento del pallone diventa sempre più lento fino a fermarsi. I chirurghi chinano il capo e la cinepresa indietreggia, mostrando l’equipe chirurgica in silenzio contro il cielo cupo della notte immi- nente. E Border commenta: “Non si sono resi conto che sarebbe bastato strizza- re il pallone?”.

Noi abbiamo strizzato il pallone e abbiamo fatto anche di più: l’autore di que- sto capitolo ha magnificamente illustrato le conseguenze di questo gesto che è allo stesso tempo incomprensibilmente complesso e molto semplice. Permettetemi di sottolineare alcuni principi che, dopo tutte queste discussioni, spero ricorderete.

Per prima cosa, i pazienti non muoiono più per la patologia primitiva, ma piuttosto per la loro risposta a tale patologia.Lo shock uccide non per una deplezione del volume intravascolare circolante (che possiamo correggere som- ministrando liquidi endovena), ma per i processi biologici che si attivano durante la riperfusione dei tessuti ischemici. L’infezione uccide non per la pro- liferazione incontrollata di microrganismi (processo che possiamo prevenire con il controllo dei focolai settici e con l’antibioticoterapia sistemica), ma a cau- sa della risposta dell’ospite a tali microrganismi. Questo concetto è stato ben dimostrato in uno studio sperimentale su animali, più di 20 fa, da Michalek et al. (1980). Due ceppi di cavie, uno sensibile all’endotossina e l’altro resistente per una mutazione puntiforme di un singolo gene, sono stati irradiati e succes- sivamente sottoposti a trapianto di midollo osseo, utilizzando come donatori le cavie dell’altro ceppo. La letalità dell’endotossina, un prodotto batterico, è stata trasferita alle cavie del ceppo resistente a cui sono state trapiantate le cellule midollari delle cavie del ceppo sensibile. In altre parole, la letalità dell’endotos- sina non è una proprietà intrinseca della molecola, ma piuttosto una funzione che dipende dalla risposta dell’ospite. Non è raro che un paziente critico e immunodepresso sopravviva ad una infezione letale per poi peggiorare via via che la sua immunità si ripristina, teoricamente diventando così in grado di rispondere all’infezione.

Un corollario importante a questo principio è che gli interventi per tratta- re una infezione non alterano il corso di un processo morboso la cui base fisio- patologica è costituita dalla risposta all’infezione.Detto con parole diverse, il controllo chirurgico delle cause settiche e la terapia antibiotica sistemica, sono misure che servono a ridurre la carica batterica che l’organismo deve poi com- battere. La loro utilità è significativamente dipendente dalla diagnosi che indivi- dua la presenza di un focolaio settico o una proliferazione microbica incontrol- lata e spetta al chirurgo dimostrare la necessità di tale terapia, dato che gli anti- biotici distruggono non solo gli organismi responsabili dell’infezione, ma anche la normale flora batterica dell’ospite. In quest’ultimo caso, viene facilitata la colonizzazione e l’instaurarsi della superinfezione da parte di organismi resi- stenti agli antibiotici, una condizione che, come abbiamo detto prima, è defini- ta peritonite terziaria.

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Allo stesso modo, il danno a cui vanno incontro i pazienti chirurgici critici, non riflette soltanto ciò che è successo precedentemente al loro ricovero in ospe- dale, ma anche l’intervento del chirurgo e dei medici che lo hanno avuto in cura.

La patologia critica concomitante resta una patologia intrinsecamente iatrogena, poiché si manifesta solo in quei pazienti che sarebbero deceduti se la malattia non fosse stata trattata con intervento medico, e la sua evoluzione riflette le involonta- rie conseguenze di interventi volti a rianimare e a sostenere la vita del paziente. La sfida che noi clinici ci troviamo ad affrontare è quella di applicare nuove tecnolo- gie, ma soprattutto di identificare le loro potenziali conseguenze negative e di capi- re quando fare marcia indietro.

Un altro concetto intrinseco alla discussione è che le “sindromi” di malattie critiche non sono entità patologiche ben definite, ma piuttosto manifestazioni di un processo che comprendiamo soltanto in parte. Per esempio, più di 10 anni fa, un gruppo di intensivisti si riunì per cercare di trovare un consenso unanime sulla definizione di sepsi (Bone et al., 1992). Coniarono il termine “sindrome da rispo- sta infiammatoria sistemica” con lo scopo di asserire che la sindrome clinica della sepsi può instaurarsi anche in pazienti senza infezione e per riconoscere che non esisteva una terminologia per definire tale situazione. Tuttavia questo concetto non definisce necessariamente una sindrome, se con sindrome vogliamo indicare un insieme di segni e sintomi causati da distinti processi patologici (Marshall, 1999) e a maggior ragione se i criteri di definizione di tale sindrome sono arbitrari ed alta- mente aspecifici (Vincent, 1997). La SIRS implica una risposta sicuramente impor- tante, ma la sua diagnosi implica che il clinico si metta alla ricerca di una causa alla base di tale risposta (Marshall et al., 2000). Il fatto che esistano altre sindromi defi- nite CARS (Compensatory Anti-inflammatory Response Syndrome) o MARS (Mixed Anti-inflammatory Response Syndrome, sindrome da risposta anti-infiammatoria mista) (Bone, 1996) dà fin troppa importanza alla nostra capacità descrittiva e non è indicativa del nostro effettivo livello di comprensione degli eventi. È “biologica- mente” lapalissiano il fatto che una risposta infiammatoria acuta implichi il rilascio di mediatori pro- e anti-infiammatori (e anche questa distinzione costituisce un artificio dell’intelletto umano che insiste a categorizzare quello che ha intorno), ma oltrepassa abbondantemente le conoscenze attuali che ci consentono di identifica- re sindromi distinte o manifestazioni cliniche da correlare ad una particolare casca- ta di mediatori. SIRS e CARS sono concetti utili, ma totalmente inutili quando dob- biamo stabilire il trattamento di un paziente particolare basandoci sulle manifesta- zioni cliniche o quando dobbiamo progettare un trial clinico.

In conclusione, nonostante l’ammonizione del dott. Schein “...non vorrete sentir parlare di citochine...”, lasciatemi tentare di convincervi che, nonostante la risposta infiammatoria sia complessa (talmente complessa che nessuno la com- prende del tutto), i suoi principi di base non solo sono semplici, ma anche estre- mamente affascinanti. L’infiammazione è mediata innanzitutto dal sistema immu- nitario innato (è un meccanismo di difesa aspecifico, NdT), che si distingue dal siste- ma immunitario adattativo comprendente le cellule T e B. L’immunità innata si è conservata nel corso dell’evoluzione; gli stessi principi che regolano l’immunità

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innata nel Papa regolano anche quella delle mosche della frutta e dei molluschi marini, quindi devono essere semplici. Il sistema immunitario innato si è evoluto per poter riconoscere il pericolo determinato dai microrganismi nell’ambiente e dai tessuti lesi dell’ospite. Le cellule del sistema immunitario naturale – soprattutto neutrofili e macrofagi – riconoscono i pattern molecolari che indicano pericolo, come lipidi complessi e carboidrati che si trovano sulla superficie di cellule batte- riche, ma non eucariotiche; oppure molecole come le HSP (heat shock proteins) o l’RNA che sono normalmente presenti nelle cellule. L’identificazione avviene mediante una famiglia di 10 recettori detti recettori toll-like (toll, in tedesco signi- fica incredibile – fin qui niente di sofisticato) che legano queste sostanze, attivando una serie di cascate di eventi intracellulari che fanno in modo che la cellula espri- ma i geni che codificano i mediatori infiammatori, i più importanti dei quali sono l’interleuchina 1 (IL-1) ed il fattore della necrosi tumorale (TNF). Anche questi mediatori possono attivare le cellule, determinando il rilascio di una serie com- plessa di citochine, prostaglandine e prodotti intermedi reattivi dell’ossigeno e del- l’azoto e l’attivazione della cascata coagulativa.

Ma torniamo al mondo della realtà clinica. Non è necessario comprendere del tutto il processo infiammatorio per capire che dobbiamo ridurre al minimo gli insulti pericolosi per il sistema immunitario innato, drenando un ascesso per dimi- nuire la carica batterica, provvedendo a una rianimazione tempestiva per evitare le conseguenze della ipoperfusione d’organo o prendendo precauzioni per limitare gli effetti negativi di manovre iatrogene, tenendo bassi i volumi respiratori e minimiz- zando la somministrazione inutile di amine vasoattive o di antibiotici.Un suppor- to clinico adeguato ha le proprie radici nel buon senso e in interventi accurata- mente ponderati, non in interpretazioni esoteriche di eventi biologici.

Letture consigliate

Bone RC (1996) Sir Isaac Newton, sepsis, SIRS, and CARS. Crit Care Med 24:1125–1128 Bone RC, Balk RA, Cerra FB et al (1992) Definitions for sepsis and organ failure and guide-

lines for the use of innovative therapies in sepsis. TheACCP/SCCM Consensus Conference Committee. Chest 101:1644–1655

Marshall JC (1999) Rethinking sepsis: from concepts to syndromes to diseases. Sepsis 3:5-10 Marshall JC, Baue AE (2000) SIRS and MODS: what is their relevance to the science and

practice of critical care? Shock 14:586–589

Michalek SM, Moore RN, McGhee JR et al (1980) The primary role of lymphoreticular cel- ls in the mediation of host responses to bacterial endotoxin. J Infect Dis 141:55–63 Vincent JL (1997) Dear SIRS, I’m sorry to say that I don’t like you. Crit Care Med 25:372–374

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