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RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA NAPOLI NOBILISSIMA VOLUME LXXIV DELL INTERA COLLEZIONE

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Academic year: 2022

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N A P O L I

N O B I L I S S I M A

RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA

SETTIMA SERIE - VOLUME III

FASCICOLO I - GENNAIO - APRILE 2017 VOLUME LXXIV DELL’INTERA COLLEZIONE

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La testata di «Napoli nobilissima» è di proprietà della Fondazione Pagliara, articolazione istituzionale dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Gli articoli pubblicati su questa rivista sono stati sottoposti a valutazione rigorosamente anonima da parte di studiosi specialisti della materia indicati dalla Redazione.

Un numero € 19,00 - doppio € 38,00 (Estero: singolo € 23,00 - doppio € 46,00) Abbonamento annuale (sei numeri) € 75,00 (Estero: € 103,00)

redazione

Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Fondazione Pagliara, via Suor Orsola 10 80131 Napoli

seg.redazionenapolinobilissima@gmail.com

amministrazione

prismi editrice politecnica napoli srl via Argine 1150, 80147 Napoli direttore

Pierluigi Leone de Castris

direzione Piero Craveri Lucio d’Alessandro Ortensio Zecchino

redazione Giancarlo Alfano Rosanna Cioffi Nicola De Blasi Renata De Lorenzo Carlo Gasparri Gianluca Genovese Girolamo Imbruglia Fabio Mangone Riccardo Naldi Giulio Pane Valerio Petrarca Mariantonietta Picone Federico Rausa Pasquale Rossi Nunzio Ruggiero Sonia Scognamiglio

Carmela Vargas (coordinamento)

direttore responsabile Arturo Lando

Registrazione del Tribunale di Napoli n. 3904 del 22-9-1989

comitato scientifico e dei garanti Ferdinando Bologna Richard Bösel Caroline Bruzelius Joseph Connors Mario Del Treppo Francesco Di Donato Giuseppe Galasso Michel Gras Paolo Isotta Barbara Jatta Brigitte Marin Giovanni Muto Matteo Palumbo Paola Villani Giovanni Vitolo

segreteria di redazione Luigi Coiro

Stefano De Mieri Federica De Rosa Gianluca Forgione Vittoria Papa Malatesta Gordon Poole

Augusto Russo

referenze fotografiche

Bad Arolsen, Residenzschloss Arolsen: p. 60 sinistra

Berlino, Staatliche Museen (su concessione dello Staatliche Museen): p. 33 sinistra Cogolludo (Guadalajara), chiesa di Nuestra Señora de los Remedios: p. 14

Dallas (Texas), Meadows Museum, Southern Methodist University (su concessione del Meadows Museum): p. 31

Düsseldorf, Goethe-Museum: pp. 55, 61 sinistra

Frankfurt, Städelsches Kunstinstitut: pp. 56, 62 destra, 64 in alto

Galleria Canesso (courtesy): p. 30 Gotha, Schloss Friedenstein: p. 63 London, Victoria and Albert Museum: p. 73 Los Angeles, The J. Paul Getty Museum: p. 18 Los Angeles, Getty Research Institute: pp. 71 sinitra, 72 destra, 75

Madrid, Fundación Casa Ducal Medinaceli:

p. 28

Milano, Museo Poldi Pezzoli: p. 29 Galleria Canesso(courtesy): p. 30 Napoli, Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III": p. 33 destra

Luciano Pedicini/Archivio dell'Arte, Napoli:

p. 4

München, Glyptothek: p. 58

Napoli, Museo storico dell’Istituto Suor Orsola Benincasa: pp. 21, 23

Napoli, Palazzo Reale: pp. 70, 72 sinistra Napoli, Società Napoletana di Storia Patria: p.

60 destra

Oldenburg, Augusteum: p. 64 in basso Mario Panarello: p. 48 in basso Paris, Musée du Louvre: p. 71 destra Parma, Galleria Nazionale: p. 32 sinistra Aniello Intartaglia, Vision Studio, Procida: pp.

40-46, 48

Roma, Museo Praz: p. 68

San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage: p. 17 Sermoneta, Fondazione Caetani (courtesy Adriano Amendola): p. 32 destra

Vienna, Kunsthistorisches Museum: pp. 16, 22 Weimar, Klassik Stiftung: pp. 59, 62 sinistra Weimar, Goethe-National Museum: pp. 52, 57, 61 destra

©per le immagini: Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo; Musei e Enti proprietari delle opere

N A P O L I

N O B I L I S S I M A

RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA

coordinamento editoriale maria sapio

art director enrica d'aguanno

grafica franco grieco

finito di stampare nel luglio 2017

stampa e allestimento officine grafiche

francesco giannini & figli spa, napoli

arte’m

è un marchio registrato di prismi

certificazione qualità ISO 9001: 2008 www.arte-m.net

stampato in italia

© copyright 2017 by prismi

editrice politecnica napoli srl tutti i diritti riservati

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Sommario

5 Memoria di un ricco beccaio: Marco di Lorenzo tra Masaniello e i viceré. 1 Luigi Coiro

15 I tituli di Ribera. Pittura e filologia al tempo del terzo duca d’Alcalá Francesco Saracino

27 «Non haver mai retratto homo al mondo più al naturale di questo».

Considerazioni su Ribera ritrattista e alcuni documenti inediti Francesco Lofano

39 I disegni preparatori per il Cristo morto di Carmine Lantriceni Stefano De Mieri

53 Ut pictura poesis: riflessioni su Tischbein, Goethe e i compagni tedeschi tra Roma e Napoli

Rosanna Cioffi

69 «Tolto dall’antico» e non solo: Elie-Honoré Montagny e le sue fonti. 2 Ornella Scognamiglio

79 Note e discussioni

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1. Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, Uccisione di don Giuseppe Carafa. Napoli, Certosa e Museo di San Martino.

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«Tal fero torna a la stagione estiva / Quel, che parve nel gel piacevol angue, / Così leon domestico riprende / L’innato suo furor, s’altri l’offende». I quattro versi della Gerusalemme liberata che concludono l’ottava ottantacin- quesima del canto primo, ne Lo Tasso napoletano di Ga- briele Fasano (1689) sono ‘votati’ a llengua nosta a questo modo: «Cossì lo serpe nò nsà fa despietto / Lo Vierno, ma po sarvate la State! / Marchetiello ammanzette no lione, / Ma accise a chi frosciaile lo cauzone». Dalle note o schiarefecaziune al testo si apprende che «Marco de Lau- rienzo allevò un lione che da tutti come un agnello veni- va trattato, ma pure ammazzò un ragazzo che voleva con una cannuccia tastarli troppo addentro quel servizio, e per tal cagione lo fece uccidere»1.

Il personaggio evocato nei versi di Fasano doveva essere tanto celebre nella Napoli di fine Seicento che la nota si limita a restituirci il nome completo, oltre al tragi- co (o tragicomico) episodio con protagonisti il leone ad- domesticato e il giovane che incautamente ne risvegliò la ferinità. Nel commentare questo passo Benedetto Croce annota che il felino «era in casa di Marco di Lorenzo, un ricco popolano che esercitava l’industria del beccaio e fu poi benemerito per fondazione di opere pie»2; mez- zo secolo prima Bartolomeo Capasso sottolineava che le

«grandi e straordinarie ricchezze» che il macellaio si era procurato «cogli onesti guadagni del suo mestiere» era- no ancora «tradizionali nella memoria del popolo»3.

Questi aspetti della vita del di Lorenzo, divenuti leg- gendari nell’immaginario collettivo partenopeo4, emer- gono, assieme al suo coinvolgimento nei tumulti del 1647-48, dalle cronache del tempo riscoperte tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, quando, non a

caso, si concentra l’interesse per il personaggio5, ‘coin- volto’ tra 1913 e 1914 persino in una disputa letteraria consumatasi attorno alla datazione di alcune delle «tor- mentate ottave» della Storia di cient’anne arreto del poeta Velardiniello: versi ritenuti da Ferdinando Russo anoni- ma interpolazione di fine Seicento contrariamente a Cro- ce, il quale in un primo momento contestò, tra le varie

«congetture» di Russo, che «coi “pisciavinnole e buccie- re” dell’ottava 23°» fossero da intendersi Masaniello e

«Marco di Lorenzo o il garzone beccaio che tagliò la testa a don Peppe Carafa»6.

Al prevalere dell’attenzione per il virtuoso impiego che fece delle sue favolose fortune su quella per l’impli- cazione nelle vicende rivoluzionarie contribuì lo stesso di Lorenzo, vivendo «con molta modestia, non lascian- do mai il suo mestiere alla strada di Toledo, splendido, caritativo col prossimo e con li signori viceré assai più liberale, e verso li nobili ed ignobili poveri, a segno che tutti li viceré furono suoi amici per la sua onesta libera- lità e vita»7. Lo testimonia anche il ‘forestiero’ Mantegna (1672), raccontando come nel Regno di Napoli corresse

«in vantaggio in quel tempo una costellazione, che potea per li negozianti chiamarsi del Secolo d’oro»: tra i «mol- ti gionti dal privato negozio à feudi cospicui» e ad «im- mense ricchezze» era anche

Marco di Laurenzo, che non sdegnando il natale di ma- cellaio, benché barone di cinquecento mila docati d’avere, vedesi spesso nell’ordinario macello, mentre colla moralità dell’Imperiale Eletto Volgesio, quale dicea sempre esserne stato già carrettiero, mostra le grandezze d’un Cesare nelli duoni continui; correndo voce, che già donati ottanta mila

Memoria di un ricco beccaio: Marco di Lorenzo tra Masaniello e i viceré. 1

Luigi Coiro

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scudi ad un nipote, doni il resto alla Maestà di Carlo Se- condo Regnante8.

A proposito della «nuova legittimazione del merito e dell’“industria” circola[nte] anche in altre espressioni

“minori”, per così dire, della cultura napoletana degli ultimi decenni del Seicento», Aurelio Musi ha sottoline- ato «l’interesse per “le virtù mercuriali”» presente nel- la Relatione della morte e funerali di Marco di Lorenzo, «da umile macellaio asceso all’acquisizione di un patrimonio di oltre 500.000 ducati e al baronaggio»9. In questo testo, ovviamente encomiastico, si esaltano le opere di bene- ficenza, «la modestia dei natali, il merito e l’avvedutez- za del di Lorenzo, passato con un capitale iniziale di 14 ducati ad essere uno degli uomini più ricchi di Napoli», ponendo l’accento sul fatto che il mercante

non solo non mostrò di recarsi a vergogna del suo anti- co e basso esercitio, ma di esso onorandosi, non lasciò mai di non farsi vedere su quella banca di macellaio, da lui tenuta in tempo della sua tenue fortuna, viepiù pregiandosi di comparire assiso in essa che mai altro nobile nel suo riguardevole Sedile, e con ragione perché già da lui nobilitato, eragli anzi sede di acclamatione, che d’improperio10.

Il macellaio, dunque, non volle mai allontanarsi «da quella chianca, dove fu la sua buona fortuna formata»11, come non manca di rimarcare anche il poco noto Elogio di Marco, o sia Marchetiello di Lorenzo Beccajo contenuto in uno degli esemplari del manoscritto Causa di Stravaganze di Aniello della Porta:

Sedate le turbolenze attese al suo solito mestiere nella sua beccaria nella strada della Galitta incontro il palagio del Conte di Mola, in dove di continuo stava seduto in una sedia di cuojo, con un cappello di tesa d’oro in testa, tutto ingiojellato nell’orlo, e con un centiglio similmente tutto ingemmato di un valore inestimabile, ed ivi godeva il corteggio de’ primi signori della Città, che gli vivean obligati, per aver lui trovato continuo presidio ne loro più urgenti bisogni12.

Manca nell’elogio la «disposizione malevola» che Della Porta è solito riservare ai capi popolo13 nonostante di Lorenzo, che «nel tempo delle rivoluzioni si ritrovò ne Quartieri del Popolo, dal quale fu sempre tenuto in venerazione grandissima», fosse «Guisardo di fazzione [cioè seguace del duca di Guisa] e da questo teneramen- te amato»14. Altrove il giudizio è più sibillino. Secondo De Santis, il «macellaio, che col fornir di carne le galere, s’era fatto facultoso, e mediante sue ricchezze, Capitano della Grascia di Napoli, (…) stava in questo tempo [di ri- volta] tra ’l Popolo in mercato, per aiutare i suoi interessi, e sotto questi, quelli del Re»15.

Del resto contraddittori, e raramente alla luce del sole, erano gli intenti di molti attori della rivoluzione che scosse Napoli e le province tra il luglio del 1647 e l’aprile dell’anno successivo. Il clima di generale sospetto acuito- si dopo l’assassinio di Masaniello non favoriva la coesio- ne tra le varie anime dei rivoltosi, inquinate peraltro dalla presenza di individui o gruppi che parteggiavano per i propri interessi: il collante tra la difesa dei nuovi capitoli (facente capo a Genoino), una più radicale avversione alla Spagna e tendenze repubblicane o filo-francesi si incarnò pertanto nella diffusa avversione per il baronaggio16.

Di Lorenzo divenne uno dei protagonisti degli eventi rivoluzionari forse suo malgrado, e perciò in modo qua- si ‘occulto’. I disordini turbavano i traffici e l’abolizione delle gabelle rischiava di far perdere agli investitori ren- dite e capitali17. Inoltre il macellaio, che almeno dal 1645 era «capitano della grascia di Terra di Lavoro»18 – carica inerente «[al]l’estrattione de’ cavalli et altre prerogati- ve»19 – non dovette vedere di buon occhio che Masaniello disponesse delle cose «tanto appartenenti alla giustizia, quanto alla guerra, alla grascia, et ogn’altro comando di prencipe assoluto»20 e se non congiurò per toglierlo di mezzo, fu forse sollevato, almeno sulle prime, dalla dipartita del capopopolo e dal possibile ripristino di un ordine favorevole ai suoi interessi. Quanto questa aspi- razione seguisse in di Lorenzo un preciso disegno, un barlume di ideologia o la ferina necessità di adattarsi al mutare delle situazioni è difficile a dirsi e, anche adot- tando il metro del tornaconto personale, la sua condotta tra il 1647 e il 1648 resta enigmatica.

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| 7 Nel febbraio del 1648 «Marchetiello de Lorenzo (…) si

trovava nella parte del Popolo»,

il che non fu senza qualche misterioso fine, poiché que- sto, essendo facoltosissimo, teneva comprato un officio di ventimila docati di valore che si chiama il capitano della Grassa et era ben visto dalli signori viceré, splendido nel- le sue attioni e conseguentemente amico di tutti li mini- stri supremi e ben visto poi dal conte d’Ognatte e però si fece congettura che non fusse a caso la sua passata dalla parte regia in quella del Popolo21.

Lo stesso Fuidoro, alias Vincenzo D’Onofrio, aveva già messo in dubbio la genuinità di questa ‘conversio- ne’ – «diede maraviglia a’ giudiziosi» – essendo di Lo- renzo «tra’ fedeli del Re, amato da’ passati viceré e da successori capitani generali del Regno per essere huomo ricco, senza figli, pronto ad ogni bisogno regio (…) sì che si può credere che non fu senza qualche intendenza de’

regii la passata sua alla parte popolare»22. La sovrapposi- zione tra interessi personali e regii pare qui adombrare, più esplicita che in De Santis, una sotterranea strategia filo-spagnola: tratto caratteristico dell’agire politico di quegli anni, la dissimulazione era tanto diffusa ad ogni livello in tempi di rivolta da rendere ardua «l’individua- zione delle più profonde speranze di alcuni dei prota- gonisti»23. Per determinare però almeno le circostanze che portarono di Lorenzo al centro dell’agone occorre risalire al luglio del 1647, quando, racconta Capecelatro,

«presero, tantosto che seguì la morte di Maso Anello, gli stessi popolari, la madre, la moglie, il fratello, ed un com- pare di lui, e la madre del Vitale suo segretario, e li con- dussero obbrobriosamente prigioni nel castel Nuovo». Le donne furono affidate al Genoino,

ed il fratello, ed il compare rimessi in libertà, ma con con- dizione, che detto suo fratello nomato Giovanni, stesse presso la persona di Marco di Lorenzo, ricco mercatante popolare, il quale aver dovesse di lui cura, acciò per sua causa nuova rivolta non si cagionasse: lo che partorì poi grave danno a Marco, perciocché giudicando il Duca di Maddaloni, che Giovanni avesse dato in suo potere le

sue vasellamenta d’argento, che, come lui diceva, eran di valore di ben diecimila scudi, ne’ terzi rumori, che so- pravvennero, chiedendole a Marco, né restituendocele, gli predò i suoi armenti sul territorio capuano, e gli fece altri gravissimi danni24.

Secondo Buragna fu per espresso ordine del viceré che «fue el Iuan de Amalphi encomendado à Marcos de Lorenço, paraque le guardase en su casa, tractandole y regalandole lo meyor que fuese posible»; e di «algunos despropositos» così come di qualche proposito (o «fin- gida pretencion») di Giovanni, il duca d’Arcos «quedava tambien enterado del mismo Marcos de Lorenço»25.

Questo ruolo, defilato e quasi super partes, fu messo in crisi non dalla ritorsione dei popolari bensì da quella di Diomede Carafa, duca di Maddaloni, «doppiogiochista turbolento»26.

Nel maggio del 1647 il duca e il fratello Giuseppe erano stati imprigionati poco dopo l’esplosione dell’am- miraglia della flotta spagnola nel porto di Napoli: due episodi probabilmente legati da una tentata congiura fi- lo-francese27. Allo scoppio dei tumulti,

posto in consulta il modo di uscire di tanto travaglio, fu concluso che non era miglior partito che liberar di prigio- ne il Duca di Matalone di casa Carrafa, huomo tenuto in gran credito dal popolo, come quello, che si faceva rispet- tare tenendo sequela di huomini da fattione. Chi propose questo partito, hebbe per oggetto, ò di quietare il popolo, ò di farlo amazzare, et così liberarsene28.

I tentativi di negoziazione, vertenti sull’esibizione al popolo di un privilegio originale di Carlo V, furono per- cepiti come provocatoria simulazione e il duca fu arresta- to da Masaniello contro il quale, appena fuggito, sguin- zagliò sicari e agitatori29; il risentimento dei rivoltosi per il duca – «gran tiranno, amico di banditi, sanguinario, protettore de sicari» e partecipe dei «furti di denari fatti da ladroni di strada da lui protetti»30 – si riversò il 10 lu- glio su don Peppe Carafa, la cui testa mozzata in piazza Mercato divenne il principale tra i macabri trofei della furia popolare: un episodio centrale della rivoluzione,

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immortalato da Micco Spadaro in un celebre dipinto del Museo di San Martino (fig. 1)31.

«Vedendo il Duca d’Arcos, ch’il negotio pigliava mala piega verso i Spaguoli, procurò, per conseguir la quiete, di frapporvi il signor Cardinale Filomarino Arcivescovo»32, il quale, come racconta egli stesso al papa, si adoperò innan- zitutto per impedire che continuassero ad essere «di gior- no e di notte arse e divorate dalle fiamme le più preziose suppellettili di questa città, cavate impetuosamente dalle case di molti particolari, che avevano avuto maneggio nel- le gabelle e imposizioni»33. Nelle fiamme incorreva non di rado anche «gran quantità di polise, che importavano una grossa esattione» e il cardinale riuscì solo in parte a pro- teggere i beni dei trentasei «cavalieri» finiti nel mirino del popolo, tra i quali, ovviamente, Diomede Carafa34.

Masaniello infatti ordinò di prelevare «tutte le rob- be» dal palazzo del duca nel rione Stella – «il carreggio durò tre giorni continui» – e di condurle al Mercato «non volendo più che s’abbruciassero, perché diceva volerle convertire in denari, e mandargli à Sua Maestà in sus- sidio delle guerre»35. Solo parte del bottino, quantificato in poco meno di un milione di scudi, fu poi recuperata36. Non è noto se Carafa – la cui testa era fra le immancabili richieste del popolo, assieme a quella «del suo allontana- mento da Napoli e della sua esclusione da ogni ufficio»37 – avesse ragione a ritenere di Lorenzo responsabile de- gli argenti sottrattigli; di certo la razzia di bestiame con cui pensò di rivalersi sul macellaio gli si ritorse contro e Di Lorenzo reagì un po’ come avrebbe fatto il suo leone nell’aneddoto messo in versi da Fasano38.

Durante i mesi di agosto e settembre i rivoltosi con- trollavano gran parte della città e impedivano l’afflusso di rinforzi spagnoli dai territori circostanti39. Con l’arrivo di don Giovanni d’Austria e i bombardamenti spagnoli dei primi di ottobre le vie diplomatiche alla soluzione del conflitto si assottigliarono ulteriormente, mentre i baroni, su appello del duca d’Arcos, fronteggiavano la rivolta nelle province. Alla testa di una parte delle trup- pe baronali, cui aveva contribuito con più di un quarto degli uomini ed oltre un quinto della cavalleria, il duca di Maddaloni sottomise Capua ed Aversa tagliando la via dei rifornimenti agli insorti napoletani e dirottando

alla fedele Pozzuoli il necessario all’approvvigionamen- to delle truppe governative40.

Il 18 ottobre Vincenzo Tuttavilla, comandante dell’e- sercito dei baroni, lungo il tragitto da Pozzuoli ad Aversa occupò Marano, «in cui stavano li popolari, ma prose- guendo la mattina seguente il suo viaggio, diede in una imboscata di gente del popolo, et di quelli di Marano stesso»: tuttavia «haveva prima dell’arrivo del Tuttavilla il Duca di Matalone afogata qualche portione di sdegno, che teneva co ’l popolo, facendone sfrigiar molti, ad altri, che sospettava più colpevoli, haveva fatti tagliare il naso, e l’orecchie»41. Il 20 di ottobre Tuttavilla inviò da Pozzuo- li centocinquanta cavalli

per avere nelle mani un tal capo dei popolari, che dimo- rando alla selva detta comunalmente la Paneta, cercava impedire e rompere la strada che giva da Aversa a Poz- zuoli. Ma non trovando colà niuno, vi ritrovò in sua vece cento cinquanta vacche e molta quantità di vino che vo- leva condurre nei quartieri contumaci ove egli dimorava Capitan Marco di Lorenzo ricchissimo macellaio42.

Non a caso De Santis – che riferisce di «dugento cin- quanta vacche» – annovera di Lorenzo tra i popolari pro- prio nel riportare questo episodio43. Appena dopo la pro- clamazione della Repubblica da parte di Gennaro Annese e la riconferma della taglia sul capo di Diomede Carafa con un bando di Marc’Antonio Brancaccio44, si arrivò a una resa dei conti e il 24 ottobre il «duca di Madaloni con sua caval- leria [fu] posto in fuga da Marchetiello macellaro»45. Rac- conta Tutini che «rimasti li spagnoli in tanto poco numero che temeno di qualche accidente», il duca di Maddaloni

avisato dell’assalto che doveano dare in questa giornata li spagnoli al Vomero, lui dovette dare sopra Giugliano, come fece, con molti nobili. Et uscito da Aversa con mille cavalli, de’ quali molti se ne fuggirono dalla parte del popolo, et lo raguagliarono di quanto detto duca pensa- va di fare. Laonde Marc’Antonio Brancaccio spedì in un subito per capo un tale chiamato Marchetiello, figliuolo di un macellaro, giovane di spirito, con molta gente del popolo. E gionti colà e posti in ordinanza per combattere,

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| 9 la soldatesca de’ baroni e nobili, vedendo l’ordine et l’ar-

dore de’ popolari, si posero in fuga, a segno che il duca di Madaloni, marchese del Vasto, duca di Seiano, duca di Sora, et altri che vi erano, necessitati furono ritirarsi in Aversa, perché se inciampavano nelle mani di quelli sarebbero stati ben consolati46.

Di Lorenzo proseguì la sua personale battaglia anche dopo l’arrivo a Napoli, in novembre, del duca di Guisa.

All’inizio del 1648, registra Capecelatro, i banditi al se- guito del duca di Maddaloni

erano ridotti a picciolissimo numero, essendosene passati molti a servire ai popolari, ed altri posti a guardia di Te- verola, ed inviati dal Duca in custodia di Maddaloni ed Arienzo minacciati da Marco di Laurenzo, che in vendet- ta delle vacche sue predateli dal Duca diceva voler colà agire unito con Paolo di Napoli e con la sua gente47.

Di fatto in gennaio Diomede Carafa, dopo una spedi- zione contro Calvi, malgrado le sollecitazioni del Tutta- villa invece di rientrare ad Aversa raggiunse Gaeta, da dove in marzo si spinse fino a Roma, per rimettere piede a Napoli solo in novembre48.

Più che un’adesione organica del macellaio alla causa rivoluzionaria, pare qui configurarsi un’alleanza, terri- torialmente circoscritta, contro il nemico comune. Del resto, i capi della milizia popolare affermatisi nei singoli quartieri e «restii all’inquadramento in un esercito rego- lare, tendono a gestire la difesa armata, il controllo po- litico sul proprio territorio in maniera indipendente»49. In febbraio poi circolarono voci sulla morte di «Paulo di Napoli e Giuseppe de Fusco fatti strozzare dal Ghisa» e

«alcuni di genio popolare dissero che il Ghisa era intrin- seco spagnolo poiché faceva morire li capi del Popolo. Fu pubblicato che Marco de Laurienzo (…) havesse scoperto al Ghisa un tradimento patrato da Paolo et dal Fusco»50.

Di Lorenzo, in effetti, ebbe uno straordinario ascen- dente su Enrico II di Guisa. Il Duca, che tendeva a «pre- miare et ingrandire li capi del popolo di Napoli, perché questi l’haverebbero poi portato a’ suoi disegni» e, intan- to, «lo gonfiavano come pallone»51, emanò il bando del

14 febbraio 1648, con cui si ordinava a tutti gli uomini di radunarsi, armati, in piazza Mercato la sera stessa, «dal Palazzo di Marchetiello»52, dove aveva anche albergato53. Nel dicembre del 1647 Guisa aveva promesso di «risar- cire a tutti li nostri cittadini quanto hanno perduto nelle Gabelle et Arrendamenti levati, a finché il commercio universale si riduchi con maggior prestezza al pristino stato, e alla passata tranquillità»: la restaurazione di an- tichi equilibri era di certo gradita a di Lorenzo, che sen- za dubbio mirava a riconquistare le vecchie cariche, e fu forse tra gli ispiratori, alla luce di quanto si vedrà a bre- ve, anche di alcune misure, quale, ad esempio, riguardo alla riorganizzazione della giustizia, «che nelle giornate di Sabbato si trattino assolutamente cause de poveri, vi- due, miserabili persone e luoghi pii»54.

Proprio il Duca ricorda, infatti, di aver fatto pubblica- re «la viande de boucherie au rebais, suivant la coûtume du païs», aggiudicata «pour un prix fort modique, à un homme riche, qui avoit esté boucher, qui depuis plus de vingt ans, en avoit toûjours pris le parti»; e si dilunga a tal punto, da vero gourmant, su abbondanza e qualità delle carni ottenute «quasi pour rien», da far pensare fos- sero non meno questi benefici che il mostrarsi Marco di Lorenzo «fort agissante, fort entenduë et fort zélée», ad aver sopito i dubbi sul conto di «une personne de laquel- le le Peuple avoit autrefois eû quelque soupçon»55.

E infatti fu «Marco de Lorenzo, celuy qui avoit pris le parti de la viande de boucherie, qui avoit beaucoup d’amitié pour moy»56 che

nella notte fatale del 5 aprile, in cui i Spagnoli entra- rono nella Città, postosi a cavallo, andò ad incontrarlo dalla parte del Vomero per farlo avvisato a non entrare in Napoli, ed avendolo trovato, con le lagrime a gl’occhi gridò: Salvatevi, Signore, salvatevi! Povero Principe sete perduto; vi hanno tradito: i Spagnoli sono già padroni della Città. Io me ne vado alla mia casa per salvarla dal saccheggio. E dirottamente piangendo, e caramente ab- bracciandolo à tutta briglia se n’andò57.

La fuga del duca fu intercettata da Luigi Poderico che lo condusse a Capua, dove di Lorenzo

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per mostrarmi il suo zelo risolse d’azardare di mandar à sapere mie nuove, e darmene di quanto passavasi in Napoli, ed havendo incaricato di questa commissione un musico, ch’egli haveva, hebbe tal destrezza à mal grado delle mie guardie, che mi venne à trovare nella mia camera.

Segue l’enfatica descrizione della mancata resistenza della Città, «ingannata dal rumore, che havevano fatto correre, che io ero d’accordo» con gli Spagnoli e solo in seguito «disingannata per l’avviso della mia prigionia»;

e di come i napoletani, «ancora coll’armi alla mano», rinunciando «à tutte le loro pretensioni (…) si sotto- mettevano à quanto voleva il Viceré da essi purche mi mettessero in libertà»58. Simulate o meno che fossero, le speranze del capitano della Grassa avevano seguito, come un’ombra e fino alla fine, la parabola del duca di Guisa. Tuttavia, il «misterioso fine» assecondando il quale Marco di Lorenzo era passato dal ‘custodire’ il fratello di Masaniello, per volere del duca d’Arcos, al fiancheggiare le milizie popolari, resta tale, a meno di non voler credere che esso coincidesse con le mire sull’appalto della carne o col tutt’altro che segreto desi- derio di vendetta nei confronti del duca di Maddaloni.

Sarebbe troppo pensare che le schermaglie col Carafa fossero una farsa59, orchestrata per coprire una «qual- che intendenza de’ regii»60 e, al contempo, l’insistenza di più fonti su un possibile doppio gioco rafforza il so- spetto che una qualche intesa sottobanco vi fosse stata, e in base ad essa, per ipotesi, il mercante avesse otte- nuto la facoltà di proteggere i suoi interessi, contro il duca di Maddaloni o chiunque altro, in cambio di un lavoro di intelligence a favore degli Spagnoli. Altri indi- zi corroborano una simile lettura, sebbene non si pos- sa escludere una sincera adesione al progetto del duca di Guisa, più che a quello del popolo. Pur acclamato,

«Marco di Lorenzo, seu Marchetiello» rifiutò più volte la carica di Eletto del Popolo tra la fine del 1647 e il marzo del 1648 – forse dietro pagamento di lauti indennizzi61 – scusandosi «che quello non poteva accettarlo per non sapere leggere né scrivere» e con la promessa però che

«l’haverria servito in tutto quello che poteva l’Elettato

in poi»62. Inoltre non solo non subì contraccolpi con la fine della Repubblica Napoletana ma fu «ben visto poi dal conte d’Ognatte»63, viceré dai primi di marzo del 1648 (dopo la parentesi di don Giovanni d’Austria)64, e continuò a gestire la sua bottega, «insieme con la quale, si crede, dovette esercitar l’usura»65.

Fù osservato tosto dopò de’ popolari tumulti, passegiar molt’ore del giorno avanti la porta della sua casa, in traccia particolarmente delle persone civili, che in quel- la comune calamità, e suspensione di commercio, quasi tutte dir si potevano bisognose; e queste con bel garbo introducendole in casa: con la borsa non meno, che col cuore in mano, gli offeriva tutto se stesso. Per licentiarle poi con riputazione fingeva (…) con voce, da altri intel- ligibile, l’incaminamento di qualche negotio proportio- nato alla qualità di colui, col quale era osservato trattare (…), provedendo con sì destro artificio all’altrui rossore, e riparando insieme dal canto suo alla iattanza, per non perdere il merito66.

Il costante presidio della bottega, registrato unanime- mente dalle fonti, assume significati ambivalenti: osten- tazione di fissità sociale e insieme rivendicazione di ap- partenenza e negazione di subalternità, sintomo che «la

“crisi della coscienza europea” forse sta[va] investendo anche le forme del senso comune nel Mezzogiorno con- tinentale»67; ma fu, prima di tutto, il fulcro delle sostan- ze del beccaio, «acquistate col partito ch’ei teneva delle carni di tutte le Beccarie della Città, che l’apportavano continuo considerevole guadagno»68.

Ove il basso profilo tenuto da di Lorenzo schivan- do qualsiasi investitura popolare, che lo avrebbe irreg- gimentato e platealmente compromesso, non avesse rappresentato riparo sufficiente contro possibili accu- se di infedeltà, non c’era dimostrazione di lealtà più convincente che il contribuire ai bisogni dello Stato.

La parabola di Marco di Lorenzo si configura, difatti, anche come quella di una sorta di ‘figliuol prodigo’, la cui prodigalità, appunto, «non havendo figli, fu ri- conosciuta dalli Vicerè del Regno»69, e si espresse at- traverso ingenti doni al re Carlo II, «per riconoscerlo

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| 11 Padre, essendo stato visto per figlio»70. Così, tra gli

«spontanei donativi» elargiti in vita «in dimostranza di ossequiosa veneratione, ed affetto verso il suo eccel- so Monarca», non passarono certo inosservati i «docati venticinque mila per la fabbrica, ed armento d’una ga- lea»; per via testamentaria, poi, egli devolse «al Reggio Fisco più migliaia, anzi decine di migliaia [di ducati],

che doveva conseguire»71. Fu in effetti dopo la sua mor- te, con il «testamento così beninteso, che hà cagionato à tutti stupore», e col faraonico funerale che il macellaio,

«lodato et amato da tutti per menare una vita misu- rata, conoscendo se stesso e suoi natali» e già oggetto di un’aneddotica tendente al fiabesco72, divenne una figura leggendaria.

Desidero ringraziare Jacopo Curzietti e Gianluca Forgione.

1 G. Fasano, Lo Tasso napoletano zoè la Gierosalemme Libberata de lo sio Torquato Tasso votata a llengua nosta … , Napoli, a la stamperia de Iacovo Raillardo, 1689, p. 18; cfr. ed. a cura di A. Fratta, Roma 1983, I, p. 44; II, p. 743. Questi versi sono citati a proposito dell’intento di Fasano di seguire «alla lettera l’originale tassesco, introducendovi però con felicissima congruenza un riferimento alle cronache della sua età»; F. Brevini, Le traduzioni dialettali del Tasso, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo, atti del convegno, Rende 1996, a cura di A.

Daniele, F.W. Lupi, Soveria Mannelli 1997, p. 138.

2 B. Croce, Noterelle e appunti di storia civile e letteraria napoletana del Seicento, in «Archivio storico per le province napoletane», L, 1925, p. 25. «Ci si consenta di fantasticare un nesso tra il primo leone li- gneo del presepe napoletano e il ricordo, vivo per anni a Napoli, d’un vecchio, rimbecillito e quasi paralitico leone che (incredibile ma vero) negli ultimi decenni del Seicento un macellaio chiamato Marco di Lorenzo portava al guinzaglio per le vie della città»; F.

Nicolini, Il presepe napoletano (1930), cons. in F. Mancini, Il presepe napoletano: scritti e testimonianze dal secolo XVIII al 1955, Napoli 1983, p. 194.

3 B. Capasso, La famiglia di Masaniello: episodio della storia napoleta- na nel secolo XVII, Napoli 1875, p. 32.

4 È citato, ad esempio, nel terzo e conclusivo atto della comme- dia La moneca fauza o La forza de lo sango (1726) di Pietro Trinchera (Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, ms. XXII, D.26, f. 108). Il manoscritto, riscoperto da Croce, oltre che varie edizioni a stampa vanta un riscrittura di Eduardo De Filippo; G. Cicali, Eduar- do adattatore e “traduttore” di Trinchera, in Eduardo De Filippo e il teatro del mondo, atti del convegno, Napoli 2014, a cura di N. De Blasi, P.

Sabbatino, Roma 2016, pp. 195-206.

5 Agli inizi del secolo scorso gli risulta già intitolata una traversa di corso Garibaldi che ancora oggi reca il suo nome; R. Parisi, Cata- logo ragionato dei libri registri e scritture esistenti nella sezione antica, o prima serie dell’Archivio municipale di Napoli (1387-1806), III, 2, Napoli 1920, p. 160.

6 B. Croce, Recensione a Ferdinando Russo, Il poeta napoletano Ve- lardiniello e la Festa di S. Giovanni a Mare (1913), in «Giornale storico della letteratura italiana», LXII, 1913, pp. 416-420. L’anno dopo Croce riprendeva l’argomento sulla scorta di «una nuova versione della Storia di Velardiniello», pubblicata a Venezia nel 1614. Nonostante questa edizione contempli più ottave di quella Porcelli (1789), «la mancanza delle ottave XXI e XXIII viene, allo stato degli atti, a dar ragione al Russo (…) il quale aveva scorto in quelle ottave allusio- ni al capitano di ottina Francesco Maresca (…) e alla rivoluzione di Masaniello, e supposto per ciò fossero state interpolate alla fine del Seicento»; Idem, Una sconosciuta versione della “Storia di cient’anne ar- reto” di Velardiniello, in «Archivio storico per le province napoletane», XXXIX, 1914, pp. 81-82.

7 I. Fuidoro, Giornali di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX, Napoli 1934-1943, II, a cura di A. Padula, p. 118.

8 G. Mantegna, Ristretto istorico della Città, e Regno di Napoli ..., To- rino, per Bartolomeo Zapata, 1672, pp. 565, 571; arrotondata a mezzo milione di ducati, la cifra non doveva tuttavia essere troppo inferio- re alla reale consistenza dell’intero patrimonio al suo apice.

9 A. Musi, Mezzogiorno spagnolo: la via napoletana allo stato moderno, Napoli 1991, pp. 196-197.

10 Relatione della morte, e funerali di Marco di Lorenzo, celebrati dal venerabile Monte de’ Poveri Vergognosi, dichiarato da lui erede particolare in docati ottanta mila, da impiegarsi in varie opere di pietà, data in luce per ordine degl’illustrissimi signori governatori del medesimo Monte, Napoli,

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per Luc’Antonio di Fusco, 1669, s.n.p.; cfr. A. Musi, Mezzogiorno spa- gnolo, cit., pp. 196-197.

11 I. Fuidoro, Giornali di Napoli, cit., II, p. 119.

12 A. della Porta, Causa di Stravaganze. Giornale istorico di quanto più memorabile è accaduto nelle rivoluzioni di Napoli negli anni 1647 e 1648 colla descrizione del contagio del 1656, Paris, Bibliothèque Natio- nale de France, ms. Italien 299, cc. 105v-106r.

13 Cfr. V.I. Comparato, La Repubblica napoletana del 1647/48: partiti, idee, modelli politici, in «Il pensiero politico», XXXI, 1998, 2, p. 210. Non è da escludere che questa sezione finale, contente oltre all’Elogio in questione – preceduto dal Sonetto in lode di Masaniello – quelli dedi- cati a Gaspar Roomer, Gian Camillo Cacace, Bartolomeo d’Aquino e donna Anna Carafa (G. Raynaud, Inventaire des manuscrits italiens de la Bibliothèque Nationale qui ne figurent pas dans le catalogue de Mar- sand, Paris 1882, pp. 29-30) si debba ad altro autore, trovandosi solo nell’esemplare parigino del manoscritto e non nei due custoditi a Napoli (Biblioteca Nazionale, cfr. C. Minieri Riccio, Catalogo di mss.

della Biblioteca, Napoli 1868-1869, I.1, pp. 9-28; Biblioteca teologica San Tommaso d’Aquino, cfr. Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, 99, Napoli, Biblioteca teologica S. Tommaso, a cura di F. Russo, Firenze 1981, p. 86). D’ora innanzi, ove non indicato diversamente, si intende citato l’esemplare parigino.

14 A. della Porta, op. cit., cc. 105v-106r.

15 T. de Santis, Historia del tumulto di Napoli, Leyden, nella stam- peria d’Elsevir, 1652, p. 303.

16 A. Musi, La rivolta di Masaniello nella scena politica barocca (1989), prefazione di G. Galasso, ed. cons. Napoli 2002, pp. 118-119.

17 Ivi, pp. 79, 117.

18 R. Colapietra, Dal Magnanimo a Masaniello: studi di storia me- ridionale nell’età moderna, Salerno 1972-1973, II, I Genovesi a Napoli du- rante il Viceregno spagnolo, p. 520.

19 I. Fuidoro, Successi historici raccolti dalla sollevatione di Napoli dell’anno 1647, a cura di A.M. Giraldi, M. Raffaeli, premessa di R.

Villari, Milano 1994, p. 405.

20 G.B. Birago Avogadro, Le sollevazioni di Stato, Venetia, nella stamparia del Turini, 1653, p. 247.

21 I. Fuidoro, Successi historici, cit., p. 445.

22 Ivi, pp. 405-406.

23 S. D’Alessio, La rivolta napoletana del 1647. Il ruolo delle autorità cittadine nella fine di Masaniello, in «Pedralbes», 32, 2012, p. 146 nota 48. Si pensi al libello Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto edito a Napoli nel 1641 (cfr. R. Villari, Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Roma-Bari 1987, passim), riscoperto da Croce, autore della prefazione alla ristampa del 1928, e più volte ripubblica- to anche in anni recenti (del 2014 l’ultima edizione a cura di P. Ricci Sidoni).

24 Diario di Francesco Capecelatro: contente la storia delle cose avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650 … con l’aggiunta di varii docu- menti per la più parte inediti ed annotazioni del marchese Angelo Granito, Napoli 1850-1854, I, p. 98.

25 G.B. Buragna, Batalla peregrina entre amor y fidelidad … , Man- toa Carpentana [Madrid] 1651, II, p. 4; cfr. B. Capasso, La famiglia di Masaniello, cit., p. 32.

26 R. Colapietra, Il governo spagnolo nell’Italia meridionale (Napoli dal 1580 al 1648), in Storia di Napoli, V, I, Napoli 1972, p. 236.

27 C. Russo, Carafa, Diomede, in Dizionario biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976, p. 534.

28 M. Bisaccioni, Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi … in questa seconda editione ricorretta et in molte parti accresciuta, Venetia, per Francesco Storti, 1653, II, p. 95.

29 A. Musi, La rivolta di Masaniello, cit., p. 105.

30 I. Fuidoro, Giornali di Napoli, cit., I, a cura di F. Schlitzer, p. 62.

31 C.R. Marshall, “Causa di stravaganze”: Order and Anarchy in Do- menico Gargiulo’s Revolt of Masaniello, in «Art Bulletin», LXXX, 3, 1998, pp. 478-497; I. Creazzo in Micco Spadaro: Napoli ai tempi di Masaniello, cat. mostra, a cura di B. Daprà, Napoli 2002, pp. 130-131, n. 53b. Il qua- dro rappresenta il momento in cui la testa del Carafa, «infilata in cima ad una picca, viene portata alla piazza del Mercato, davanti a Masa- niello. Il suo corpo, decapitato e mutilato di un piede, è raffigurato in un altro quadro [anch’esso nel Museo di San Martino] dello stesso pit- tore: appeso ad un’alta pertica, è al centro della vasta composizione in cui sono descritti, sulla scena della piazza del Mercato, alcuni episodi della prima fase della rivoluzione»; R. Villari, L’uccisione di Giuseppe Carafa, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. Rota Ghi- baudi, F. Barcia, II, Ricerche sui secoli XVII-XVIII, Milano 1990, p. 323.

32 G. Donzelli, Partenope liberata o vero Racconto dell’heroica risolu- tione fatta dal Popolo di Napoli … , Napoli, per Ottavio Beltrano, 1647, p. 21.

33 Lettera a Innocenzo X del 12 luglio 1647; F. Palermo, Narrazioni e documenti sulla storia del Regno di Napoli dall’anno 1522 al 1667, Firen- ze, Gio. Pietro Vieusseux, 1847, p. 382.

34 G. Donzelli, op. cit., pp. 19, 29-30; cfr. A. Musi, La rivolta di Ma- saniello, cit., p. 105.

35 G. Donzelli, op. cit., p. 47.

36 C. Russo, Carafa, Diomede, in Dizionario biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976, p. 534.

37 Ibidem; cfr. G. Donzelli, op. cit., pp. 102-104.

38 Cfr. supra, nota 1.

39 G. De Caro, Arcos, Rodrigo Ponce de León duca d’, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, p. 10.

40 C. Russo, op. cit., p. 534.

41 M. Bisaccioni, op. cit., II, pp. 133-134.

42 Diario di Francesco Capecelatro, cit., II, p. 155.

43 T. de Santis, op. cit., p. 303.

44 Diario di Francesco Capecelatro, cit., II, parte I, pp. 72, 183-184, nota LXIX.

45 C. Tutini, M. Verde, Racconto della sollevatione di Napoli accaduta nell’anno MDCXLVII, a cura di P. Messina, Roma 1997, p. 254.

46 Ibidem.

47 Diario di Francesco Capecelatro, cit., II, pp. 390-391.

48Alle perplessità sul lealismo di una simile condotta il Carafa ri- spose rendendo pubbliche le lettere inviategli quell’anno dai viceré e da Filippo IV (C. Russo, op. cit., p. 534). Pur riabilitatosi, di nuovo processato e condannato, sebbene amnistiato nell’agosto del 1658, fu confinato a Pamplona e morì a Madrid due anni più tardi (C. Russo, op. cit., p. 535).

49 Cfr. V.I. Comparato, La Repubblica napoletana del 1647/48: partiti, idee, modelli politici, in «Il pensiero politico», XXXI, 1998, 2, p. 210.

50 I. Fuidoro, Successi historici, cit., pp. 405-406.

51 C. Tutini, M. Verde, op. cit., p. 479; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, III, Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco (1622-1734), Torino 2006, p. 433.

52 V. Conti, Le leggi di una rivoluzione: i bandi della repubblica napole- tana dall’ottobre 1647 all’aprile 1648, Napoli 1983, p. 322.

53 Le memorie del fu Signor Duca di Guisa, Colonia, appresso Pietro della Piazza, 1675, II, p. 197; cfr. Les memoires de feu Monsieur le duc de Guise, seconde edition, Paris, chez Edme Martin, au Soleil d’or, et Se- bastien Mabre-Crampoisy, aux Cicognes, ruë S. Jacques, 1668, p. 402.

54 V. Conti, op. cit., pp. 212, 290; A. Musi, La rivolta di Masaniello, cit., p. 207.

55 Les memoires de feu Monsieur le duc de Guise, a Cologne, chez Pierre Marteau, 1669, pp. 263-264.

56 Les memoires de feu Monsieur le duc de Guise, ed. Paris 1668, p. 503.

57 A. della Porta, op. cit., c. 105v. Questo passo dell’Elogio è

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| 13 trascrizione alquanto fedele da Le memorie del fu Signor Duca di

Guisa, cit., II, p. 374. Direttamente dalle memoires del duca di Guisa (ed. Paris 1668) sembra invece dipendere V. Siri, Il Mercurio overo historia de’ correnti tempi, Casale, per Christoforo della Casa, 1644- 1682, XI, 1670, p. 543.

58 Le memorie del fu Signor Duca di Guisa, cit., II, p. 432.

59 L’antagonismo tra i due potrebbe precedere i fatti del 1647, se in tal senso va interpretato il curioso aneddoto su cui indugia il già menzionato Elogio a proposito del prestito di un cavallo – tramutatosi poi in un dono – al Maddaloni da parte del di Lorenzo: atto più che di liberalità quasi di sottomissione e riconoscimento della sua condi- zione di «miserabil macellajo»; A. della Porta, op. cit., cc. 105v-106r.

60 I. Fuidoro, Successi historici, cit., pp. 405-406.

61 «Non volendo accettare il carico dell’Eletto, pagando molti dena- ri Marchetiello de Lorenzo (…) si fè Donato Antonio Grimaldo, mer- cante di frisi, e panni alla Sellaria» (A. Della Porta, op. cit., Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, ms. XV.F.51, c. 113r), elet- to a fine febbraio e confermato nella carica in aprile da don Giovanni d’Austria (A. Musi, La rivolta di Masaniello, cit., p. 207, nota 89).

62 I. Fuidoro, Successi historici, cit., pp. 338, 445; cfr. G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, III, Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco (1622- 1734), Torino 2006, pp. 433, 515-516.

63 I. Fuidoro, Successi historici, cit., pp. 338, 445.

64 G. Coniglio, I viceré spagnoli di Napoli, Napoli 1967, p. 267.

65 G. Doria, Via Toledo, Cava dei Tirreni 1937, ed. cons. Napoli 1967, pp. 42-43.

66 Relatione, cit., s.n.p.

67 A. Musi, Mezzogiorno spagnolo, cit., p. 197.

68 A. Della Porta, op. cit., c. 105r.

69 I. Fuidoro, Successi historici raccolti dalla sollevatione di Napoli dell’anno 1647, a cura di A.M. Giraldi, M. Raffaeli, premessa di R.

Villari, Milano 1994, p. 338.

70 G. Mantegna, op. cit., pp. 565, 571.

71 Relatione, cit., s.n.p.

72 I. Fuidoro, Successi historici, cit., pp. 405-406. «Si dice che, aven- do trovato il suo padrone un tesoro, lui l’aiutò col sacramento di te- nerlo secreto, e li diede una sua figlia per moglie, dalla quale non ebbe figli»; Idem, Giornali di Napoli, cit., II, p. 118.

abstract

Memoir of a Rich Butcher: Marco di Lorenzo between Masaniello and the Viceroys. 1

Marco di Lorenzo was a butcher who for years held the office of capitano della grascia, a collector of tariffs on foodstuffs, in Terra di Lavoro, a farming area in Campania. He became a living legend in the collective Neapolitan imagination for his enormous wealth and the use he made of it, supporting charitable institutions and living a simple, frugal life.

Lesser known is the extent of his involvement in the 1647-48 revolution, especially after Masaniello’s assassination.

His antagonism to the fierce Duke of Maddaloni, Diomede Carafa, brought di Lorenzo, who enjoyed the trust of the viceroy, the Duke of Arcos, to often take sides with the people’s party and to forge a privileged relationship with the Duke of Guisa. In spite of this, with the overthrow of the Republic of Naples, the butcher went back undisturbed to his business dealings and continued to enjoy the favor of the viceroy.

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