• Non ci sono risultati.

LA RESPONSABILITÀ MEDICA NEI TRATTAMENTI IN EQUIPE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA RESPONSABILITÀ MEDICA NEI TRATTAMENTI IN EQUIPE"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

LA RESPONSABILITÀ MEDICA NEI TRATTAMENTI IN EQUIPE

Giancarlo Bruno*

La cosiddetta responsabilità dei trattamenti praticati in équipe, si realizza quando si verifica un danno al paziente, in conseguenza di un trattamento medico-chirurgico al quale hanno concorso una pluralità di sanitari, medici e loro collaboratori.

Molti casi giudiziari si connotano perché un paziente è sottoposto a prestazioni diagnostiche e terapeutiche in successione, in sedi sanitarie differenti od in reparti diversi in una stessa struttura. In tal modo, quantomeno in ambito civilistico, non infrequentemente vi è un coinvolgimento solidale di tutti i sanitari, non tanto in ragione degli atti a loro singolarmente imputabili, quanto in ragione del loro status.

La giurisprudenza cui fare riferimento per i trattamenti in équipe riguarda prevalentemente i rapporti intercorrenti tra il capo-équipe ed i suoi collaboratori, e le interpretazioni espresse nei giudizi non sono ispirate ad univoci parametri generali, ma sono sostanzialmente condizionate al caso in esame, con la conseguenza che, confrontando le sentenze, spesso le stesse risultano essere tra di loro contraddittorie.

Mentre il Tribunale di Firenze ha ritenuto che al capo-équipe competa l’obbligo di prevedere, e quindi di impedire, il comportamento imprudente, negligente o imperito degli altri partecipanti all’attività medico-chirurgica, la Corte di Cassazione, con sentenza del 05 gennaio 1982 n. 7006, ha ritenuto che l’assistente avesse a sua volta l’obbligo di vigilare sull’operato del capo-équipe: “nel caso di evento colposo

(2)

determinato da negligenza nel corso di un’operazione chirurgica, va ritenuto responsabile sia il chirurgo principale esecutore dell’intervento, sia il suo assistente poiché quest’ultimo nella sua qualità di collaboratore e potenziale continuatore dell’operazione, ha il compito di vigilare nella sua intera esecuzione”.

In un altro caso la Corte di Appello di Bari (26 gennaio 1981) ha assolto il capo-équipe, che si era allontanato al momento della sutura della cute, ed ha condannato per omicidio colposo i due medici che hanno ultimato l’intervento, lasciando in addome una garza, causa della morte del paziente. Questa sentenza è stata criticata da Iadecola, per il fatto che la Corte non si è curata di accertare se fosse legittimo l’allontanamento del chirurgo direttore dell’intervento prima della chiusura della cute, o se piuttosto non gravasse su di lui, in relazione alle circostanze del caso concreto, uno specifico dovere di diligenza, in forza del quale avrebbe dovuto attendere sino al termine per controllare l’operato altrui.

Il Pretore di Genova con sentenza del 13 novembre 1991 ha ritenuto, nel caso della morte di un bambino verificatasi nel corso di un intervento di appendicectomia, che sussistesse la responsabilità colposa: dell’anestesista per aver omesso di intubare il paziente nella fase preparatoria dell’intervento e di applicare il monitoraggio elettrocardiografico, del primario anestesista (intervenuto successivamente) per aver fatto interrompere anzitempo il massaggio cardiaco “con una decisione frettolosa ed inconsulta quando i segni del decesso era ancora dubbi”, dei tre chirurghi “per aver omesso, constatatane la affrettata ed inconsulta desistenza, di sostituirsi ai due anestesisti non potendo ignorare, alla stregua del necessario corredo professionale di ogni medico anche generico, che la pratica rianimatoria del massaggio cardiaco avrebbe

(3)

dovuto essere protratta per un tempo non inferiore alla mezz’ora ed essere accompagnata da idonea terapia farmacologica cardiostimolante”. È un caso questo che, pur nella limitata conoscenza dei fatti, lascia estremamente perplessi nel merito, apparendo motivato e dotato di rilievo causale convincente solo l’addebito di colpa per la mancata intubazione del paziente da parte dell’anestesista.

Come si ha modo di constatare, la giurisprudenza, formulando interpretazioni estremamente variegate, senza aver elaborato un generale approfondimento teorico del problema, induce inevitabilmente a ritenere sempre più rispondente al vero l’espressione di “roulette giurisprudenziale”.

La dottrina invece ha espresso in materia tre posizioni:

1. secondo la tesi avanzata dal Cattaneo, dovrebbe essere affermata una sorta di “responsabilità di gruppo”, in considerazione del fatto che non infrequentemente sussiste una difficoltà obiettiva di accertare quale dei componenti dell’équipe abbia commesso l’errore: questa impostazione porta alla conclusione che viene ad essere sempre garantito l’indennizzo dei danni colposamente causati al paziente.

Tale tesi non pare condivisibile per il rischio di una deresponsabilizzazione dei medici, nella misura in cui essi non vengono più chiamati a rispondere personalmente delle proprie colpe, ed inoltre viene a porsi in contrasto con il principio della personale responsabilità penale;

2. un altro orientamento, espresso dal Crespi, si basa sul concetto del “non affidamento”, in quanto al capo-équipe compete il dovere di controllare

(4)

l’attività degli aiuti ed assistenti o del personale parasanitario, principio che ammetterebbe una sola deroga in quei particolari casi in cui il responsabile del gruppo avesse fondati e ragionevoli motivi per fare totalmente affidamento sull’attività del collaboratore autore dell’errore;

3. un terzo indirizzo (Mariucci-Marrabini) si basa sul presupposto che non può essere condiviso il principio del “non affidamento”, poiché esso contiene implicitamente, da parte del medico che dirige il gruppo, una sistematica sfiducia nell’abilità e nella capacità degli altri partecipanti all’attività.

Invece deve essere riconosciuto il principio dell’”affidamento”, che meglio consente di definire le sfere di responsabilità dei singoli partecipanti al processo diagnostico-terapeutico, da circoscriversi nell’ambito dello specifico settore e garantito dalle prestazioni di ciascuno. In forza di esso, ogni medico risponde solo del corretto adempimento dei doveri di diligenza e di perizia inerenti ai compiti che gli sono affidati, senza essere gravato dal pesante obbligo di sorvegliare continuamente il comportamento altrui, con la conseguenza positiva che in questo modo ogni membro del gruppo è lasciato libero, nell’interesse del paziente, di adempiere in modo qualificato e responsabile alle proprie mansioni.

La dottrina completa il proprio pensiero osservando che un obbligo di controllo e di vigilanza può insorgere o nel caso in cui vi siano concrete circostanze che lascino presupporre comportamenti altrui non conformi a perizia e diligenza, oppure in relazione ai compiti specifici spettanti a ciascun membro del gruppo tra i quali, particolarmente per il soggetto con posizione gerarchica superiore, potrebbero esservi proprio il compito di sorveglianza e di controllo dell’operato altrui.

(5)

La più convincente è quest’ultima tesi, basata sul principio dell’affidamento, poiché permette una più soddisfacente soluzione al delicato problema in esame, suggerendo dei criteri interpretativi così sintetizzabili:

a) nell’attività di lavoro in équipe la regola ordinaria è che ciascuno risponde soltanto della inosservanza della leges artis del proprio specifico settore, poiché il lavoro in questione implica la fiducia nel corretto comportamento degli altri;

b) insorge un obbligo di controllo e di sorveglianza, e quindi di intervento, solo quando il collegamento funzionale ed ambientale che di norma contrassegna l’attività in équipe consenta al soggetto partecipante di constatare concrete circostanze che concretizzino contegni scorretti ed inadeguati. Valgano come esempi la percezione di atteggiamenti distratti o incerti o di non perfette condizioni fisiche di un soggetto dell’équipe, oppure quando un membro dell’équipe vada oltre il compito esplicitamente od implicitamente assegnatogli o metta in atto comportamenti impropri o anomali. Un obbligo di tal genere riguarda tutti i membri dell’équipe e, nel caso di un gruppo gerarchicamente organizzato, esso si estrinsecherà nel segnalare al capo équipe quanto eventualmente riscontrato;

c) un obbligo di controllo e di sorveglianza compete al soggetto che, per la sua particolare posizione giuridica di prevalenza gerarchica, è chiamato proprio a dirigere e coordinare le prestazioni dei collaboratori.

In sede civile si assiste spesso ad una selezione dei medici citati in giudizio, spesso unitamente all’ente pubblico o privato a cui appartengono, per cui la composizione dell’équipe viene non di rado differenziata nella richiesta del risarcimento.

(6)

Talvolta la parte lesa porta in giudizio soltanto l’ente, o perché non desidera coinvolgere il medico curante, oppure in considerazione dei vantaggi che possono derivare dall’avere come avversario un solo convenuto impersonale. Uno di questi vantaggi pratici può essere quello di una maggior libertà interpretativa dei consulenti medico-legali d’ufficio, nel senso di ridurre le probabilità di un loro condizionamento corporativo e quindi aprire la strada ad una loro maggiore disponibilità ad accogliere tesi colpevoliste.

CONSENSO

Nell’attuale attività in équipe, a ciascuno dei sanitari preposti all’esecuzione di atti diagnostico–terapeutici di un certo impegno, quali esami strumentali invasivi, endoscopie, compete l’obbligo di acquisire direttamente dal paziente il consenso.

Il Consiglio Superiore di Sanità, il 17 aprile 1996 ha espresso un parere sul consenso informato che nei ricoveri ospedalieri, per quanto riguarda la cura del paziente, é affidato ad una équipe di medici per cui :

“il paziente acconsente al trattamento ben sapendo che diverse possono essere le persone che lo seguiranno, sicché il consenso prestato ad un sanitario per un certo trattamento vale implicitamente anche nei riguardi degli altri medici che fanno parte del reparto in cui il paziente è ricoverato”.

In questo modo viene affermato il principio della non individualità o dell’impersonalità delle cure fornite in ospedale.

Questo principio, che è basato sul concetto di équipe, indubbiamente può trovare difficile recepimento da parte dei pazienti, particolarmente nel

(7)

caso di un intervento chirurgico al quale può partecipare anche un medico specializzando.

Si tratta di situazioni che indubbiamente possono comportare conseguenze penali o civili di non facile ed univoca interpretazione. Infatti occorre ricordare che i medici possono assumere compiti diversi dalle loro qualifiche gerarchiche, come ad esempio si verifica nel caso in cui il primo operatore ritenga di permettere al sotto-ordinato di concretizzare una migliore esperienza chirurgica, in modo tale da fare acquisire al secondo operatore, che può anche essere uno specializzando, una progressiva autonomizzazione nella gestione del campo operatorio.

LA RESPONSABILITÀ PER L’ATTIVITÀ DI CONSULENZA Assai frequente è l’interconnessione tra l’intervento di sanitari appartenenti a divisioni ospedaliere diverse oppure a specialità eterogenee.

In questi casi la giurisprudenza ha avuto modo di formare una casistica tanto ricca quanto dogmaticamente confusa e, a volte, anche contraddittoria.

La Corte di Cassazione nel 1959 ebbe ad affermare che in assenza del rapporto di subordinazione, che esiste fra i sanitari di un medesimo reparto ospedaliero, il consulto tra un medico avente qualifica di Primario appartenente ad una divisione diversa da quella del medico avente qualifica di Assistente, non vale ad escludere né la responsabilità penale del primo per aver dato un semplice parere od un consiglio, né la responsabilità del secondo per aver ottemperato, a ragione dell’autorità e della maggior esperienza, alle indicazioni di chi ha fornito il consulto.

Per contro la Suprema Corte nel 1983 ha ritenuto che il medico di guardia sia penalmente responsabile quando non adotti le misure di urgenza

(8)

necessarie o non avverta o non richieda l’intervento di tutti gli specialisti sia interni che esterni competenti per la diagnosi, la terapie e/o l’intervento sul malato.

Il punto essenziale della motivazione sancisce che “qualora il medico di guardia – generico o specialista in un campo del tutto diverso da quello che concerne le lesioni e la malattia del malato in Pronto Soccorso – avverta immediatamente e si accerti che l’ammalato venga visitato, dal Primario o dal direttore del reparto e dagli specialisti interessati, la sua responsabilità viene meno, se non sussistono altri addebiti accertati di negligenza, imprudenza ed imperizia od altro rapporto di causalità con l’evento”.

Non può sfuggire la netta discrepanza di tale posizione con quanto affermato dalla Cassazione nel 1959, in presenza di un rapporto di fatto di subordinazione tra due sanitari, in ragione della maggiore autorità, anzianità ed esperienza dell’uno rispetto all’altro, e cioè che l’ottemperanza dell’assistente alle indicazioni del superiore non valesse ad escludere la penale responsabilità del primo rispetto alle indicazioni del secondo.

Il Pretore di Caltanissetta, con sentenza del 17 ottobre 1995, ha affrontato il problema dei rapporti tra cosiddetta “consulenza medica” e

“attività sanitaria prestata in équipe”. L’interpretazione fornita è che non sono applicabili all’istituto della consulenza i principi giurisprudenziali elaborati in materia di attività medica prestata in équipe, perché la responsabilità di valutazione e decisione rimane unicamente a carico del medico che ha richiesto il consulto, per lo meno fino a quando gli accertamenti diagnostici da lui disposti, ed in cui si inserisce il coinvolgimento di personale medico di altre specialità, non determinino una modifica nell’assegnazione del malato per la necessità di ricorrere a

(9)

diverse specializzazioni professionali. Il permanere del potere di intervento unicamente in capo al sanitario curante, esclude l’addebitalità dell’esito infausto al consulente se la prestazione da costui fornita non abbia determinato, per la propria intrinseca inadeguatezza, un aumento del pericolo di lesione per il bene salute, concorrendo a fondare una errata ipotesi diagnostica e terapeutica.

NUOVI PROFILI DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE Un nuovo problema attinente alla responsabilità professionale, e che potrebbe anche interessare l’attività di équipe, è quello evidenziato dal De Ferrari in riferimento all’introduzione del sistema dei DRG per il rimborso delle prestazioni sanitarie effettuate nell’ambito dell’attività ospedaliera.

In passato il medico di diagnosi e cura non aveva alcun limite, al fine di giungere ad una puntualizzazione diagnostica la più corretta e precisa possibile, nel prescrivere tutta una serie di indagini e di accertamenti, e ciò indipendentemente dal loro costo economico. Con l’applicazione dei DRG, questa indiscriminata modalità di approccio diagnostico entro certi limiti può venire ad essere ridotta, in quanto per ciascuna patologia dovrebbero essere effettuate solo quelle indagini ritenute necessarie, avendo come riferimento l’importo previsto per il rimborso.

Poiché i DRG sono stati introdotti prima di una approfondita valutazione e di una chiara definizione delle linee guida che il medico deve seguire, appare di tutta evidenza come nel caso in cui il sanitario limitasse il numero ed il tipo degli esami, nell’ottica di un equilibrio tra tutela della salute ed ottimizzazione delle risorse che è nello spirito dei DRG, potrebbe creare i presupposti per un futuro addebito di malpratica.

(10)

Infatti solo delle precise linee guida individuate dalle Società Scientifiche delle singole specialità possono costituire il punto di riferimento per il comportamento del medico, a cui ci si potrebbe rapportare non solo nella valutazione dei costi, ma particolarmente nella valutazione medico-legale del comportamento sanitario nel caso in cui si verifichi un evento sfavorevole per la salute del paziente.

SITUAZIONE ASSICURATIVA ITALIANA

In base ai dati presentati dal Dr. Paolo Daneo (Direttore Generale e Legale Rappresentante Italiano della ERC-Francona) in un recente Convegno tenutosi a Rimini nell’ottobre dello scorso anno, risulta che il volume del mercato assicurativo rapportato al numero dei medici operanti sul territorio corrisponde per ogni medico a:

- L. 14.389.000= negli Stati Uniti;

- L. 3.563.000= in Inghilterra;

- L. 3.147.000= in Francia;

- L. 2.297.000= in Germania;

- L. 713.000= in Italia.

Le cause di questa anomala situazione italiana sono molteplici, tra cui le principali:

- per quanto riguarda i medici, la non maturata conoscenza del rischio reale, e la non obbligatorietà di una copertura assicurativa;

- per quanto riguarda le Aziende Ospedaliere e le Case di Cura private, la scarsa attenzione a garantirsi con una adeguata copertura assicurativa, stipulando polizze talora incomplete e con massimali non sufficientemente elevati;

(11)

- per quanto riguarda le Imprese d’Assicurazione, una assurda competitività basata su premi assolutamente non adeguati al reale rischio.

Un primo problema, su cui è opportuno richiamare l’attenzione, è quello che la normale polizza stipulata dal medico per la responsabilità professionale riguarda esclusivamente i rischi connessi all’attività di diagnosi e cura, e non comprende quindi le attività di carattere organizzativo e direttivo che sono o possono essere attribuite al sanitario nel contesto della sua attività ospedaliera.

Fermo restando il fatto che questo tipo di rischio normalmente è compreso nella polizza dell’Azienda Ospedaliera, è auspicabile che il medico prenda in considerazione l’opportunità di avere anche una copertura personale, poiché non infrequentemente i massimali garantiti nella polizza della struttura pubblica sono insufficienti, oppure le garanzie non coprono tutte le eventualità. Pertanto, il medico che intende cautelarsi per questo rischio dovrà precisare all’assicuratore che nella sua polizza di responsabilità professionale vuole che sia compresa anche la garanzia che riguarda la specifica attività di primario o di dirigente di un servizio, indicando l’Azienda Ospedaliera in cui viene svolta. Al fine di ridurre l’importo del premio da pagare, il medico può richiedere la clausola che la sua polizza sia di secondo rischio, per cui essa diventa operativa solo nel caso di esaurimento del capitale della polizza dell’Azienda Ospedaliera.

Il medico ospedaliero può essere ritenuto responsabile non solo per dolo o colpa grave ma, analogamente al libero professionista, anche per colpa lieve se si tratta di un caso ordinario, mentre il limite della colpa grave sarà discriminante solo ed unicamente a fronte dei casi che comportano la soluzione di un particolare problema tecnico di speciale

(12)

difficoltà. Su questo punto è però da evidenziare come, a fronte dei progressi fatti dalla tecnica, e delle sempre più approfondite conoscenze mediche, la possibilità di invocare delle attenuanti alla colpa grave sia sempre più difficile, e quindi sia ridotta a pochissimi casi.

Un problema che solo recentemente è stato posto all’attenzione del medico ospedaliero, è quello di una possibile azione di rivalsa nei suoi confronti da parte dell’Ente Pubblico, quando questi ha dovuto risarcire in proprio i danni conseguenti ad un colpevole errore sanitario, situazione che però può verificarsi solo nel caso di inoperatività o di insufficiente copertura dell’assicurazione ospedaliera.

Questo problema non sussiste solo nel caso in cui l’Azienda Ospedaliera abbia stipulato un contratto assicurativo comprendente la copertura dei sanitari anche in caso di colpa grave, con rinuncia a qualsiasi rivalsa verso il medico e con massimali sufficientemente elevati.

Mentre è certo che in forza di una regola generale i dipendenti dello Stato rispondono dei danni da loro cagionati all’Ente di appartenenza, vi è qualche dubbio interpretativo sull’aggettivazione della colpa da prendere in considerazione, ancorché la tendenza prevalente sia quella che l’azione di rivalsa da parte dell’Ente nei confronti del medico sia proponibile solo nei casi di dolo o colpa grave.

Un argomento non ancora emerso, ma di prossima evidenza, è quello che riguarda l’attività libero-professionale intramuraria, la quale è assimilabile al rapporto di lavoro dipendente, ma solo per quanto riguarda la parte fiscale.

Di conseguenza, ai fini della responsabilità sanitaria del medico nel corso dell’attività libero professionale intramuraria, poiché la posizione dell’Azienda Ospedaliera non è molto diversa da quella di una Casa di

(13)

Cura privata, la polizza stipulata dalla struttura pubblica non viene a coprire i danni riconducibili ad esclusiva responsabilità del medico, salvo una esplicita diversa pattuizione, o l’inserimento di una clausola di solidarietà nel contratto assicurativo stipulato dalla struttura pubblica.

Riferimenti

Documenti correlati

perche’ le due forze sono lungo la stessa direzione ossia hanno braccio nullo la coppia di forze di azione e reazione ha risultante nulla. anche se hanno

Sapendo che la ruota rotola senza strisciare calcolare il valore minimo di v 0 affinch` e esse riesca a salire sul

In the first phase the analysis of scientific literature, international case studies and sustainability assessment framework led to identi fication of 4 criteria, 19 indicators and

Per fortuna l’informatore decide di aiutare ancora l’ispettore fornendogli indizi proprio attraverso il computer. Il numero

Finalmente arrivano informazioni sul complice della Signora Violet, l’abilissima ladra arrestata da Numerik.. Gli indizi sono contenuti in una busta chiusa: l’ispettore Numerik la

Da un diverso angolo di visuale, l'imputabilità può essere anche definita come una proprietà dell'atto posto: e, più precisamente, come la proprietà per la quale esso

ri può essere intrapresa soltanto se esistono le seguenti condizioni: a) sia stato ottenuto il consenso informato dei genitori o dell’altro genitore in mancanza di uno di essi o

Cominciò così un’esperienza di innovazione profonda nelle prassi delle relazioni industriali che durò cinque anni scanditi da assidue sessioni della Commissione (ci si vedeva a