• Non ci sono risultati.

Il Wellness come stile di vita

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il Wellness come stile di vita"

Copied!
47
0
0

Testo completo

(1)

Il Wellness come stile di vita

Diego Durante (15)

Con il termine wellness, si intende uno stile di vita orientato al benessere psico-fisico della persona, la quale sperimenta dei benefici che si riflettono sulla propria quotidianità. Infatti uno dei principali vantaggi che si ottiene con uno stile di vita wellness è quello di sentirsi pieno di energie superando momenti di stanchezza e stress. Questo porta ad una migliore concentrazione, efficienza nel lavoro, vitalità e miglioramento dell’umore. Ma come si raggiunge questo benessere?

Le quattro componenti fondamentali del wellness sono: l’esercizio e l’attività fisica; l’alimentazione e la relazione. Vediamole nel dettaglio seguendo una scaletta che suggerisce il sito Technogym.

Attività fisica. Nel “World Health Report 2002”, la relazione sullo stato di salute della popolazione del pianeta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ribadisce e sottolinea i rischi legati ad una vita sedentaria che è il primo fattore di rischio per l’insorgere di malattie cardiovascolari, patologie croniche, etc… “Move for Health” è proprio lo slogan che l’OMS ha scelto per promuovere la pratica di un’attività fisica moderata ma costante come farmaco naturale in grado di assicurare salute e longevità. Anche i nutrizionisti, nelle loro linee guida, non mancano di dare grande risalto all’incidenza di uno stile di vita attivo sulla salute generale degli individui.

Alimentazione. Non esiste wellness se l’attività fisica non è connessa ad un regime alimentare

(2)

sano, equilibrato e completo. Per essere in piena salute il nostro organismo necessita di un apporto bilanciato di carboidrati, proteine, lipidi, vitamine, sali minerali e acqua. Conoscerne la qualità e la quantità nei cibi che assumiamo, più del numero delle calorie, è essenziale per sapere con che frequenza e in che modo consumare gli alimenti per nutrirci in modo sano.

Abitudini. Poche ore di attività fisica o di esercizio a settimana non possono fare miracoli se si continuano a seguire abitudini di vita non salutari come fumare, bere alcolici e dormire poco. In particolare, è da sottolineare la sempre maggiore importanza che viene attribuita al tempo dedicato al sonno e alla sua qualità. Attività fisica ed esercizio sono di grande aiuto nel modificare le abitudini negative, consentendo una più rapida percezione dei benefici che derivano dalla loro correzione.

D’altro canto, l’acquisizione di abitudini salutari incrementa la sensazione di efficienza nella vita di ogni giorno e predispone all’attività fisica e all’esercizio.

Relazioni con gli altri. La piena realizzazione della dimensione affettiva ed emozionale è chiaramente un aspetto basilare e determinante verso la conquista del Wellness. Sentirsi bene con se stessi è il primo passo per vivere in serenità ed equilibrio i rapporti con gli altri. Instaurare e mantenere delle relazioni autentiche come l’amicizia e l’amore non può che sprigionare in noi energie positive che risultano decisive per farci vivere soddisfatti e felici.

Non servono dunque grossi sforzi per sentirsi in forma. Bastano pochi semplici regole. D’altronde come diceva un vecchio detto: ”una mela al giorno toglie il medico di torno”.

Comunicare UP

Diego Durante (15)

(3)

La possibilità di comunicare con l’ambiente circostante è connessa con lo sviluppo ed il benessere fisico ed emotivo di ogni persona. Questa premessa scontata ma comunque necessaria, richiama l’esigenza di porre particolare attenzione alla promozione di competenze comunicative nell’ambito di interventi educativi e riabilitativi rivolti a persone diversamente abili. Da ormai tanto tempo il tema è molto dibattuto: si pensi alle crociate sulle barriere architettoniche; su come l’integrazione sociale risulti a volte compromessa in alcuni settori della vita quotidiana; oppure all’annoso dibattito del termine da selezionare tra “disabile”, “handicappato”, “portatore di handicap” o “diversamente abile” in base agli interlocutori con cui ci troviamo a parlare. Ma non è questa la sede adatta per intavolare temi delicati che potrebbero scatenare polemiche. Piuttosto ci vogliamo concentrare sul concetto di comunicazione e integrazione nella società della persona con abilità diverse.

Anche i mass media hanno dedicato ultimamente in televisione una puntata del programma Hotel 6 Stelle, la docu-fiction prodotta da Rai3 e Magnolia in collaborazione con l’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) e con il patrocinio del Segretariato Sociale Rai. Un appuntamento in cui sei ragazzi con disabilità hanno vissuto un’esperienza di lavoro, crescita personale ed autonomia, mettendosi alla prova, comunicando con gli altri e realizzando un proprio particolare progetto di vita.

Il dott. Donato Salfi, 59 anni, dirigente della Unità Operativa del Servizio d’Integrazione Sociale e Lavorativa della A.S.L. di Taranto, è stato uno dei primi psicologi sul territorio pugliese a promuovere l’integrazione e la comunicazione per il mondo della disabilità. Oltre il suo lavoro presso la ASL, nel 1983 – assieme ad un team di professionisti – fonda I.S.A.C. PRO, associazione no profit di promozione sociale con lo specifico intento di diffondere la cultura della prosocialità nella convinzione che “ciascuna persona possa esprimere la propria individualità nelle interazioni con l’altro o con il gruppo, traendo la propria autorealizzazione dall’essere consapevolmente per l’altro”.

Lo abbiamo incontrato per capire meglio come si sviluppa questo progetto e quali sono le altre attività messe in piedi per diffondere una cultura della comunicazione nella disabilità.

Dott. Salfi, nella sua carriera professionale, si occupa di promuovere l’integrazione e la comunicazione nella società delle persone con disabilità attraverso seminari, corsi di formazione, attività teatrali, consulenze su software educativi. Da dove nasce questo interesse?

Avevo solo 12 anni quando nel 1968 ho visto il film di Stanley Kubrick ‘2001 Odissea nello spazio’ . Nel resto del mondo si andava preparando la più grande impennata della storia della comunicazione dentro la quale ancora oggi viviamo: dalle origini della storia dell’ uomo, proprio come ce l’ ha raccontata Kubrick, sino a quel momento, gli sviluppi della comunicazione e i cambiamenti da essa impressi nella storia dell’ umanità erano venuti avanti ad un ritmo esasperatamente lento: quanti secoli furono necessari per passare dal rotolo al libro? Da quel momento in poi, invece, la comunicazione è cresciuta (e continua a crescere) a un ritmo travolgente (vedi Salfi, Minelli e De Stefano, 2008, Dal graffito al satellite, ISACPro). Nonostante la mia giovane età, la visione delle prime scene del film che tutti conosciamo furono l’ occasione per me per capire che la comunicazione viene prima della parola, si realizza anche senza la parola, essa va oltre la parola e

(4)

raggiunge lo scambio interpersonale nonostante la parola.

Ci sono bambini le cui caratteristiche rendono molto improbabile l’apprendimento del linguaggio verbale. Molti bambini autistici, ad esempio, hanno scarsa probabilità di imparare ad usare le parole per comunicare con gli altri e così i bambini con lesioni cerebrali gravi. In tutti questi casi, indipendentemente dai motivi che danno origine alle difficoltà comunicative che, pure, possono essere diversi tra loro, si può ritenere che il linguaggio verbale sia troppo difficile per questi bambini.

Stanley Kubrick aveva evidenziato che, dal graffito al satellite, la storia della comunicazione umana aveva fatto passi da gigante, ma per me le scene di quegli ominidi che, per la prima volta, utilizzano con una funzione comunicativa gli stessi oggetti che hanno sempre avuto davanti, ebbero l’effetto di farmi capire che la comunicazione è un bisogno profondo, strutturale, connaturato all’ uomo e che nessuna patologia, nessuna minorazione, nessuna condizione di salute può sopprimere in nessun essere umano. Cosicché non ho saputo resistere alla spinta a ricercare tutte le soluzioni praticabili per ripristinare o generare nella persona con disabilità e, in particolare nelle persone con ritardo mentale o disturbi della relazione, la funzione comunicativa.

L’integrazione sociale e la comunicazione della persona con disabilità è un tema molto dibattuto. Quale è stata e quale è ad oggi la risposta dell’ I.S.A.C. PRO che la differenziano delle altre associazioni no profit?

In realtà oggi abbiamo chiaro davanti a noi che le strade sono due e sono alternative e incompatibili tra loro: l’assistenzialismo custodialistico da una parte e lo sviluppo della vita indipendente della persona con disabilità nella Comunità dall’ altra.

Chi va per la prima strada parte dal presupposto – del tutto fallace, a mio modo di vedere! -che la persona con disabilità è (stabilmente e irreversibilmente) disabile nel suo complesso. Questo punto di vista ha generato quelli che io chiamerei ‘manicomi diffusi’. Basaglia aveva aperto i manicomi, (in questi mesi questa parabola si conclude con l’ apertura degli OPG-Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e l’ intento era quello di integrare nella società le persone che vi erano recluse. Eppure, la nostra organizzazione sociale è stata capace di tradire questo obiettivo inserendo le persone con disabilità in strutture dedicate che vanificano ogni ambizione di integrazione sociale.

ISACPro ha dato vita a Mediterraneo che è un Centro di Apprendimento della Vita Indipendente nella Comunità. I ricercatori di Mediterraneo si sono convinti che lo scarto, il debole, il fragile è il vero catalizzatore dei processi di attivazione di una Comunità, di un paese o di una città, nella quale ciascuno di noi vorrebbe vivere: infatti appare evidente che oggi tutti avvertiamo il bisogno di legami veri, di una Comunità alla quale appartenere e –contemporaneamente – soffriamo per la disgregazione della Comunità, causata da un esasperato individualismo, alimentato dall’

accelerazione competitiva che finisce col lasciare dietro di sè molte ‘vite scartate’. La piazza dell’

ipermercato è diventata il luogo di incontro di una massa crescente di persone e gli acquisti costituiscono gli elementi intorno ai quali costruire la propria identità, ma poi siamo angosciati dalla perdita di senso della vita, la Comunità è divenuta progressivamente più evanescente e le nostre relazioni sono sempre più ‘liquide’ (Bauman, 2003). Le relazioni interpersonali, tuttavia, quando

(5)

sono rinnovate dalla dimensione della fraternità, promettono di diventare il terreno di coltura dentro cui sviluppare la risposta alla domanda di senso che oggi ci poniamo. Le relazioni, dunque, possono costituire quelle scintille che, finalmente, accendono una nuova luce sulle questioni della socialità.

Queste relazioni promettono di decondizionarci dal determinismo fatalista (Magatti, 2008), aprono la speranza alle nostre città e alle Comunità che in esse vivono, perché ‘la città non sia più il luogo della paura, ma della fiducia’ (Bauman, 2005).

Il progetto “Mediterraneo” nasce dall’iniziativa di alcuni giovani professionisti che ha dato vita ad un modello di intervento che promuove l’autonomia personale, abitativa e sociale di giovani adulti con Ritardo Mentale, coniugando il rigore dell’ approccio cognitivo – comportamentale con il paradigma della prosocialità.

La persona con disabilità riceve interventi riabilitativi e integranti dai servizi scolastici e socio–sanitari sino alla maggiore età, ma vengono lasciati insoddisfatti i bisogni di indipendenza del giovane adulto. Nella migliore delle ipotesi la soluzione è una misura assistenziale che agisce egregiamente sul qui e ora perpetuando, tuttavia, la condizione di dipendenza dagli altri.

Il progetto Mediterraneo persegue lo scopo ambizioso, ma speriamo alla nostra portata, di modificare la considerazione della persona con disabilità, in un’ottica di empowerment, non più solo come mero fruitore di servizi, ma anche partecipante attivo della Comunità.

L’Assemblea delle Nazioni Unite, nel dicembre del 2006, ha approvato la Convenzione sui diritti delle persone disabili, ovvero “coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”. La Convenzione è stata formulata con lo scopo di “promuovere, proteggere e garantire il pieno e uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone disabili e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”. In questa prospettiva, quindi, le persone con disabilità devono conoscere quali siano i loro diritti e devono essere in condizione di esercitarli.

Il bisogno di vivere in autonomia è una necessità che appartiene ad ogni giovane adulto, il graduale svincolo dalla famiglia d’origine è un passo decisivo e fondamentale per la propria autodeterminazione. Questa esigenza è del tutto naturale e accettabile quando si parla di un giovane adulto, tanto che oggi ci meravigliamo del fenomeno contrario della cosiddetta posticipazione o adultescenza. Lo stesso diritto alla vita autonoma e indipendente deve essere garantito anche al giovane adulto con disabilità, eppure accettare questo e sostenerlo appare oggi ancora molto complicato. L’ ultimo rapporto dell’ Istat su “La Disabilità in Italia” (Solipaca, 2010) fa emergere infatti un forte bisogno di integrazione del disabile nel contesto della propria Comunità in relazione al suo bisogno di autodeterminazione ed indipendenza. Purtroppo è un atteggiamento ancora troppo diffuso quello di guardare la persona con disabilità come un essere sofferente, come il malato da curare o il debole da proteggere, come l’ eterno bambino in un corpo da adulto. Questa concezione ha trovato la sua declinazione nell’ investimento sui Centri Diurni quale unica prospettiva per quella fascia di popolazione con ritardo mentale over 18, ormai fuori dalla scuola dell’obbligo e dai circuiti abilitativi e riabilitativi. I Centri Diurni, così come sono stati concepiti dalla normativa nazionale e regionale dovrebbero favorire il processo di crescita e d’integrazione sociale delle persone disabili, ma in realtà, questi servizi non riescono ad andare oltre il mero assistenzialismo e custodialismo: l’

obiettivo rimane circoscritto alla ricerca del benessere dell’ utente ‘hic et nunc’, solo all’ interno

(6)

della struttura in cui l’ intervento viene realizzato. La vita reale: l’ autodeterminazione, la vita di relazione, la socialità, il lavoro non vengono affatto influenzati da quanto la persona fa all’ interno della struttura.

Spostare l’ attenzione dai bisogni ai diritti della persona sta determinando una eterogenesi dei fini stessi delle strutture e delle organizzazioni di modo che non siano più orientate a garantire il benessere della persona con ritardo mentale dentro lo spazio e durante il tempo della struttura, ma che siano capaci di implementare processi di sviluppo delle competenze necessarie per provvedere alla cura di sè, per vivere in un’ abitazione, per partecipare alla vita della Comunità e per lavorare.

Focalizzare i diritti della persona con ritardo mentale trascina con sé l’ affermazione dei doveri di cittadinanza che mirano a rendere il disabile non più solo fruitore di servizi, ma anche partecipante attivo nella costruzione dei legami della Comunità. Si esce dai canoni del “qui ed ora” per entrare in quelli maggiormente rispettosi della persona che vengono definiti “illuc et postquam”, ovvero un percorso che ha la consapevolezza di fare qui ed ora un intervento il cui obiettivo è situato ‘fuori di qui’ e ‘dopo di adesso’ ovvero: al di fuori dalla struttura in cui viene erogato il servizio e quando l’

attività è conclusa, un obiettivo, quindi, che è collocato nella vita reale che viene tutta coinvolta nell’ intero processo di apprendimento continuo.

Tra le tante attività che avete messo in piedi col vostro team di professionisti, c’è anche la

“grammatica della comunicazione”. Di cosa si tratta?

I bambini nati dopo il 2000 sono chiamati ‘nativi digitali’: cresciuti e socializzati attraverso il telefonino, il telecomando e i videogames, vivono in un contesto nel quale rischiano di non apprendere i fondamentali della comunicazione e della vita di relazione. Il mondo dell’ educazione, ossessionato da questa emergenza educativa, cerca una strada nuova per l’ educazione dei nativi digitali. In questo panorama si colloca la risposta di ISACPro con un percorso che fa largo uso di sussidi didattici e giochi educativi che hanno lo scopo di insegnare le abilità prosociali, quali la comunicazione, la cooperazione, la gestione delle emozioni e, più in generale, la capacità di vivere con l’altro.

Questi sussidi educativi vengono prodotti, assemblati, confezionati ed imballati nel Centro di Lavoro Guidato di Mediterraneo e il circuito commerciale di ISACPro li distribuisce in tutto il territorio italiano. Si tratta di un paradosso plastico: persone con Ritardo Mentale, col proprio lavoro, contribuiscono allo sviluppo dell’ intelligenza prosociale dei bambini italiani.

Il lettore non se ne abbia a male se non descrivo la dinamica del gioco che è molto intrigante. Se si vuol sapere di più, basta entrare nel catalogo delle ‘risorse prosociali’ per scoprire che con la grammatica della comunicazione si possono apprendere le regole della comunicazione, proprio come

(7)

si studia la grammatica della lingua.

Tutto quello che pensate e fate, come può cambiare il modo di comunicare e di relazionare di una persona disabile nella società?

Questo può essere compreso, sia pure con un linguaggio globale, a partire dalla storia del David di Michelangelo, così come essa viene raccontata da Antonio Mercurio (1988): giaceva da anni, nell’atrio della Signoria, un’ enorme blocco di marmo al quale diversi artisti avevano cercato, invano, di lavorare, lasciandolo alla fine nel cortile, abbandonato, scalfito in diversi punti e con un’enorme buco in un lato, residuo di uno dei tentativi falliti di qualche artista di cavarne qualcosa di buono.

Alla vista di quel marmo Michelangelo ne rimase colpito e chiese più volte la possibilità di poterci lavorare. Dopo tanta insistenza, alla fine, riuscì ad ottenere l’ incarico e fu così che diede vita al David, opera magnifica, costruita proprio intorno a quel “buco”. La stessa cosa spesso accade nella vita dell’ uomo: cresciamo plasmati dalle mani di tante persone, spesso poco attente al “materiale”

su cui lavorano. Ognuno di noi, o per nascita o per vicende storiche ha un “buco” nella propria esistenza, che può essere un dolore, un’ aspettativa disattesa o un deficit mentale. A volte questo buco viene “riparato” totalmente, a volte solo in parte, altre volte no, ed ognuno deve fare i conti con quel buco, la cui presenza spesso porta ad essere abbandonati, noi stessi, nel cortile della nostra esistenza, proprio come il blocco di marmo di Michelangelo. Questo marmo, già tagliato e squadrato secondo scelte altrui e poi scheggiato e abbandonato da mani presuntuose ed inesperte, somiglia molto alla nostra vita, così come la riceviamo dalla storia e dai nostri genitori, con un grosso buco nell’ io: non siamo contenti di noi stessi, di come siamo e di come ci hanno fatto essere, con mille condizionamenti e manipolazioni. A questo punto è facile decidere di giacere abbandonati come vittime nel cortile della storia, passando il tempo a colpevolizzare gli altri e a farli oggetto del nostro odio e della nostra vendetta.

La storia del David di Michelangelo ci mostra un’altra possibilità creata dalla genialità, dalla competenza e dal coraggio di Michelangelo: trasformare un inutile blocco di marmo in un’ opera d’

arte. Questa storia suggerisce che ogni persona può diventare artista della propria vita, facendo dell’

esistenza un’ opera d’arte costruita intorno a quel vuoto, così come ha fatto Michelangelo. Sotto questa visione più ampia si può considerare opera d’arte tutto ciò che rende la vita di una persona migliore, più bella per sè e per gli altri, pur in presenza di difficoltà, anzi traendo da queste il senso della propria esistenza.

Quale è stata la risposta dell’opinione pubblica locale?

Mediterraneo, lo abbiamo già detto, lavora conla Persona incrementando l’autodeterminazione, l’autostima, il senso di autoefficacia,agevolando la possibilità di reciprocare, ma lavora con la stessa intensità nella Comunità, nella direzione di favorire progressivamente un contesto facilitante e facilitatore che non costituisca più un ostacolo al naturale sviluppo della persona e delle sue performance. Una Comunità che non consideri la disabilità, ma la persona, restituendole la sua naturale dignità e incrementando gli inserimenti lavorativi che tengano conto dei bisogni e delle necessità dei lavoratori disabili e delle organizzazioni in cui sono collocati. Ma la Comunità, modulandosi in modo appropriato per le persone fragili migliora se stessa e sviluppa legami che la fanno crescere. Questa è stata la risposta della Comunità che ha aderito al progetto “Noi sosteniamo

(8)

la vita indipendente”. Il primo atto che sancisce la collaborazione tra la Comunità e il Centro Mediterraneo è la sottoscrizione del Contratto Prosociale: NOI SOSTENIAMO LA VITA INDIPENDENTE.

Il Contratto è unimpegno etico di responsabilità per la vita del prossimo nel quale sono elencati i punti che individuano il modo migliore per poter partecipare al cambiamento.

L’impegno di chi vi aderisce è quello di accompagnare lo sviluppo progressivo dell’autonomia di scelta e di azione della persona con disabilità, come di qualsiasi persona, riconoscere il diritto di autodeterminazione della persona rispettandone le caratteristiche, i tempi e le capacità, promuovendone così la vita indipendente.

Il secondo atto di collaborazione è un’ azione di vero e proprio ‘advertising sociale’ rappresentato dall’acquisizione e dall’esposizione di un adesivo con la scritta: NOI SOSTENIAMO LA VITA INDIPENDENTE. Tale azione ha lo scopo di creare un legame di identità sul valore della persona.

Con questo progetto la Persona con Ritardo Mentale viene esposta a quello che si chiama

‘insegnamento diretto nella Comunità’ e, in una dinamica di reciprocità, la stessa Comunità, si modella in funzione della persona con Ritardo Mentale, apprendendo nuove competenze sociali.

Non si tratta, quindi, di varare una nuova legge che obblighi la Comunità a farsi carico del destino delle Persone con Ritardo Mentale perché la trama e l’ordito dei legami di una Comunità non si tessono con le leggi ma sviluppando comportamenti prosociali e fertilizzando i valori dell’ unità.

L’EXPO: storia, economia e progresso

tecnologico umano

(9)

Diego Durante (15)

(10)

Quest’anno gli occhi di tutto il mondo sono puntati verso l’evento che attirerà milioni di visitatori a Milano. Lo svolgimento di EXPO Milano 2015 avrà una ricaduta significativa sia sulla dotazione infrastrutturale di Milano e della Regione Lombardia, sia sull’economia nazionale, anche dopo la sua conclusione. Secondo uno studio elaborato da CERTeT (Centro di Economia Regionale dei Trasporti e del Turismo) Università Bocconi su richiesta di Expo 2015 spa, impatti economici sono riconducibili

a cinque principali ambiti che contribuiscono, in misura diversa, all’attivazione del valore aggiunto totale:

Infrastrutture. Complessivamente la realizzazione di tutte le infrastrutture previste e le spese ad 1.

esse legate assommano a € 19 Miliardi, con una attivazione indiretta di oltre € 52 miliardi e un valore aggiunto di € 21,5 Miliardi.

Costi di gestione evento. Costi complessivi di gestione dell’evento, escludendo ammortamenti e 2.

imposte, si prevede ammontino a circa € 1 Miliardo, e hanno un impatto sulla produzione di quasi

€ 2,4 Miliardi, generando oltre 1 Miliardo di valore aggiunto.

Partecipazione ad EXPO Milano 2015 dei Paesi. L’impatto stimato sulla produzione attivata dagli 3.

investimenti complessivi dei Paesi partecipanti ad EXPO Milano 2015 è pari a € 1,3 Miliardi e a € 556 Milioni di valore aggiunto.

Attrattività turistica. L’insieme delle spese aggiuntive indotte dai visitatori previsti per Expo 4.

Milano 2015,

dalla maggiore attrattività turistica della Città e dalla maggiore attrattività congressuale sono pari ad oltre € 4 Miliardi, che attivano una produzione aggiuntiva di € 11 Miliardi e danno origine a circa

€ 4,8 Miliardi di valore aggiunto

Attrattività di investimenti diretti esteri. L’impatto diretto complessivo legato al maggior flusso di 5.

investimenti diretti esteri è pari a € 914 Milioni, la produzione attivata è di € 2,5 Miliardi, il valore aggiunto è pari a circa un miliardo.

Ma che cosa è EXPO 2015? Expo è un’Esposizione Universale, un evento che ha luogo ogni 5 anni.

Viene organizzato dalla nazione che, a seguito di una gara di candidatura, vince proponendo un tema ritenuto migliore degli altri. Ogni Expo, infatti, è dedicata a un tema di interesse universale: Milano ha proposto “Feeding the Planet. Energy for Life” ,ovvero: “È possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile?” È questa la sfida dell’Esposizione

(11)

Universale di Milano 2015. Se ne sta parlando tanto, ma da dove nasce l’EXPO?

La storia delle esposizioni universali inizia nel 1851 quando – in piena era vittoriana – l’Inghilterra, anzi l’impero Britannico, decide di ospitare un’ Expo che mostri la sua potenza industriale. Da allora sono in tutto 34 le esposizioni universali riconosciute dal Bie, l’organismo internazionale che sovrintende all’ Expo. Fra queste non compare quella di Roma del 1942 annullata a causa della Seconda guerra mondiale. Le prime 22 Esposizioni, che si sono svolte fino al 1933, sono definite

‘storiche’.

La prima Expo di Londra si chiama Great Exhibition of the Works of Industry of All Nations, ovvero grande esibizioni dei lavori dell’industria di tutte le nazioni. Fra i partecipanti manca l’Italia, non ancora diventata nazione, ma ci sono il Granducato di Toscana e lo Stato pontificio. L’evento – per cui gli inglesi costruiscono il Crystal Palace, un edificio di vetro e ferro che verrà distrutto dal fuoco il 30 novembre 1936 – è un grande successo. I visitatori sono sei milioni 39.195 e i guadagni consentono di far partire i lavori per il Victoria & Albert Museum, per il Museo della Scienza e il museo di Storia naturale di Londra.

Quattro anni dopo, nel 1855, è la volta di Parigi. I visitatori sono cinque milioni 162.330 e fra i

‘successi’ dell’esposizione si annovera la classificazione dei vini Bordeaux. Nel 1862 la manifestazione torna a Londra, nella zona di South Kensington, nuovamente con più di sei milioni di visitatori e in mostra, fra le altre novità della tecnica, il caucciù utilizzato per fabbricare gomma. Nel 1867 di nuovo ad essere protagonista è la Francia con una Expositions universelle d’art et d’industrie a Parigi che conquista circa 15 milioni di visitatori, mettendo

in mostra, fra l’altro, gli ascensori Otis e segnando la comparsa sulla Senna dei bateaux mouches per i turisti. Nel 1873 l’esposizione è ospitata dall’impero Austro-ungarico, a Vienna nella zona del Prater, con 7 milioni 255 mila visitatori.

Nel 1876 per la prima volta sono gli Stati Uniti ad organizzare l’Expo. Questa volta a Philadelphia, in una edizione con circa 11 milioni di visitatori che ha segnato, fra l’altro, la presentazione al grande pubblico del ketchup. Due anni dopo, nel 1878, l’Expo torna a Parigi, nella zona del Campo di Marte su 66 acri di terreno, ormai ben più della costruzione del Crystal Palace. Una manifestazione vista da

(12)

13 milioni di persone, che possono ammirare il fonografo di Edison e anche la testa della Statua della Libertà, che ora svetta a New York. Nel 1880 è la volta di Melbourne in Australia, con un milione 330.297 ‘turisti’. Otto anni dopo, nel 1888, tocca alla Spagna a Barcellona, con una manifestazione visitata da 2,3 milioni di persone.

E’ dell’anno successivo però l’Expo forse più famosa di tutti i tempi: quella di Parigi del 1889, visitata da 32 milioni di persone. Per il centenario della rivoluzione francese gli organizzatori approvano la costruzione di una torre in ferro di 324 metri, la torre Eiffel, che doveva essere smontata dopo la manifestazione ed è ancora oggi simbolo di Parigi e della Francia. In quella edizione una delle attrazioni di maggior successo è però lo spettacolo di Buffalo Bill nel quale compare anche il leggendario capo Sioux Toro Seduto, Calamity Jane e Alce Nero. Nel 1893 l’Expo si trasferisce negli Stati Uniti, a Chicago, per la ‘World Columbian Exposition’, che celebra i quattrocento anni dalla scoperta dell’America. I visitatori sono oltre 20 milioni, gli edifici costruiti molteplici, fra questi la prima ruota panoramica in metallo del mondo. Fra le invenzioni in mostra un antesignano della cerniera, una cucina elettrica con lavapiatti, il primo tapis roulant e anche il rullino per la macchina fotografica inventato dalla Kodak.

L’Expo di Bruxelles del 1897 è visitata da 7,8 milioni di curiosi nei due siti collegati fra loro da una linea di tram: un sito nel parco del Cinquantenario e uno a Tervuren, una sezione coloniale dedicata al Libero Stato del Congo di proprietà personale di Leopoldo II. Nel 1900 l’esposizione ritorna a Parigi. E, con i suoi 216 ettari di superficie, viene salutata da un numero record di visitatori, oltre 50 milioni, che possono fra l’altro apprezzare il cinematografo dei fratelli Lumière. Ancora oggi la città porta i segni di questa esposizione, in vista della quale sono stati

costruiti la Gare de Lyon, la Gare d’Orsay (che ora ospita il musée d’Orsay), il Petit Palais, il Grand Palais e anche il ponte Alessandro III. Nel 1904 la manifestazione si tiene a Saint Louis per celebrare i cento anni dall’acquisto della Louisiana da parte degli Stati Uniti. L’Expo, su un’area di 1.200 acri, ha 19 milioni di visitatori, che possono vedere il telegrafo senza fili e il cannone Krupp. Ma la manifestazione decreta anche il successo di alcuni generi di largo consumo come gli hot dog e lo zucchero filato. Per i settantacinque anni dell’indipendenza belga l’esposizione si svolge, nel 1905 a Liegi.

(13)

L’anno dopo, il 1906, tocca all’Italia con una esposizione, a Milano visitata da oltre 5,5 milioni di turisti e, dedicata ai trasporti, con tanto di padiglione aeronautico. L’Expo milanese celebra il traforo del Sempione, che ha permesso il collegamento diretto in treno fra Milano e Parigi. Ancora oggi si possono vedere alcune delle eredità lasciate dall’Expo come il

parco Sempione, e l’acquario civico, uno dei 225 nuovi edifici costruiti per l’occasione. Nel 1910 la manifestazione universale torna a Bruxelles per una edizione visitata da 13 milioni di turisti, nonostante sia funestata da un vasto incendio nella notte di ferragosto. Nel 1911 è la volta di Torino con ‘L’esposizione internazionale industria e lavoro’ voluta per i cinquant’anni dell’unità d’Italia. Fra gli eventi dell’esposizione l’inaugurazione del campo volo di Mirafiori con la Gara d’aviazione Roma-Milano.

Due anni dopo, nel 1913, è la volta di Ghent, per una Expo vista da 9 milioni e 500 mila persone durante la quale è stato istituito il primo servizio aereo postale del Belgio.

La ‘Panama Pacific International Exposition’ si svolge, invece, a San Francisco nel 1915 per celebrare il completamento del canale di Panama. Per l’occasione i 18,8 milioni di visitatori possono ammirare la Liberty Bell, spostata per l’occasione da Philadelphia mentre, per permettere a chi era sulla costa occidentale di ascoltare il rumore dell’oceano Pacifico, viene realizzata una linea telefonica con New York. Ancora oggi i turisti che vanno a San Francisco possono ammirare il Palace of Fine Arts progettato per l’esposizione. Nel 1929 l’Expo è di nuovo a Barcellona e anche in questo caso si possono ancora ammirare alcuni degli edifici costruiti per l’occasione come il Palau Nacional.

Per il centenario dalla propria fondazione, Chicago nel 1933 ospita la Century of Progess International Exhibition, l’esposizione del secolo di progresso, che ha oltre 48 milioni di visite ed è dedicata all’innovazione tecnologica. Il suo successo è tale che dopo la chiusura del novembre 1933 viene riaperta per altri cinque mesi dal primo giugno al 31 ottobre 1934.

Nel 1935 l’esposizione è ancora a Bruxelles, per i cinquant’anni dell’istituzione dello Stato libero del Congo, una manifestazione a cui vanno circa 20 milioni di persone. L’ultimo anno in cui l’esposizione universale si svolge a Parigi è il 1937 con in mostra

al Padiglione spagnolo, Guernica di Picasso. A ricordare questa ultima volta parigina c’è il Palais de Chatillot, dove nel 1948 l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha firmato la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Due anni dopo, nel 1939, Expo t o r n a i n A m e r i c a , a N e w Y o r k c o n u n a manifestazione dedicata all’ ‘Alba di domani’ in cui la televisione è uno dei protagonisti. il discorso del presidente Franklin Delano Roosevelt viene, infatti,

mandato in onda in tv. Ma in mostra si possono osservare altre novità come il nylon, l’aria condizionata e le fotografie a colori. Nei due anni dell’esposizione (che è rimasta aperta da aprile ad ottobre nel ’39 e anche nel ’40) sono più di 44 milioni i visitatori. Dieci anni più tardi, nel 1949, la manifestazione si svolge ad Haiti, a Port-Au-Prince per celebrare il bicentenario della fondazione.

(14)

A Bruxelles la manifestazione torna nuovamente nel 1958. E si tratta di un’Expo di svolta fra le antiche Expo piene di fiducia verso il progresso e quelle moderne, più attente anche alla sostenibilità. La fine degli anni ’50 è l’epoca in cui è stata appena creata la Comunità economica europea e lo Sputnik è andato in orbita. Proprio lo Sputnik è una delle attrazioni dell’Expo visitata da oltre 41 milioni di persone. Simbolo dell’esposizione – e tutt’ora di Bruxelles – è l’Atomium, una costruzione in acciaio che rappresenta i nove atomi di un cristallo di ferro. E’ diventato simbolo della città anche lo Space Needle, torre di 184 metri costruita a Seattle per l’esposizione del 1962. Per gli Stati Uniti un’occasione per mostrare i loro progressi

nello spazio e per i 9 milioni di visitatori un’opportunità di vedere i progressi di grandi aziende, come i computer dell’Ibm. Nel 1967 a Montreal una delle attrazioni più visitate è la capsula originale in cui Juri Gagarin andò in orbita. Tredici milioni di persone si mettono in coda per poterla vedere, mentre i visitatori dell’esposizione sono in tutto 50 milioni, un record assoluto considerando che gli abitanti del Canada all’epoca sono solo 20 milioni.

La prima esposizione universale asiatica si svolge a Osaka nel 1970. I visitatori, che possono ammirare un modello di treno ad alta velocità capace di toccare i 500 km/h, il modello di un reattore nucleare e una prima versione del telefono cellulare, sono oltre 64 milioni. Il sito, su una superficie di 330 acri, è diviso in quattro sezioni che introducono temi come ‘un miglior uso dei doni della natura’. Nel 1992 – a 500 anni dalla scoperta dell’America – Expo si svolge in Spagna, a Siviglia, e ha come tema L’era delle scoperte. I visitatori sono più di 41 milioni, ma questo non impedisce anni di polemiche per i costi e il degrado in cui sono lasciate alcune aree del sito espositivo.

Nel 2000 Expo arriva in Germania ad Hannover, con una coda di proteste da parte di chi non vuole l’esposizione. Sono attese 40 milioni di persone ma i visitatori alla fine sono solo 18 milioni. Nonostante questo, l’esposizione tedesca ha alcuni lasciti importanti. Alla città lascia nuove strade, linee di tram aumentate e un terzo terminal all’aeroporto.

Alle Expo future un nuovo approccio e soprattutto i

‘principi di Hannover’ per la costruzione dei padiglioni tenendo conto del loro impatto ambientale e della sostenibilità. Nel 2010 Expo è sbarcata a

Shanghai, per l’edizione dei record. I visitatori sono stati più di 73 milioni, la maggior parte cinesi, che hanno perlustrato i 530 acri dell’esposizione per vedere da vicino almeno uno scorcio di mondo, grazie agli oltre 190 Paesi partecipanti. Nel 2015 è la volta di Milano, mentre nel 2020 toccherà a Dubai (fonte ANSA).

Sicuramente EXPO sarà un evento con una fortissima ricaduta massmediatica. Ci auguriamo che, chi tiene le redini del comando, una volta calato il sipario sull’evento, si impegni seriamente per ottenere un’immagine nuova, fresca e positiva non solo del capoluogo lombardo ma dell’intera

(15)

nazione.

La Via della Bellezza

Diego Durante (15)

“…la prima bellezza sarà quella che avremo costruito tra di noi”

È abbastanza difficile fornire una corretta spiegazione su cosa sia la bellezza. Perché la bellezza può avere diverse sfumature, diversi significati, in diversi ambiti: artistico, filosofico, scientifico. Sarebbe piuttosto opportuno intraprendere un cammino che porti a scoprire quale possa essere la via della bellezza nelle sue diverse sfumature. E a farci percorrere questa strada non sarà la voce diretta di un pittore o di uno scultore, bensì di una persona che ha fatto dell’arte un evento “open air”. Emilio Donnarumma, Presidente della costituenda associazione “La via della bellezza”, progetto ambizioso che nasce a Sant’Anastasia, cittadina vesuviana ai

piedi del Monte Somma e promosso dall’Associazione focus Focolari e Lucincittà. Emilio, ex segretario comunale e con una sensibilità all’arte e alla bellezza fuori dal comune, porta nel palcoscenico della sua città, una mostra di grandi tele dell’artista internazionale Michel Pochet: una sorta di viaggio pluricromatico tra volti, luoghi e santuari dipinti dal pittore e poeta francese, viaggiatore cosmopolita, su materiali poveri come ampie lenzuola.

“L’intento – spiega Donnarumma – è quello di riscoprire il valore della bellezza non tanto in senso estetico, quanto come bisogno umano primario. Tutti possiamo diventare operai della bellezza, un diritto di ciascuno, che mi piacerebbe veder realizzato nel mio paese. Lo dimostra bene con le sue opere Michel Pochet, artista che da anni ha colto la valenza di una ricerca nutrita di accoglienza, dialogo, relazione tra creature e creato. Non a caso i suoi quadri nascono sempre da esperienze di viaggio e di incontro che sono insieme estetiche e spirituali”(da un’intervista de IL MATTINO, 9/9/2014). E allora ci affidiamo a lui per fare questo viaggio nella bellezza.

(16)

Emilio, cosa è il progetto: “La via della Bellezza?”

Anni fa ho ascoltato Michel Pochet, pittore, che parlava della Bellezza come bisogno primario dell’uomo. Sentivo che questa realtà mi apparteneva. Da allora, pur non essendo un artista, ho cercato di essere un operaio della bellezza. Negli ultimi anni ho intrapreso un mio viaggio nel bello organizzando quattro eventi a casa mia con circa 80 ospiti (il sindaco, i colleghi di lavoro, il mio dentista…. sempre gli stessi ….nessuno è mai mancato ad un appuntamento): la bellezza con le opere di Roberto Cipollone, nei dolci tradizionali di Napoli, nel balletto di Liliana Cosi e con le pitture di Michel Pochet. Avverto sempre che la bellezza può attirare tutti e può avere un suo valore sociale. La passione per le cose belle, l’amore per il mio Paese e il desiderio di incarnazione e, non ultima, la spinta ad uscire fuori mi hanno convinto, non certo senza un superamento della mia timidezza, ad organizzare un evento. Ho pensato di iniziare

con le grandi tele di Michel. La strada dove abito poteva essere – ed è stata – la via della bellezza almeno per un giorno. Ho invitato alcune persone – aventi la mia stessa sensibilità – a condividere questo progetto. Quasi tutti hanno sposato l’idea.

Ho detto loro che il mio desiderio era quello sperimentare, come gruppo, innanzitutto tra noi, la vera Bellezza. Nella misura in cui avremmo vissuto tale realtà gli altri avrebbero colto la Bellezza nell’evento. Anche se l’evento fosse andato male – ma non è stato così- saremmo stati (parole di tanti) contenti abbastanza per l’esperienza di famiglia, sereno dialogo, coinvolgimento emotivo, arricchimento artistico e fraternità costruita in questi mesi ( tanti i momenti conviviali a casa dell’uno e dell’altro).

Chi è Michel Pochet, e perché hai deciso di dare eco proprio alle sue opere?

Da anni conosco Michel e le sue opere: un vero e proprio viaggio, un itinerario tra volti, luoghi e santuari. Come dice lui stesso dice: “Il pellegrinaggio della bellezza, richiede pazienza e perseveranza, fino a quando un bel giorno scopri che il maggiore santuario della bellezza era davanti alla porta di casa tua, bastava guardare nella direzione giusta”. I suoi quadri nascono da esperienze estetiche e spirituali: frammenti dell’anima impressi velocemente su un taccuino o dipinti in ginocchio sulla sabbia, al buio, in un piccolo acquerello, per appuntare quella voce interiore che parla. Michel rielabora in più versioni lo stesso soggetto: lo medita, lo purifica, affinché possa cadere il superfluo e rimanere solo l’essenziale; e non torna indietro, ma penetra nella contemplazione di quella bellezza che ha percepito e che ha bisogno del silenzio per poter parlare. I suoi dipinti, spesso di grandi dimensioni, realizzati su materiali umili, quotidiani – tele, lenzuoli, pannelli- sembrano entrare nella realtà dell’osservatore, toccarlo, parlare con lui. La tecnica scaturisce da un dialogo continuo fra segno e colore: il colore è denso, materico, fuoriesce dalla tela, diviene parola, i segni sono simboli antichi e nuovi che vivono nello spazio. Ho comprato una sua opera: una montagna di colore e nero e spicchi di cielo blu cobalto. Un’emozione fortissima. Mi ricordava un’immagine impressa nei miei occhi agli inizi del mio lavoro. Quando scendevo giù dai monti, all’imbrunire, non sapevo se era il cielo che faceva da contorno alla montagna o la montagna al cielo. Dopo circa 20 anni ho comprato il quadro. Ho letto vari scritti di Michel sul valore sociale dell’arte. A parole non so esprimermi ma ne condividevo il contenuto. In fondo anche io nel mio piccolo, con gli eventi a casa

(17)

mia, avevo dato Bellezza ai miei ospiti. E parlo del periodo in cui Napoli viveva un momento difficile a causa dei rifiuti. Nel ristrutturare la mia casa – moderna – ho pensato che essa potesse accogliere tanti amici. E di fatto è così. L’armonia della casa, l’ospitalità – un dolcetto, i fiori, la musica – mettono a proprio agio l’ospite e facilitano il rapporto.

Quali sono gli eventi che organizzi con l’associazione “La via della bellezza”?

Da un lato all’altro dei lampioni di Via Roma di Sant’Anastasia, paese in cui vivo, sono state appese le tele di Michel; altre tele ai balconi. Sui balconi luci per illuminare la strada e luci per illuminare, di sbieco, le tele. Musica di sottofondo. Il programma è con 4 violinisti che raccontano ai bambini – seduti per terra – della musica. Poi in un altro angolo un palchetto su cui un attore del Teatro di Corte di Carpi, accompagnato da un chitarrista, leggeva brani sulla Bellezza; a “leggere” i tesori nascosti nelle tele.

Dall’altro lato della strada, ormai all’imbrunire, 15 minuti di danza classica: momento molto suggestivo.

Al termine, il concerto di piano di Paolo Vergari e il tamburellista (francese) Carlo Rizzo:

strepitosi!!Tanti complimenti: dalla persona umile, da quello più colto, dal barista, dall’esperto di musica e…!

Michel, una presenza discreta ma attenta, era davvero felice.Anche il giorno dopo sono arrivati alcuni messaggi: è stata un’occasione ricca di tanti aspetti…, sembrava di essere in un paese diverso…, è stata la dimostrazione che c’è qualcuno che vuole davvero bene al nostro Paese…, promozione della cultura…, sembrava di essere in un’isola…,

C o m u n e d i S

ant’Anastasia – Piazza Trivio

grazie dei meravigliosi momenti di autentica partecipazione che hai saputo regalare ai nostri bambini (il presidente dell’associazione dei bambini autistici)….E ancora: Mi è sembrata una gran bella festa popolare, nel senso di popolo, che ha aggregato grandi e piccoli in scioltezza, senza rigidità né formalismi: prova ne è la partecipazione fluida per strada, dai balconi, dentro e fuori dei bar e dei cortili delle case. Il metodo che mi sembra aver funzionato alla grande: cooperazione gioiosa, partecipazione (dal basso e dall’alto…in tutti i sensi).Infine i genitori di un bambino autistico che avevamo incluso nell’organizzare la degustazione ci hanno scritto:

E’ “bastato” lo sguardo aperto alla Bellezza per poter realizzare una piccola meraviglia: Tommaso ha

(18)

vissuto l’esperienza di essere parte di una Comunità che, riconoscendolo e riconoscendogli un ruolo, gli ha permesso, per un giorno, di rompere quel filtro di separazione che lo rende invisibile alla vita sociale. Tutti ci hanno stimolato ad andare avanti e a non attendere un anno per il prossimo evento.

Perché è importante comunicare e valorizzare l’arte?

L’arte di per se è diffusiva, contagia. Penso che la Bellezza sia anche nelle cose brutte se esse siano espressione di uno stato d’animo, di una sensazione di un parlare di se. E poi attraverso l’arte si può comunicare il senso della vita e si fornisce una chiave di lettura personale sull’essenza della vita di ognuno di noi. Accogliere l’arte fa bene! Le prime volte che facevo vacanze a Ravello (luogo suggestivo della costiera amalfitana) ho chiesto ad un mio amico se voleva vedere lo spettacolo di danza classica del New York City Ballet. Lui, penso, non aveva mai visto spettacoli di un certo livello.

Ha accettato l’invito e al termine dello spettacolo era “toccato”. Aveva sperimentato, penso, anche senza capire di balletto, la Bellezza.Non so se ho reso l’idea.

Emilio, un’ultima domanda. Cosa è per te la bellezza?

Penso di aver risposto già un pochino con quanto innanzi detto.

Ma riporto questo brano letto non so dove.

Mi viene in mente il Diario di Etty Hillesum (Adelphi), quella singolare ragazza che, nell’Olanda invasa dai nazisti – sebbene credente a modo suo in modo poco convenzionale –, riscopriva in sé l’ebraica volontà di vivere. Le pagine del suo diario diventarono così un irriducibile inno alla vita, mentre tutto intorno si sgretolava, puzzava di morte.

Lei, nonostante non avesse quasi più soldi per procurarsi cibo, comprava dei fiori: «Molti mi dicono:

“Come puoi pensare ancora ai fiori, di questi tempi”. Ieri sera, dopo quella lunga camminata nella pioggia, e con quella vescica sotto il piede, sono ancora andata a cercare un carretto che vendesse fiori e così sono arrivata a casa con un gran mazzo di rose. Ed eccole lì, reali quanto tutta la miseria vissuta in un intero giorno».

Anch’io, quando ho passato tempi non facili, mi sono ricordato di Etty. Come lei, ho comprato un mazzetto di fiori freschi. Da mettere lì in un vaso all’ingresso, una bandiera, un ostinato proclama alla vita. Perché senza bellezza e poesia, anche della più economica, la vita diventa irreparabilmente angusta. Nella comune atmosfera, i fiori di Etty continuano a diffondere luce. A noi raccogliere il suo sì alla novità della vita, per riscoprire, nonostante il marciume attorno, la responsabilità di testimoniare che tutto è tremendamente bello.

(19)

Spesso vivo tale esperienza!

Se gli Archivi potessero parlare

Diego Durante (15)

Quando si parla di beni culturali, nell’ immaginario collettivo vengono, istintivamente, richiamati alla mente i beni archeologici, quelli storico- artistici, quelli monumentali, e, più di rado i beni etnoantropologici e librari. Quasi mai, però, si pensa ai beni archivistici sebbene, in Italia, essi si configurino, per quantità, tipologia e ricchezza di dati e notizie, come un patrimonio che non ha pari nel resto del mondo. Ad aggravare la situazione ha contribuito, negli ultimi anni, l’abbattimento della scure dei tagli alle risorse che, anno dopo anno, ha

drasticamente ridotto e continua, senza alcun segnale d’inversione di tendenza, a ridurre finanziamenti e personale tecnico di cui il settore ha un estremo bisogno. Sicché appaiono sempre più di frequente, sulla stampa nazionale, articoli che denunciano quello che sembra essere un processo di dequalificazione dell’importanza della memoria storica che si va diffondendo a vari livelli, con la conseguenza che gli archivi storici risultano sempre più esposti a gravi rischi di dispersione e distruzione e sempre meno considerati come strumenti necessari per la costruzione di progetti di crescita e di sviluppo per ogni comunità. (Si veda in proposito: Perchè conviene ancora investire negli archivi, di Maria Pia Donato, Corriere della sera del 9.2.2015) e Biblioteche, archivi, centri studi: va preservata la memoria, di Bruno Gambarotta, La Stampa del 6.2.2015).

Ad esito di tale “trattamento di emarginazione”, nel tempo, gli archivi, in Italia, si sono “conquistati”

(20)

l’appellativo di “Cenerentola” dei beni culturali sebbene, a livello internazionale, si registrasse una crescente attenzione nei confronti della memoria storica. La Dichiarazione universale sugli archivi – sviluppata sul modello della Declaration québécoise sur les archives da parte della Section des associations professionnelles del Conseil international des archives (CIA), approvata all’unanimità nel corso dell’assemblea generale tenutasi a Oslo il 17 settembre 2010 e adottata dall’UNESCO nel corso della 36° sessione plenaria del 10 novembre 2011 – rappresenta una tappa

importante per favorire la comprensione degli archivi da parte del grande pubblico e degli organi decisionali. È l’espressione succinta e potente dell’importanza degli archivi nella società moderna».

La tematica è complessa e non è questa la sede per evidenziare le profonde motivazioni che determinano la grande rilevanza dei beni archivistici e la necessità di garantire alle generazioni future la loro salvaguardia. Tuttavia abbiamo voluto rivolgere qualche domanda a chi in questo settore opera da anni come libero professionista, la dott.ssa Annunziata Bozza (vedi biografia a fine articolo), innanzitutto per sfatare il luogo comune che vede l’archivista come una figura di persona fuori del tempo, immersa tra montagne di scartoffie polverose che conserva gelosamente per soddisfare l’interesse di pochi cultori delle antiche memorie e poi per cercare di comprendere se questa tipologia di bene culturale possa avere qualche relazione con i settori del marketing e della comunicazione che oggi costituiscono le realtà più vive e trainanti per lo sviluppo e la crescita socio-economico-culturale delle comunità in cui viviamo.

N e l l a f o t o l a

Dott.ssa Annunziata Bozza, laureata in beni archivistici e librari e diplomata alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari Esperta di sistemi informativi archivistici collabora, attualmente, con l’Arcidiocesi di Matera- Irsina per il recupero e la valorizzazione dell’archivio diocesano.

(21)

Dott.ssa Bozza come mai sta accadendo che agli archivi storici, dove si conservano le memorie delle nostre comunità, sono riservate sempre minori attenzioni anche da parte di chi dovrebbe averne cura?

E’ a tutti ben noto come, in Italia negli ultimi anni, il settore dei beni culturali stia attraversando un periodo di grande difficoltà determinato da una crisi economica che ha indotto i governanti ad effettuare, senza remore né dubbi di alcun genere, drastiche riduzioni di risorse, finanziarie ed umane e tagli orizzontali agli interventi finalizzati al loro recupero e alla loro valorizzazione considerandoli, probabilmente, al pari delle spese superflue se non, addirittura, degli sprechi. Sembra che i nostri governanti abbiano nei confronti della cultura un comportamento

“bipolare”. Se, infatti, da più parti si annunci e si proclami, in modo martellante, che i nostri vettori di sviluppo e crescita sono costituiti dai beni culturali, dal paesaggio, dall’enogastronomia e dal made in Italy che si configurano, peraltro, come forti attrattori di turismo e di interesse – soprattutto da parte di quegli Stati in forte espansione economica – dall’altra si continua ad operare nella direzione opposta al recupero e alla valorizzazione di ciò che dovrebbe, in coerenza con le affermazioni innanzi riportate, risanare e apportare nuova linfa alle casse dello Stato. E mentre, in qualche modo, ad alcune tipologie di beni – quelli che evidenziano maggiori elementi di attrattività per la loro monumentalità o perché esteticamente piacenti – si riconosce un valore “più culturale”, e quindi, in qualche modo, si assicura un minimo di risorse per la loro manutenzione e gestione, arrivando ad ipotizzare anche grandi progetti di recupero e valorizzazione, i beni archivistici scivolano sempre più giù nella lista delle priorità. La situazione è davvero preoccupante perché non si registrano segnali di inversione di tendenza.

Perchè è importante, secondo lei, il riordino di un archivio storico?

A questa domanda si possono dare moltissime risposte con livelli di profondità sempre maggiori. Ne voglio fornire, però, una breve ma immediatamente esemplificativa. Un archivio disordinato è come una scatola che contiene migliaia di piccole tessere

policrome, di un meraviglioso mosaico smontato pezzo per pezzo, tutte uguali nella forma e mescolate tra loro. Esaminando i diversi pezzi, anche per ore, non si riuscirà mai a cogliere il significato e la bellezza dell’opera che si potrà conoscere e ammirare solo rimontando i pezzi e collocandoli nel loro giusto posto. Gli archivi disordinati sono

“muti”…non raccontano nulla e ogni singola carta, che ha un vincolo che la lega a tutte le altre, se letta isolatamente rischia di dare informazioni non solo parziali ma addirittura fasulle.

Cosa ha scoperto di interessante durante un’attività di riordinamento negli archivi in cui ha lavorato?

Non c’è stato archivio in cui non abbia avviato un’attività di riordinamento che non si sia anche rivelato un prezioso scrigno ricco di interessanti scoperte: dalle antiche pergamene ecclesiastiche che documentano la vita millenaria di una diocesi, alle etichette di vino prodotto a metà del ‘900 da una nobile famiglia legata alla casa di Sassonia nei propri grandi possedimenti siti nell’entroterra

(22)

lucano. Sono tantissimi i rinvenimenti che emergono dagli archivi e incredibili le potenzialità di valorizzazione degli stessi.

Come, i governi e le istituzioni, potrebbero dar vita ad una rinascita e quale può essere una nuova forma di marketing degli archivi?

Una rinascita può avvenire solo se si acquista consapevolezza che recidendo il filo della memoria non c’è crescita e non c’è sviluppo. Se ad una pianta bellissima si tagliano le radici, brutte e nascoste nella terra, dopo poco la pianta muore. Così è per i singoli e per le comunità: il legame con la memoria è essenziale. Chi non ha memoria non ha identità e chi non ha identità non sa da dove viene e dove andare.

Lo slogan è conosciuto e ripetuto ormai come una cantilena ma i fatti evidenziano comportamenti non in sintonia con esso. Occorre il coraggio di investire nel settore della conoscenza della memoria innanzitutto per evitare che essa si distrugga, come sta avvenendo nelle comunità meno illuminate, che considerando gli archivi storici come depositi di vecchie carte consentono che il tempo e l’incuria e inidoneità dei locali di conservazione provvedano ad una sorte di auto-eliminazione del problema. E’ dunque vitale che il mondo della comunicazione, come sta avvenendo sempre più spesso in questi ultimi mesi, non solo denunci con sempre maggiore chiarezza e determinazione questa eutanasia della memoria storica ma promuova vere e proprie compagne di sensibilizzazione sulla necessità di conservare ma anche, e soprattutto, di utilizzare la memoria storica per programmare il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità. Ciò è ancor più necessario qui al Sud dove si fa fatica a considerare le “vecchie carte” come un patrimonio culturale capace di generare “ricchezza” – dove per ricchezza si intende non solo risorsa economica che cresce ma anche sviluppo sociale e culturale – e, pertanto, si condannano all’oblio pagine di storia da cui forse potrebbero scaturire progetti di rinascita sulla linea della innovazione nella tradizione. Un ruolo altrettanto vitale è quello del marketing applicato alla valorizzazione della memoria. Sul tema si sono svolti convegni e scritti centinaia di libri. Mi limiterò a fornire un piccolo esempio che può illuminare un po’ la mente. Le vecchie carte di un’azienda agricola, se conservate in un armadio e in stato di estremo disordine, sono decisamente ininfluenti ai fini della crescita del fatturato dell’azienda stessa ma, se le vecchie carte diventano l’archivio storico dell’azienda, ordinato e fruibile, con un inventario consultabile in rete e pubblicato sul sito dell’azienda, con una o più mostre documentarie allestite nei locali dove circolano e si accolgono i clienti, con la storia – illustrata dai documenti esposti – delle diverse produzioni che magari registrano al loro attivo secoli di esperienza e di saperi tramandati da padre in figlio voi pensate che questo valore aggiunto non possa determinare un incremento di fatturato? Provare per credere.

Biografia:

Annunziata Bozza, laureata in beni archivistici e librari e diplomata alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari, esercita da più di vent’anni la libera professione nel settore del recupero, riordino e inventariazione delle fonti documentali. Ha lavorato e lavora su incarico di Archivi di Stato, Soprintendenze archivistiche, Enti locali, Enti Ecclesiastici

(23)

in archivi pubblici e privati ed ha prodotto numerosi inventari, guide e banche dati. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni ed ha partecipato, in qualità di relatrice, a convegni di carattere storico- archivistici. Ha organizzato mostre documentarie, seminari e giornate di studio insegnando, anche, in corsi di formazione e universitari, archivistica e metodologia della ricerca. Esperta di sistemi informativi archivistici collabora, attualmente, con l’Arcidiocesi di Matera-Irsina per il recupero e la valorizzazione dell’archivio diocesano. A lei e alla sua attività, Alessandra Bocchino, ha dedicato un capitolo nel suo libro “Ci riguarda. Un viaggio per parole e immagini nella Basilicata d’oggi.”

pubblicato nel 2014 per Donzelli editore.

Taranto: il turismo possibile

Diego Durante (15)

Negli ultimi tempi la città di Taranto è balzata agli onori della cronaca per le vicende legate alla questione ILVA. Il nostro intento però non è quello di gettare benzina sul fuoco alimentando una situazione già pesante e che grava come una spada di Damocle sulle teste dei tarantini. Vogliamo piuttosto esser più leggeri, guardando invece alle bellezze che l’antica colonia della Magna Grecia ci riserva.

La domanda (un po’ provocatoria) sarebbe: quali sono queste bellezze? Qualcuno sicuramente ha visto che al di là delle polveri si può respirare un’altra aria sicuramente più pulita; un’aria di storia e di cultura che, se ben promossa, potrebbe portare ad una ri-valorizzazione del territorio tarantino.

Chi crede fermamente in un progetto di rilancio, è Marcello De Stefano, presidente di Turisti a Taranto, associazione culturale che opera per la valorizzazione culturale, artistica, geografica di Taranto sia fra gli stessi abitanti (specialmente con proposte didattiche) e sia promuovendolo a

(24)

livello nazionale ed internazionale con itinerari turistici. Lo abbiamo incontrato.

Quando è nata l’idea di Turisti a Taranto?

Circa tre anni fa il Touring Club Italiano mi aveva coinvolto per progettare nuovi itinerari turistici sul nostro territorio. Abbiamo iniziato celebrando la ‘Giornata europea del patrimonio 2013’ con un itinerario assolutamente innovativo: ‘La storia di Taranto raccontata in villa Peripato’. Il successo dell’iniziativa ci ha incoraggiati a proseguire fino a dar vita a una associazione che nel nome stesso esprime la sua missione: contribuire a sviluppare il turismo nella nostra straordinaria città.

Cosa la distingue da altre iniziative?

Posso dire che con le altre associazioni simili alla nostra condividiamo le stesse finalità. Diversi sono magari sia gli itinerari proposti che le modalità con cui si opera. Per quanto ci riguarda, noi non puntiamo tanto ad eventi straordinari ma a sviluppare un turismo quotidiano, lungo tutte le stagioni e tutti i mesi dell’anno. In secondo luogo, crediamo molto nel web-marketing. Possiamo dire che quanto abbiamo realizzato finora è frutto soprattutto dell’utilizzo dei mezzi informatici e del conseguente passaparola.

Ma come può una città industriale come Taranto svilupparsi dal punto di vista turistico?

Non c’è dubbio che la valorizzazione di un territorio spetta quasi esclusivamente a chi vive in quel determinato territorio. Per fare degli esempi a noi molto vicini: se Matera da ‘vergogna dell’Italia’ è diventata ‘patrimonio dell’umanità’ – ed ora anche ‘Capitale europea della cultura 2019’ – il merito è certamente dei materani. Lo stesso possiamo dire per Lecce. Non ci sono dubbi. Dunque, lo sviluppo turistico di Taranto dipende in primo luogo da noi. Ma per promuovere Taranto bisogna prima conoscerla. Da questa esigenza nascono i nostri progetti e le nostre proposte.

Quali sono nel concreto le proposte che l’associazione si prefigge e come si articolano? In altre parole, cosa abbiamo da offrire ai turisti a parte il Museo, il Castello e una passeggiata in Città vecchia?

(25)

Abbiamo da offrire un patrimonio inestimabile.

Possiamo dire che Taranto, coi suoi dintorni, è insieme a Napoli la città più interessante del Meridione d’Italia, sia dal punto di vista storico che geografico, artistico, culturale. Un patrimonio sconosciuto a noi stessi. Conoscere il nostro inestimabile patrimonio è il punto di partenza per riuscire a portare la nostra città almeno ai livelli di Matera e di Lecce, per il semplice fatto che lo merita e ne ha tutte le possibilità.

Ma Lecce e Matera si presentano come città d’arte mentre da noi pesa il problema ambientale. Se il turista deve scegliere, non viene certo a visitare una città inquinata come Taranto…

Al contrario. Noi anzi abbiamo posto il percorso ambientale come uno dei punti-forza delle nostre proposte turistiche e anche didattiche. In pratica diciamo ai nostri potenziali visitatori: venite a Taranto e capirete il problema del mondo intero. Vi renderete conto delle condizioni in cui si trova l’intero pianeta a causa di un modello di sviluppo distorto. Vi racconteremo il problema di Taranto che è emblema di un problema a dimensioni planetarie che riguarda anche voi, perché l’inquinamento lo trovate anche nelle vostre città, nei vostri fiumi, nell’aria che respirate. E tornando a casa avrete acquistato maggiore consapevolezza del cambiamento radicale che occorre fare se vogliamo lasciare un mondo vivibile ai nostri figli.

Come hanno risposto le istituzioni locali?

L’amministrazione regionale ha fatto e fa moltissimo per promuovere la Puglia e i risultati si vedono.

Noi utilizziamo le opportunità offerte dalla Regione perché siamo convinti che si vince solo grazie alla nostra capacità di realizzare collaborazioni. Da soli possiamo ottenere un certo risultato.

Insieme possiamo raggiungere risultati maggiori. Con il sostegno delle istituzioni possiamo raggiungere gli obiettivi più ambiziosi. In questo senso Taranto deve sapere osare di più.

Cosa si potrebbe fare ancora a livello marketing e comunicazione per valorizzare il nostro territorio?

Si può fare sempre più e sempre meglio perché il web è in continua evoluzione e bisogna stare al

(26)

passo coi tempi. Oltre a creare una rete di collaborazioni occorre sapersi muovere sempre meglio nel web perché ci permette di raggiungere direttamente le case degli italiani e dei cittadini europei senza troppe intermediazioni.

Auguri allora perché possiate realizzare quanto vi proponete. Auguri soprattutto a Taranto perché sappia risollevarsi ‘alla grande’ seguendo l’esempio di altre città che ce l’hanno fatta.

Il silenzio dei vivi - Il Libro

“[…]Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano. […] E allora, se la mia testimonianza, il mio racconto di sopravvissuta ai campi di sterminio, la mia presenza nel cuore di chi comprende la pietà, serve a far crescere comprensione e amore, anche io allora potrò pensare che nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito […] per costruire un mondo migliore senza odio, né barriere”. (E. Springer, “Il Silenzio dei vivi”, Marsilio ed.)

Il 24 aprile del 1997 fui invitato nella libreria Agorà di Lizzano (Ta) gestita da Michele Scarcia, ingegnere, la cui grande passione per la cultura e per i beni librari in particolare gli avevano fatto maturare la decisione di aprire una libreria con lo scopo di renderla un luogo vivace di dialogo e approfondimento su tematiche culturali più attuali. Tra gli scaffali si favorivano gli incontri e il dibattito con autori e lettori. E fu proprio così che ebbi l’opportunità di conoscere Elisa Springer, l’autrice del libro “Il silenzio dei vivi”.

LEGGI ANCHE:

La vita è bella – Il Film

La Memoria nel cinema italiano

Schindler’s list – Il Film

Nata e vissuta a Vienna in una famiglia di commercianti ebrei di origine ungherese, a ventisei anni venne arrestata e deportata in diversi campi di concentramento (Auschwitz, Bergen Belsen,Theresienstädt) nei quali vive e sperimenta gli orrori più atroci della storia dell’umanità,per l’unica e irragionevole “colpa” di essere ebrea. In poco più di cento pagine, l’autrice ci descrive in modo crudo e diretto le condizioni di vita a cui era costretto chi veniva

(27)

deportato,condividendo la sua testimonianza di dolore, morte, umiliazione e spersonalizzazione dell’animo umano: dai lunghi e interminabili giorni di viaggio ammassati in un carro (adibito al trasporto bestiame) con altre persone, ai giorni senza cibo e senza acqua; dalle marce al freddo, alle malattie;dalle lotte tra madri e figlie per accaparrarsi un pezzo di pane, alle atrocità inflitte dai militari nazisti. Il racconto scorre in un avvicendarsi di avvenimenti, sentimenti, emozioni, paure descritte in modo lucido, chiaro che sembra di viverli in prima persona. Le ferite sono tante sia nell’animo sia nel corpo, proprio come il tatuaggio sul suo avambraccio sinistro A-24020, un segno indelebile col quale è stata marchiata per diventare un numero, uno dei tanti “pezzi” per la macchina da sterminio del Reich.

La storia potrebbe essere uguale ad altre tragiche vicende accadute durante la deportazione. Ma a renderla unica, sono le emozioni che il racconto suscita, generate dal desiderio e dalla forza di sopravvivere dell’autrice, anche quando tutto sembrava perso. Racconta: “Io ho vissuto per non dimenticare quella parte di me rimasta nei lager […] Ho vissuto per difendere e raccontare l’odore dei morti che bruciavano, per difendere la memoria dei miei cari[…]”. La sua forte determinazione infatti, unita ad una serie di fortunate coincidenze, le permettono di “tornare tra i vivi” dapprima nella sua città natale e poi in Italia scampando definitivamente la morte.

LEGGI ANCHE:

L’odio seminato nella rete: l’antisemitismo digitale

Comunicazione e Propaganda

Ma da questo momento i fantasmi del passato si fanno sempre più presenti; ed ecco che per oltre cinquant’anni, la sua storia cade nel silenzio. Nessuno conosce la sua storia, il suo dramma; Anche quel numero tatuato ha suscitato curiosità in quanti non ne conoscevano il significato. Spesso qualcuno non ci dava tanto peso. Altri non capivano. Altri ancora ridevano. Fu così che decise di far cadere nel silenzio anche quel marchio, nascondendolo sotto un cerotto e chiudendo sé stessa sempre più nel silenzio per non sentirsi diversa, osservata.

La sua vita si normalizza e nasce un figlio, Silvio, il quale interrompe quel silenzio durato una vita e incoraggia la madre a ritrovare le parole perdute. Scrive lei: “Il mio domani adesso, ha gli occhi di mio figlio!”. Ecco allora il libro, in cui Elisa ripercorre le pagine della sua storia e in cui la parola Libertà assume un ruolo predominante per la sua esistenza. Un percorso fatto di dialogo con un Dio perduto a causa dell’odio, dell’indifferenza, della disperazione, della morte. E poi ritrovato, perché spingeva le paure dal di là dei confini del male restituendole una nuova speranza di vita.

Riferimenti

Documenti correlati

Lascio che la suspense cresca, e poi dico: ‘Medicina dello stile di vita - una dieta sana a base vegetale; 30 mi- nuti al giorno di attività fisica; riduzione dello

Nome e indirizzo del datore di lavoro Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Grosseto.. Tipologia attività o settore Consulenze tecniche negli atti

•  Hai la motivazione di continuare ad imparare e a rimanere sempre aggiornato, scegliendo tu cosa approfondire!... Chi lavora

Ci spiegano che in questo progetto le regole della matematica sono risultate molto pre- ziose: le formule studiate sono state essenzia- li, e in più ne hanno imparate anche

Iscrizione al III anno della Scuola di Specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” previo trasferimento.. Essendo

2002/03 - RIQUALIFICAZIONE DELLA DIREZIONE (EDIFICIO 2) E DELLA SALA CONFERENZE (EDIFICIO 1) DI STABILIMENTO AZIENDALE A BACOLI (NA); Progettazione, direzione lavori e

Un volta stabilito che si può procedere alla donazione di sangue intero, il medico o l’infermiere procederà al prelievo di 450+/-10% mL di sangue. Questo quantitativo è

Come corollario alla regola di decomposizione, la funzione main() del linguaggio C dovrebbe limitarsi a invocare altre funzioni per l'esecuzione del programma; tranne che nei