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Incontro con il clero giovane presso il Museo diocesano - Trani 29 ottobre 2021

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I

NDICAZIONI PER UN CORRETTO SVOLGIMENTO DELL

ESAME DEI FIDANZATI COME STRUMENTO PASTORALE1

Incontro con il clero giovane presso il Museo diocesano - Trani

29 ottobre 2021

Sac. Emanuele Tupputi

SOMMARIO: 1. Orizzonte pastorale e finalità dell’esame dei fidanzati; 2. atteggiamenti opportuni da avere per un efficace svolgimento dell’esame dei fidanzati; 3. modalità di attuazione dell’esame dei fidanzati; 4. analisi delle domande dell’esame dei fidanzati; 5. possibili conclusioni in vista dell’ammissione alle nozze: favorevole, sfavorevole, sospensivo; 6. conclusione; 7. suggerimenti bibliografici.

1. Orizzonte pastorale e finalità dell’esame dei fidanzati

Tra gli strumenti pastorali significativi indicati dalla Chiesa nella preparazione alla celebrazione del matrimonio si pone l’EF. Esso è un adempimento giuridico e pastorale importante per accertare che nulli si oppone alla celebrazione di un matrimonio valido e lecito (cfr. CIC, c. 1066). Assicurare la valida e lecita celebrazione è uno dei doveri della cura pastorale (cfr. CIC, c. 1063) per il matrimonio. I soggetti onorati sono anzitutto coloro che sono chiamati ad ammettere ed assistere alle nozze, ossia gli ordinari del luogo e i parroci.

A tal proposito appare significativo quanto scritto in merito da Benedetto XVI in un’allocuzione tenuta il 22 gennaio 2011 alla Rota Romana. In questo discorso il papa emerito evidenziava come la dimensione giuridica caratterizza anche l’attività pastorale nella preparazione del patto nuziale:

«Tra i mezzi per accertare che il progetto dei nubendi sia realmente coniugale spicca l’esame prematrimoniale. Tale esame ha uno scopo principalmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Giuridico non vuol dire però formalistico, come se fosse un passaggio burocratico consistente nel compilare un modulo sulla base di domande rituali. Si tratta invece di un’occasione pastorale unica - da valorizzare con tutta la serietà e l’attenzione che richiede - nella quale, attraverso un dialogo pieno di rispetto e di cordialità, il pastore cerca di aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla verità su se stessa e sulla propria vocazione umana e cristiana al matrimonio. In questo senso il dialogo, sempre condotto separatamente con ciascuno dei due fidanzati - senza sminuire la convenienza di altri colloqui con la coppia - richiede un clima di piena sincerità, nel quale si dovrebbe far leva sul fatto che gli stessi contraenti sono i primi interessati e i primi obbligati in coscienza a celebrare un matrimonio valido».

Il CIC circa l’EF al c. 1067 demanda alle Conferenze episcopali la redazioni di norme in merito agli adempimenti canonici da osservarsi prima della celebrazione delle nozze, in primo luogo proprio per quanto concerne l’esame dei fidanzati. La Conferenza Episcopale Italiana ha provveduto con il Decreto Generale sul Matrimonio Canonico, entrato in vigore il 17 febbraio 1991 (=DGMC). Dell’esame dei fidanzati e del suo contesto trattano l’art. 10 e la prima parte dell’art. 11. In primo luogo il Decreto dichiara lo scopo dell’esame: esso è funzionale a garantire la libertà e l’integrità del consenso e la sua efficacia giuridica per assenza di impedimenti o condizioni:

«L’esame dei nubendi è finalizzato a verificare la libertà e l’integrità del loro consenso, la loro volontà di sposarsi secondo la natura, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio, l’assenza di impedimenti o di condizioni» (art 10).

1 Per l’elaborazione di questo testo si è fatto riferimento ad alcuni testi sul tema del prof. Paolo Bianchi citati nelle note che seguono e nella bibliografia di riferimento. Il lavoro è diviso in due parti: nella prima parte vengono offerte alcune indicazioni e riflessioni circa il significato dell’esame dei fidanzati (=EF); nella seconda parte vengono analizzate le singole domande di cui è composto l’EF.

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L’EF è uno strumento, dunque, di grande importanza sia per il fine cui è indirizzato, che per il metodo secondo cui si svolge. È volto a sollecitare, attraverso un franco dialogo, un’esplicita presa di coscienza e di responsabilità da parte dei nubendi (cfr. Francesco**). Il Decreto prosegue indicando alcune modalità che debbono caratterizzare l’esame:

«L’importanza e la serietà di questo adempimento domandano che esso sia fatto dal parroco con diligenza, interrogando separatamente i nubendi. Le risposte devono essere rese sotto vincolo di giuramento, verbalizzate e sottoscritte, e sono tutelate dal segreto d’ufficio» (art. 10).

Nel primo paragrafo dell’art. 11 del Decreto generale esaurisce la trattazione circa l’esame dei fidanzati, offrendo una indicazione circa il contesto pastorale in cui esso deve essere collocato:

«Gli incontri personali del parroco con i nubendi non siano limitati a quelli necessari per l’esame. Affinché questo adempimento, in coerenza con la sua rilevanza giuridica, acquisti pieno significato pastorale, occorre che sia accompagnato da altri colloqui, soprattutto quando si tratta di fidanzati che ancora presentano carenze o difficoltà nella dottrina e nella pratica cristiana».

In quest’ultimo testo si può notare come l’aspetto giuridico e quello pastorale non vengono intesi come in contrapposizione reciproca, come purtroppo talvolta viene prospettato, per la verità più sulla base di facili suggestioni che di una rigorosa riflessione critica: l’aspetto giuridico, invece, viene proposto come una dimensione della cura pastorale, che evidentemente non può essere concepita in termini estemporanei e individualistici, ossia senza regole e senza preoccupazione per i riflessi comunitari delle decisioni sia dei singoli che dell’autorità2.

In questo senso, appare assai utile considerare come un successivo documento della CEI, il Direttorio di pastorale familiare, presenta l’esame dei fidanzati. Inquadrandolo nel tema più complessivo del rapporto e dei colloqui dei prossimi coniugi col parroco, il Direttorio precisa:

«Particolare cura sia riservata all’esame dei nubendi, il quale, di norma, conclude la preparazione immediata al matrimonio e suppone la conclusione dell’itinerario o corso per i fidanzati. Finalizzato a verificare la libertà e l’integrità del consenso, la volontà di sposarsi secondo la natura i fini e le proprietà essenziali del matrimonio, l’assenza di impedimenti e di condizioni, questo esame sia fatto dal parroco “con diligenza, interrogando separatamente i nubendi”3. Esso sia pure valorizzato e vissuto da parte del presbitero insieme con ogni fidanzato come momento significativo e singolare di discernimento sapienziale circa l’autenticità della domanda religiosa del matrimonio e la maturazione avvenuta soprattutto in ordine alla volontà di celebrare un patto coniugale come lo intende la Chiesa»4.

- Finalità dell’EF

Da quanto sin ora esposto si evince che lo scopo di questo colloquio è quello dell’ammissione al matrimonio da parte della competente autorità ecclesiale, attuata però sulla base di una ragionevole previsione che le persone interessate siano in grado nonché intenzionate a esercitare rettamente il loro diritto al matrimonio (ius connubii)5 tramite una «valida e lecita celebrazione delle nozze». Detto altrimenti, lo scopo di questa verifica è quello di assicurare l’autenticità del consenso matrimoniale, oppure di verificare la libertà e l’integrità del consenso dei nubendi 6 . L’EF, dunque,

è «un’occasione pastorale unica» che non va ridotta alla burocratica compilazione di un modulo.

2 Cfr. BIANCHI P., «L’esame dei fidanzati: disciplina e problemi», in Quaderni di diritto ecclesiale 15 (2002), 358-359.

3 Il Direttorio fa espresso riferimento all’art. 10 del DGMC.

4 CEI, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della famiglia”, Roma 1993, n. 66.

5 Appare opportuno evidenziare che l’esercizio del diritto al matrimonio: «presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza [...] Lo ius connubii [...] si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio». Pertanto, soltanto se vi sono la capacità e la volontà del soggetto di realizzare la verità del matrimonio nella sua realtà naturale esiste propriamente un diritto al matrimonio, che possa dunque essere efficacemente attuato nell’ordinamento canonico. In tale impostazione, appare chiaro che un diritto pur così originario per la persona quale quello al matrimonio non può né essere ridotto alla dimensione puramente soggettiva, né astrarre dalla sua funzione relazionale (verso l’altro soggetto interessato) e comunitaria (verso il resto della comunità, umana ed ecclesiale). Fondare il diritto al matrimonio sulla “verità” del matrimonio significa in altre parole basarlo sugli aspetti inderogabili della sua

“natura”, che si desume dalla verità antropologica della complementarietà fra uomo e donna. In altre parole, è solo in relazione al suo contenuto6 che si può pensare sensatamente all’esercizio dello ius connubii: cfr. BIANCHI P., « L’esame dei contraenti come strumento pastorale», in H. FRANCESCHI (ed.), Matrimonio e famiglia. La questione antropologica, Roma 2015, 337.

6 Circa l’attenzione da avere nei confronti dei futuri nubendi e l’assicurarsi l’autenticità del loro consenso matrimoniale illuminanti appaio le parole di Francesco espresse in AL 209, in cui scrive: «I fidanzati dovrebbero essere stimolati e aiutati a poter esprimere ciò che ognuno si aspetta da un eventuale matrimonio, il proprio modo di intendere quello che è l’amore e l’impegno, ciò che si desidera dall’altro, il tipo di vita in comune che si vorrebbe progettare. Queste conversazioni possono aiutare a vedere che in realtà i punti di contatto sono scarsi, e che la sola attrazione reciproca non sarà sufficiente a sostenere l’unione. Nulla è più volubile, precario e imprevedibile del desiderio, e non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite altre motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità».

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Perché tale riduzione, concettuale e pratica, possa essere evitata è necessario affrontare, da parte dei pastori, ed aiutare ad affrontare, da parte del fidanzati, questo passaggio della loro preparazione in modo adeguato e con opportuni atteggiamenti.

2. Atteggiamenti opportuni da avere per un efficace svolgimento dell’EF

Avendo ben a mente che l’EF costituisce il momento chiave della verifica previa all’ammissione al matrimonio affinché sia efficace sarà fondamentale mettere in atto degli atteggiamenti e/o attenzioni particolari:

1. Diligenza

Tale atteggiamento, richiesto a chi conduce l’EF, indica il senso di intelligente responsabilità con cui si debbono adempiere gli obblighi inerenti ad un ufficio. Chi compie l’EF, dunque, non è il puro esecutore materiale, bensì colui che ha a cuore il rispetto e la preoccupazione per il bene delle persone a favore delle quali svolge il proprio ufficio.

2. Dialogo rispettoso e cordiale

Qualificare l’esame di nubendi come “dialogo”, significa porre in luce che in esso si deve verificare un’autentica comunicazione, un vero scambio di idee, sotto forma di precise domande e di chiare risposte. Un dialogo dove la presa di posizione dell’interpellato viene sollecitata con pazienza e con attenzione per coglierne con precisione e obiettività i veri intendimenti in ordine al matrimonio - per questo si parla di “rispetto” - nonché nel quale si manifesta che si è guidati da una reale preoccupazione per il bene dell’altro.

La “cordialità” che viene richiesta, infatti, al di là dell’educazione e cortesia nel tratto, sta a indicare che all’interrogante, il quale rappresenta l’autorità ecclesiale, importa, sta a cuore, interessa realmente che la persona che chiede il matrimonio canonico possa entrare in questo istituto nel modo migliore possibile.

La prassi giudiziaria - nella quale usualmente viene acquisito agli atti di una causa di nullità matrimoniale il fascicolo di preparazione alle nozze, nel quale è contenuto il verbale dell’esame dei fidanzati, che viene fatto oggetto nella deposizione di approfondimento e verifica con le parti - mostra purtroppo che, con una certa frequenza, in quella occasione un vero dialogo non si è realizzato.

O perché in realtà si è realizzato un monologo, dove l’interrogante ha posto le domande ma anche date le risposte; oppure perché nemmeno le domande sono state proposte, limitandosi a far sottoscrivere un modulo precompilato; oppure, ancora, perché lo stile burocratico con il quale l’esame è stato condotto non ha consentito alcun approfondimento.

3. Aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla verità su se stesse e sulla propria vocazione umana e cristiana al matrimonio

Quello di realizzare un vero confronto in vista di una scelta consapevole e sincera è un obiettivo pastorale di singolare importanza in ordine a una decisione così rilevante e gravida di conseguenze quale quella di contrarre matrimonio.

Il dialogo fra il pastore e il nubendo «richiede un clima di piena sincerità», che può essere favorito nelle persone interessate dalla presa in considerazione che «gli stessi contraenti sono i primi interessati e i primi obbligati in coscienza a celebrare un matrimonio valido». Non deve sfuggire la rilevanza di questo richiamo alla verità, verità sulle proprie reali disposizioni e verità circa lo stato di vita nel quale si chiede di fare ingresso, perché l’amore per la verità, la sua sincera ricerca e l’obbedienza alla verità (di fatto, storica, ma anche dottrinale) sono il vero punto di raccordo fra diritto e pastorale7.

4. Sottolineare chiaramente la serietà dell’esame

Segno di rispetto per la persona, ma anche attenzione funzionale al migliore svolgimento del colloquio pastorale di verifica dell’autenticità del consenso è aiutare l’interessato non solo a sentirsi a proprio agio e a potersi esprimere liberamente, ma anche a cogliere l’importanza dell’atto che si sta per compiere. Se il

7 Cfr. BIANCHI P., « L’esame dei contraenti come strumento pastorale», 340.

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soggetto viene avvertito del rilievo personale e giuridico del colloquio di ammissione al matrimonio, è pure posto in condizione di parteciparvi con maggiori consapevolezza e serietà.

Tre adempimenti sono importanti per sottolineare la serietà dell’EF. In primo luogo, la formale verifica della identità dei nubendi.

Tale verifica può aiutare il soggetto a rendersi conto che si tratta di un atto ufficiale, importante, nel quale la sua persona e la sua responsabilità sono coinvolte in modo formale e pubblico, tanto da dover accertare che proprio di lui e non di altri si tratti.

In secondo luogo, può essere assai opportuna una breve spiegazione del contenuto e della funzione dell’esame. Se la persona è informata chiaramente di cosa si va a fare, si sente trattata con chiarezza e rispetto ed è facilitata a porsi in una posizione di collaborazione e di sintonia. In terzo luogo, sottolinea l’importanza dell’esame il fatto del giuramento iniziale.

5. Condurre il colloquio con atteggiamento maieutico

Tale indicazione, come si può facilmente intuire, vuole indicare la paziente opera di chi conduce il colloquio di verifica nell’aiutare la persona interrogata a esprimere sinceramente i propri punti di vista e le proprie decisioni in ordine al contraendo matrimonio. In una parola, a esprimere “veramente” e

“autenticamente” quali sono i contenuti della sua volontà e del suo progetto matrimoniali. Non sempre ciò avviene subito e spontaneamente.

Chi interroga, dovrà quindi cercare di intuire la condizione psicologica e culturale di chi risponde, aiutando altresì ad andare al di là dei luoghi comuni, della superficie, per far emergere quello che è il vero sentire della persona. Occorre non dimenticare che la verifica dell’autenticità del consenso deve portare la persona a esprimere il proprio progetto nuziale e non solo delle opinioni generiche. In altre parole, si dovrà far emergere la sua disposizione nei confronti del matrimonio.

6. Calibrare con oculatezza le reazioni di fronte a passaggi critici

Con l’espressione “passaggi” critici si intende l’emersione, nel corso del colloquio di verifica, di fenomeni come: dichiarazioni non molto chiare per esempio circa la caratteristica della indissolubilità, della procreazione o della fedeltà nel matrimonio; oppure pressioni o condizionamenti, cui il soggetto si senta sottoposto; oppure la manifestazione di un dubbio verso l’altra persona o la confessione di averle tenuto nascosto qualche cosa di importante in ordine al matrimonio e in vista di esso. Tali incertezze non necessariamente devono essere interpretate come motivi di nullità del matrimonio stesso, tuttavia potrebbero essere dei presupposti su cui un domani, dopo debiti approfondimenti e accertamenti, riconoscere una base effettiva per una causa di nullità. Pertanto, di fronte a simili eventualità l’esaminatore si deve muovere con grande cautela e prudenza.

Verificare se le concezioni non chiare o incerte circa la sostanza o le proprietà del matrimonio influiscano o meno sulla volontà consensuale e se non sia possibile giungere a una loro modifica;

indagare da chi vengano eventuali pressioni e se esse siano determinanti nell’accedere al matrimonio;

appurare se ai dubbi nei confronti dell’altra persona sia stata legata qualche riserva o condizione, e se tutti questi fatti ossia dubbi, eventuali riserve o condizioni non possano essere chiariti e rimossi;

precisare cosa sia stato taciuto e perché e se non sia possibile un chiarimento in merito con l’altra parte.

7. Porre debita attenzione ad alcune possibili indizi di non verità o autenticità del consenso

Al di là di specifici passaggi critici che possano emergere in un caso particolare, vi sono, in ogni situazione sociale e culturale, degli specifici punti deboli relativamente al modo di intendere e di vivere il matrimonio che debbono essere tenuti particolarmente presenti. Nel nostro contesto culturale, essi ruotano essenzialmente attorno alle finalità e alle caratteristiche del matrimonio; in particolar modo:

l’apertura alla prole, il principio dell’indissolubilità, il dovere della fedeltà, la dimensione sacramentale.

Vi sono poi gli elementi relativi alle capacità psicologiche delle persone; e anche qui occorrerà tener ben presente le abitudini o gli ambienti di vita frequentati. Pertanto, potrà essere utile insistere con qualche domanda particolare nell’ambito della verifica, previa al patto nuziale, dell’autenticità del consenso, così come prestare attenzione a qualche dato di fatto che potrebbe rappresentare un segnale di una possibile non verità del consenso medesimo.

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3. Modalità di attuazione dell’EF

Dopo aver considerato l’importanza dell’EF è opportuno ribadire alcuni aspetti dello svolgimento di tale strumento pastorale tra cui: l’importanza di condurre il dialogo dei nubendi in modo separato; il valore del giuramento reso dai nubendi all’inizio dell’EF; la verbalizzazione delle risposte rese dai nubendi e la loro sottoscrizione come impegno di veridicità; l’obbligo del segreto d’ufficio sulle risposte dei nubendi; il tempo opportuno per svolgere l’EF, e i soggetti a cui è affidato l’EF.

1. Dialogo condotto separatamente con ciascuno dei due fidanzati

Occorre ribadire la necessità dell’interrogatorio separato dei nubendi. Procedere diversamente significa travisare completamente il senso del colloquio e, soprattutto, far venir meno per i singoli nubendi la possibilità di esprimersi con libertà su questioni delicate.

La presenza dell’altra persona interessata a tale colloquio potrebbe invece condizionare fortemente e limitare tale libertà di espressione oppure far venir meno improvvidamente la possibilità di chiedere al rappresentante della Chiesa un aiuto e un sostegno, ad esempio di fronte ad indebite pressioni o condizionamenti. È evidente che il colloquio separato con il sacerdote che ammette alle nozze non potrà esaurire i contatti pastorali coi fidanzati.

Pertanto, togliere la possibilità di confidarsi con una persona come il parroco che - tenuto al segreto - possa consigliare, chiarire ed eventualmente aiutare è un’omissione gravemente imprudente.

La prassi giudiziaria mostra che purtroppo - verificando con le parti i contenuti dell’esame dei fidanzati così come risultano dal relativo verbale - non infrequentemente emerge come i due interessati siano stati sentiti insieme e come questa circostanza abbia influenzato le dichiarazioni di uno dei due, impedendo di far emergere situazioni che hanno poi esercitato un influsso negativo sulla validità sia giuridica sia esistenziale del matrimonio.

2. Compiere il giuramento

All’inizio dell’esame i nubendi sono invitati ad effettuare il giuramento. Esso attesta la grande responsabilità del soggetto circa le proprie dichiarazioni e rappresenta una garanzia della loro veridicità. Nel caso, si tratta di un giuramento di tipo assertorio, cioè che ha come oggetto la veridicità delle dichiarazioni che si renderanno, e non invece di tipo promissorio, cioè come per rafforzare la promessa di assolvere certi obblighi. Occorre tuttavia tener presente che, nel caso dell’EF, pur essendo rafforzata dal giuramento, la presunzione di corrispondenza fra ciò che viene dichiarato a voce e la realtà effettiva resta una presunzione semplice, che ammette la prova diretta del contrario. È evidente che tale eventuale prova andrà esperita nel contesto di un processo giudiziario, ove si mettesse in discussione la validità del patto nuziale sostenendo ad esempio che, in difformità rispetto a quanto dichiarato, il soggetto si sia sposato sotto costrizione, abbia simulato il matrimonio oppure esclusa qualche sua finalità o proprietà essenziale, abbia perpetrato un inganno nei confronti dell’altro circa la propria personalità per assicurarsene il consenso.

Le dichiarazioni giurate delle parti possono avere in sede giudiziaria un importante peso probatorio (addirittura pieno), laddove mancassero altri tipi di prova e a condizione che indizi e circostanze avallino in modo completo queste dichiarazioni. Ci si trova così di fronte a due giuramenti resi dalla stessa persona ma con contenuti esattamente contrari. Il fidanzato, ad esempio, potrebbe avere dichiarato in sede di esame di fidanzati di accettare il compito della generazione e dell'educazione dei figli, mentre, in sede di giudizio, potrebbe, al contrario, sostenere di avere escluso la generazione della prole. Certamente il primo giuramento prestato (quello all'esame dei nubendi) non va sottovalutato e, anzi, normalmente le dichiarazioni rese in quella sede vengono acquisite agli atti e contestate all'interessato in sede di deposizione giudiziale, soprattutto se in quest'ultima egli affermi il contrario.

3. Verbalizzazione, sottoscrizione e datazione dell’esame dei fidanzati

Se l’EF consiste in un dialogo, particolarmente solenne e impegnativo, esso comporta la presenza di due protagonisti e, normalmente, la posizione di domande e l’offerta di risposte. Per rispondere su questioni così delicate e personalmente coinvolgenti, quali quelle sollevate da molti degli interrogativi del formulario, occorre del tempo, né la riposta può essere data immediatamente e in modo univoco, come in

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un quiz nozionistico. L’interrogato avrà quindi bisogno di tempo, affinché il nubendo riesca ad esprimere la sua risposta in modo fedele al suo pensiero; il Parroco potrà aiutarlo, senza tuttavia sostituire il pensiero del nubendo con una sua libera interpretazione. La successiva verbalizzazione scritta dell’interrogatorio dovrebbe essere moderatamente estesa e riflettere il più possibile le stesse parole del dichiarante.

In questo senso, non si dovrebbe ridurre ad una serie di “sì” o “no”; essi sono senza dubbio sufficienti da un punto di vista formale (cioè ai fini dell’ammissione al matrimonio), ma non offrono certo alcuna possibilità di penetrazione e di ricostruzione degli intendimenti del soggetto. Lo spazio, anche nei moduli rinnovati, resta piuttosto scarso; va sottolineato, però, che non è tanto l’ampiezza delle risposte ciò che conta, quanto il loro coincidere con quanto effettivamente e essenzialmente dichiarato dall’interessato.

Occorre d’altra parte ricordare che, in caso di necessità, vi è sempre la possibilità di aggiungere all’esame dei fidanzati e comunque al fascicolo matrimoniale delle note, laddove nello svolgimento della pratica emergano difficoltà peculiari, soprattutto se inerenti circostanze che potrebbero porre in dubbio non solo il positivo sviluppo dell’unione coniugale ma persino la stessa validità del matrimonio. Ad esempio: timori prima dichiarati e poi ritrattati; intenzioni eterodosse esternate e poi corrette di fronte alla manifestata impossibilità di procedere da parte del parroco; circostanze che, ancorché apparentemente chiarite, possono lasciare qualche perplessità, quali relazioni sentimentali parallele al fidanzamento; difficoltà intervenute nello stesso per uso di sostanze, gioco d’azzardo o altre abitudini voluttuarie potenzialmente molto pericolose per la vita familiare. Queste annotazioni del parroco potranno rivelarsi assai utili eventualmente in sede di giudizio, anche solo per confermare una situazione problematica al tempo delle nozze, esposta da una delle parti

Il verbale dell’esame dei fidanzati si chiude con la sottoscrizione da parte dei nubendi e del parroco, nonché con l’indicazione della data in cui esso venne redatto e con l’apposizione del timbro parrocchiale.

4. Il segreto d’ufficio

I contenuti dell’esame dei fidanzati e il verbale in cui essi sono oggettivati sono sottoposti al segreto d’ufficio. Il segreto obbliga colui che ha svolto l’esame e anche colui che è responsabile della conservazione del verbale dell’esame medesimo, ossia il responsabile dell'archivio, parrocchiale (o diocesano), in cui esso è custodito. Tale obbligo urge nei confronti dei terzi, sia persone fisiche sia istituzioni, che non siano autorizzate a venire a conoscenza di quei contenuti e in possesso di quel verbale. È ragionevole sostenere che il segreto d’ufficio copra le dichiarazioni rilasciate anche in rapporto all’altra parte. Quindi: quanto detto dal fidanzato deve restare segreto per la fidanzata e viceversa. Il Decreto generale della CEI in materia di tutela della buona fama e della riservatezza, richiamando il can. 487 § 2, stabilisce che

«chiunque ha diritto di chiedere e ottenere, personalmente o mediante un procuratore legittimamente nominato, certificati, estratti, attestati, ovvero copie fotostatiche o autentiche dei documenti contenenti dati che lo riguardano»

(art. 2§5,1° comma);

ma il medesimo Decreto puntualizza, che dall’esercizio di tale diritto

«sono esclusi i dati che, non provenendo dal richiedente, sono coperti da segreto stabilito per legge o per regolamento ovvero non sono separabili da quelli che concernono terzi e la cui riservatezza esige tutela» (2°

comma).

Quindi nessuno dei nubendi ha titolo per conoscere quali siano state le dichiarazioni rese dall’altro in sede di esame dei fidanzati e neppure a ottenere copia del verbale dal quale risultino le risposte rese dall’altra parte nel corso del suo interrogatorio. I soggetti autorizzati a conoscere i contenuti dell’esame dei fidanzati Certamente l’Ordinario del luogo, che esercita quella funzione di vigilanza sull’attività pastorale che gli è propria. Certamente il tribunale ecclesiastico quando è investito di una questione matrimoniale, che renda necessaria l’acquisizione di quei documenti e informazioni. Chi conduce queste due attività amministrativa e giudiziaria ha il diritto/dovere di acquisire tutti quei mezzi di informazione che siano leciti e utili per il conseguimento dello scopo istituzionale lui affidato (cf. cann. 50 e 1527 § 1). Colui che ha eseguito l’esame (o che anche solo ne conserva il verbale) non ha bisogno di alcuna autorizzazione o liberazione dal segreto da parte dei diretti interessati per esibire ai soggetti legittimati il verbale dell'esame dei fidanzati o per riferire di quanto detto e avvenuto in quel colloquio.

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La possibilità, per chi conduce l’esame, di verificare con uno dei nubendi quanto detto dall’altro.

Facciamo un esempio. La fidanzata confida al parroco: «Il mio fidanzato dice che da me non vuole figli».

Può il parroco contestare questa dichiarazione al fidanzato, chiedendogli se è vero quanto detto dalla fidanzata e quale sia la ragione della sua eventuale volontà contraria alla prole?

Dubitando che ciò sia possibile, è più prudente seguire questa prassi: il parroco convoca il fidanzato informandolo che, nel colloquio con la fidanzata, è emersa una circostanza seria che non consente di procedere verso il matrimonio; egli dà un termine perché i due possano chiarirsi, invitandoli a tornare da lui alla scadenza del termine, portando le conclusioni del chiarimento. Il problema può essere ripreso in colloqui sia individuali sia comuni (se il problema viene confermato dal fidanzato) del parroco con i nubendi. Se il tutto non è risolto alla scadenza data, il parroco deferisce la questione all’Odl (in concreto il Servizio di Curia), che potrebbe spingere a un livello ulteriore l'analisi del caso, operando le dovute verifiche e contestazioni delle rispettive dichiarazioni.

Ad ogni modo, anche laddove la difficoltà appaia risolta senza l’intervento dell’Ordinario e si proseguano i preparativi per le nozze, è bene che il parroco alleghi alla pratica prematrimoniale un'accurata relazione di quanto avvenuto, a futura memoria

5. Quando effettuare l’esame?

Un aspetto che presenta dei pro e dei contra in relazione all’efficacia dell’effettuazione dell’EF è quello legato al suo valore temporale. Anzitutto in relazione all’opportunità di fissare un periodo di validità del detto adempimento, ad esempio in Italia limitato a sei mesi dal già richiamato articolo 10 del Decreto generale della Conferenza episcopale italiana sul matrimonio canonico. Appare abbastanza facilmente comprensibile la limitazione temporale della efficacia di detto esame: infatti il trascorrere del tempo potrebbe condurre a una modificazione delle intenzioni o delle condizioni esistenziali che accompagnano la celebrazione delle nozze e che resterebbero al di fuori della possibilità della verifica pastorale. In secondo luogo, anche in presenza di un tempo relativamente ristretto di validità dell’esame, la sua troppa anticipazione avvicinerebbe la situazione al rischio appena ricordato; mentre la sua troppa vicinanza al momento nuziale potrebbe esporre a un troppo forte peso delle aspettative ambientali, potenzialmente limitativo della libertà di espressione degli interessati. È impossibile - soprattutto con una disposizione di carattere generale - evitare a priori tutti i possibili rischi di una scelta pastorale. Sarà compito del pastore d’anime che accompagna i fidanzati alle nozze sia scegliere il momento più opportuno per svolgere con loro l’esame dei fidanzati, sia essere sensibile a cogliere loro eventuali difficoltà o ripensamenti anche al di là di quel momento di dialogo, pur particolarmente approfondito.

6. Soggetto a cui è affidato l’esame dei fidanzati

L’art. 10 del Decreto parla genericamente di «parroco» o di «parroco competente». La necessaria individuazione è operata dall’art. 4 del Decreto, che prevede che gli adempimenti preliminari alla celebrazione delle nozze siano di competenza del parroco del domicilio, di quello del quasi domicilio, oppure anche di quello della dimora protratta per un mese di ciascuno dei due contraenti, i quali possono liberamente scegliere a quale di essi rivolgersi.

4. Analisi delle domande dell’EF (cfr. Mod. I [16 domande])

Premessa

L’esame consiste in un dialogo solenne e impegnativo e la domanda del verbalizzante e la risposta dell’interrogato. É molto importante che nel corso del dialogo siano effettivamente poste delle domande e che esse siano chiare e adattate alla capacità di comprensione dell’interlocutore. Se la domanda non è chiara e se l’interrogato non è messo in condizione di esprimersi su quanto corrisponde alle sue intenzioni, non si avrà un dialogo, ma un monologo dell'esaminatore, che finirà per verbalizzare come risposte quanto si immagina che l’interrogato voglia e debba dire. Per rispondere su questioni così delicate e coinvolgenti occorre del tempo, né la risposta può essere data immediatamente e in modo univoco, come in un quiz. L’interrogato avrà quindi bisogno di tempo e talvolta anche di un aiuto rispettoso e cordiale, per esprimere in modo compiuto la sua risposta.

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IA SEZIONE riguarda lo Stato libero e consta di 2 domande

v Domanda 1: «Dopo il compimento dei sedi anni ha dimorato per più di un anno in altra diocesi? Dove?».

v Domanda 2: «Ha mai contratto matrimonio, anche solo civile? Quando e con chi? Come è cessato questo vincolo?

Ha avuto figli?».

Queste domande hanno lo scopo di accertare lo stato libero dei nubendi, cioè l'assenza di un vincolo matrimoniale pre esistente che impedisce, ai sensi del can. 1085§1, il sorgere di quello che si sta preparando. La nota 6 presente nel formulario afferma: «Le domande riguardanti lo stato libero non si devono mai tralasciare. Le risposte date valgono come “giuramento suppletorio”, quando non sia possibile avere la “prova testimoniale di stato libero”. Ma quando occorre produrre questa “prova testimoniale”?

Quando il/la fidanzato/a dopo i il compimento dei 16 anni di età ha dimorato per più di un anno (in forma continuativa) in una diocesi diversa da quella nella quale ha ora il suo domicilio canonico. Chi la deve acquisire? Il parroco che conduce l'istruttoria matrimoniale, mediante l'esame di due testi idonei (anche parenti dell’interessato (cf art 9 DGMC – Mod. V).

Non dobbiamo dimenticare la dottrina cattolica sul matrimonio come “istituto naturale” e la proprietà dell’indissolubilità che, di per sé, caratterizza ogni matrimonio valido, in qualsiasi forma celebrato. Se è vero che per un fedele latino e orientale (e ortodosso, armeno, copto…) la celebrazione solo civile di un matrimonio costituisce un attentato al matrimonio e non dà vita ad un valido vincolo matrimoniale, per i battezzati acattolici e per i non battezzati la celebrazione di un matrimonio secondo la forma cui essi sono tenuti (civile o religiosa che sia) produce un vincolo valido (e per sé, sino a prova contraria, indissolubile), che non viene certo eliminato da un successivo divorzio civile o da un qualsiasi provvedimento analogo. Non tener conto di questo, potrebbe provocare grave incomodo ad fedeli, soprattutto quando siamo ormai in una avanzata fase di preparazione di un matrimonio canonico, che si scoprirà poi che non potrà essere poi celebrato o, quanto meno, dovrà essere differito fino all’acquisizione dell’effettivo stato libero. Venire a conoscenza delle cose per tempo, senza inutili reticenze da parte dei fidanzati o superficialità da parte del parroco, può, invece, suggerire comportamenti pastoralmente più opportuni, quali, ad es. la procedura di scioglimento di un tale matrimonio (non sacramentale) in favorem fidei della parte cattolica, procedimento che richiede un congruo tempo di istruzione della pratica e la grazia del Romano Pontefice.

IIA SEZIONE riguarda il Consenso matrimoniale e comprende 8 domande (dalla n. 3 alla n. 10)

È la sezione di maggior importanza, dove l’indagine è certo più difficile, poiché entra a confronto con la libertà e con le intenzioni delle persone e anche più complessa, perché valutare il grado di libertà e le intenzioni degli individui è sempre un’impresa delicata.

L’attenzione generale che dovrebbe essere coltivata nel condurre l’esame dei fidanzati è quella di aver presenti quelli che potrebbero essere definiti come i punti deboli e critici del contesto culturale nel quale ci si situa in relazione ai contenuti inderogabili del patto matrimoniale. Ad esempio, nella situazione italiana e forse dell’Europa occidentale, i punti deboli cui prestare attenzione potrebbero essere: a) l’accettazione di un vincolo indissolubile, soprattutto in presenza di una mentalità divorzistica; b) gravi difficoltà circa la fede o la dimensione religiosa e sacramentale del matrimonio, che potrebbero avere delle ricadute sull’accettazione della stessa struttura ontologica del matrimonio; c) la presenza di anomalie psichiche o di condizioni ad esse assimilabili, che propongono notevoli difficoltà di valutazione sia in relazione al diverso manifestarsi dei disturbi psichici o psicologici, sia in relazione alla necessità di non compromettere oltre il lecito il diritto al matrimonio anche delle persone più semplici e in qualche modo limitate; d) la non disponibilità alla procreazione, in un contesto (almeno quello italiano) dove la natalità, almeno da parte delle persone originarie di tale contesto, sembra permanere come piuttosto bassa8.

8 Cfr. BIANCHI P., « L’esame dei contraenti come strumento pastorale», 344-345.

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v Domanda 3 (consapevolezza religiosa): «Perché sceglie di sposarsi in chiesa? Crede nel matrimonio come sacramento? Ha qualche difficoltà nell’accettare l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio? Quale?».

Secondo la dottrina comune, per un battezzato l’intenzione necessaria e sufficiente per celebrare un valido matrimonio consiste nell'intenzione di fare ciò che la Chiesa intende per matrimonio, intenzione che comunemente si ritiene coincidere con l’accettazione (= la non positiva esclusione) di quella che si definisce la struttura «naturale» del matrimonio. Se il battezzato possiede questa intenzione ha pure un'intenzione sacramentale implicita. Se, invece, il battezzato mettesse in discussione la struttura

«naturale» del matrimonio, non si potrebbe riconoscere nemmeno quell’intenzione sacramentale implicita Ovviamente la questione della sacramentalità del matrimonio ha un significato solo per dei battezzati, e per quei battezzati le cui confessioni considerano il matrimonio un sacramento. Per dei non battezzati il discorso sulla sacramentalità del matrimonio è, invece, fuori luogo, sia perché non ha alcun senso accettare o escludere ciò che per me non sussiste, sia perché il matrimonio da loro contratto con una parte cattolica non sarà, comunque, un sacramento. Anche per quei battezzati in quelle confessioni acattoliche che non riconoscono la sacramentalità del matrimonio (protestanti, anglicani…) il discorso sulla sacramentalità del matrimonio potrebbe avere pure poco rilievo.

Se il parroco si trova di fronte a dei battezzati che non negano la struttura “naturale” del matrimonio e che non rifiutano esplicitamente la sua dimensione religiosa e sacramentale, siamo certamente in presenza di un’intenzione sufficiente per accedere alla celebrazione delle nozze perché si può dire che i nubendi accolgono il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio.

Al parroco spetta l’obbligo di adoperarsi per far crescere una fede debole (anche se sufficiente ai fini della celebrazione delle nozze); non gli spetta, invece, il diritto di richiedere un grado di fede corrispondente alle sue personali visioni, applicando un criterio difforme rispetto all'insegnamento ufficiale della Chiesa.

Se il parroco si trovasse di fronte a delle difficoltà insuperabili nel portare a compimento questa verifica, potrà far ricorso all’Odl, che potrà integrarla secondo i mezzi più penetranti in suo possesso (es.: far incontrare il nubendo con una persona particolarmente esperta in materie teologiche o filosofiche, per comprenderne meglio l'effettiva posizione; oppure sospendere, in caso di grave dubbio e fintanto che esso non sia rimosso, la celebrazione delle nozze [cf can. 1077§1]).

Giova ribadire che il ricorso all’Ordinario da parte del parroco deve essere quindi utilizzato quando questi si trovi di fronte ad una difficoltà che è difficilmente inquadrabile oppure che eccede le sue possibilità di indagine (sostanzialmente il colloquio, ripetuto, se necessario, coi nubendi e la richiesta della documentazione matrimoniale prescritta). Se, invece, il parroco raggiungesse la certezza morale della non ammissibilità dei nubendi alle nozze, non deve ricorrere all’Ordinario, ma deve informare gli interessati di tale conclusione, illustrandone loro i motivi. Se i nubendi essi non resteranno persuasi, saranno eventualmente loro, a questo punto, a ricorrere all’Ordinario, chiedendo una revisione la modifica della decisione del parroco.

v Domanda 4 (libertà nel contrarre m.): «Il matrimonio comporta una decisione pienamente libera. Si sposa per Sua scelta, liberamente e per amore, oppure è costretto da qualche necessità? Si sente spinto al matrimonio dai Suoi familiari o da quelli della fidanzata?».

Scopo di questa domanda è tutelare una libertà esterna nella decisione nuziale rispetto all'azione di terze persone:

- sia che si tratti di una violenza fisica, che priva della humanitas la prestazione del consenso dei fidanzati;

- sia che influenzi il consenso con una violenza morale, nel senso che i fidanzati si trovino in una situazione di pressione e di timore tali da indurli a decidersi per un matrimonio che, altrimenti, non avrebbe voluto.

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Per questo il parroco dovrà cercare con molta pazienza di approfondire la questione quando delle pressioni vengono dichiarate dai nubendi o anche solo quando vi siano delle circostanze ambientali che le possano fare sospettare (ad es. una gravidanza). É chiaro che non basta la gravidanza in sé e che nemmeno lo sposarsi poco volentieri a seguito di essa costituisce, per sé, un vizio del consenso (perché una persona può decidersi liberamente anche in contrasto coi propri desideri, programmi e progetti!); né sono sufficienti dei richiami a «fare il proprio dovere» (o cose del genere) per viziare la libertà di scelta. Quindi, in presenza di casi del genere, il parroco dovrà con grande cautela e pazienza cercare di far luce sui sentimenti e sul grado di autonomia di decisione dei contraenti.

Tenendo conto della risposta alla domanda le conclusioni potrebbero essere quattro:

1. l’ammissione al matrimonio, se il parroco ravvisa sufficienti condizioni di libertà nella scelta matrimoniale;

2. l’invito alle parti a chiarirsi fra loro, differendo a dopo questo chiarimento la decisione circa l’ammissione alle nozze;

3. la non ammissione alle nozze, se il parroco è convinto della sostanziale non libertà di uno dei contraenti;

4. il deferimento della questione all’Ordinario, se occorre applicare dei mezzi di indagine più penetranti, tipo la contestazione all'altra parte di quanto dichiarato da uno dei nubendi.

v Domanda 5: «Il matrimonio è comunione di tutta la vita tra un uomo e una donna. Vuole il matrimonio come unico e si impegna alla fedeltà coniugale?».

Questa domanda concerne l’accettazione sia della proprietà essenziale della unità del matrimonio, sia del dovere della fedeltà coniugale.

La dottrina e giurisprudenza canoniche attuali hanno chiarito in maniera definitiva che unità e fedeltà sono due realtà differenti.

L’unità è una delle proprietà essenziali del matrimonio ai sensi del can. 1056 e afferma il principio della “monogamia”.

Per la dottrina cattolica è inammissibile una poligamia simultanea: ossia non può esistere nella medesima unità di tempo più di un legame coniugale. Il vincolo che deriva da un matrimonio valido costituisce, quindi, un impedimento al valido sorgere di un nuovo matrimonio (can. 1085§1). Viene invece ritenuta lecita quella che qualcuno definisce la “poligamia successiva”, cioè la possibilità di contrarre nuove nozze dopo la morte del coniuge, che fa cessare il vincolo matrimoniale, oppure dopo lo scioglimento di un vincolo valido e sacramentale. Un matrimonio celebrato validamente (rato et consummato) e sacramentalmente non può essere sciolto da nessuna autorità umana, se non dalla morte di uno dei coniugi. (Non si confonda lo scioglimento del vincolo matrimoniale con la dichiarazione di nullità del medesimo matrimoniale sentenziato da un Tribunale ecclesiastico).

Un matrimonio celebrato validamente (rato) ma non consummato può essere sciolto (dispensato) solo dal Romano Pontefice (cf can. 1142).

Un matrimonio valido ma non sacramentale può essere sciolto: 1) applicando il cosiddetto

“privilegio paolino” (cf. cann.1143-1147)9; 2) nel caso del neofita poligamo (cf can. 1148)10; 3) nel caso del

9 Si tratta dello sviluppo del passo biblico di 1Cor 7,12-16 e si applica solo nel caso di un matrimonio celebrato fra due non battezzati (naturale), dei quali uno solo di essi in seguito si converta, ricevendo un valido battesimo (non solo nella Chiesa cattolica) e solo a condizione che l’altro coniuge non voglia convertirsi a sua volta e spontaneamente non voglia più coabitare col battezzato oppure ci voglia coabitare ma ponendolo in occasione prossima di peccato e di vita contraria alla fede cristiana abbracciata. Di questo atteggiamento di colui che non si converte deve constare pubblicamente attraverso una “interpellazione”, adempiuta la quale il matrimonio naturale viene sciolto dalla celebrazione del nuovo matrimonio (normalmente sacramentale [ma talora anche no]) al quale l’Odl ha ammesso il battezzato.

10 É il caso di un coniuge (maschio o femmina) poligamo che diviene catecumeno e riceve il battesimo. Non potendo sostenere oltre la poligamia (che è contraria alla proprietà essenziale dell’unità matrimoniale) gli si dà la possibilità di scegliere una comparte, non

necessariamente la prima sposata, con l’obbligo di cessare la coabitazione e il tratto coniugale con le altre comparti, ma mantenendo l’obbligo di provvedere alle loro necessità materiali per senso di giustizia e contraendo con la comparte scelta un valido matrimonio nella forma canonica.

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neofita sottoposto a prigionia e persecuzione che gli impedisca la vita comune col coniuge11; 4) nel caso di scioglimento in favore della fede. Nel solo caso nel solo caso del “privilegio paolino” lo scioglimento agisce ope legis; negli altri casi attraverso un provvedimento riservato al Romano Pontefice.

La fedeltà coniugale è la conseguenza della donazione esclusiva della propria persona al coniuge nella prospettiva coniugale e consiste nel dovere (morale e giuridico insieme) di astenersi da relazioni sessuali con persone diverse dal coniuge. L’intenzione di contrarre matrimonio senza obbligarsi ad essere fedele, magari presumendo di mantenere il diritto di intrattenere relazioni sessuali con altre persone, costituisce un difetto volontario del consenso, che produce la nullità del matrimonio. Quindi, soprattutto se consta che durante il fidanzamento ci sono stati problemi di fedeltà o addirittura uno dei due abbia coltivato una relazione parallela a quella con il fidanzato/a, occorrerà che il parroco affronti con la dovuta oculatezza e chiarezza la questione. Il chiarimento sarà necessario sia nel caso che queste infedeltà (o relazioni) abbiano coinvolto l'aspetto specificamente sessuale sia anche nel caso di relazioni sentimentali/amorose che non siano scese sul piano delle intimità fisiche.

v Domanda 6 (proprietà essenziale del m. che è l’indissolubilità): «È volere di Dio che il vincolo del matrimonio duri fino alla morte di uno dei coniugi. Vuole il matrimonio come indissolubile e quindi esclude di scioglierlo mediante il divorzio».

L’indissolubilità è una caratteristica che appartiene ad ogni matrimonio valido, da chiunque e in qualsiasi forma lecita celebrato. Il fatto che gli sposi siano due battezzati e che, quindi costituiscono un patto nuziale sacramentale, rafforza ulteriormente questa caratteristica, facendole assumere una peculiaris firmitas (cf can. 1056).

Contrarre il matrimonio ricusando la caratteristica dell’indissolubilità del matrimonio costituisce un difetto del consenso e comporta la nullità del matrimonio.

L’esclusione dell’indissolubilità può avvenire in modo esplicito o implicito:

1. in modo esplicito rifiutando direttamente di contrarre un vincolo indissolubile;

2. in modo implicito rifiutandolo indirettamente (ad es. mantenendo una “riserva mentale” di divorziare in caso di cattivo esito del matrimonio).

Tant’è vero che la nostra domanda prende in considerazione non solo il rifiuto diretto dell’indissolubilità, ma anche la riserva di divorzio, che è la sua forma di rifiuto indiretto più comune.

Se si auspica che nessuno si sposi per divorziare, ci può essere, però, qualcuno che si sposa già programmando di poter divorziare, se il matrimonio non lo soddisfa più oppure quando se trova un’alternativa migliore.

Se quasi nessuno oggi dichiara apertamente una specifica riserva divorzista, perché in questo caso sarebbe impossibile ammettere alle nozze, spesso, però, i fidanzati esprimono una mentalità divorzista, cioè la condivisione di idee che affermano che non sia possibile assumere impegni perpetui; mentalità che spesso si accompagna con la «realizzazione» e il «benessere» come supremi valori esistenziali di riferimento e perseguimento. Ma, attenzione! Perché si possa parlare di nullità matrimoniale occorre non solo una generica concezione erronea ma uno specifico atto della volontà, riferito al matrimonio che in concreto si vuole contrarre.

L’insegnamento della Chiesa ha raggiunto in merito una posizione equilibrata: la mentalità divorzistica (che è una falsa concezione dell’istituto matrimoniale, seppur limitatamente ad una sua caratteristica) non è da sola ordinariamente sufficiente a causare l’esclusione della indissolubilità; perché ciò si verifichi occorre un atto positivo (cioè effettivo) della volontà.

Di fronte, quindi, ad uno dei nubendi che manifesti una mentalità divorzista, il parroco dovrà cercare di comprendere se tale mentalità sia condivisa soltanto in genere (ad esempio per motivi di tolleranza),

11 Si tratta di una parte che si battezzi nella Chiesa cattolica dopo le nozze e che, a causa della persecuzione (cui segue la prigionia e/o deportazione), sia impossibilitato a continuare o riprendere la vita coniugale. La permanenza in tale stato e la non sacramentalità del primo vincolo matrimoniale sono due elementi ritenuti sufficienti per concedere la celebrazione di un nuovo matrimonio nella forma canonica, che scioglie il vincolo naturale precedente.

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oppure se sia coltivata anche in specie, ossia concretamente riferita anche solo eventualmente anche al proprio matrimonio.

Nel primo caso dovrà ammettere alle nozze; nel secondo non lo potrà fare. Nel cercare di comprendere a pieno le intenzioni dell'interessato, l’esaminatore dovrà sforzarsi di cogliere quale sia il suo progetto di vita (ad es. se quello di un’unione stabile oppure solo temporanea) dovrà distinguere fra la previsione e la paura di un’infausta conclusione del matrimonio e la volontà premeditata di scioglierlo in quel caso. Distingua anche fra una volontà di un’eventuale sola separazione (interruzione della vita comune, ma riconoscendo la permanenza del vincolo) o la pretesa, invece, di poter sciogliere il vincolo coniugale medesimo.

Se il parroco riscontra in un soggetto un “errore radicato” a favore dello scioglimento del matrimonio, non dovrebbe procedere ad assistere alle nozze. Tuttavia, dati i margini di incertezza che possono sussistere in una simile valutazione, può essere opportuno un ricorso all’Odl.

v Domanda 7 (due finalità istituzionali [cf. c. 1055 § 1] del m.: il bene dei coniugi e la procreazione ed educazione della prole): «Il matrimonio è di sua natura ordinato al bene dei coniugi, alla procreazione ed educazione della prole.

Accetta il compito della paternità, senza escludere il bene della procreazione? Intende dare ai figli un’educazione cattolica?».

La prima cosa da osservare è che se anche il bonum coniugum viene enunciato nella premessa alla domanda, in realtà non è fatto oggetto specifico né di questa né di alcuna altra domanda. Forse ciò può dipendere da una certa qual difficoltà a determinare in modo preciso quali siano i contenuti dell’ordinazione del matrimonio al “bene dei coniugi”. Possiamo individuarli nel mutuo aiuto e rispetto e nel completamento affettivo, sessuale (secondo natura) e morale. Ragion per cui, si potrebbe anche aggiungere alle domande previste una serie di quesiti del genere:

«Si impegna a riconoscere e rispettare l'altro come suo coniuge? Si impegna ad aiutarlo, materialmente e spiritualmente, nelle varie circostanze della vita? Si impegna a vivere con lui l'affetto e la sessualità in modo rispettoso della persona umana e della sua dignità?».

La domanda, poi, si concentra sulla finalità istituzionale del matrimonio, il bonum prolis e sonda principalmente la disponibilità alla generazione dei figli. Anche in questa linea potrebbero manifestarsi delle difficoltà.

Non vi è dubbio che l’esplicita manifestazione della volontà di non avere figli nel matrimonio impedisce la celebrazione delle nozze e la prosecuzione dell’istruttoria matrimoniale.

Ma può capitare che il parroco si trovi in imbarazzo nel distinguere, nella risposta dei nubendi, tra un rimando della generazione ed una vera e propria esclusione della prole, soprattutto quando il rimando viene formulato in una maniera così condizionata, che può mascherare una reale preclusione alla disponibilità a procreare. Di solito chi è disposto ad avere figli solo a determinate condizioni, che egli stesso si riserva di verificare, è anche potenzialmente disposto a perpetuare in infinito questo rifiuto iniziale, se appena appena questa condizione desiderata non si verifica.

In questo caso è opportuno sollecitare il chiarimento fra i nubendi, riservandosi la decisione circa l’ammissione alle nozze successivamente ad esso; oppure ricorrere all’Ordinario, soprattutto laddove non sia agevole comprendere a fondo l’esatta intenzione dei contraenti.

v Domanda 8: «Pone condizioni al matrimonio? Quali?»

Questa domanda potrebbe essere formulata nel modo seguente: «Lei fa dipendere l’efficacia o la permanenza della sua scelta matrimoniale da qualche impegno o qualità particolari da parte della Sua fidanzata? Oppure da qualche circostanza che ritiene particolarmente importante? Se sì, quale?».

Il concetto di “condizione” non è semplice da comprendere in astratto ed è, spesso, assai difficile da distinguere in concreto.

La condizione de futuro consiste nel far dipendere l’efficacia del consenso matrimoniale, che si pone, da un fatto ad esso esterno, un fatto futuro e incerto, nell'attesa della verifica del quale, l'efficacia del consenso rimane sospesa. Tale condizione potrebbe essere intesa come “sospensiva” del matrimonio

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(ad es.: “il mio matrimonio verrà da me considerato valido e vincolante solo quando e se tu entrerai in possesso, ereditandole, delle ricchezze dei tuoi genitori”) oppure “risolutiva” (ad es.: “se non avremo figli entro cinque anni dalla data del matrimonio, non mi considererò più sposato con te”). Un ulteriore difficoltà nella comprensione della condizione si ha quando il fatto sottoposto a condizione si deve verificare non in un tempo relativamente breve e non in un evento determinato, ma consiste in un comportamento che ci si aspetta che l'altro tenga volontariamente e magari per un tempo indefinito (ad es.: “ti sposo a condizione che tu non faccia uso o abuso nel matrimonio di alcool o di sostanze stupefacenti”).

Nella condizione de praeterito e de praesenti, invece, il fatto sottoposto a condizione si è già verificato, ma il soggetto che pone la condizione non ne conosce gli esatti termini, anche se intende, tuttavia, legare l'efficacia del proprio consenso matrimoniale alla sua effettiva consistenza (ad es.: “mi hai detto che sei incinta e che il figlio è mio ma io condiziono la validità del mio matrimonio al fatto che il figlio sia effettivamente mio e non di un altro”). In questo caso il consenso sarà immediatamente efficace (e il matrimonio valido) se il nubendo è veramente il padre del nascituro; sarà invece inefficace (e quindi il matrimonio invalido) nel caso che egli non lo sia.

Ovviamente per porre una condizione occorre avere un dubbio (ad es.: che il fidanzato possa tornare a drogarsi o a bere; che la fidanzata sia incinta di un altro). Alla luce di quanto detto, quando uno o entrambi i fidanzati parlassero di «condizione», il parroco dovrà anzitutto cercare di comprendere esattamente cosa i nubendi intendano.

Nel caso si tratti di una condizione in senso proprio, de futuro, dovrà interrompere la pratica matrimoniale e non potrà procedere alle nozze, data la loro sicura invalidità. In caso, invece, di una condizione impropria dovrà sconsigliare le nozze stesse e, comunque, rivolgersi all'Odl, sia per la delicatezza in sé del caso, sia perché lo stesso Codice (can. 1102§3) dispone che una condizione de praeterito o de praesenti può essere apposta solo con la sua licenza scritta.

v Domanda 9 (Le intenzioni matrimoniali dell’altra parte): «La Sua fidanzata accetta il matrimonio sacramento come unico e indissolubile, oppure ha qualche riserva in proposito (infedeltà, divorzio)? È sicuro che sposi Lei liberamente e per amore?».

La domanda tocca i soli punti della libertà del consenso e dell'accettazione delle proprietà essenziali del matrimonio.

v Domanda 10: «Nel fidanzamento ha avuto motivi per dubitare della riuscita del Suo matrimonio? Ha tenuto nascosto qualcosa che possa turbare gravemente la vita coniugale?».

Questi dubbi possono essere alla base non solo di una condizione (cf domanda n. 8), ma anche di un’esclusione, del tipo:

nel nostro fidanzamento abbiamo molto litigato; ci siamo presi e lasciati più volte; quindi non mi impegno in un vincolo coniugale, perché penso che l’unione possa fallire. Oppure: Il mio fidanzato è molto immaturo: non voglio figli da lui. Cambierò idea quando maturerà.

Quindi, in caso di uno o più dubbi dichiarati, il parroco deve chiarirne la natura, cercare di comprenderne l’intensità soggettiva e accertare se siano stati superati. Ad ogni modo, di tutto dovrebbe lasciare chiara traccia nel verbale dell’esame.

La seconda parte della domanda cerca di evitare il verificarsi di quel vizio del consenso che è l’errore dolosamente indotto per ottenere l’altrui consenso. Si tratta di un errore relativo ad una qualità della persona, che può turbare gravemente la vita coniugale (cf can. 1098). Un errore accidentale, sulla qualità della persona, di regola non costituisce un vizio del consenso (cf can. 1097§2); lo diventa in via di eccezione, quando l’errore è indotto responsabilmente e con dolo specifico, cioè con la finalità di assicurarsi il consenso matrimoniale e quando oggetto dell'inganno è una qualità personale del coniuge, che può turbare in modo grave la vita matrimoniale. Possiamo esemplificare alcune di queste qualità: la sterilità, l'omosessualità, una falsa posizione socio-professionale, la tossicodipendenza o l’uso di droghe, la sieropositività, ludopatia, la presenza di anomalie di carattere psicologico (anche se non per sé sole incapacitanti).

Anomalie di carattere psichico o psicologico (cf. can 1095). Si tratta di un tema molto delicato, che attiene non solo al vizio di consenso, ma anche con altre fattispecie di possibile invalidità matrimoniale, come

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le incapacità psichiche, che producono la nullità del matrimonio, indipendentemente dal fatto di essere più o meno conosciute dal soggetto che di esse non è portatore.

Teniamo presenti due principi:

1. un soggetto va ritenuto capace fino a prova moralmente certa del contrario, quindi anche in caso di dubbio.

2. Il criterio discriminante fra l’incapacità e la difficoltà è costituito dal fatto che l’anomalia del soggetto deve intaccare in maniera sostanziale la facoltà di intendere e/o di volere, sotto il profilo della decisione matrimoniale che dell'assunzione e dell’assolvimento degli obblighi che ne conseguono.

Se emergessero questi casi il parroco dovrà invitare i fidanzati ad un chiarimento reciproco, per essere certo che anche il soggetto non psichicamente disturbato sia a conoscenza della situazione esatta dell’altro.

In secondo luogo il parroco procederà ad una valutazione sommaria della situazione sulla base di quelle informazioni che il nubendo disturbato gli vorrà fornire. In casi, come si può facilmente comprendere, si tratta di situazioni molto delicate, rese ancor più problematiche da quella che appare essere una certa trasformazione nella malattia psichica, almeno sotto il profilo dei suoi sintomi esteriori. Per cui sarà opportuno procedere con la massima attenzione e ricorre all’Odl per dirimere la questione, che potrà applicare il can. 1077§1 (vietare il matrimonio in un caso peculiare, per un tempo determinato, per una grave causa e fin tanto che questa perduri), richiedendo maggiori informazioni o mezzi di conoscenza che consentano di chiarire in modo più adeguato il problema (es.: documentazione clinica, autorizzazione a parlare coi medici curanti, valutazione del soggetto presso un consultorio di fiducia…). Se il soggetto non collabora, l’Ordinario può confermare la proibizione.

III

A

SEZIONE riguarda gli impedimenti o divieti e comprende sei domande (dalla n. 11 alla n. 16)

Appare meno articolata rispetto a quella dedicata al consenso, vuoi perché quest’ultimo è oggettivamente centrale nel sistema matrimoniale canonico, vuoi perché gli impedimenti previsti dalla legge canonica si presentano come un’eventualità statisticamente piuttosto rara.

v Domanda 11 (impedimento (o divieti) canonici in senso proprio di diritto positivo* o di diritto naturale**): «Esistono vincoli di consanguineità tra lei e il/la fidanzato/a (can. 1091)?».

v Domanda 12: «Esistono altri impedimenti al matrimonio canonico o divieti alla celebrazione?».

In realtà nella domanda n. 11 si fa oggetto specifico di uno solo dei dodici impedimenti dirimenti matrimoniali (la conseguineità). Di tutti gli altri si fa generica inchiesta al quesito n. 12, estendendo la ricerca pure agli eventuali divieti (proibenti, quindi, ma non dirimenti) alla celebrazione o almeno all'assistenza alle nozze. Il parroco dovrà prendere in esame, in particolare, gli impedimenti di: disparità di culto (can. 1086);

ordine sacro (can. 1087); voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso (can. 1088);

rapimento (can. 1089); crimine (can. 1090); affinità in linea retta (can. 1092); pubblica onestà (can. 1093);

parentela legale (can. 1094). ** l’impotenza copulativa (can. 1084 § 1) e il vincolo di un matrimonio precedente (can. 1085 §1).

E i divieti per: *Matrimonio misto (can. 1124, DGMC 48-52); matrimonio dei girovaghi (can. 1071 § 1, 1°, DGMC 46); matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica (can. 1071 § 1, 4°), matrimonio di chi è irretito da censura (can. 1071 § 1, 5°, DGMC 43); matrimonio celebrato attraverso procuratore (can. 1071 § 1, 7°).

v Domanda 13 (divieto ad assistere alle nozze): «Minori di anni 18. I suoi genitori sono a conoscenza delle sue nozze?

Sono contrari?».

Le ragioni di questa disposizione risiedono:

§ nella forte possibilità di una scelta imprudente in un soggetto pur giuridicamente abile e capace;

§ nei contrasti che potrebbero derivare in caso di nozze celebrate all'insaputa o contro il volere di genitori e ad esse contrari su base di argomenti ragionevoli.

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